Le scarpe da bici di qualità sono ancora Made in Italy

27.04.2023
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PAAL (Belgio) – Le scarpe da bici sono ancora italiane? L’Italia è una “nazione di scarpari”, si diceva e si dice tutt’ora. In passato ed oggi, chi vuole una calzatura tecnica di qualità, costruita con dei canoni artigianali, moderna e sempre in linea con le richieste del mercato, punta ancora forte sul Made in Italy.

Ma qualcosa è cambiato anche nel settore delle scarpe da bici e la leadership italiana è, per certi aspetti, in discussione. Abbiamo affrontato l’argomento con Stefano Stocco di Crono.

Il ciclismo ricopre un ruolo primario nell’azienda di famiglia (foto Crono)
Il ciclismo ricopre un ruolo primario nell’azienda di famiglia (foto Crono)
Che cos’è oggi l’azienda Crono?

Crono è un brand che nasce nel 2013 ed è il risultato di 40 anni di esperienza nella produzione di calzature sportive, soprattutto da ciclismo. Oggi il marchio si pone non solo l’obiettivo di produrre calzature di ottima qualità ma anche di progettare e realizzare prodotti che rispettino l’ambiente in cui viviamo.

In che modo?

Stiamo sperimentando materiali di origine riciclata e riciclabili, questo per far si che in futuro i nostri prodotti, quelli che hanno tecnicamente raggiunto il fine vita, possano essere trasformati in qualcos’altro.

La modernità si sposa con la tradizione (foto Crono)
La modernità si sposa con la tradizione (foto Crono)
E’ un’operazione facile, oppure è una trasformazione complicata?

Questo percorso che abbiamo deciso di intraprendere è tutt’altro che facile. I componenti sono molti, le variabili in gioco altrettante, ma questa linea di condotta pian piano inizia a dare i suoi frutti. Nel breve periodo tutti i nostri prodotti saranno costruiti con questa filosofia.

Il calzaturificio produce anche per altri marchi, oppure tutta la produzione si concentra sul marchio Crono?

La nostra azienda di origine familiare è specializzata da sempre a sviluppare progetti di calzatura ed industrializzare il prodotto finito anche per altre aziende del settore ciclismo e non solo.


Un’esperienza che arriva dal passato (foto Crono)
Un’esperienza che arriva dal passato (foto Crono)
Quando si pensa ad un nuovo modello di calzatura per la bici, quali sono gli aspetti principali da considerare?

I fattori da considerare sono davvero tanti. Il peso e il comfort, oltre alla rigidità aumentata, indispensabile per alcune discipline. La tecnicità della chiusura, la traspirabilità, la capacità di sostenere il piede e contenerlo. Tutti questi aspetti e molti altri vanno considerati e devono collimare tra loro in un mix perfetto.

Se dovessi identificare il passaggio più complicato?

Se parliamo di comfort possiamo dire che l’aspetto più complicato è quello di cercare di coprire il più vasto numero di utenti. I nostri piedi sono molto diversi e la scarpa non può andare bene a tutti. Una calzatura va scelta in funzione alle proprie esigenze di comfort che sono dettate dalla conformazione del proprio piede. Se parliamo di passaggi complicati in termini economici, l’affrontare gli investimenti per gli stampi è la parte più dolorosa.

Fin dal primo step, quanto costa produrre una calzatura dedicata alla bicicletta?

Nel momento in cui l’azienda parte a produrre una calzatura in serie gli investimenti sono moltissimi. Progettare una calzatura in Europa, partendo dalla prototipazione, realizzare tutti gli strumenti dedicati arrivando al momento in cui entra in produzione, comporta un investimento elevato. Ci avviciniamo ai 100.000 euro.

Non sono pochi…

Infatti molte aziende che si rivolgono a noi per la costruzione di una scarpa, abbandonano il progetto perché messi di fronte al fatto che l’investimento per avere qualcosa di personalizzato è elevato, si arrendono e lasciano perdere. Si rivolgono altrove, in Asia ad esempio. Nel far east è possibile trovare dei progetti quasi pronti, riducendo al tempo stesso gli investimenti.

Le maestranze, quelle che Stocco cita in diversi momenti (foto Crono)
Le maestranze, quelle che Stocco cita in diversi momenti (foto Crono)
Produrre in Asia costa meno, questo è chiaro, ma quanto meno?

La differenza del costo tra Asia e Europa è abissale. Non c’è partita. Un esempio: per costruire una calzatura tecnica la componente manodopera può arrivare anche a 100 minuti di lavoro. Se proviamo a comparare un costo al minuto medio aziendale che in Asia è di circa 3 centesimi di Euro contro i 42 centesimi in Italia riusciamo già ad immaginare il gap che dobbiamo colmare. Si possono pensare soluzioni miste in Europa, ma comunque al di sotto di 18 centesimi non si riesce a stare. Questa componente è decisamente enorme da compensare.

La qualità della manodopera asiatica è al nostro livello?

Ci sono strutture che riescono a realizzare dei prodotti di altissimo livello, fortunatamente per noi sono poche. Ci sono poi moltissimi che hanno una buona qualità ma non eccellente. L’Asia ha vissuto un boom economico incomparabile come nessuna parte del resto del mondo, tutte le grandi aziende si sono riversate li per fare realizzare i loro prodotti. A mio avviso ora tutti ne stiamo pagando le conseguenze.

Ogni pezzo è un mondo a parte (foto Crono)
Ogni pezzo è un mondo a parte (foto Crono)
Non si può tornare indietro?

Alcuni pensano di riportare intere produzioni in occidente, ma l’Europa ci metterà comunque troppi anni a riportare alcune maestranze che oramai sono andate perdute.

Cosa è cambiato nella categoria delle calzature tecniche, con il passare degli anni?

La possibilità per i marchi, quelli che fanno tendenza nel mercato e non si tratta della categoria del ciclismo, di muovere quantità e volumi importanti di materiali, ha dato modo agli Asiatici di sperimentare, sviluppare tecnologie e materiali. Queste stesse tecnologie e talvolta anche i materiali, in Europa non sono disponibili o comunque molto difficili da replicare. In Europa siamo rimasti legati ad un sistema abbastanza tradizionale. Di tanto in tanto c’è qualche sprazzo di tecnologia, ma non serve a riportare la produzione da noi.

I macchinari per l’industrializzazione aiutano, ma non sostituiscono l’uomo (foto Crono)
I macchinari per l’industrializzazione aiutano, ma non sostituiscono l’uomo (foto Crono)
C’è una soluzione possibile?

A mio parere servirebbe una maggiore unità tra i paesi Europei, in modo da mettere in pratica e far fruttare la passione, la storia e quel saper far bene che ci ha sempre contraddistinto. Per tornare a fare tutto in Europa, di conseguenza anche in casa nostra, è necessario incentivare la formazione delle maestranze che stanno scomparendo e ricostruire un vero tessuto produttivo di qualità.