Dici ExtraGiro e subito pensi al Campionato mondiale di Imola 2020. Oppure alla prima gara, Warm Up, che ha siglato il ritorno alle competizioni dopo il lockdown. O ancora al Giro U23… Ma non ci sono più solo le corse nei progetti di Marco Pavarini, bensì emerge anche una forte sensibilità nei confronti del territorio e un nuovo modo d’interpretare la bici (e le sue potenzialità) su cui la sua società, Clinic4, sta riversando grandi energie.
ExtraGiro è ormai un grande gruppo organizzativo, che trova in Marco Pavarini, appunto, e Marco Selleri i loro leader. Eppure questo team così dinamico, così forte, viaggia verso una decisa evoluzione.
Un lavoro mostruoso
Con Pavarini si parte da quanto fatto in questi ultimi anni. Recenti numeri hanno mostrato una mole pazzesca di lavoro solo nell’ultimo semestre: 19 giornate di gara, 29 villaggi di tappa, oltre 500 collaboratori, 3.000 pasti e 12.000 litri di acqua distribuiti “on the road” e oltre 220.000 chilometri percorsi dai mezzi della carovana.
«Quest’ultimo anno – racconta Pavarini – è stato un vero tour de force. Ma ci eravamo posti degli obiettivi, come far tornare a correre i ragazzi, e li abbiamo raggiunti. Farlo è stato come cavalcare un vero fiume in piena! In 11 mesi abbiamo organizzato 40 giorni di gara. Se pensate che ogni giorno di competizione richiede un arco lavoro di circa un mese…
«E’ nell’indole umana tendere a dimenticare le cose brutte e forse non ci ricordiamo bene come eravamo messi un anno fa: incertezze, Dpcm, chi doveva esserci e poi non c’era… Ciò nonostante abbiamo organizzato, tra le altre cose, due Giri U23, un mondiale, un campionato italiano. Adesso abbiamo bisogno di rifiatare un po’».
Pavarini parla della grande difficoltà che c’è ad organizzare in Italia. Delle complicate relazioni con le amministrazioni locali, dei tanti dubbi, della necessità di garantire la sicurezza totale, di quanto sia complicato ottenere la chiusura delle strade.
«Una gara dovrebbe essere una festa, sempre. Noi abbiamo dimostrato, credo, che si possono fare le cose fatte bene anche in emergenza».
«Nulla è scontato»
«Sul lato agonistico – riprende Pavarini – dobbiamo capire come il sistema vuol leggere le gare e vedere come la Federazione vuole impostare il lavoro. Noi, per quanto riguarda il Giro U23, abbiamo ancora un accordo di un anno. E’ un lavoro che ci piace ma dobbiamo capire dove e come muoverci. Dopo cinque anni, molti volontari non ci sono più. Sono ruoli che andrebbero “professionalizzati”. Tante figure o ce le hai o le devi formare e non è facile. Per 170 atleti che corrono al Giro U23 ci sono 400 persone che vi lavorano dietro. Noi vogliamo organizzare, ci piace farlo, ma vogliamo farlo nel modo giusto… e col nostro stile. Diciamo che per il futuro nulla è scontato».
I gruppi organizzativi in Italia non sono molti. Il maggiore è Rcs, una corazzata in confronto ad ExtraGiro o alle gare che fanno capo al Gs Emilia per intenderci. In ExtraGiro la formazione del personale è centrale. L’idea è di dare un lavoro certo a chi fa parte dell’organizzazione e di determinati progetti. Non deve esserci il volontario di turno per capirci che non ha certezze sul proprio futuro o il pensionato. E quando si ha del personale qualificato, i risultati si vedono. E in tal senso, lo possiamo confermare anche in prima persona, il Giro U23 è stata la cartina tornasole: una macchina organizzativa pressoché perfetta, ma anche dinamica (curatissimo “l’ufficio”, in sella lato della parola, mediatico).
Verso il futuro
E allora come si potrà evolvere Extragiro?
«Stiamo guardando molto a progetti in cui la bici sia al centro di tutto. Con la mia agenzia per esempio, abbiamo fatto uno studio dal quale è emerso che il 60-70% dei lavoratori ha un tragitto casa-lavoro sui 5 chilometri, al massimo 8. Una distanza che addirittura scende a 3 chilometri in Veneto. Ecco, noi vorremmo cercare di cambiare tutto ciò. Vorremmo che almeno il 50% di queste persone anziché prendere la macchina prendessero la bici».
Certo non è facile, si tratta di un progetto molto ampio.
«Noi ci rivolgiamo – spiega Pavarini – a due soggetti principali: le aziende e le amministrazioni. E’ una sfida molto importante ma che abbiamo già iniziato e per la quale servono persone ad hoc, come degli ingegneri. Per esempio abbiamo formato dei mobility manager. Abbiamo fatto due corsi di formazione, abbiamo affiancato i comuni per quel che riguarda in toto le piste ciclabili: mappatura, segnaletica, come poterle migliorare… E lo stesso abbiamo fatto con le aziende per conoscere le abitudini dei personali: come si muovono i dipendenti per andare a lavoro? E’ un progetto anche culturale. Per esempio con Zucchetti abbiamo sviluppato un software in cui vengono monitorati i chilometri fatti in sella, il risparmio di Co2 emessa, le prenotazioni di una bici… Come si fa con le flotte delle auto a noleggio».
Mobilità sostenibile e gare
A questo punto siamo noi che facciamo mente locale e ripensiamo in particolare al giorno della crono di Sorbolo Mezzani-Guastalla al Giro U23. Quel giorno, prima del via, venne inaugurata la ciclabile Food Valley Bike. Vi fu anche un banchetto con prodotti locali. E la gara transitò sulla stessa pista poche ore dopo. Durante il Giro U23 si è partiti presso aziende legate al territorio e altre alla bici, si è toccato punti turistici meno noti… ecco che tutto improvvisamente diventa più chiaro. La bici, anche quella agonistica, può veicolare il territorio e una certa cultura anche nella mobilità. Un qualcosa che fino a quel momento si era percepito inconsciamente, ma che adesso trova una sua “concretezza”.
«Beh mi fa piacere lo abbiate notato – conclude Pavarini – quello fu un buon “prodotto”, un giorno importante: usare il ciclismo agonistico per promuovere una ciclabile. Ma tutto ciò non basta. Gli devi dare continuità, per questo è importante avere personale formato, amministrazioni e aziende consapevoli. Insomma non vorremmo che passata la settimana europea della mobilità sostenibile in cui tutti fanno i bravi, poi si torna in macchina come niente fosse».