Girando nella zona di partenza/arrivo della Monsterrato Race, la gara italiana inserita nelle Uci World Series in programma nel primo fine settimana di settembre a Quattordio (AL) si respira forte la sensazione di novità, di addentrarsi in un mondo sconosciuto e alla ricerca di una sua identità agonistica, quale quello della gravel. La gara piemontese precede i campionati italiani di Argenta e i mondiali che si svolgeranno in Veneto, un trittico al termine del quale si saprà molto di più del futuro della specialità. Ma nelle sue riflessioni il cittì della nazionale Daniele Pontoni va anche oltre.
Pontoni è stato un pioniere, da atleta, della mountain bike e affrontando ora per ora la vigilia dell’evento internazionale, ammette di respirare la stessa aria che c’era ai primordi del ciclismo offroad: «Mi sembra di vivere in un deja vu, di affrontare quel che avevo già vissuto agli inizi degli anni Novanta, quando la mtb iniziava a diffondersi. Non era ancora stata ammessa nel programma olimpico, era vista ancora come qualcosa di nuovo, di strano, anche di assurdo da parte degli integralisti del ciclismo su strada. Sappiamo tutti com’è andata a finire e sarà così anche per la gravel».
Effettivamente si parte fra mille incertezze, anche dal punto di vista regolamentare…
Non potrebbe essere altrimenti, stiamo entrando in un mondo sconosciuto, che andrà a formarsi e a crescere esattamente com’è avvenuto per la mountain bike, fra esperimenti, alcuni riusciti e altri sbagliati, fino ad arrivare a una conformazione più chiara. Guardate ad esempio alle distanze: una gara di gravel può essere compresa fra i 50 e i 200 chilometri, questo significa che bisogna ancora trovare il format giusto, il che comprende anche fattori come dislivelli, tipologie del terreno, tempi di percorrenza. Ogni gara è un unicum, perché così sono le caratteristiche geografiche di ogni luogo e bisogna trovare i giusti punti di contatto. Ma si può fare solo sperimentando, come sta avvenendo.
Come riesci a muoverti allora avendo sulle spalle la responsabilità di una nazionale?
Anch’io sono chiamato a sperimentare, tenendo contatti a 360° tanto con il mondo della strada quanto con quello della mtb. L’Uci ha deciso questo “lancio” internazionale del gravel culminante con i mondiali davvero in extremis, a calendari delle altre specialità già abbondantemente formati. Ecco quindi che trovare corridori disponibili, considerando che in concomitanza con la Monsterrato Race c’è la Coppa del Mondo di mtb in Val di Sole e su strada ci sono Vuelta e tante altre gare, è stato difficile. Ho comunque formato una squadra che prende sia dall’una che dall’altra disciplina, con Antonio Folcarelli, Mattia Viel e fra le ragazze Carlotta Borello, Rebecca Gariboldi e Barbara Guarischi.
Che cosa ti aspetti?
Al di là del massimo impegno che ci deve sempre essere indossando la maglia azzurra, assolutamente nulla. Non abbiamo uno storico, non sappiamo la scala dei valori, bisogna un po’ procedere a tentoni. Tutte queste esperienze serviranno via via per normare l’attività, esattamente come avvenne trent’anni fa per la mountain bike.
Questa gara e i tricolori saranno importanti anche per la formazione della squadra azzurra per i mondiali. Sondando il terreno fra società e corridori, che reazioni hai riscontrato?
L’interesse c’è da più parti, ma molti che avrebbero anche voluto mettersi alla prova non hanno trovato gli spazi e mi riferisco proprio a chi è impegnato con la mtb o a chi sta magari preparando la trasferta australiana per i mondiali su strada o il Lombardia che si svolgerà proprio lo stesso giorno dei mondiali. Rispetto alle idee che mi ero fatto all’inizio ho dovuto cambiare molti nomi, ma faremo di necessità virtù, è un anno zero un po’ per tutti. Ma l’interesse maggiore sapete da chi lo sto riscontrando? Dai costruttori…
Nel senso che sono quelli maggiormente incuriositi da questo primo boom agonistico?
Sì, perché vogliono sondare il terreno prima di mettersi alla prova sul mercato in maniera seria, mirata. Nella mtb avvenne lo stesso, in pochissimi anni ci fu un’esplosione di modelli, di novità e conseguentemente di vendite. Io sono sicuro che in 2-3 anni sarà così anche per le gravel.
All’estero la situazione è identica a quella che stai verificando in Italia?
Non proprio, c’è chi è partito molto prima. Negli Usa vedevamo questo tipo di bici già agli albori del secolo, li prendevamo per pazzi, allestivano questi eventi che avevano più un sapore goliardico o di reminiscenze del ciclismo passato, un po’ sulla strada che ha fatto grande l’Eroica. Ma ora è tutta un’altra musica, ora si fa sul serio…
Sei ottimista sull’evoluzione di questa disciplina?
Tantissimo. Mi viene in mente un paragone con il calcio femminile: prima dei mondiali del 2019 in Italia quasi nessuno lo conosceva, ma dopo tutti hanno iniziato a interessarsene e quello sport ha compiuto passi da gigante. Vedrete come cambieranno le cose dopo il primo mondiale in Veneto…