Di Alberto Dainese si erano un po’ perse le tracce. Qualche gara guardata in tv, compreso il il Giro d’Italia, in attesa di riprendere la sua corsa. Era fermo dal 30 marzo, giorno della Schelderprijs, ha ricominciato oltre un mese dopo dalla Francia, partecipando alla 4 Giorni di Dunkerque, gara dal passato illustre che oggi è considerata un primo avvicinamento al Tour de France.


Il Tour, che dovrebbe essere la sua destinazione, ma mai come in questo caso il condizionale è d’obbligo: «Io per scaramanzia non voglio pensarci, anche perché dalla squadra non sono ancora arrivate convocazioni ufficiali. Fino alla partenza della Grande Boucle mancano ancora un bel po’ di settimane e io voglio pensare soprattutto alle corse previste nell’imminenza, visto che finora non ho raggiunto neanche i 30 giorni di gara».
Come sei arrivato alla corsa a tappe francese?
In allenamento i valori erano buoni e anche il mio peso è abbastanza vicino a quello ottimale. Ma chiaramente, quando torni a gareggiare dopo 5 settimane, un po’ di ruggine c’è, per questo sono rimasto anche abbastanza sorpreso dal podio nella classica introduttiva, la Classique Dunkerque. Più che i risultati sono stato contento della mia condotta in gara, anche in quella corsa che prevedeva una piccola parte della Parigi-Roubaix pedalando sul pavé. Col passare dei giri – era una sorta di kermesse con 8 tornate finali – il gruppo era stanco ma a me risultava abbastanza facile restare davanti.


Che livello di gara hai trovato?
Molto alto, c’erano più squadre WorldTour e tanta gente che sta già preparando il Tour. Era l’occasione giusta per verificare a che punto sono, per testarmi a un livello adeguato. E soprattutto per continuare a crescere nella mia condizione. Gareggiando ho visto che sono già a buon punto, vicino alla miglior forma, significa che nel mese lontano dalle gare ho lavorato bene.
Nel complesso hai centrato due podi e altre due Top 10. Qual è stata la tappa che ti ha lasciato un po’ di rammarico?
Sicuramente l’ultima perché nella parte finale ho perso troppe posizioni e all’ultima curva mi sono ritrovato a partire da ventesimo, a 500 metri dall’arrivo. Ho lanciato la volata lunga, ne ho ripresi tanti ma Jake Stewart ormai era irraggiungibile. Se ero davanti potevo giocarmela ad armi pari. Nella giornata iniziale era un arrivo più impegnativo, contava soprattutto chi aveva ancora forza.


Che corsa è stata quella francese nel suo complesso? La vittoria di Watson ti ha sorpreso?
Non tanto, perché è un corridore da classiche come d’altronde lo stesso Stewart. Molti pensano che sia una corsa abbastanza semplice perché non ci sono grandi asperità ma non è così, si viaggia sempre molto forte, c’’è l’incognita vento, alcuni tratti sono impegnativi, soprattutto la quarta tappa dove io ho fatto gruppetto. E’ una corsa adatta ai passisti veloci e che secondo me serve proprio per accrescere la propria condizione.
E ora?
Ora ho in programma una lunga serie di gare in Belgio, che nelle mie aspettative devono darmi quell’ultimo salto di qualità utile per il campionato italiano del 29 giugno che, mi dicono, potrebbe essere adatto alle mie caratteristiche. Ma voglio arrivarci nel pieno della forma.


Gareggiare in Belgio per te ormai è una piacevole abitudine, sembri trovarti bene in quel tipo di corse…
Mi trovo ancora meglio in questo periodo, perché rispetto a quello delle classiche, il meteo fa meno brutti scherzi, c’è anche un po’ di caldo che a me piace sempre. Infatti vado sempre bene nella stagione estiva. Spero molto nelle alte temperature e nel bel tempo perché dalle corse di giugno vorrei anche portare a casa qualche buon risultato, cercare di cogliere la mia prima vittoria stagionale, dopo che gli altri gradini del podio li ho già scalati…