Qualcuno, come in Astana-Qazaqstan, li ha utilizzati anche prima del via della cronosquadre di Barcellona alla Vuelta: parliamo dei gilet del freddo, o “iceveste” o ancora “coolingvest” per dirla con uno dei nomignoli inglesi (in apertura foto Instagram @gettysport).
Questo strumento, chiamarlo capo di abbigliamento è riduttivo, ormai è sempre più utilizzato sia perché il clima sta cambiando e si va verso periodi più roventi, sia perché di pari passo si evolve la ricerca e il fronte, anche sanitario, che c’è dietro la performance.
E battendo proprio questo aspetto, e col fatto che in Astana qualcuno come detto ha utilizzato il gilet del freddo anche durante un momento non così caldo alla Vuelta, abbiamo coinvolto il dottor Emilio Magni, che del team kazako è il medico sociale.
Dottor Magni, questi gilet termici del freddo, perché si utilizzano? Tra l’altro si utilizzano non solo nei classici riscaldamenti della crono, ma anche prima del via delle tappe in linea…
La considerazione principale, se non unica, è che la contrazione muscolare è un procedimento complesso e passa attraverso diversi sistemi. Tra questi quello forse più importante è quello enzimatico. Gli enzimi sono sostanze proteiche, in questo caso actina e miosina, che contribuiscono alle reazioni biochimiche le quali danno il meglio quando la temperatura esterna del corpo va da 36 a 37 gradi. Quando questi enzimi lavorano in un ambiente più caldo la contrazione muscolare avviene, ma con un’efficacia ridotta. Ed ecco perché lo scopo di un atleta è quello di restare il più fresco possibile. O di tenere la temperatura il più vicino possibile a quella normale.
Perché, quanto si alza quando siamo sotto sforzo?
Dipende, già quella interna da sola è più alta di circa 0,5 centigradi, quando siamo sotto sforzo si arriva anche a 39°. È come avere la febbre, ma non è febbre! L’acqua in testa, il ghiaccio, la maglia aperta… sono tutti metodi per raffreddare il motore e farlo lavorare al meglio possibile onde evitare un calo della prestazione.
E allora dottore viene da chiedersi: ma perché fanno riscaldamento se poi si devono raffreddare?
Per attivare il muscolo allo sforzo e metterlo in una condizione circolatoria affinché possa ricevere più sangue possibile. Se poi questo riscaldamento delle gambe arriva con la temperatura corporea standard… allora è il top. Si riesce a sfruttare la massima efficienza enzimatica.
Ma il riscaldamento e questi gilet incidono anche sull’apparato cardiovascolare, respiratorio? Per esempio si vede metterli spesso anche sulle caviglie, punto importante per la pressione sanguigna.
A mio avviso no. Fanno sì che il riscaldamento sia un po’ più specifico e distrettuale, in questo caso il “distretto” delle gambe, degli arti inferiori che sono i più interessati per il ciclista. E anche le braccia restano fuori. E infatti dei gambali refrigeranti sarebbero controproducenti, andrebbero a contrastare il riscaldamento muscolare degli arti inferiori.
Domanda banale apparentemente, ma quando si indossa? In che momento?
Chiaramente quando fa caldo, alla Parigi-Nizza è molto improbabile che venga utilizzato, ma al Giro o al Tour è ormai la norma. Semmai è interessante sapere le differenze di quando lo si indossa.
Cioè?
Alcuni ragazzi preferiscono scenderci già dal bus, altri indossarlo qualche minuto dopo, anche 10′, aver iniziato il riscaldamento per sentire quella “botta” di freddo, quello shock termico che dà piacevoli sensazioni e che risveglia anche un po’.
Quando dura l’effetto di un gilet del freddo?
Dipende dai modelli e dagli usi che se ne fanno. Solitamente i nostri durano un’ora, un’ora e mezza. Ma nelle ultramaratone c’è ormai chi ci corre e durano tante ore. L’atleta così non si surriscalda.
Come funzionano?
C’è una polvere secca che dal freezer si mette nel singolo box del gilet. Ha una temperatura prossima allo zero. E’ importante metterla sul torace perché in questo modo si riesce a coprire un buon 40 per cento dell’intero corpo: restano fuori arti e testa.