Questo è il momento dell’off-season e per i preparatori è l’ora dei debriefing. Si tirano le somme di ciò che l’atleta ha fatto nel corso dell’anno: dati, numeri, lavori specifici ben riusciti e altri meno. Ma quando di mezzo c’è un ragazzo, come cambia questo debriefing? E com’è il confronto?
Con Giacomo Notari, coach della UAE Emirates Gen Z, cerchiamo di capire in che direzione si muove questa fase, soprattutto rispetto al confronto con la stagione precedente. Cosa valuta Notari? Da cosa parte? (In apertura foto Instagram)


Giacomo, dunque, cosa guardi in questo debriefing annuale?
Prima di tutto vorrei dire che non lo faccio solo con chi già c’era, ma anche con i nuovi che arriveranno, perché è un momento per conoscerli. Con i “vecchi”, invece, si valuta cosa è stato fatto bene e cosa si poteva fare meglio.
E cosa si fa in questo debriefing?
In linea generale, sebbene io sia un preparatore e quindi abituato a lavorare tanto con numeri, sigle e dati, quando faccio questi debriefing parlo molto. Cerco di capire cosa si aspettano da loro stessi, cosa pensano di aver fatto bene e dove ritengono di dover migliorare. Non cosa hanno sbagliato, ma dove credono di poter crescere. Con i nuovi cerco di capire che tipo di corridori pensano di essere, per farmi un’idea. Dopo, avendo i dati, qualcosa si capisce, ma è importante anche sapere che immagine hanno di sé, perché sono ancora in una fase in cui qualcosa può cambiare. La impronto più come un dialogo, anche psicologico: siamo focalizzati sui numeri, ma in gara non vince chi ha il wattaggio più alto. Essendo uno sport di situazione, contano il saper stare a ruota, prendere posizione, leggere la corsa, capire quando è il momento giusto. Poi è chiaro che un po’ si guardano anche i numeri.
Come?
Si guarda in particolare il volume di ore settimanali, ma è difficile contestualizzarlo. Uno può aver fatto 20 ore, ma cosa vuol dire? Potevano essere 20 ore in Z1, in Z2 o con molta intensità. Per questo preferisco parlare, capire come sono soliti allenarsi, se fanno palestra, se piace loro farla, se pensano che sia utile.


Ma la crescita fisiologica come la valuti?
Certamente valuto anche questo aspetto, ma non necessariamente il fatto che abbia migliorato la FTP mi dice che abbia corso più forte dell’anno precedente. Tendenzialmente le migliori prestazioni le fanno in condizioni di freschezza, mentre in gara l’azione vincente nasce dalla fatica. Quindi sarebbe utile vedere quanto migliorano dopo un certo carico di lavoro, misurato in kilojoule.
Perché?
Perché le gare si vincono in condizioni di fatica. A volte facciamo test proprio in fatica: creiamo affaticamento con salite a intensità alta e poi facciamo eseguire una prova massimale, per vedere quanto perde rispetto a quando è fresco. Non posso concentrarmi solo sui 12′, 15′ o 20′ in freschezza. Il mio scopo è migliorare la “durability”: arrivare meno stanchi alla fine. Quando parlo con loro mi interessa capire che volumi erano soliti fare, come arrivavano a fine gara, cosa soffrivano di più. Quelli sono i punti deboli su cui lavorare e che possono determinare il calo nel finale.
Tratti soprattutto under 23, quindi ragazzi di 18-19 anni in crescita. Quanto migliora un ragazzo per semplice sviluppo fisico?
E’ difficile quantificare perché ognuno ha fasi di crescita diverse, però tendenzialmente un miglioramento c’è. Tra i 17 e i 23 anni sono in un’età d’oro: non hanno i problemi di chi ne ha 26 o 27. Vivono in casa, non devono fare la spesa o fronteggiare responsabilità pesanti. L’unico stress è la scuola. Se togliessimo anche quello, avrebbero tutto il giorno per allenarsi e andrebbero ancora più forte.


Un aspetto semplice ma non banale…
A 26-27 anni sei prestativo, ma hai anche stress: casa, famiglia, figli, spese… E’ quindi difficile quantificare la crescita perché ci sono fattori esterni e quelli fisiologici che vanno di pari passo con lo sviluppo individuale.
Hai detto “parlo molto con loro”. E loro cosa ti chiedono? E come capisci, dalle loro risposte, che stanno maturando?
Tendenzialmente cerco di capire i punti di forza e quelli di debolezza. Guardando i dati e la curva di potenza capisco dove sono forti o carenti, ma voglio che lo dicano anche loro. Io dai numeri vedo solo la parte prestativa, ma magari il loro limite è altro.
Tipo?
Ad esempio che non sono bravi a stare in gruppo o che hanno problemi in discesa, cose che da TrainingPeaks non emergono. In squadra abbiamo anche una psicologa: una volta un ragazzo aveva paura in discesa per via di una caduta. Abbiamo lavorato con lei e poi lo abbiamo affidato a un coach specifico proprio per la discesa che gli ha spiegato ingresso in curva, velocità, staccata, traiettoria… Queste cose non le vedi dai computerini. Siamo troppo fossilizzati sui numeri, ma c’è tutto un contesto attorno che fa tanta differenza.


Bello questo aspetto del dialogo nel debriefing…
Oggi i ragazzi sanno moltissimo di nutrizione e allenamento. Su internet possono raccogliere un’infinità di informazioni, ma questo gli crea stress: vogliono controllare tutto, quando ci sono persone che possono farlo per loro. Questo gli toglie stress.
Qual è stata la soddisfazione più grande dell’anno? Il miglioramento che ti ha dato più gioia?
Non abbiamo vinto tanto, ma neanche poco. La vittoria a tutti i costi non è ciò che cerchiamo. In UAE abbiamo la fortuna di poter far crescere i ragazzi: se sono con noi è perché crediamo in loro. Preferiamo farli maturare pensando al futuro. La soddisfazione più grande è arrivata da un corridore francese, Ugo Fabriès.
Raccontaci…
Praticamente non aveva mai vinto una corsa. Sapevamo che numericamente era forte, ma credeva poco in sé stesso. Ha fatto delle buone gare e a fine stagione ha vinto il campionato nazionale, correndo da solo, senza compagni. Meritava. Era uno che si è sempre fatto in quattro per i compagni: una volta Pericas ebbe un problema nel momento peggiore e lui, anziché giocarsi la corsa, si staccò dal gruppetto per riportarlo davanti. Sono contento che il titolo nazionale gli abbia consentito di restare in squadra e che potrò averlo anche il prossimo anno.