C’è stato un periodo in cui Chiara Consonni era soltanto la sorellina di Simone. La cosa non la faceva impazzire. Ma siccome certe cose non si possono dire, la biondina che spesso ride continuava ad allenarsi e correre. E correndo, le capitava sempre più spesso di vincere.
Con quattro mondiali e quattro europei, oggi Chiara Consonni – che corre con la Valcar-Travel & Service – è una delle colonne portanti del ciclismo femminile in Italia. E mentre le sue compagne del quartetto sono fiere di rivendicare la loro preferenza per la pista, lei si fa una risata e dice di essere 50 e 50. Perché la pista è bella, ma la strada lo è ugualmente.
«E’ sempre difficile decidere – dice Chiara – perché ho vinto tanto anche su strada. Sono emozioni che ricordi a lungo, sensazioni diverse, due mondi opposti. Diciamo che del nostro gruppo sono la meno schierata».
Sarà difficile alla fine della nostra chiacchierata dire se siano state più le parole o le risate. Perciò si va avanti nel segno del buon umore che di questi tempi è merce preziosa.
Chiara, che effetto fa essere uno dei pilastri del quartetto?
E’ importante. Se sbagli, il tuo errore condiziona tutti. Preferisco il quartetto a uno scratch, dove corri per te solo. Il fatto che non ci fossero Paternoster e Balsamo si poteva sentire se non fossimo un gruppo allargato e affiatato. Corriamo insieme da tanto. Forse soltanto Silvia Zanardi era un nuovo innesto, ma era anche la più motivata di tutte.
Siete così amiche?
Siamo un bel gruppo, ma viviamo lontane, per cui ci frequentiamo solo in bici. Solo con Martina Fidanza capita di vedersi, perché viviamo nello stesso paese e allora magari si esce a cena.
Le vittorie sono tutte belle?
Non ci si abitua mai, vincere è sempre più bello.
Si riesce anche a fare analisi degli errori?
Gli sbagli sono sempre quelli, li notiamo nel momento stesso in cui li facciamo. Per questo all’inizio si festeggia e poi si fa il punto. Di solito accade quando facciamo defaticamento sui rulli e, ancora a caldo, ci raccontiamo come è andata. Se passa troppo tempo, gli errori si dimenticano e si pensa solo a fare festa.
Ti capita di allenarti con Simone?
Praticamente mai. Ci vediamo. Ci sentiamo. Se ho un problema in bici o nella vita scrivo a “Simo”, lui è il mio riferimento. Ma per il resto è sempre in giro, non ci incrociamo mai.
Che effetto fa essere uscita dalla sua ombra?
Ammetto che all’inizio un po’ mi desse fastidio essere considerata soltanto sua sorella, ma ora mi faccio meno problemi. Un po’ forse perché ho raggiunto la mia dimensione. Magari adesso sarà lui ad essere riconosciuto come il fratello di Chiara.
Dalla pista alla strada.
Da Fiorenzuola al Fiandre e poi a De Panne. Poi i campionati italiani, infine se la fanno, la corsa nel finale della Vuelta. Non è facile passare da pista a strada. Sono sforzi completamente diversi. Per questo dalle gare al Nord non è possibile aspettarsi tanto, perché di certo ho perso distanza e ritmo gara. Però morivo dalla voglia di fare il Fiandre.
Perché?
Perché il primo anno sono caduta due volte. E la seconda volta mi sono ritrovata da sola ai piedi di un muro. L’ho fatto in mezzo a due ali di folla che mi incitavano, erano tutti per me. Credo sia stato il momento più emozionante da quando corro in bici. Come essere in fuga, con l’accortezza di non alzare le braccia sul traguardo…
Che inverno prevedi per Chiara Consonni?
La stagione è stata breve ma intensa, quindi magari mi fermerò per il solito mesetto e poi ci darò dentro subito. Il programma per il prossimo anno è di iniziare subito forte, quindi ci sarà da menare. E francamente non vedo l’ora.