Ci siamo spesso ripetuti, a torto o a ragione, che se in Italia ci fosse una squadra WorldTour, sarebbe possibile tutelare meglio il vivaio e i talenti che produce. Ma è davvero così? Siamo stati spesso attaccati da procuratori e da qualche tecnico federale per aver fatto notare che l’attività U23 italiana sia ai minimi termini. Ci è stato spesso risposto, anche con sufficienza, che non è vero e che i talenti ci sono e vengono fuori ugualmente. Ci sono, certo, ma a meno di poche eccezioni, vengono fuori in squadre continental non italiane. Non avere al via delle corse italiane gli elementi più forti incide in qualche modo sul livello del movimento?
I quattro azzurri convocati per i mondiali U23 di Kigali corrono tutti all’estero. Simone Gualdi alla Wanty NIPPO ReUz, Pietro Mattio alla Visma-Lease a Bike Development, Lorenzo Finn alla Red Bull-Bora, Alessandro Borgo nel devo team della Bahrain Victorius. E non è andata meglio al Tour de l’Avenir, dove il solo “italiano” è stato Turconi che però corre già da professionista alla VF Group-Bardiani.


Fra Palazzo e realtà
Ci rendiamo conto di essere spesso una goccia fastidiosa. Eravamo quasi rassegnati a dire che il progresso porta in questa direzione, finché ci siamo imbattuti in un paio di articoli de L’Equipe. Il più recente, dal titolo: “C’è uno spreco enorme”: la scomparsa delle squadre dilettantistiche fa temere una generazione sacrificata”. Il quotidiano francese ha messo il naso nelle cose di casa, con una lucidità e un senso di responsabilità che nessun quotidiano italiano ha mai ancora mostrato.
«Da diversi anni ormai – scriveva già il 26 novembre Eloi Thouault – il ciclismo dilettantistico, pilastro della crescita dei talenti francesi, sta attraversando una profonda crisi. Chiusure di squadre, calo del numero di gare giovanili, mancanza di volontari. La lista è lunga per molti dirigenti che faticano a vedere la luce in fondo al tunnel. Mentre la Federazione Ciclistica Francese è soddisfatta di un “aumento dell’11% delle licenze” per il ciclismo su strada dopo i Giochi, molti dirigenti non sono ottimisti. I club faticano a mantenere le loro attività. Organizzare una gara sta diventando un lusso che pochi possono permettersi».


Talenti davvero a rischio?
La Francia ha quattro squadre WorldTour e una grande professional come la TotalEnergies. Non dovrebbe avere problemi nel tutelare il movimento di base, invece anche lì il sistema scricchiola. Paul Seixas, Lenny Martinez, Romain Grégoire, Brieuc Rolland e Paul Magnier sono i nomi da mostrare in vetrina, ma alle loro spalle la crisi galoppa.
«C’è uno spreco enorme – lamenta Anthony Barle, direttore generale del Vélo Club Villefranche Beaujolais che ha lanciato Seixas (immagine di apertura Patrick Berjot) – non vi dirò nemmeno la generazione che sacrificheremo. I corridori avranno carriere di uno o due anni e poi rinunceranno al ciclismo. E’ una cosa seria».


Undici team in tre anni
La piramide si sta sgretolando dall’alto. Alcune squadre storiche negli U23 stanno chiudendo una dietro l’altra. La storica sezione CC Etupes, fondata 32 anni fa, da cui sono usciti Thibaut Pinot, Warren Barguil e Adam Yates, ha appena annunciato la chiusura del team U23.
«In due anni – scrive questa volta Audrey Quétard, in un articolo pubblicato il 9 settembre – il numero di queste squadre è diminuito di un terzo: 28 nel 2023, 19 all’inizio del 2025, di cui tre che non riprenderanno nel 2026».
«E’ il portafoglio che ha deciso – riassume Sylvain Chalot, presidente del CC Etupes – le competizioni di alto livello stanno diventando sempre più costose, nonostante la congiuntura economica sfavorevole. Le cose sono cambiate molto. Se non vogliamo fallire, dobbiamo prendere decisioni, anche se non ci piacciono».
Il budget per una squadra U23 di prima fascia che voglia fare attività non può scendere sotto i 350.000 euro, ma affinché il progetto sia sostenibile, è più probabile che costi circa 500.000 euro.


Il ruolo dei devo team
Le squadre WorldTour ci sono, ma non pagano grandi indennizzi quando portano via un corridore. Per Seixas, sono stati versati appena 6.000 euro per i tre anni in cui è rimasto nella sua squadra di origine. In Francia non c’è il sistema dei punti, ma un’indennità stabilita nel 2024 e legata al lavoro fatto sull’atleta. Un club riceve 1.000 euro all’anno dal 15° compleanno fino al passaggio al professionismo in una squadra Continental, mentre sono 2.000 euro all’anno se passa in una squadra WorldTour.
«A volte – spiega ancora Barle – ci prendono i corridori senza nemmeno chiamarci, niente. E poi però trovano facilmente 2 milioni di euro per organizzare una squadra continental».
E a ben vedere, il succo sta proprio nella difficile convivenza fra le squadre giovanili e i devo team, che hanno svuotato anche il movimento italiano senza che esista ancora un’esatta contabilità dei corridori partiti e poi diventati dei professionisti. Il confine fra dilettantismo e professionismo è stato cancellato, si pesca fra gli juniores e così dal 2026 il CC Etupes punterà soltanto sui più giovani.
«Le squadre U23 – prosegue invece Barle – permettono ai corridori di diventare più esperti, di imparare a correre e a vivere in gruppo. Altrimenti, c’è un divario enorme tra juniores e professionisti. I ragazzi non hanno quasi mai corso in un gruppo d’élite. Non c’è da stupirsi che ci siano così tanti incidenti».
Ci è stato sempre detto che si tratti di una particolarità tutta italiana, ma così non è. Vogliamo scommettere che ci sarebbe davvero il margine per fare un po’ d’ordine sedendosi allo stesso tavolo con i francesi e gli altri Paesi che navigano nelle stesse acque?