Pedranzini e la sua Kometa nel ciclismo: questione di valori

15.05.2022
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Spesso abbiamo parlato della squadra di Contador e Basso, della Eolo-Kometa. Per tutti la Eolo, ma c’è quel Kometa che è il secondo sponsor sulla maglia che cela contenuti enormi. Contenuti che emergono in poche frasi scambiate con Giacomo Pedranzini, amministratore delegato proprio di Kometa.

Contenuti fatti di valori, di storia, di passione e che ben si legano alla crescita di una squadra giovane come quella celeste. Che ben si legano a quell’entusiasmo e se ne fa promotore a sua volta.

Kometa produce prodotti alimentari, carni principalmente: salumi, prosciutti, fese… ma anche formaggi e yogurt. E’ un’azienda ungherese, ma la sua storia è lunga ed ha origini italiane, Valtellinesi per la precisione.

Giacomo Padranzini, amministratore delegato di Kometa, incontrato a Budapest
Giacomo Padranzini, amministratore delegato di Kometa, incontrato a Budapest

Tutto parte dai monti

Come si legge anche sul loro sito, la storia di Kometa è “la storia di un’impresa di famiglia”. Una di quelle famiglie numerose del dopoguerra in cui lavorare i campi era quasi scontato e una necessità al tempo stesso.

Ma se c’è passione e inventiva , anche in situazioni di partenza difficili, come poteva essere la vita di montagna, gli orizzonti possono essere sconfinati. E così dai pascoli al salumificio, dai prodotti caseari agli insaccati industriali il passo è stato relativamente breve. Tanto da arrivare oltre confine, in Ungheria appunto, nel 1994.

Uno scorcio della Valtellina da dove trae origine negli anni ’60 la storia della famiglia Pedranzini (foto Kometa)
Uno scorcio della Valtellina da dove trae origine negli anni ’60 la storia della famiglia Pedranzini (foto Kometa)

Ed ecco che un’azienda di famiglia, diventa definitivamente una realtà imprenditoriale internazionale. Nel 1994 acquisiscono un complesso industriale dedicato alla macellazione delle carni a Kaposvár, nel sud ovest dell’Ungheria e da dove è partita la terza tappa del Giro. Il tutto senza però dimenticare i saperi della tradizione italiana e genuina. E senza neanche stracciare le tipicità locali, come il salume ungherese. Il mix è esplosivo. Kometa cresce si espande e si affaccia anche ad altri mondi.

Kometa e il ciclismo

Oggi Kometa annovera qualcosa come 850 dipendenti tra Italia e Ungheria, esporta al di fuori di queste Nazioni il 40% dei suoi prodotti e ha già obiettivi di crescita fissati per il 2025. 

E quando c’è programmazione, significa che c’è salute. Il bello è che in questa programmazione rientra a pieno titolo anche il ciclismo. Per Giacomo Pedranzini, ciclismo e Kometa, hanno (e sono) valori condivisi. Tenacia, salute, rispetto… anche dell’ambiente.

Il marchio Kometa sulle strade del Giro d’Italia, partito proprio dall’Ungheria
Il marchio Kometa sulle strade del Giro d’Italia, partito proprio dall’Ungheria
Signor Pedranzini, un industriale nel ciclismo e il Giro d’Italia a Budapest, in Ungheria…

Direi più un’azienda che produce cibo che si affaccia nel ciclismo. Mettiamo le cose un po’ per terra – dice Pedranzini con onestà ed umiltà –  un’azienda che produce cibo in Ungheria e che vende in diversi paesi europei. Abbiamo creduto in questo sport, abbiamo creduto nelle persone che vi lavorano e che nel nostro caso gestiscono il progetto Eolo-Kometa, per promuovere quelli che sono anche i valori della nostra azienda e dei nostri prodotti.

Valori, pensando alla vostra storia, che non possono che essere forti…

Veniamo da una terra che, per quanto riguarda l’agricoltura, è definita eroica. Pensiamo solo a quel che bisogna fare per coltivare i vigneti sui pendii, ai terrazzamenti, alle pendenze delle nostre vallate. Ed è stata una terra eroica anche per i ciclisti. Pensiamo a quando devono scalare lo Stelvio piuttosto che il Mortirolo o il Gavia. Io credo che il ciclismo abbia molto in comune con queste nostre attività. Attività che richiedono sacrifici. Anche per i ciclisti vale il discorso che per poter eccellere serve una grandissima dedizione, serve spirito di sacrificio. E allora abbiamo proprio trovato in questa comunanza di valori e di impegno, la motivazione per supportare questa squadra. E questa terra.

E sempre parlando di terra (territorio), ma anche di Kometa e Valtellina, avete qualche progetto legato al turismo visto quanto accaduto con il team e Visit Malta?

La cosa bella, molto bella, di questo progetto del team è quello di essere sempre stato appoggiato anche dalla provincia di Sondrio, proprio perché il cicloturismo è un pezzo importante della nostra valle. Si dice che ormai il turismo della bicicletta eguagli quasi quello dello sci. Pensate che importanza poter avere due stagioni che sostengono l’economia di un’annata intera… Credo comunque che lo spazio di miglioramento sia ancora tanto. Non dobbiamo limitarci a promuovere solo l’uso della bicicletta dal punto di vista turistico, ma anche l’uso nella vita quotidiana. Lasciamo un po’ le macchine in garage e usiamo un po’ di più le biciclette.

HonestFood, approccio etico e sostenibile di Kometa, fortemente voluto da Pedranzini, tanto per parlare di valori…
HonestFood, approccio etico e sostenibile di Kometa, fortemente voluto da Pedranzini, tanto per parlare di valori…
Torniamo al team. In questa squadra ambizione ed entusiasmo non mancano. La voglia di crescere sia da parte dei corridori, ma anche degli sponsor e di vi è intorno è palpabile. Al WorldTour, ci pensate?

Andiamo sempre avanti, ma un passo alla volta. Intanto cerchiamo di far bene il prossimo passo. Siamo nel pieno di una stagione importante, siamo ad un Giro, che tra l’altro è partito dall’Ungheria, e che dobbiamo onorare al massimo. Poi i sogni sì, ci sono e sono grandi. Però in questo caso la barca la guidano Ivan, Fran e Alberto (rispettivamente Basso e i fratelli Contador, ndr). Lascio a loro indicare dove dovremo arrivare. impegnandoci al massimo. E sono certo che finiremo bene.

Come mai Kometa ha scelto il ciclismo?

Devo dire la verità: non che è io sia il primo appassionato di ciclismo. Piuttosto ho una passione per gli sport di fatica e per questo mi piace il ciclismo, così come mi piace lo sci nordico. Mi piacciono gli sport nei quali gli uomini devono dimostrare veramente la loro capacità di resistere, di performare come si dice oggi, usando tutte le loro energie.

Viaggio esclusivo da Giant: entriamo nella fabbrica di Gyongyos

05.05.2022
6 min
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Il Giro d’Italia è anche questo. E’ anche cogliere l’occasione per visitare gli stabilimenti di un brand, Giant nello specifico. Il primo produttore al mondo (4,9 milioni di bici prodotte nel 2021 per un fatturato di 2,3 miliardi di dollari) è in continua espansione e tra i suoi centri produttivi c’è quello giovanissimo di Gyongyos, località a meno di 100 chilometri ad est di Budapest.

In questi giorni di respira un’aria particolare in Ungheria e nella Capitale. Il Giro d’Italia ha dato un certo impulso. C’è voglia di aprirsi, al ciclismo e al mondo intero se vogliamo. Molti giovani, tante bici in giro per la città. E contagiata da tanto entusiasmo, Giant ha deciso di aprire le porte. E’ forse la prima volta che apre alla stampa. Di certo è la prima volta in questo moderno stabilimento. Costruito nel 2019 ed entrato in funzione nel 2020. Il Covid qui anziché frenare ha accelerato la produzione.

Dovevano esserci due linee produttive, ce ne sono cinque. «Per adesso – ci dice Stefano Gallo, global event e sport marketing specialist di Giant Group – ci sono circa 400 dipendenti, ma si conta di arrivare a 1.200 nei prossimi anni».

Nel gruppo d’invitati non solo stampa ma anche una boxer finlandese (ambassador di Liv) e uno schermidore ungherese, argento a Tokyo
Nel gruppo d’invitati non solo stampa ma anche una boxer finlandese (ambassador di Liv) e uno schermitore ungherese, argento a Tokyo

Viaggio in fabbrica

Ecco quindi la nostra visita esclusiva in questo scrigno della modernità e dell’efficienza energetica. Siamo spersi nelle lande verdissime dell’Ungheria. Giant ha comprato anche i terreni attorno. Tutto è fatto secondo due criteri molto importanti della filosofia del brand taiwanese: ecologia ed integrazione sociale. Gli altri sono salute, benessere, agonismo e mobilità sostenibile.

Argomenti, questi ultimi, di cui parla la Presidente di Giant, Bonnie Tu, nella conferenza che nel frattempo si tiene a Budapest. Conferenza indetta dall’Agenzia dello Sviluppo Economico Ungherese.

Si parte dall’area espositiva. Un “piccolo” showroom in cui vengono mostrati alcuni dei prodotti Giant. E-bike, la gamma Liv, quella di mtb, le bici per i bambini, gli accessori… Ci sono prodotti 2022, con componenti all’avanguardia. E colorazioni inedite.

Lo showroom nel centro di Gyongyos
Lo showroom nel centro di Gyongyos

Stoccaggio enorme

Si passa poi alla vera parte produttiva. E qui macchine fotografiche e smartphone devono essere riposti in tasca. Vige il segreto industriale.

Però i dirigenti di Giant ci spiegano ogni passaggio. Il primo settore riguarda lo stoccaggio di telai e componenti. E’ impressionante. Undici scaffali alti non meno di 10 metri e lunghi 50, tutti pieni di scatoloni.

Su ognuno c’è un codice che identifica i pezzi. Tutto parte da qui.

Nel retro di questo enorme magazzino, ce n’è un altro. Solo parzialmente ci sono degli scaffali. La maggior parte dei colli è riposta a terra in piramidi che man mano vengono smistate sugli scaffali di cui vi dicevamo. Ovviamente con dei modernissimi muletti elettici.

Si entra nelle “stanze segrete”: da qui fotografie con il contagocce e sotto controllo
Si entra nelle “stanze segrete”: da qui fotografie con il contagocce e sotto controllo

La verniciatura

Si va avanti. Il secondo settore è quello dedicato alla verniciatura. Ed è forse il più affascinante. Di certo è il più tecnologico, ci dicono. Solo in Cina ce n’è uno altrettanto all’avanguardia. Ogni singolo passaggio è automatizzato e monitorato.

I telai scorrono lungo un serpentone mobile, appesi a dei ganci. Prima di essere fissati, i telai vengono dotati di un chip. Così facendo, è possibile conoscere taglia, modello, matricola e colore del singolo pezzo. Durante la nostra visita, si stavano verniciando delle Mtb Talon: front in alluminio (quasi tutte taglia L).

Il primo passaggio è la pulizia. I telai vengono soffiati e liberati dalle impurità. Poi passano in una camera che anticipa la verniciatura, in cui vengono pretrattati.

Tocca poi alla parte della verniciatura vera e propria, fatta a mano. In un forno super moderno un operatore con tuta, maschera, occhiali e guanti vernicia il telaio con uno speciale compressore.

Usciti dal forno vengono applicati gli adesivi-logo: in pratica la scritta Giant. Poi, sempre lungo il serpentone, i telai risalgono fino a un piano superiore per una seconda verniciatura, che poi sarebbe il “lucido” finale. O il secondo strato protettivo che ingloba gli stickers.

L’assemblaggio

Da un capannone all’altro. Come i telai, anche noi ci spostiamo nel settore dell’assemblaggio.

Ogni passaggio è computerizzato, ma ci si avvale anche della presenza umana. Questa enorme area si divide in due parti principali. Una più piccola, adibita a magazzino, e una più grande, in cui c’è la catena di montaggio vera e propria.

Nel “piccolo” magazzino gli operatori in base a ciò che vedono su un monitor sanno quali e quanti pezzi devono porre sul canale intermedio. Per esempio, 50 cavi freno, 100 selle… A quel punto il primo collega della catena di montaggio li prende e li porta appunto alla catena.

Catena che è un nastro (ce ne sono cinque), lungo 44 metri, lungo il quale lavorano 40 persone (ciascuna con una mansione specifica), suddiviso in 26 “stazioni”. In ciascuna di esse, l’operaio lavora per circa 30 secondi su ciascuna bici. Il nastro infatti non si ferma mai. Lentamente, ma scorre.

A fine nastro un operaio (ma da quel che abbiamo visto si alternano), indossa il casco e prova la bici appena montata.

Noi abbiamo potuto vedere la catena di montaggio di una city bike elettrica. L’operaio prova luci, freno, cambio… lungo un percorso segnalato all’interno dello stesso capannone.

Le fabbriche di Giant nel mondo. Parte della produzione di bici da corsa di alta gamma avviene in Olanda. A destra, Bonnie Tu
Le fabbriche di Giant nel mondo. Parte della produzione di bici da corsa di alta gamma avviene in Olanda

Persone, non numeri

Un’azienda nasce per produrre dei guadagni e questo è chiaramente anche lo scopo di Giant… Certi valori non mancano. Come è anche decisivo sottolineare che inclusione sociale e rispetto dell’ambiente sono colonne portanti di questo colosso della bike industry. Oggi chi mira a durare nel tempo non può prescinderne.

Nel nostro “viaggio” in Giant, abbiamo visto addetti alla separazione dei materiali di scarto (c’era chi ripiegava i cartoni uno ad uno), pannelli solari…

E poi una grandissima presenza femminile: la metà se non di più, degli impiegati di Gyongyos. Ci hanno spiegato che è abbastanza normale in Ungheria.

Nella zona di Gyongyos il ciclismo non è nella tradizione popolare. L’idea è di mettere a disposizione dei dipendenti delle bici per venire al lavoro. E questo rispetta i valori di ambiente, salute e mobilità di cui parlava la manager Bonnie Tu.

Sono le storie, parallele e nascoste, che porta il Giro con sé. Un momento di approfondimento, un momento per capire cosa c’è dietro il nostro mondo.