Il più giovane a partire da Pavia e ad arrivare a Sanremo, un aspetto non banale se hai 19 anni e sei alla tua prima Classica Monumento. Se a tutto questo aggiungiamo il fatto che è la corsa più lunga dell’anno e tu ti sei fatto 237 chilometri in fuga tutto aumenta d’importanza. Stiamo parlando di Filippo Turconi, corridore al suo secondo anno da professionista nel team Vf Group-Bardiani CSF-Faizanè (in apertura foto ilciclistafotografo). Ieri pomeriggio (lunedì) quando lo raggiungiamo al telefono era appena tornato da un allenamento di tre ore.
«Anche oggi (ieri per chi legge, ndr) – dice Turconi – ho preso un po’ di pioggia. Sono uscito in bici, ma senza obiettivi specifici, giusto per pedalare e far girare le gambe. Il giorno dopo la Milano-Sanremo erano abbastanza doloranti, tanto che domenica pomeriggio ho dormito alla grande, dovevo ancora recuperare!».


Il primo ricordo
Prendere parte alla prima Classica Monumento della propria carriera è uno di quei momenti che nella mente di un ciclista rimangono scolpiti per tutta la vita. Riuscire ad avere un ruolo importante dentro la corsa rende il tutto ancora più speciale, senza contare che sulle strade della Sanremo c’è stato spazio anche per uno striscione dedicato al giovane Turconi.
«Erano i miei genitori con un gruppo di amici – racconta – e devo dire che non me lo aspettavo. A fine gara erano tutti contenti della mia prova, ho ricevuto davvero tanti messaggi, da amici, ex compagni di squadra e vecchi diesse e il presidente della mia squadra da junior: la Bustese Olonia. Ho ricevuto attestati di stima anche da gente che non conosco e questo mi ha fatto piacere, vuol dire che mi sono fatto riconoscere.


Com’è stata questa esperienza alla Sanremo, partiamo dalla convocazione…
E’ stata inaspettata, non credevo di riuscire a fare una gara di questo livello così presto. Quando l’ho saputo sono rimasto stupito. Da un lato ero anche spaventato perché una gara così lunga non l’avevo mai fatta, sia per chilometri che per ore in bici. La mia paura principale era quella di non riuscire a finire la gara. Poi nei giorni di avvicinamento ho pensato che entrare nella fuga iniziale mi sarebbe tornato utile.
Perché?
Quando sei davanti non subisci il ritmo del gruppo, che in certi punti sarebbe stato davvero elevato, ma mantieni un’andatura costante. Se sei in fuga hai una posizione di vantaggio, sono gli altri che devono venirti a prendere. Ho sfruttato il fatto che ci fosse Marcellusi nel primo gruppetto che si è avvantaggiato per rientrare e far parte della fuga di giornata. Lui mi ha dato qualche consiglio, come quello di non esagerare troppo nello sforzo nei primi 100 chilometri.


Il clima non vi ha aiutato nella prima parte…
Dentro di me ho detto: «Cavolo, già è una gara lunga, se poi ci si mettono anche pioggia e freddo…». Però le previsioni non davano pioggia, ma solo nuvoloso. Così sono partito abbastanza coperto, ma non troppo. Nella prima ora e mezza ho sofferto il freddo, tanto che mi sono dovuto fermare per allacciare la mantellina perché avevo le mani congelate.
Poi finita la discesa del Turchino è spuntato il sole…
E’ iniziata un’altra gara, nell’arco di 4 chilometri siamo passati dall’essere coperti a pedalare in maglietta e pantaloncini. Toglierti gli indumenti umidi ti dà uno sprint emotivo in più. Abbiamo anche ripreso vantaggio sul gruppo. Sembra una banalità, ma tutti questi fattori ci hanno dato grande spinta, tanto che ci siamo messi in doppia fila e siamo andati regolarmente sopra i 50 chilometri orari.


Poi sono arrivati i Capi e la corsa è esplosa.
Nell’arco di pochi chilometri ci hanno recuperato davvero tanti minuti. Già da Capo Mele avevo capito che le energie stavano finendo, ho provato a tenere duro, ma sull’ultimo dei tre, il Berta, avevo le gambe in croce e il gruppo mi ha ripreso.
Com’è andata poi?
Volevo onorare la corsa e portarla a termine nel migliore dei modi. Dalla fine dei Capi fino a Sanremo sono stati i 35 chilometri più lunghi della mia vita. Speravo di riprendere qualcuno, ma non arrivava nessuno, sono stato solo per tutto quel tempo. Dietro di me avevo solo l’ammiraglia.


Ti sei goduto il bagno di folla su Cipressa e Poggio?
E’ stato bellissimo. Sono state le due salite dove ho fatto più fatica in tutta la mia vita, perché non andavo su, però è stato questo il bello. Sembrava non finissero più e a bordo strada c’era un pubblico che non avevo mai visto. Nell’ultimo chilometro del Poggio ero distrutto ma contentissimo, perché sapevo di averla finita, inoltre c’era ancora tantissimo entusiasmo a bordo strada.
Quando hai visto il triangolo rosso dell’ultimo chilometro cosa hai pensato?
E’ stato un sollievo, ho detto: «E’ finita». Me lo sono goduto come se l’avessi vinta. Una vittoria personale.
Il premio per questa vittoria qual è stato?
Mi sono fermato a mangiare in trattoria. Una bella tagliata come premio per le mie fatiche. Dopo ho dormito, ero distrutto!