Quello di Danilo Celano è forse un primato. Nessuno più di lui infatti ha subìto, dal punto di vista professionale, gli effetti della pandemia. Da quando essa è scoppiata, il corridore lucano ha potuto disputare una gara nel 2020 (il campionato italiano, peraltro non concluso), 8 giorni di corsa nel 2021 (il Giro di Turchia) e 7 quest’anno, tra il Giro di Thailandia e ancora la gara tricolore.
Una situazione del genere avrebbe messo in ginocchio chiunque, Celano invece non si è dato per vinto e ancora oggi si sta allenando duramente in montagna per essere presente l’11 ottobre al ritorno del Tour de Langkawi, la gara che lo aveva visto trionfare proprio prima dell’inizio della pandemia. Un ritorno che ha anche qualcosa di simbolico, la chiusura di un cerchio. Esserci è praticamente un dovere.
Tre anni (quasi) senza gare
La particolarità del 32enne corridore di Policoro è anche un’altra: Danilo fa parte del Team Sapura Cycling, formazione malese della quale segue tutto il calendario asiatico (o meglio quel poco che finora è rimasto): «E’ stata una scelta coraggiosa ma ponderata la mia. Sono approdato lì nel 2020, con me c’erano anche Pierpaolo Ficara e altri europei. Chiaramente poi la mancanza di eventi ha portato tutti gli extra malesi ad andare via, io invece sono rimasto».
Perché?
Perché la squadra mi ha dato sicurezze che non ero sicuro di trovare in Europa. Anche nei periodi peggiori non hanno fatto mancare nulla, hanno onorato il contratto, sono stati estremamente professionali. Il loro è un progetto a lunga scadenza, puntano molto in alto e dietro c’è un budget davvero elevato, all’altezza delle migliori formazioni WorldTour. Il loro progetto mi era piaciuto all’inizio e devo dire che vi hanno tenuto fede.
Com’è gareggiare in Asia, che tipo di ciclismo è?
E’ un ciclismo che sta prendendo piede anche se un po’ a fatica. L’Asia è economicamente in grande ascesa, ma resta indietro sul piano ciclistico proprio perché ha subito maggiormente l’arresto del Covid. Il calendario è molto ridotto rispetto a com’era prima e si spera che possa rianimarsi. I percorsi di gara sono un po’ diversi da quelli ai quali siamo abituati, con strade più larghe, diciamo che sono più semplici. Il modo di correre ricorda molto quello dilettantistico italiano, si parte e si va subito a tutta, non ci sono grandi tattiche…
E come vita come ti sei trovato?
E’ una cultura molto diversa dalla nostra, la Malesia è un Paese musulmano, la sede della squadra è a Kuala Lumpur. La struttura del team prevede che i corridori stiano in giro per almeno tre mesi, poi un mese e mezzo a casa e altri tre mesi di gare. Così almeno era il programma prima del Covid. Quando ho iniziato eravamo un buon numero di europei, non si sentiva molto la differenza, adesso non so come sarebbe. Io comunque aspetto di vedere come andrà il Tour de Langkawi e poi deciderò che cosa fare per il 2023, vedendo anche che garanzie di calendario ci saranno. Non è una questione economica, ma di attività che sarà possibile svolgere.
Tu, anche in base alla tua carriera, sei sempre stato abituato a correre e vivere all’estero, è un’esperienza che consigli?
Dipende. Per un ragazzo un viaggio lungo come quello che io ho fatto quand’ero già abbastanza maturo potrebbe essere traumatico, ma andare all’estero per un giovane ciclista è sicuramente la scelta migliore. Soprattutto se hai la possibilità di approdare in un team development del WT, è molto meglio di una continental italiana con un calendario che non ti consente di crescere. Inoltre l’esperienza all’estero ti migliora anche come persona, allarga i tuoi orizzonti. Per gli italiani è quasi una soluzione obbligata.
Appuntamento quindi all’11 ottobre?
Sì, ci tengo tantissimo. Dopo il campionato italiano sono anche andato in altura per prepararmi e mi sono allenato molto, certamente la mancanza di confronti agonistici si farà sentire. Io comunque non voglio lasciare nulla d’intentato, mi unirò alla squadra in anticipo anche per assimilare bene il fuso orario. So che ci sarà una partecipazione molto qualitativa, ma io voglio onorare al meglio il mio ruolo di campione uscente.