ZIPAQUIRA (Colombia) – A prima vista, nulla è cambiato. Indossa nuovamente gli stessi colori, quelli azzurri della Movistar, la bicicletta è la stessa che lo ha portato ai suoi più grandi trionfi: la Vuelta del 2016, il Giro d’Italia di due anni prima, i tre podi del Tour de France. Ma quando guardi Nairo Quintana direttamente negli occhi, è tutto diverso. C’è qualcos’altro nello sguardo: la felicità.
Un anno fermo a causa del tramadol che lo ha fatto uscire dall’Arkea e dal ciclismo per la porta di servizio, tanto lavoro al buio e nel silenzio. Allenamenti faticosi, come quelli di un ciclista professionista in attività, ma senza alcuna gara segnata sul calendario. Con mille dubbi su cosa avrebbe portato il futuro. Con tanto per cui combattere, una battaglia di cui non ha visto a lungo la fine, finché è arrivato di nuovo qui, a casa sua, nella Movistar che lo ha riaccolto e gli ha fatto tornare il sorriso.
Scalatore nato
Se c’è qualcosa nell’indole di Nairo, è la lotta costante. Non arrendersi mai. C’è una ragione se è uno scalatore nato. Andare in salita fa parte di lui, come vincere le gare. Ma dopo aver raggiunto la cima della montagna, Nairo Quintana si è ritrovato a precipitare negli inferi nel 2022, risultato positivo al tramadol che lo ha condannato all’ostracismo. All’oscurità. Ora, fedele ai suoi geni di escarabajo colombiano, torna a salire verso la luce.
«E’ vero che sono felice, ho fatto un lavoro instancabile. Nessuno sa quanto sacrificio c’è voluto per starmi accanto. Avevo bisogno di questa pausa dopo tanti anni di gare, che mi hanno aiutato a rafforzarmi e acquisire maturità, oltre a trascorrere del tempo con la mia famiglia».
Idolo per la sua gente
Compie 34 anni nel bel mezzo della presentazione delle squadre del Tour Colombia, la corsa con cui inizia per lui una nuova era.
«Non mi sento vecchio, ma è vero che ho già qualche capello grigio», scherza e sorride. Non smette di farlo. Nella sua Tunja viene accolto come un eroe, il Tour Colombia gli ha riservato una mezza dozzina di guardie del corpo. I tifosi gli avvicinano i figli solo perché Nairo li tocchi. Affinché li benedica. Quintana è l’idolo ciclistico del suo Paese, in una corsa che vede al via anche Bernal, Uran, Chaves e Carapaz, ecuadoriano, ma amato qui come se fosse del posto, visto che è cresciuto come ciclista in Colombia.
«La sua storia umile, il fatto che provenga da una famiglia di agricoltori e tutto ciò che fa per la gente della campagna ha avuto un grande impatto sulle persone», concordano molti fan e giornalisti colombiani quando gli viene chiesto.
L’affetto della gente è straripante. Rappresento questa terra da più di un decennio e le persone provano gratitudine e simpatia. E’ stato il suo punto di partenza per ricostruirsi come corridore. Ma Nairo è molto più di un ciclista: «Ho due figli, ho aziende in cui sono sempre molto presente per prendere decisioni e non voglio invecchiare in bicicletta». Lo ha ben chiaro. Anche per questo ha firmato per un solo anno con il Movistar Team.
L’incontro di Andorra
Tutto è stato definito ad Andorra, alla partenza della quarta tappa della Vuelta a España, lo scorso anno. Quel giorno Quintana incontrò Eusebio Unzue e gli lanciò una richiesta di aiuto. Nessuna squadra voleva che tornasse ad essere un ciclista.
«Avevamo parlato a lungo già in precedenza, ma quel giorno c’è stato un vero e proprio riavvicinamento», ha spiegato. La forma e la base del ciclista, che gli hanno permesso di raggiungere i livelli più alti, non sono mai andate perdute neppure in questo anno di stop e punizioni, «che ritengo siano state eccessive». Ecco perché ora dà molto più valore alle cose, sorride più che mai. «Sono di nuovo come un bambino, come quando sono arrivato per la prima volta alla Movistar più di dieci anni fa».
Grandi troppo in fretta
Il ciclismo in cui ritorna Nairo Quintana è uno sport pieno di giovani stelle cresciute molto in fretta, ritmi diabolici e pretese estreme. «E’ un problema piuttosto serio. Non lasciamo che i bambini siano bambini, li professionalizziamo ancora molto giovani», afferma. «Non stanno godendo del ciclismo come dovrebbero, motivo per cui così tanti giovani lo abbandonano. Io passai professionista a 21 anni – ragiona – mentre oggi a quell’età la sfida è vincere il Tour de France».
Intanto però assicura di avere «buoni numeri». Anche se nella tappa regina del Tour Colombia, la prima prova del fuoco, ha concesso più di 6 minuti ai migliori all’arrivo dell’Alto del Vino, quando si è staccato a più di 20 chilometri dal traguardo, proprio all’inizio dell’ultima salita. «So che per raggiungere il miglior punto di forma mi ci vorranno un paio di gare», dice per tranquillizzarsi.
Ritorno in Europa
Il suo percorso, iniziato nella sua terra natale, proseguirà la prossima settimana nel Gran Camiño, dove si misurerà con Jonas Vingegaard, la Volta a Catalunya e il Paesi Baschi prima del Giro d’Italia, suo grande obiettivo dell’anno insieme alla Vuelta a España, nella quale condividerà i gradi con Enric Mas.
«Sono tornato alla Movistar per divertirmi e completare la squadra. Per aiutare Enric Mas e perché insieme possiamo fare un ottimo lavoro». Ma tutto, per ora, rappresenta una grande incognita nel percorso di ricostruzione di Nairo. Lungo la salita verso la luce dopo la discesa agli inferi. «Spero di essere paziente e che la gente capisca che è difficile ritrovare il ritmo della gara, anche se in allenamento ho dei buoni numeri. Ho lavorato al massimo nei mesi scorsi – afferma – e spero di tornare presto con i migliori».
Chiede solo una cosa a questo 2024: «La felicità». Semplice. «Voglio divertirmi sulla bicicletta. Sarò contento di vincere qualche gara. Sarò contento nello stare con i migliori. E questo mi rende felice. Ecco perché sono tornato ed è quello che voglio fare. A prescindere dal fatto che ci siano o meno le vittorie, la felicità è essere nuovamente lì, in buona posizione».