L’avventura della Tripetetolo in Kosovo. Tra timori e sprint

14.09.2025
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Anche una squadra relativamente piccola nel mondo internazionale e variegato degli under 23 può vivere una bellissima avventura all’estero. Anche se quella della Polisportiva Tripetetolo era, almeno alla vigilia, ricca d’insidie considerando il teatro di gara. Parliamo infatti del Tour of Kosovo, la piccola nazione scaturita da un sanguinoso conflitto con la Serbia, dove la tensione politica fra vicini è sempre rimasta accesissima ancorché un po’ nascosta nelle cronache quotidiane. Eppure proprio quest’estate, complice il ribollire sociale serbo, del latente conflitto si è ripreso a parlare tanto che la tensione ai confini è considerata uno dei focolai di guerra più incandescenti di questi tempi molto bui.

Per esorcizzare i timori, la squadra toscana si è concentrata solo sugli aspetti sportivi perché la trasferta balcanica era forse l’evento più importante di tutta la sua stagione. Massimiliano Dinucci era l’uomo deputato a guidare i ragazzi, confidando in qualche risultato importante.

Massimiliano Dinucci, direttore sportivo della squadra con sede a Lastra a Signa (FI)
Massimiliano Dinucci, direttore sportivo della squadra con sede a Lastra a Signa (FI)

«C’è stato un invito da parte degli organizzatori scaturito dal fatto che con noi corre Flavio Venomi, che fa parte della nazionale albanese la cui federazione teneva che fossimo presenti. Per noi era importante per dare una chance ai ragazzi di correre all’estero, fare un’esperienza diversa dal solito e per questo abbiamo accettato volentieri».

Che corsa avete trovato?

Dal punto di vista organizzativo devo dire che sono rimasto molto colpito. Si correva sulle autostrade e questa non è una cosa comune. Niente traffico, niente gente ai bordi, tutto un po’ asettico. Un altro aspetto che non poteva passare inosservato era la forte presenza di polizia, sempre a farci da scorta. C’era un altissimo livello di controllo e sicurezza. Ma non era opprimente, questo lo devo dire. E’ chiaro che mancava un po’ il pubblico, quello che troviamo spesso, o almeno si trovava nelle gare italiane.

Tre tappe per la corsa kosovara, tutti disegnati su autostrade prive di pubblico (foto Federazione Kosovo)
Tre tappe per la corsa kosovara, tutti disegnati su autostrade prive di pubblico (foto Federazione Kosovo)
E dal punto di vista dei percorsi?

Tutte e tre le tappe previste prevedevano percorsi vallonati, con vari strappi, sempre su queste strade molto larghe. Poteva essere più vario, invece è stato un po’ monotono e questo influiva soprattutto dal punto di vista mentale, era più difficile mantenere alta la concentrazione per tutta la gara.

A che livello era di corsa?

Parlando di una prova di categoria 2.2, aveva un buon livello di partecipazione perché negli ultimi anni so che è cresciuta parecchio. Al Tour of Kosovo c’erano due squadre inglesi, una tedesca, una olandese che poi ha vinto anche il giro con Danijel Agricola davanti a due inglesi. Quindi c’erano squadre attrezzate e forti, con mezzi molto superiori ai nostri.

La corsa kosovara ha premiato l’olandese di origini italiane Danijel Agricola (foto Federazione Kosovo)
La corsa kosovara ha premiato l’olandese di origini italiane Danijel Agricola (foto Federazione Kosovo)
Una curiosità legata a questa corsa è il fatto che si correva in Kosovo, dove la situazione politica non è proprio delle migliori. Voi che atmosfera avete trovato?

Anche noi ci aspettavamo maggiore tensione sociale, invece abbiamo trovato un’atmosfera tranquilla, ci hanno accolto bene, non abbiamo trovato nessun problema di questo genere. Una sera siamo anche usciti girando per le strade della capitale Pristina senza alcun problema né particolari controlli. La sensazione che ho avuto è che gli italiani sono anche visti bene da quelle parti.

C’era particolare controllo da parte della polizia, dell’esercito?

A parte lo stretto controllo che c’era durante le tappe, mi ha colpito molto il rapporto che la popolazione stessa ha con le forze dell’ordine, ho visto paura. Appena interveniva la polizia, i locali si fermavano subito, non c’era il minimo accenno di discussione.

Stretto controllo della polizia, sia durante la corsa che anche in città (foto Federazione Kosovo)
Stretto controllo della polizia, sia durante la corsa che anche in città (foto Federazione Kosovo)
Veniamo alla vostra squadra, come giudichi questa stagione?

Potevamo fare meglio, non lo nego, anche se qualche attenuante c’è. A cavallo di marzo-aprile abbiamo avuto quattro ragazzi su cui puntavamo per le gare del periodo che hanno avuto la mononucleosi. Poi abbiamo avuto qualche infortunio e speravamo su Butteroni che magari ci venisse fuori dopo una stagione che aveva terminato addirittura a giugno. Ma c’è stato purtroppo anche il suo infortunio a pochi giorni da dalla partenza per il Kosovo, un infortunio grosso, 300 punti di sutura sul costato, altra stagione sfortunatamente conclusa. Ma nonostante tutto in Kosovo sono arrivati buoni risultati, diciamo che abbiamo bilanciato il tutto, almeno parzialmente.

Sei rimasto contento della loro prestazione?

Alla fine sì, perché in tutte e tre le tappe abbiamo ottenuto dei piazzamenti nei primi 10. Mi è dispiaciuto per Lorenzo Viviani perché gli avevo detto il primo giorno che secondo me la classifica si faceva subito alla prima tappa. Lui ha atteso quel secondo in più per entrare nella fuga che poi è stata decisiva, che poi ha delineato la classifica delle altre due tappe. Ha perso un’occasione, ma nel complesso si sono ben comportati.

Nella tappa conclusiva acuto per Valentino Kamberaj, il portacolori della Beltrami TSA da quest’anno albanese
Nella tappa conclusiva acuto per Valentino Kamberaj, il portacolori della Beltrami TSA da quest’anno albanese
Voi come società siete considerati tra quelle che fanno molta attività con tanti sacrifici, proprio perché siete un piccolo team rispetto ad altre squadre under 23. Come si vive l’attività adesso nella vostra dimensione?

Facciamo fatica perché già anche ottenere degli inviti e dare occasione ai ragazzi a correre in corse importanti è difficile. Più che in passato. Devo dire però che in questi anni abbiamo costruito un’immagine pulita, corretta anche con gli organizzatori e tutto questo grazie a Daniele Masiani che è il nostro team manager e che tiene i rapporti. Si fatica tanto, le trasferte sono costose, gli alberghi spesso bisogna pagarseli, insomma è pesante arrivare a fine stagione.