Il nome di Piero Ravaglia è saltato fuori un paio di giorni fa, parlando con Paolo Alberati dell’intervista fatta a Calpe con Kevin Rivera. L’italiano che vive in Costarica aveva richiamato la nostra attenzione, a maggior ragione dopo le dichiarazioni nel momento in cui Rivera lasciò la Bardiani-CSF-Faizanè. Chi è il romagnolo che, al pari di Andrea Bianco in Colombia, allena i giovani corridori costaricensi?
«Vivo qui da trent’anni – racconta con grandi sorrisi in questa telefonata transoceanica – sono cose della vita. Andrea Bianco, come Alberati e Maurizio Fondriest, è un mio amico. Abbiamo un gruppo whatsapp in cui parliamo di ciclismo. Se non ci fosse la pandemia, Maurizio adesso sarebbe qui. Sono nato nel 1961 a Cesena e sono venuto in Costarica per giocare a calcio. Ho fatto la serie A, poi mi sono rotto una gamba. Ho studiato e sono diventato produttore televisivo e a un certo punto mi sono messo ad andare in bici. Ho vinto un sacco di corse e ho imparato molto. Il mio lavoro è importare macchine agricole, ma per il resto alleno corridori. La nostra squadra si chiama Scott-Shimano, una delle più grandi dell’America Latina…».


Accento spagnolo
L’accento romagnolo è sparito, sembra piuttosto un sudamericano che si sforza di parlare in italiano. Se la ride e dice che dopo tanto tempo, la pratica della lingua è un esercizio che ha un po’ abbandonato. Nel Paese del Centro America, il Covid va a rilento: le vaccinazioni hanno percentuali pari all’Italia, la media dei casi è di circa 50 al giorno. Il discorso poi vira su Kevin Rivera, su imbeccata di Alberati.
«Fatti raccontare a cuore aperto quando ha incontrato Kevin Rivera lassù sul Cerro de la Muerte. Piero merita tanto. E fatti dire cosa è il Velo di Veronica».
Non serviva altro. Ravaglia ride, la domanda arriva puntuale.
Ci racconti come hai conosciuto Rivera?
Una bella storia, parecchio complessa. Stavo scalando il Cerro de la Muerte, appunto, che si chiama così perché una volta ad arrivare lassù, quasi a 3.500 metri, si moriva. Era una domenica di fine stagione, pioveva e con la coda dell’occhio mi ero accorto già da un po’ di avere qualcuno a ruota. Io acceleravo e lui non si staccava, mi sono girato e ho visto che era un bambino di 12-13 anni. Un bimbo tutto strano…
La Scott-Shimano di Ravaglia fa attività con juniores e U23 fra strada e Mtb In Costarica l’attività agonistica su strada è complicata da alcune leggi
La Scott-Shimano di Ravaglia fa attività con juniores e U23 fra strada e Mtb In Costarica l’attività agonistica su strada è complicata da alcune leggi
Che cosa significa tutto strano?
Intanto sapeva chi fossi, ma io non sono famoso. Era piccolino, sembrava avere anche meno anni. Sulla maglietta e i pantaloncini non c’erano parti libere da cuciture. Era tutto rammendato, sembrava Arlecchino. Era tanto lontano da casa, pioveva, non aveva soldi e niente da mangiare. Quindi prima di tutti bisognava pensare alla situazione. Per cui ci siamo riparati, gli ho dato qualcosa da mangiare e poi siamo tornati verso casa.
La conoscenza è andata avanti?
Certo che sì. Da quel giorno ho cominciato a dargli cose per vestirsi. Aveva una vecchia bicicletta, ma va anche bene. Mi sta bene che i bimbi abbiano bici su cui imparare la fatica. E soprattutto ho conosciuto la sua famiglia.
Nelle foto la sua casa sembra parecchio umile…
Kevin viene da un’estrema povertà. Non ha potuto studiare, perché non c’erano i soldi per farlo. Non avevano frigo né televisore. Mangiavano una volta al giorno, il più delle volte era riso. Kevin lavorava. Andava assieme al padre, tagliando le erbacce col machete. La casa era una baracca alle pendici del vulcano Irazù e in quei primi tempi, diedi anche io una mano per metterla a posto. Gli regalai la televisione. Il padre di Kevin è un indio, carattere difficile e orgoglioso. Non c’è un rapporto facile tra padre e figlio, ma il Rivera di oggi è cresciuto tanto. Ora ha una moglie professoressa di inglese e fa discorsi che in quel tempo non sarebbe stato in grado neppure di immaginare.


Ci sono altri Rivera nel Paese?
Potenzialmente ce ne sono, effettivamente no. Qui ci sono la stessa popolazione e le stesse montagne della Colombia, dove però ci sono più gare. Qui la legge dice che le gare su strada non si possono fare perché disturbano il traffico. Puoi fare mountain bike, ma non andare su strada.
Cosa fate con la vostra squadra?
Investiamo su juniores e U23. Corriamo in Mtb e nelle internazionali su strada. Tutto quello che si può per mantenersi a galla.
Che cos’è il velo di Veronica di cui parla Alberati?
Il mio amico Paolo… (ride di gusto, ndr). Il velo viene dalla Via Crucis, quando Veronica pulì il volto di Gesù e continuò a usarlo per guarire i feriti. Io ne ho preso spunto. La mia filosofia è che se tutti facciamo qualcosa per gli altri, è come se avessimo in mano il velo di Veronica. Scriverò un libro il cui titolo sarà “Il velo di Veronica” in cui racconterò le situazioni in cui abbiamo cambiato la vita di qualcuno.


Come si sta in Costarica?
Il clima è perfetto, la gente tranquilla, i paesaggi bellissimi, le spiagge stupende. Vivo a San Josè, la capitale. Giri per le strade e incontri i mapache, dei grossi procioni. Ti ritrovi con i boa sul tetto delle case e quando vai a fare benzina, ti ritrovi davanti intere famiglie di scimmie che chiedono cibo.
Tu vivi in Costarica, Rivera vive a San Marino: insolito scambio…
E infatti mi prende in giro parlando delle piadine. Divide la casa con Canaveral, li trattano da principi. Qua Kevin è popolare. Ha aiutato tanta gente facendo delle donazioni, è diventato super riflessivo. Ma ultimamente non rilascia più interviste, perché gli hanno attribuito cose che non ha mai detto. Non ha pretese. Vuole riscattarsi da quello che ha passato alla Bardiani. Adesso è qui, è arrivato dopo il ritiro. La Gazprom sta lavorando bene, dopo tante traversie, era proprio quello di cui ha bisogno.



