Se Filippo Conca non avesse vinto la maglia tricolore, chi avrebbe saputo parlare di lui? Quanti corridori come il lombardo sono passati e continuano a passare, archiviati come pratiche scadute per lasciare spazio alle altre? Qualcuno ha scritto che sarebbe il tempo di riscrivere le regole: forse non accadrà, ma di certo è utile fermarsi per una riflessione.
Ci bombardano con l’equazione del momento, che collega in maniera diretta l’insieme dei valori fisiologici e le prospettive di carriera e guadagno di un atleta. Sarà pure giusto, anzi lo è di certo. Tuttavia si è persa di vista la consapevolezza che non si possa archiviare un lavoratore se per i più svariati motivi non è ancora riuscito a esprimersi. Qui si parla di vite, famiglie, mutui, aspirazioni, sofferenze e futuro. Si parla di persone e lo si fa con superficialità, spinti dall’obiettivo del guadagno e con la leva piantata a fondo nei sogni di ragazzini non troppo consapevoli.


Niente accade per caso
Se Filippo Conca non avesse vinto la maglia tricolore, l’equazione avrebbe confermato l’atteso risultato. Invece l’ordine di arrivo del campionato italiano mette alle spalle di Filippo il meglio del ciclismo italiano: il lungo elenco dei ragazzi più o meno prodigiosi, fra cui quelli che in un modo o nell’altro hanno preso il suo posto nel gruppo. Non solo. Lo Swatt Club, che ha permesso a Conca di continuare a correre, ha piazzato nei primi cinque anche Mattia Gaffuri. E allora ti chiedi: come è possibile?
Certo, la maglia tricolore già in altre occasioni è finita su spalle estemporanee, ma questo non è più il ciclismo di ieri. Questo è il ciclismo in cui un’equazione stabilisce chi possa o non possa vincere e allora la vittoria di Conca non può essere per caso. Lo ha detto benissimo Covi, intervistato subito dopo da Filippo Lorenzon. E lo dicono anche i valori di Conca, che è arrivato alla gara tricolore lavorando in altura e correndo dovunque gli sia stato permesso, con piazzamenti di eccellenza nel gravel e anche al Giro d’Austria.


Il granello nel meccanismo
Se Filippo Conca non avesse vinto la maglia tricolore, probabilmente avrebbe smesso di correre. Magari non subito, tuttavia il binario lungo il quale lo avevano incanalato portava verso un silenzioso abbandono delle scene. Al momento di ricomporre il suo organico, la Q36.5 aveva scelto infatti di fare a meno di lui, puntando su altri nomi. Forse per questo, tagliando il traguardo, Filippo ha imposto a sua volta il silenzio con un chiaro gesto della mano.
Alle sue spalle sul rettilineo di Gorizia c’erano corridori WorldTour in condizione per il Tour de France e quelli delle professional che lottano su ogni traguardo per la caccia ai punti. Anche atleti dei vari devo team e delle continental di casa nostra. Un tricolore così non si vince per caso, eppure fino a pochi minuti dal via nessuno avrebbe puntato un solo centesimo su Conca. C’erano i grandi campioni e i giovani talenti. In questo ciclismo che a volte dimentica cosa sia davvero un corridore e che spesso viene governato dagli agenti più che dai tecnici, la vittoria di Conca è il classico granello che fa inceppare il meccanismo. Qualcosa di cui parlare, per evitare che venga ricondotto a casualità o fortuna.