Non tutti gli speaker nascono con il microfono in mano, ma a volte lo incontrano e non lo lasciano più. Alcuni degli “oratori” del ciclismo hanno iniziato per caso, per gioco o per occorrenza, quasi per un’emergenza. Qualche giorno fa chiacchierando con Claudio Santi sulla sua Seigiorni delle Rose di Fiorenzuola ci aveva detto che fu lui a scoprire Stefano Bertolotti come speaker più di venti anni fa.
E noi abbiamo voluto sentire il lodigiano che è una delle voci del Giro d’Italia dal 2011 – al pari di Paolo Mei – e che negli anni è diventato l’attuale addetto stampa dell’UEC, l’Unione Europea Ciclistica. Nelle prossime settimane viaggerà su diverse manifestazioni tra Slovenia, Serbia, Olanda, Portogallo e Trentino per conto della federazione continentale con diversi ruoli.
Stefano raccontaci i tuoi inizi.
La primissima esperienza al microfono è stata quando non ero ancora diciottenne. Mia madre era presidente del Comitato Provinciale di Lodi, si organizzavano alcune gare di dilettanti dove tutti facevano tutto e io, che avevo smesso di correre tra gli allievi da poco, chiesi di fare radio-corsa. Mi divertii, ricevetti dei complimenti da tutti. Per me era finita lì, invece mia madre mi aveva trovato un paio di gare di giovanissimi da commentare. Non ci volevo andare perché non mi sentivo pronto a parlare in pubblico, ma mia madre mi fece capire che non potevo tirarmi indietro e che al limite non ne avrei più fatte. Alla fine invece mi trovai a mio agio e ho continuato con le gare dei bambini.
Santi però rivendica di essere stato il tuo talent scout.
In un certo senso è vero. Lo conobbi nel 1996 mentre facevo la presentazione del Pedale Castellano (formazione piacentina giovanile di Castel San Giovanni, ndr) poi due anni più tardi, quando avevo 23 anni, mi affidò il ruolo di speaker della prima edizione della Seigiorni e da allora non ne ho saltata una. Nel mezzo, nel 1997, avevo fatto da spalla al mitico Bruno Ronchetti proprio in una prova di Coppa del mondo di pista disputata a Fiorenzuola.
Ci ha detto che fu criticato per quella scelta. Pensa un po’ alle volte…
Sì sì, mi ricordo che glielo disse più di una persona che era un azzardo, soprattutto perché avrei sostituito Ronchetti, giustamente ritenuto una istituzione che già faceva Giro d’Italia, Tirreno-Adriatico e Milano-Sanremo e che per me era un modello da seguire. Non so, magari qualcuno negli anni si è ricreduto. Di sicuro devo dire che sono molto grato a Claudio Santi, che mi ha dato fiducia che ero un ragazzo.
Sembra però che ora non ci sia nessun giovane che voglia fare lo speaker. Benché tu ed altri tuoi colleghi non siate vecchi, si può dire che non ci sia un ricambio generazionale?
Sì, mancano le nuove leve, quantomeno in alcune zone. Tante volte ricevevo proposte di andare a fare lo speaker fino in fondo alle Marche ed io pensavo subito “Ok, vado molto volentieri ma possibile che tra Lodi e Macerata, ad esempio, non ci sia uno speaker per il ciclismo?”. In altre parti d’Italia invece c’è un ricambio migliore.
Bisogna dire però che ci sono speaker e speaker, quindi è comprensibile che ti chiamino da lontano.
Sì vero, ci possono essere delle differenze tra di noi, però è anche meglio che ci siano. Ognuno ha il proprio stile, non rischiamo di uniformarci ed essere tutti uguali.
Cosa ti piace di uno speaker?
Vado nello specifico e personalmente sono fortunato a lavorare con Paolo Mei, grande professionista, con cui faccio coppia di microfoni da 10 anni esatti e sembra che lavoriamo insieme da una vita. Non abbiamo mai avuto un mezzo problema, ci intendiamo al volo, sia nelle difficoltà sia negli spunti, sappiamo essere complementari. Quindi apprezzo lo speaker che sa cavarsela nelle situazioni più scomode, come quando alle gare giovanili non va radio corsa oppure hai la gente che sale sul palco per chiederti informazioni strane o viene a disturbarti. Bisogna avere una buona capacità di problem-solving, poi dipende dal nostro carattere.
E cosa non ti piace?
Non mi piace invece quando uno speaker non ha alcuni accorgimenti, come quando tendono ad accentuare una caduta, magari in volata, descrivendola come un evento catastrofico. Dobbiamo ricordarci, specialmente alle gare giovanili o dei dilettanti, che sono presenti genitori e parenti dei corridori che possono allarmarsi più del dovuto. Dobbiamo avere certe delicatezze in certe circostanze pur senza perdere la cronaca e il racconto della corsa.
E gli eventuali errori come si gestiscono?
Può capitare, non siamo infallibili, la svista è dietro l’angolo. Certo, ci vuole molta attenzione perché il pubblico ci ascolta e letteralmente pende dalle nostre labbra, però come dico da sempre anche ai miei colleghi del Giro d’Italia, non siamo chirurghi che devono salvare vite umane e pertanto il paziente lo portiamo sempre a casa vivo.
Piccolo break, tu sei anche addetto stampa. Cosa ti piace e cosa no dei comunicati stampa.
Mi piacciono i comunicati essenziali, con tutte le informazioni e le fasi salienti della gara descritte in modo sintetico. Il comunicato non deve essere un articolo di giornale, errore che tendono a fare in tanti. Infatti non mi piacciono quei comunicati prolissi e soprattutto che non hanno una firma o un riferimento telefonico di chi lo ha redatto.
Torniamo al microfono. Quanto è cambiato il ruolo di speaker da quando hai iniziato ad ora.
C’è una bella differenza. Sono cambiate tante cose ed io sono riuscito ad adattarmi bene. Prima lo speaker era una figura didascalica, che elencava tutto quello che aveva fatto un corridore, quasi a monopolizzare la cronaca della gara in questo modo e non c’era quasi nessuna parte di show, se mi concedete il termine. La mia estrazione giornalistica mi portava a questo agli inizi. Ora invece c’è un vero e proprio intrattenimento, soprattutto nelle gare pro’ o di alto livello, grazie anche alla musica o ad un dj che spezza giustamente il racconto dello speaker. Ci vuole una buona sintonia e bisogna saper conoscere o rispettare i tempi.
Bisogna essere un po’ intrattenitori?
Bisogna saper giocare con la voce per coinvolgere il pubblico anche mentre fai la cronaca degli ultimi chilometri. Personalmente preferisco lo stile moderno dove lo speaker dà le informazioni essenziali a chi ascolta, in modo che anche la signora non appassionata di ciclismo che però è a bordo strada a seguire i corridori possa capire subito chi è in fuga o chi sta per vincere o come si sta svolgendo la corsa.
Come si prepara uno speaker per un evento?
Deve farlo come se fosse la prima gara che commenta. Rispetto a tanti anni fa ora è facilissimo reperire tante informazioni sui corridori e sulle corse. Talvolta lo smartphone ci è stato di aiuto per prendere notizie di un corridore sul quale magari sei meno preparato. Avere una buona memoria può aiutare, ma non è fondamentale perché bisogna studiare sempre tutto. Anzi io sono per scriversi sempre tutti gli appunti o una scaletta anche se sono semplici. Non bisogna dare nulla per scontato, io mi scrivo ancora che ruolo ha un dirigente o cosa ha vinto un corridore che conosco benissimo.
Chiudendo, hai qualche nuova sfida che ti piacerebbe affrontare?
Non so, visto che siamo in periodo, forse le Olimpiadi (ride, ndr) ma chissà quando le faranno in Italia. Battute a parte, non ci crederete ma già arrivare al Giro d’Italia era un sogno che mai avevo preso in considerazione. Tutto quello che viene per me va bene, l’importante è che io abbia ancora questo entusiasmo per fare questo lavoro. Quando non ce lo avrò più dovrò farmi delle domande e trovare delle risposte in fretta.