Ci sono piazze d’onore che non sai come interpretare, soprattutto se sei un ciclista al quale hanno insegnato che è solo uno quello che vince. Perché è anche vero, ma bisogna anche guardare a come e quando arriva, quel secondo posto. Nel caso di Thomas Capra, la seconda piazza al GP di Kranj, che era un obiettivo dichiarato per molti partecipanti, ha un significato particolare, di rinascita in una stagione che aveva preso una china davvero difficile.


Il trentino del devo team della Bahrain Victorious era partito per questo 2025 con tante aspettative, ma poi le cose non erano andate come si aspettava: «Diciamo che per me ora l’importante è la seconda parte di stagione visto com’è andata la prima. All’inizio dell’anno mi sentivo bene, ho fatto anche qualche bel piazzamento come il 5° posto alla Youngster in Belgio e anche al Tour de Bretagne ero andato forte, con 3 Top 10. A giugno ho però avuto un calo di rendimento, a luglio ho dovuto fare un ciclo di antibiotici. Quindi riprendermi era complicato. Sono stato al West Bohemia Tour prendendolo soprattutto come un allenamento, la gara in Slovenia era la prima davvero adatta a me e nella quale volevo emergere».
Quindi hai visto il risultato in maniera positiva…
Non del tutto, perché alla fine era una gara che si era messa particolarmente bene, ma ho sbagliato proprio l’ultima curva, sono uscito troppo largo. Io credo che con un po’ più di attenzione nella guida avrei anche potuto precedere il messicano Prieto, ma guardandomi indietro dico comunque che è sì una vittoria mancata, ma dà comunque morale.


Eri partito con l’obiettivo di vincere?
Sì, sicuramente, come in tutte le corse, ma questa era particolare. Sapevo che era molto adatta alle mie caratteristiche, anche perché aveva la conclusione leggermente in salita e a me piace molto quel tipo di volate.
Nel team come ti sei trovato? Tu sei al secondo anno con la Bahrain…
Molto bene, perché comunque molti dello staff rimasti dall’anno scorso quand’era ancora CTF. E’ arrivato qualche altro diesse straniero, qualche nuovo compagno ma si è creato un bel clima, dove i nuovi si sono integrati bene. Abbiamo fatto una bella squadra nella quale si collabora molto.
Si è sentita la differenza con l’entrata in scena direttamente del team WorldTour? La squadra mantiene la sua impronta italiana almeno nel livello inferiore?
Sì, c’è comunque una preponderanza italiana, ma dal punto vista organizzativo, anche come spostamenti, c’è stato un notevole progresso. L’organizzazione è tutta un’altra cosa, si sente che ora siamo parte del WorldTour, siamo al massimo livello. C’è chiarezza anche nel futuro, a me ad esempio hanno già garantito il rinnovo per il prossimo anno.


In questo è prevista anche maggiore attività con la prima squadra?
Nei programmi sì. Avendo un anno in più di esperienza, l’obiettivo sarà quello di fare molte corse con i professionisti e di crescere sotto quell’aspetto, perché gareggiare al massimo livello è qualcosa di completamente diverso. Io quest’anno ho fatto due gare con il team principale ed è tutta un’altra cosa, hai una spinta in più.
Adesso cosa ti aspetta, quali sono le gare dove vuoi prolungare questa forza d’inerzia positiva?
Non rimangono molte corse e questo mi dispiace. C’è il Giro del Friuli ma lo staff lo ha valutato troppo duro, dirottandomi sul Giro di Romania. Lì ci sono, su 5 tappe, almeno tre che ho già visto essere molto adatte alle mie caratteristiche, quindi è il posto giusto dove poter far bene. Provare a cogliere finalmente quella vittoria che per me sarebbe importante sia per com’è andata complessivamente la stagione, sia per proiettarmi bene verso la prossima. Poi spero di chiudere l’annata tornando a fare una gara con la squadra dei “grandi”. D’altronde in Italia le gare nazionali non possiamo farle e quindi corriamo solo le internazionali che non sono tante.


A proposito di questo, tu salvo San Vendemiano e il campionato italiano hai gareggiato sempre all’estero: questo è un vantaggio o è penalizzante per un italiano che è in un devo team?
A me piace molto correre all’estero, perché per la maggior parte sono percorsi nei quali mi trovo meglio, o come punta per le volate o anche per lavorare per i compagni. Non poter correre in Italia non è penalizzante, io mi trovo proprio il mio agio ovunque. Dipende molto da che tipo di gara troviamo. In Italia ad esempio ora c’è il San Daniele, che è troppo duro per me. E poi all’estero ci sono sempre tante corse a tappe e in quelle c’è spazio per tutti i tipi di corridori.