Con quanti direttori sportivi ha dovuto confrontarsi Vincenzo Nibali in carriera? Da Franceschi a Ferretti, Cenghialta, Zanatta e Amadio, da Mariuzzo a Volpi, poi Martinelli, Zanini, Baffi, Andersen, De Jongh e chissà con quanti altri ancora nella sua lunga carriera di corse nel WorldTour. Per questo gli abbiamo proposto un divertente esercizio: cercare di capire che direttori sportivi saranno alcuni ex pro’ appena passati sull’ammiraglia. Brambilla, Visconti, Gavazzi e De Marchi: compagni di squadra e di nazionale, che ha conosciuto come atleti e che ora si stanno calando nel nuovo ruolo.
Nibali ascolta, capisce lo spirito dell’intervista e comincia a ragionare mettendo insieme i ricordi e le considerazioni su un ruolo che da davvero poco da spartire con quello del corridore. Ma che in qualche modo potrebbe esserne condizionato.
«Penso a De Marchi – dice Nibali – che era uno di quelli che andava in fuga tutto il giorno. Uno stakanovista, ma da un certo punto di vista anche un visionario. Da corridore aveva tanta tenacia, un combattente nato. A volte non parlava molto, altre volte si faceva sentire con voce ferma, decisa e parole che fanno riflettere. Passava da un estremo all’altro, quindi ci sarà da vedere se da direttore sportivo questa differenza si noterà. E lo stesso vale per gli altri. Ci sarà da vedere se riusciranno a essere più freddi per prendere rapidamente le decisioni. Come Brambilla, per esempio».


Racconta…
Brambilla l’ho avuto come compagno di squadra e compagno di camera, so come ragiona. E’ uno riflessivo, ma non troppo, e ha sempre trovato velocemente la soluzione. Potrebbe essere un direttore che in ammiraglia dà l’input molto veloce e legge subito quello che sta succedendo in gara. Lo stesso Gavazzi, che ha dalla sua il fatto di essere anche abbastanza veloce, per cui quando andava in fuga, poche volte sbagliava. Secondo me ha la capacità di essere un ottimo direttore sportivo. Visconti invece è un po’ più sanguigno.
Meno freddo e calcolatore?
E’ sanguigno come me, viene dal Sud, quindi è più impulsivo, però molto ascoltatore. Secondo me, se Giovanni si mette lì e ascolta quello che dicono i suoi corridori, riesce a farne un ottimo strumento per essere un grande direttore sportivo (anche se al momento il palermitano sta investendo sul suo ruolo di talent scout, ndr). E’ vero che oggi non si tratta di fare soltanto questo, di salire in ammiraglia e parlare alla radio. Ci sono tante altre cose cui essere attenti.


Quali?
L’aspetto organizzativo, ma anche leggere le mappe, saper usare Veloviewer, spiegare la tappa, fare il planning. Il direttore sportivo vecchio stampo, che faceva il giro delle camere, negli ultimi anni è andato sparendo. Le comunicazioni ultimamente arrivavano con le mail, quindi è un ruolo differente. Però i quattro hanno quel che serve per essere molto bravi.
Il direttore sportivo deve essere bravo a fare gruppo, a tenere unita la squadra. Sono quattro che legavano bene con i compagni oppure dovranno lavorare sul carattere?
Visconti alla fine è uno che nel gruppo sa stare bene. Siamo stati anche nella stessa squadra. Era uno che legava tantissimo, poi aveva il giorno che era in off, però quello ci può stare, è normale. Brambilla è uno che nel gruppo ci sa stare. Sa lavorare in team, ha una buona padronanza delle lingue e anche questo lo conta. Oggi le squadre sono internazionali, quindi non è più un gruppo solo, ma di tante nazionalità diverse. De Marchi ad esempio ha un’ottima padronanza dell’inglese.


E Brambilla?
“Brambi” era uno che si metteva al servizio della squadra come regista, ma sapeva fare anche il capitano. Era veloce, ma anche scalatore e sapeva interpretare bene anche le classiche. Non per caso è arrivato a un passo dal vincere la Strade Bianche dietro Cancellara. Ha vestito la maglia rosa, come pure Visconti. Sono stati due corridori polivalenti, però Visconti era più capitano, aveva un ruolo diverso. Però sono tutti corridori che sapevano soffrire maledettamente prima di mollare e gettare la spugna. Davano l’anima, quindi immagino che saranno capaci di dare motivazioni alle loro squadre. E sanno capire la squadra e la gara, valutando anche come stanno gli avversari. Io probabilmente non sarei capace di fare il direttore sportivo.
Perché?
Perché io ragionavo con quello che sentivo nelle gambe. Avevo motore, acceleravo e andavo. Si potrebbe dire che la facessi facile, però è vero che se non hai il motore, devi gestire la fatica in un modo diverso. Devi leggere la corsa e attaccare in momenti ben precisi, io invece potevo permettermi di attaccare anche da lontano. Ero un precursore di quelli che ci sono oggi e attaccano da lontano. Ho vinto un Giro dell’Appennino partendo a 70 chilometri dall’arrivo. Qualche attacco andava a buon fine, qualcuno no. Poi ho preso le misure della corsa, anche perché quando correvo, non mangiavamo così tanti carboidrati, per cui dovevamo regolarci.


Hai mai pensato di poter diventare direttore sportivo?
Ho fatto il corso di primo livello, volevo fare anche il secondo, ma più per formazione mia, poi sono entrato nel loop della famiglia e mi sono fermato. Qualcuno ha pensato che potessi fare il cittì della nazionale e magari potrà accadere in un futuro molto lontano, non adesso. Però non ho mai pensato di diventare direttore sportivo, perché stai sempre in giro. Non è tanto un fatto di voglia ma di tipo di lavoro. Ad ora non è una mia priorità. Ho fatto il corso perché è altamente formativo, mi è piaciuto molto per capire il perché di tante cose, capire l’importanza dell’aspetto psicologico, l’approccio alle gare, i regolamenti, la composizione del convoglio…
In realtà si era pensato a Nibali come erede di Vegni al Giro d’Italia.
Quel ruolo non c’è più (Nibali è con Mauro Vegni nella foto di apertura, ndr), ma non è quello che vorrei fare. Standoci dentro, ho capito che la responsabilità del direttore del Giro d’Italia è molto importante anche per cose di una certa gravità. Se per qualunque motivo ci scappa il morto, ne rispondi in Procura. Anche se entra il pazzo di turno nel percorso e provoca un incidente, ne rispondi sempre tu.


Torniamo ai nuovi direttori, c’è corrispondenza fra come erano da corridori e come potrebbero essere in ammiraglia?
Visconti e Brambilla quando puntavano, sbagliavano poco. Sono stati tutti corridori più o meno dello stesso calibro, diciamo che quello fuori misura, il più fugaiolo, era De Marchi. Lui in questo ciclismo di grandi fughe ci può stare bene, ma non è vero secondo me che non si attacchi più come faceva lui, quando c’erano i fuggitivi delle prime ore e poi la corsa che esplodeva nel finale. Prima c’era un altro approccio e in corsa c’erano livelli diversi.
Lui sostiene che ci sia un certo appiattimento.
Il gruppo adesso ha un livello altissimo e poi ci sono quelli fuori misura. Una volta facevamo i 42 di media, oggi fai 47. Cinque chilometri di differenza che non sono legati solo alla preparazione, ma anche al pacchetto gara. Alla bici, il manubrio, la sella, il reggisella, le ruote, le scarpe, il calzino, il pantaloncino. E’ tutto più performante. E per attaccare quando si va a 45 di media, serve andare a 50 all’ora. Si alza l’asticella e devi tenere la velocità per più tempo, perché il gruppo non lascia andare. Ecco perché oggi è diventato più difficile andare in fuga e tanti rinunciano.