BENIDORM (Spagna) – L’hotel “invaso” dalla UAE Emirates sembra più una cittadella del ciclismo che un semplice quartier generale. Il dispiegamento di forze e mezzi colpisce prima ancora delle parole: motorhome, ammiraglie, personale, struttura e presenza mediatica raccontano una squadra diventata un colosso, come forse mai si era vista nel ciclismo. La presentazione della stagione 2026 di Tadej Pogacar è un richiamo enorme (in apertura foto Fizza).
Al mattino l’attesa è tutta per la conferenza stampa del campione sloveno, anche se nei corridoi serpeggia una curiosità quasi parallela per il programma futuro di Isaac Del Toro. Ci si attende l’annuncio della presenza del messicano al Giro d’Italia. Cosa che non arriverà… Pogacar, invece, è il solito Pogacar: sereno, misurato, apparentemente impermeabile al clamore. Sale in bici, parte, rientra, chiede cosa c’è in programma e riparte ancora con Adam Yates.
Qualche ora dopo, al pomeriggio in conferenza stampa, risponde con controllo e lucidità. Il calendario è in gran parte atteso, ma colpisce l’insistenza su due gare: Sanremo e, ancora di più, Roubaix.


Obiettivo classiche
E’ un calendario denso ma razionale quello che Pogacar dovrà affrontare nel 2026. Le Classiche del Nord tornano a occupare un ruolo centrale, anzi centralissimo. Strade Bianche in apertura, poi Sanremo, quindi Fiandre, Parigi-Roubaix, Freccia e Liegi-Bastogne-Liegi. Prima del grande appuntamento estivo, ovviamente il Tour, il passaggio in Svizzera sarà affidato a due corse a tappe, due novità tra l’altro per lo sloveno: il Tour de Romandie e il Tour de Suisse.
Il grande obiettivo per Pogacar quindi resta il Tour de France, ma Pogacar non nasconde un’ambizione più ampia: vincere tutto, Monumenti e Grandi Giri. «Perché – dice con il pragmatismo che gli appartiene – il tempo passa veloce e ogni stagione porta nuove occasioni. Non sono ossessionato dalle vittorie. Né se non dovessi riuscire la Sanremo o la Roubaix o anche il Tour de France. Ovvio però che se mi chiedete se preferisco vincere il Tour o la Roubaix, dico la Roubaix. Un conto è passare da quattro a cinque (le vittorie del Tour), un conto da zero a uno.
«Tornare su terreni ancora non conquistati mi stimola. Sono gare che sento di poter vincere. L’idea è scegliere con attenzione, correre meno giorni rispetto ad altri e arrivare sempre nelle condizioni migliori». Quest’ultima parte delle sue parole è la risposta ad una domanda che in conferenza stampa è emersa più volte: «Come fai ad essere competitivo da febbraio a ottobre?». Tadej ha risposto che è possibile con una programmazione oculata ed è vero. Le fasi di riposo non sono mai mancate e, a conti fatti, nel 2025 ha inanellato 50 giorni di corsa: ben al di sotto della media dei suoi colleghi.


Pogacar e i 5 Monumenti
Ma è quando si parla di classiche che Pogacar si accende davvero. Alla fine questa sfida dei cinque Monumenti lo stuzzica, eccome. Il suo volto è un libro aperto. La Sanremo resta una “ferita” aperta e allo stesso tempo una calamita. Ma è la Roubaix a occupare il centro del discorso. «Il raid al Nord per la ricognizione sul pavé è stato estremamente positivo. Mi sono trovato a mio agio con i materiali testati, con la guida sul pavé. Sono sensazioni incoraggianti. Sappiamo cosa serve per affrontare l’Inferno del Nord».
Pogacar distingue nettamente la preparazione per Fiandre e Roubaix. «La prima richiede il cento per cento su strappi brevi, ripetuti, sul pavé e sulla gestione dello stress in gruppo per oltre sei ore di gara. La seconda arriva solo una settimana dopo e pretende soprattutto recupero e gambe. Gambe capaci di esprimere sforzi lunghi e devastanti quando il contachilometri è già avanzato».
Rispetto ai Grandi Giri, le Classiche gli sembrano quasi meno stressanti. «Al Tour – dice mentre sorseggia un bicchiere d’acqua – ogni giorno è una prova di concentrazione assoluta, con una pressione continua che lascia poco spazio al divertimento». Forse anche per questo comprende anche le scelte di chi, come Remco Evenepoel, decide di evitare questo tipo di corse. Tuttavia Pogacar non vede la doppia sfida, classiche e Grandi Giri, come un compromesso: «Nel ciclismo gli imprevisti esistono sempre e programmare con coraggio fa parte del gioco».


Tenere alta l’asticella
E’ restare in cima la vera sfida di Tadej. Non una pressione, non un’ossessione, ma uno stimolo quotidiano. Ogni stagione richiede di alzare ancora l’asticella, di trovare nuovi margini di miglioramento senza snaturarsi. Lui è al vertice e gli altri cercano in ogni modo di raggiungerlo. Gli altri insomma hanno un punto di riferimento, lui no. E in questo percorso il rapporto con il preparatore Javier Sola è centrale.
«Con Sola e gli altri tecnici – dice Pogacar – c’è un dialogo continuo, fatto di messaggi dopo gli allenamenti, di attenzione non solo ai numeri ma anche alle sensazioni. Javier non è solo il tecnico che analizza i dati, ma una figura che si interessa al mio stato mentale e al benessere complessivo. Questa fiducia reciproca crea un ambiente in cui è naturale comunicare apertamente, segnalare un problema o proporre un aggiustamento.
«Si parla del mio futuro, ma io oggi voglio godermi il percorso… Consapevole che mantenere questo livello richiede lavoro costante e lucidità. Anche nella mia vita privata l’impatto mediatico ormai è forte. Sono consapevole che non può più essere una vita “normale” (anche lui mima il gesto delle virgolette, ndr) come un tempo. Ma provo comunque a ritagliarmi spazi di vita semplice».


Con Del Toro al Tour
E’ quasi difficile ormai fare domande allo sloveno. Delle vittorie si è già parlato. Di crono o salita idem. Degli stimoli ha appena detto. Resta il tema della squadra. La prima al mondo.
«Abbiamo un team fortissimo – spiega Pogacar – una rosa di trenta corridori di questo valore ti consente di formare sempre una squadra da Tour. La qualità è alta e, soprattutto, ognuno conosce perfettamente il proprio ruolo. Chi ha condiviso la vittoria in un Grande Giro diventa qualcosa di speciale, quasi una famiglia: sacrifici comuni e un obiettivo condiviso».
In questo contesto si inserisce anche Isaac Del Toro, destinato ad affiancare Pogacar al Tour. La sua crescita è vista come una risorsa, non come una minaccia. Neanche ci si prova a metterli in rivalità, come magari era successo con Remco e Lipowitz due giorni fa a Palma de Maiorca.
«Del Toro mi piace come corridore e come uomo – spiega – sono contento di averlo vicino al Tour de France. Tra l’altro potrà fare bene ed è giusto che i giovani lottino nelle grandi corse. Bisogna dargli spazio e costruire il futuro loro e al tempo stesso della squadra».