«Come qualsiasi persona – dice Renat Khamidulin – ho una mia opinione. In ogni situazione, in ogni grande lite è difficile che la responsabilità sia da una sola parte, figurarsi in un conflitto. Ma non riguarda noi, noi come squadra non abbiamo fatto niente di sbagliato. Non abbiamo violato le regole. E come tutti abbiamo sempre considerato lo sport come un fattore che può unire e non dividere».


Stop a Laigueglia
Il capo ha la voce scossa. Lo abbiamo sentito ieri sera, dopo un giorno di riunioni e dopo che nel pomeriggio Fedeli ci aveva raccontato la storia del suo compleanno amaro. Colpire tutto ciò che è russo per colpire Putin, mentre Putin fa la guerra in Ucraina: lo schema è chiaro. Ma qual è il senso di fermare un gruppo di atleti? Khamidulin le ha provate tutte per far correre il Trofeo Laigueglia ai suoi ragazzi, ma non è bastato. E adesso?
«Non siamo mai stati fermi – dice – e stiamo ancora lavorando per superare la cosa e andare avanti. C’è stata una decisione e abbiamo poco tempo a disposizione per far ripartire la squadra. Abbiamo cominciato a parlare con l’UCI e ci stanno ascoltando. Stiamo collaborando e andremo in Svizzera per avere i nostri incontri».


A che punto hai cominciato ad aver paura che sarebbe successo qualcosa?
Io non ho mai avuto paura. Hai paura se hai fatto cose sbagliate, ma noi siamo stati nelle regole. Abbiamo rispettato tutte le normative dello sport, dall’antidoping a tutte le altre regole. Nessuna paura, la mia era semmai una preoccupazione perché ho cominciato a immaginare gli scenari.
Per questo per Laigueglia avevate tolto tutte le scritte da auto, maglie e bici?
Il giorno prima, martedì, vedendo la situazione, abbiamo fornito ai ragazzi una divisa completamente bianca, ma purtroppo non è stata accettata. La squadra è pronta. Ci sono degli atleti di alto livello che hanno raggiunto la condizione e hanno il diritto di competere. Non possiamo lasciarli così, senza provare a fare qualcosa.


L’UCI sta acoltando?
Ci sono delle proposte chiare, di cui ancora non posso parlare, per cui la squadra sarà portatrice di un messaggio per tutto il mondo. Leggevo che l’altro giorno un giocatore russo e un ucraino dell’Atalanta si sono abbracciati (Ruslan Malinovskyi e Aleksey Miranchuk, ndr). Lo sport unisce, non fa le guerre.
Il messaggio di cui parlavi riguarda questo?
Vogliamo portarlo in giro, far sì che il ciclismo prima del calcio parli di pace e si smarchi dalla guerra.
Quali sono i prossimi passi?
Stiamo lavorando in silenzio, non faremo comunicati ufficiali. Ci sarà da capire quanto tempo sarà necessario tecnicamente con l’UCI. Credo ci vorrà qualche giorno, spero si arrivi a capo di qualcosa per metà mese.


In che modo lo avete spiegato ai corridori?
Abbiamo parlato con loro. Siamo in contatto tutti i giorni. I corridori meritano di sapere tutto più e prima di chiunque altro.
Ma nel frattempo alcuni sponsor vi hanno mollato, come si fa?
Non mi nascondo, qualcuno lo abbiamo perso. Ma non siamo rimasti a piedi. Ecco, questo vorrei dirlo: la squadra è pronta e ha tutto quello che serve per ripartire.
Il capo non molla, ma è evidente che i tempi siano stretti. Il progetto di Renat era e resta ambizioso. L’arrivo di Sedun lasciava trapelare l’intenzione di salire nel WorldTour, ma adesso è tutto congelato. I corridori hanno bisogno di certezze, di lavorare per un obiettivo. Prima che comincino a guardarsi intorno e che i loro procuratori inizino a pensare di portarli dovunque ci sia posto, dovunque li facciano quantomeno correre.