Daniele Pontoni è ancora oggi un riferimento assoluto nel ciclocross. Due titoli mondiali, una Coppa del mondo, 9 titoli nazionali, oggi il friulano si divide fra l’attività di organizzatore (ha allestito la prima tappa del Giro d’Italia a Jesolo) e quella di responsabile di una delle squadre più importanti del panorama italiano, la DP66 Giant Smp, non solo per qualità, ma anche come numeri.
«Quest’anno – dice – abbiamo un gruppo di 26 atleti che coprono tutte le categorie, fra cui 11 donne. E’ una stagione particolare, nella quale abbiamo realizzato una sinergia con Libertas Ceresetto e Cicli Bandiziol prendendo a prestito i loro ragazzi per permettere loro di fare attività».
Quanto cambia per un tecnico lavorare insieme con uomini e donne?
Molto, ma non dal punto di vista tecnico. Come approccio mentale e psicologico, bisogna sempre ricordarsi con chi hai a che fare. L’universo femminile nel ciclocross l’ho scoperto alla fine della mia carriera, quando negli Usa vidi gare con 130 partecipanti, mentre qui erano pochissime a praticare l’attività. Ora le cose sono cambiate, c’è molto fermento soprattutto nelle categorie giovanili. Pian piano emergeranno anche a livello elite, dove d’altronde la Lechner anche se non è più giovanissima è un esempio importante.
Come si riesce ad attirare i giovani verso il ciclocross e distrarli dai richiami di oggi, smartphone in primis?
Diciamo subito che sono fortunati i genitori con figli che capiscono l’importanza della pratica sportiva, qualsiasi essa sia. E che dedicano ad essa anche parte del tempo sottraendolo agli “aggeggi elettronici” come li chiamo io. Rispetto ai nostri tempi, è chiaro che i ragazzi perdono molte energie, ma proibirli, farci una lotta sarebbe tempo perso. Invece devo dire che quando sono con me i ragazzi s’impegnano. Io d’altronde chiedo sempre massima concentrazione, educazione e serietà nell’impegno sportivo. I risultati verranno come conseguenza, ma se non arrivano non me la prendo. Invece sui principi non transigo, soprattutto con i ragazzi più grandi.
E tecnicamente ci sono differenze rispetto ai suoi tempi?
Moltissime, ora i ragazzi, ma anche le ragazze, hanno una capacità di guida, un funambolismo che noi ce lo sognavamo… Noi facevamo della costanza la nostra arma, ma tecnicamente non eravamo allo stesso livello. Basti guardare gli ostacoli, ormai anche quelli di 40 centimetri li saltano tutti stando in sella, anche molte ragazze ci riescono. Ai tempi nostri erano casi rarissimi.
Quando arriverà un nuovo Pontoni?
Difficile dirlo, sicuramente in Italia abbiamo begli atleti e soprattutto abbiamo numeri enormi rispetto a quando correvo io. Quel che manca sono i soldi, le squadre italiane ora non possono minimamente competere con i team belgi o olandesi. E ad un ragazzo che vuole emergere a livello internazionale non resta che emigrare.
Non teme che i migliori possano essere prelevati dalla strada?
E’ sempre successo, ma oggi le cose sono cambiate. La multidisciplinarietà è un principio alla base di tutta l’attività ciclistica. Gli stessi Van Aert e Van der Poel sono ormai ciclocrossisti spuri, la loro attività principale è la strada e nei ciclocross gareggeranno sempre meno, su appuntamenti mirati. E’ questo il ciclocross di oggi…