Philippe Gilbert, asso, campione, vecchio, forte… Il corridore della Lotto Soudal la scorsa settimana è tornato ad alzare le braccia (in apertura, foto Belga Image). Una volta il vallone dava del “tu” alla vittoria. Poi all’improvviso, per una lunga serie di imprevisti, questa sembrava diventata un miraggio. Ma John Lelangue, suo general manager e direttore sportivo, non ha mai dubitato che il sole potesse tornare a splendere.
La vittoria l’ha ottenuta in una tappa della Quattro giorni di Dunkerque, la corsa che ricorda la terribile battaglia del 1940 nella seconda Guerra mondiale. Una battaglia che durò otto giorni e che siglò l’avanzata di Hitler, ma che al tempo stesso fu il primo germe della resistenza degli alleati.
E la resistenza è quella che ha mostrato anche Philippe Gilbert in questi anni post Covid. Il passaggio alla squadra di Lelangue era stato costellato solo da debacle.
John, raccontaci un po’ della vittoria di Gilbert a Dunkerque: ve l’aspettavate?
E’ stata una grande soddisfazione rivederlo vincere. Conosco Philippe da molto tempo, da quando era alla Bmc e quando nel 2020 è arrivato in questa squadra, la Lotto Soudal, ne è subito stato parte integrante. Qui ha iniziato il finale della sua carriera.
Un arrivo complicato però…
Molto. E’ arrivato e le cose andavano bene. Veniva dalla vittoria alla Roubaix, aveva fatto una bella Vuelta. Nell’inverno 2019 aveva iniziato con una buona Het Nieuwsblad e un’ottima Parigi-Nizza. Poi è arrivato il Covid. In questo periodo si è allenato molto bene. Il primo agosto fece una top ten alla Sanremo e andammo al Tour con l’idea di vincere una tappa. Ma cadde subito e colpì il ginocchio che si era infortunato già in passato sul Portet d’Aspet. Ha fatto una lunghissima riabilitazione. E’ stato due stagioni a recuperare fin quando all’ultima Liegi qualcosa è cambiato. Non ha ottenuto risultati, ma per la prima volta dopo due anni, non ha avvertito problemi fisici, neanche di respirazione (post Covid, ndr). Insomma aveva ritrovato il piacere di correre.
E questo ha cambiato tutto…
Ha contato molto. A Dunkerque nei giorni successivi eravamo andati con Arnaud De Lie capitano. Ma lo abbiamo perso alla prima tappa e Gilbert si è ritrovato ad essere leader. Ha tirato fuori una grinta pazzesca e ha voluto dimostrare che gli ultimi due anni non era stato lui, che ce la può ancora fare. Certo, ci rendiamo conto che oggi è molto difficile con i Pogacar e la nuova generazione… ma è stata una liberazione. Ma attenzione, da adesso in poi per lui non sarà una passerella di fine carriera, non sarà una lunga cerimonia. Lui vuol correre per vincere e per aiutare. E questo è molto importante anche per me.
Per te è importante: un corridore così che fa il road capitan sa il fatto suo…
Importantissimo. Philippe è un Hincapie della Bmc, con la differenza che lui è un monumento vivente. Posso dirvi che nelle riunioni prima e dopo la gara o persino durante la corsa quando parla lui c’è il silenzio. Tutti lo stanno a sentire. E’ legittimato dai suoi tanti successi. E poi ha una visione totale della corsa.
Visione totale?
Sì, vede la gara come pochi altri. Nell’ultima Roubaix, per esempio, aveva visto nelle fasi iniziali della corsa, che la Ineos-Grenadiers si stava preparando a qualche movimento, deve aver colto qualche frase e così per radio ha richiamato due corridori che gli erano vicini e anche se hanno faticato sono riusciti a muoversi e infatti nel momento clou erano davanti. E poi un Gilbert così è un aiuto e uno stimolo per i miei giovani come Vervloesem, Vermeersch, De Lie.
Un diesse in corsa, insomma?
Eh sì. E poi con lui è un piacere. E’ perfetto. In gruppo parla moltissimo e vede tutto. Andiamo a destra, risaliamo a sinistra. E’ l’occhio del diesse in gruppo.
Prima hai detto che non sarà una passerella per Gilbert: qual è allora il suo calendario?
“Step by step”, vediamo passo dopo passo. Intanto adesso ci sono alcune corse che vuol vincere a giugno. Poi vedremo se fare il Delfinato o il Giro di Svizzera. Così come vedremo se farà il Tour. Philippe, come tutti i suoi compagni, sa che porterò gli uomini più forti alla Grande Boucle. E poi da qui a ottobre dobbiamo fare in modo che possa vincere ancora.
Beh, potrebbe finire con un grande Giro di Lombardia!
Vedremo – ride Lelangue – ma bisogna essere realisti. Con questa nuova generazione tanti equilibri in certe corse sono cambiati. Pogacar, Pidcock… e tanti scalatori. E’ difficile ormai primeggiare in una corsa del genere, meglio gare più abbordabili.
E per il 2023, per il futuro cosa prevedete per Gilbert? Visto che è così bravo lo vorresti come diesse?
A me piacerebbe! Ma penso che nella sua carriera abbia corso tanto e fatto enormi sacrifici e quelli di un diesse per certi aspetti sono ancora più grandi. Un tecnico manca da casa 200 giorni l’anno. Penso che Philippe abbia anche voglia di godersi la sua famiglia, i suoi bambini… che tra l’altro vanno in bici. Per ora non ci sono programmi futuri. Io intanto me lo prendo come corridore fino alla sua ultima gara. Poi ogni decisione spetta a lui ed è libero di fare ciò che crede.
Ma in Lotto Soudal le porte sarebbero aperte?
Totalmente aperte e in ogni momento.
John, conosci Gilbert da molti anni, cosa ti ha colpito di questo atleta?
Ho avuto per la prima volta Gilbert nell’inverno del 2011 ed ebbe subito un anno difficile. Una brutta caduta ad inizio stagione che gli compromise molti risultati. Fu orribile. Allora iniziammo a pensare alla Vuelta. “Andiamo alla Vuelta per fare bene il mondiale”, era questo il nostro unico scopo. Vinse due tappe in Spagna. Si presentò a Valkenburg non al massimo, ma in buona condizione con la fiducia.
E Gilbert vinse quel mondiale…
E lo stesso nel 2018. Era alla Quick-Step, finì la tappa del Tour con un ginocchio rotto. Viene da noi e gli succede di nuovo la stessa cosa. A quel punto un corridore della sua età e con tutto quello che ha vinto poteva finirla lì. Invece si è messo sotto a lavorare, si è preso tantissime critiche da parte dei media, dei fans… perché sembrava che non lavorasse e perché non andava. Lui invece voleva vincere con la maglia della Lotto-Soudal. E alla fine ha avuto il suo riscatto. Pensate che a Dunkerque era anche arrabbiato perché per colpa di un abbuono per poco perdeva la classifica generale. Philippe non si arrende mai: ecco cosa mi colpisce di lui.