Raggiungiamo al telefono Marco Garzelli alle 9 di mattina, poco prima che inizi l’allenamento quotidiano. Nato a Valencia nel 2005, non è un caso che il suo cognome possa ricordarvi qualcosa. Infatti Marco è il figlio maggiore di Stefano, vincitore del Giro d’Italia del 2000, ora direttore sportivo e commentatore sportivo per la Rai.
«Oggi faccio palestra e poi un’ora e mezza di rulli – ci dice subito – perché anche qui in Spagna da qualche giorno piove». Ma se lo abbiamo contattato non è per il fatto che si tratta di un figlio d’arte, ma per la sua personale parabola sportiva. Desueta e quindi interessante. Infatti Marco Garzelli ha ripreso a pedalare un anno fa, dopo aver completamente abbandonato il ciclismo per quattro anni.


Marco, che tu andassi in bici era quasi inevitabile… o no?
Diciamo che avendo il papà che ho, la passione per il ciclismo c’è sempre stato in casa, l’ho vissuto fin da piccolo. Nel 2014 poi lui e mia mamma hanno fondato la Stefano Garzelli Academy e ho corso lì fino a quando ho smesso. Il più il mio nome è un omaggio a Pantani, che era un grande amico di mio papà. Io ovviamente non l’ho mai conosciuto per questioni anagrafiche, ma ho visto tanti video, mio papà me ne ha parlato molto, quindi la sua influenza c’è comunque sempre stata.
Venire da questa famiglia è stato solo uno stimolo o a volte anche un po’ un peso?
A volte le persone me lo chiedono, ma per me non c’è nessun lato negativo. Dipende da come si vive la cosa. Non devi compararti a lui, pensare di dover fare lo stesso. Devi pensare che sì, nel ciclismo ha fatto grandi cose, ma è uno stimolo. Avere un campione in casa è un supporto, qualcosa di rarissimo che pochi ragazzi hanno la fortuna di poter avere. Per cui per me non c’è stata nessuna pressione, ma il contrario.
Marco, come mai avevi deciso di smettere?
Non sono mai stato un fenomeno, ma a 13 anni ho vinto alcune corse ed ero molto motivato. Poi nel 2020 sono passato allievo e lì ho iniziato a fare molta fatica. Mi allenavo bene, ma in gara qualcosa non funzionava. Anche l’inizio del 2021 è stato duro, non stavo bene, non ero felice, quindi non riuscivo nemmeno ad allenarmi nel modo giusto, finché ho lasciato tra aprile e maggio di quell’anno. Da quel momento in 4 anni sono salito in bici 2 volte, sono sparito completamente dal mondo del ciclismo. Non andavo nemmeno a guardare le gare di mio fratello minore.


E poi cos’è cambiato?
Durante tutto il periodo in cui non ho pedalato ho iniziato ad andare in palestra. L’anno scorso però quando qui a Valencia è venuta l’alluvione non si poteva andare da nessuna parte e tutte le palestre erano chiuse. Quindi un giorno, per fare un po’ di sport, ho fatto i rulli. Da lì poi ho ricominciato ad uscire in bici e, un po’ alla volta, ho ripreso a pedalare.
E la passione è tornata?
Vado in bici da tutta la vita, da quando avevo 5-6 anni. Il mio sogno fin da piccolo è sempre stato quello di diventare professionista. Tranne in quei 4 anni di pausa naturalmente, ma poi una volta rimesso in sella mi è tornata la voglia e l’idea di quel sogno, e ora sto lavorando molto per colmare il divario.
Quindi quella pausa ti è stata utile?
La squadra con cui correvo prima di smettere era la migliore e i miei compagni erano i migliori di Spagna, vincevano quasi ogni gara. Però adesso hanno smesso quasi tutti. Quindi forse anch’io se avessi continuato avrei smesso, però definitivamente. Invece ho lasciato a 15 anni, prima di spremermi del tutto, e nel frattempo ho visto e fatto altre cose, mi sono dato il tempo di capire cosa volevo davvero. E in questo modo ora che sono tornato in bici lo faccio con la stessa passione con cui lo farebbe un bambino. Ma ora ho molta più esperienza. Certo, 4 anni senza toccare la bici sono tanti, ma per quello che stiamo vedendo il sogno di diventare professionista è fattibile. Quindi quella pausa è stata una grande opportunità per me.


Nel frattempo hai ricominciato anche a gareggiare?
Le prime già a febbraio di quest’anno, ma erano gare aperte a tutti, quasi amatoriali, e correvo da solo, senza squadra, per riprendere confidenza. Poi a maggio ho trovato una squadra, la ESSAX Svico Foundation, uno dei 3-4 team che ci sono qui a Valencia. Mi hanno dato questa grande opportunità e devo ringraziarli molto perché non è affatto scontato riprendere un ragazzo di 19 anni che è stato fermo così tanto.
E come ti sei trovato a pedalare tra gli U23?
Meglio del previsto. Mi ha sorpreso il fatto di riuscire a stare bene in gruppo, perché prima invece avevo un po’ di paura. Anzi era uno dei motivi che mi hanno fatto smettere. Invece quest’anno ho visto che stavo senza problemi nelle prime posizioni, sono a mio agio, me l’hanno fatto notare anche i miei genitori. Poi magari mi staccavo sulle salite, ma quella paura era scomparsa. Pensavo anche ci fosse più tattica tra gli U23, invece nelle gare di livello medio è ancora come nelle categorie giovanili, si corre un po’ contro tutti.


L’anno prossimo sarai sempre con loro?
No, andrò a correre alla Natural Greatness Rali Alè assieme a mio fratello, che sarà al primo anno U23. L’obiettivo è continuare ad imparare, perché non si smette mai. E crescere ancora. L’anno scorso partivo da un livello di -100, quindi questo è il primo anno in cui ho fatto una stagione diciamo normale. Voglio dimostrare il mio livello, anche a me stesso, devo vedere anch’io dove possono arrivare. Per ora ogni settimana vedo dei miglioramenti, anche dopo le gare, ma appunto è normale visto che avevo molta strada da recuperare.
Hai già messo l’occhio su qualche gara in particolare?
Una gara specifica no, anche perché devo ancora capire davvero che tipo di corridore sono. Per ora so di avere un buono spunto veloce e di potermela giocare in una volata ristretta, ma anche qui è tutto da scoprire. La preparazione sta andando bene e punto a fare bene nella prima parte di stagione. Per dimostrare che posso essere un buon corridore a tutti quelli che stanno credendo in me, ma soprattutto a me stesso. E poi vedremo.