«Purtroppo non possiamo fare molto con Pogacar – dice mister Boutros – perché il contratto di Emirates è con la squadra. Ma nel frattempo, se dovessimo avere un concetto di pubblicità per il quale valga la pena, non lo escludiamo: tutto è possibile. Dipende dalla campagna pubblicitaria che stiamo conducendo, dalla personalità che dobbiamo utilizzare. Detto questo, non abbiamo sfruttato appieno Pogacar, credo soprattutto perché questi ciclisti continuano a pedalare tutto l’anno e non so se hanno tempo per fare altro».
Chi parla è Boutros Boutros, vicepresidente esecutivo e responsabile marketing e comunicazioni di Emirates. La compagnia aerea emiratina supporta dal 2017 il team di Mauro Gianetti, ma sponsorizza squadre di calcio fra cui Milan e Real Madrid e altri sport fra cui cricket, rugby, tennis, ippica, vela, basket… L’elenco è davvero lungo e certamente pregiato e questo ha acceso la nostra curiosità di sbirciare in casa loro, per farci raccontare i criteri di scelta delle discipline che sostengono.
Il nostro interlocutore ha svolto un ruolo chiave nella costruzione del marchio globale della compagnia, guidando un team di oltre 150 professionisti e più di 100 agenzie globali, che ne fanno uno dei comunicatori aziendali più influenti e di alto profilo del Medio Oriente. Boutros è entrato in Emirates nel 1991 ed ha alle spalle anche due decenni di esperienza nel giornalismo, nelle relazioni pubbliche e nel marketing.
Emirates e lo sport: come nasce?
Quando abbiamo avviato la compagnia aerea, abbiamo sempre saputo dove volevamo arrivare. Ma è molto difficile pensare di conquistare il mondo quando si inizia con due aerei e due rotte. Il modello di business delle compagnie aeree è molto costoso, dato che ogni aereo costa più o meno 200 milioni di dollari e ogni nuova rotta costa una fortuna. Comunque, per farla breve, sapevamo che saremmo arrivati a un livello globale, sapevamo dove saremmo arrivati. Perciò avevamo bisogno di farci conoscere, perché non ci conosceva nessuno, nemmeno a Dubai. Sto parlando dei primi anni ’90 e abbiamo scoperto che lo sport era il modo migliore per aumentare la consapevolezza e avvicinarci al pubblico.
Quale sport? E perché?
Ci sono differenze. Si passa da sport conosciuti a sport meno conosciuti, sport seguiti e sport meno seguiti. Siamo partiti da questa considerazione, sapendo ad esempio che la maglia di un calciatore è la migliore connessione con le persone che lo amano. I calciatori hanno i loro sostenitori, il loro pubblico. E naturalmente una voce importante è la copertura televisiva, che oggi per il calcio è massima. Così abbiamo pianificato come crescere fino a raggiungere il top, per esempio partendo dallo sport più seguito che per il mondo occidentale è il calcio. Poi c’è il cricket, che coinvolge probabilmente 2 miliardi di persone. E poi c’è il rugby. Abbiamo stilato una lista di sport di punta, purtroppo a spese di tutti gli altri. Non possiamo approfondirli tutti, anche se ci piacerebbe.
Siete voi a scegliere lo sport o ricevete richieste fra cui scegliete?
Come in tutte le attività commerciali, tutti vogliono avvicinarsi per entrare nel business. Ma come ho detto all’inizio, abbiamo preso in considerazione gli sport più trasmessi. Così ad esempio, inizialmente ci siamo avvicinati alla Formula Uno. Però ci siamo detti che è troppo rischiosa e poteva creare una pericolosa associazione di idee. Noi facciamo volare le persone e quindi non ci è sembrato utile sposare uno sport soggetto a incidenti.
Avete creato un ranking di discipline appetibili?
Abbiamo scoperto che i primi sei, sette sport sono il calcio, il football, il tennis, il golf, il rugby, il cricket e l’equitazione, perché è un grande sport in Medio Oriente e genera un’ottima immagine. Ci siamo resi conto che nel complesso questi sport coprono quasi tutti gli appassionati del mondo e così ci siamo mossi.
E cosa avete fatto: avete bussato alle loro porte?
Naturalmente c’è sempre da considerare il prezzo e la disponibilità, perché nelle sponsorizzazioni sportive, come in tutte le altre cose, le prime due o tre squadre sono sempre occupate, quindi bisogna scegliere bene il tempo. Siamo stati abbastanza pazienti da aspettare il momento giusto ed è questo il motivo per cui ci sono voluti forse 10 anni per costruire il nostro portfolio.
C’è differenza tra sostenere una squadra o un singolo sportivo?
Noi non sponsorizziamo singoli atleti, perché otteniamo molto di più dalle squadre. In più dal punto di vista amministrativo gestire una sola persona richiede lo stesso tempo della gestione di un club.
Le sponsorizzazioni hanno modalità diverse…
Dobbiamo scegliere come distribuire le nostre risorse. Dove possiamo, ci concentriamo sul prendere la maglia. Se invece non è disponibile, si fa qualcos’altro. Ad esempio, si prendono i led dello stadio, ma il vero obiettivo è la maglia. Ecco perché sponsorizziamo gli arbitri del rugby, del cricket e anche dell’NBA. Questa è un’area che più o meno ci appartiene, perché nessun’altra compagnia aerea è riuscita ad arrivarci. Abbiamo provato anche con il calcio, ma sponsorizzare gli arbitri non è parso la cosa migliore, avendo anche delle squadre. Si poteva scrivere qualcosa sulle maniche, ma sono troppo piccole perché vengano notate in televisione. La sfida più grande è individuare la misura e il posto in cui mettere il nostro nome.
Sponsorizzate anche molti eventi sportivi, danno dei buoni riscontri?
Facciamo eventi nel cricket e la Coppa del mondo di rugby. Non è possibile sponsorizzare tutte le squadre del mondo, perché è molto costoso. E allora si va al mondiale di rugby, per esempio, si sponsorizza l’arbitro e poi magari lo stesso torneo.
Parliamo del ciclismo?
Abbiamo scelto una squadra sapendo che avrebbe vinto. E’ più facile seguire una squadra piuttosto che le tante corse di ciclismo in giro per il mondo. Il Tour de France è famosissimo, come un altro un paio di eventi, ma ce ne sono tanti. Ecco perché abbiamo una squadra, perché ci rappresenta. E siamo stati abbastanza fortunati nel fare la squadra degli Emirati Uniti, che poi ha anche vinto.
Avete la squadra numero uno al mondo, in cui milita il corridore più forte del mondo: che effetto fa?
Abbiamo iniziato perché ne conoscevamo il potenziale, ma un conto è poter competere e tutt’altro è vincere. Siamo stati fortunati che abbiano vinto il campionato del mondo e poi siamo stati fortunati che abbiano i migliori corridori del gruppo. E’ una zona nuova in cui abbiamo iniziato a pedalare per provare e credo che abbiamo fatto bene a sponsorizzare una squadra piuttosto che il singolo ciclista.
Quindi la squadra funziona più dell’evento?
Sì, attraverso le persone e i loro risultati c’è un legame migliore. E questo riflette davvero lo spirito emiratino: si può lavorare in squadra, si può avere successo e ci si può distinguere da tutti gli altri.
E’ importante che il team abbia sede negli Emirati Arabi Uniti?
Abbiamo iniziato come squadra di supporto per gli Emirati Arabi Uniti. Volevamo una squadra che portasse il nome del Paese, perché in fin dei conti noi ne portiamo la bandiera. All’inizio eravamo noi a sostenerli, ora sono loro a sostenere noi, perché hanno mantenuto la promessa e hanno fatto così bene che ora siamo davvero orgogliosi. E anche dal punto di vista finanziario, il rapporto qualità/prezzo è molto buono.
Per cui, concludendo, si può dire che la sponsorizzazione nel ciclismo sta funzionando?
Sta andando molto bene, perché ci ha permesso di intercettare molti clienti in aree in cui di solito non siamo presenti. Ci ha permesso di raggiungere un pubblico a cui non avevamo mai pensato. Il ciclismo ha la sua popolarità, perché è uno sport che tutti possono praticare. In tutto il mondo, quasi tutti vanno in bicicletta e quasi tutti possono permettersi una bicicletta. Non c’è bisogno di percorsi particolari, si può andare in bicicletta nel cortile di casa o sulle strade nei dintorni. Il ciclismo è molto più grande di quanto la gente si renda conto. Noi stessi ce ne siamo resi conto quando abbiamo iniziato a essere coinvolti.
E mister Boutros è mai andato in bicicletta?
Ho tentato la fortuna, finché un paio di anni fa mi sono infortunato. Ormai è troppo tardi per riprovarci, ho una grossa placca nella gamba, penso sia meglio fare altro. Spero di averle dato tutto ciò che desidera, ho il telefono che squilla. Spero di rivederla presto.