Alessandro Borgo quest’anno nel ritiro di dicembre della Bahrain Victorious ha cambiato tavolo, letteralmente. La scorsa stagione era seduto insieme ai ragazzi del devo team mentre ora è seduto accanto ai nuovi compagni di squadra del WorldTour.
«Essere accanto a corridori che fino due anni fa guardavo in televisione – racconta Borgo – è strano, però se sono arrivato fin qui vuol dire che qualcosa di buono posso farlo pure io. Per cui sì, c’è emozione, ma quella giusta. All’inizio i due con cui mi sono sentito un attimo in soggezione, se così si può dire, sono stati Mohoric e Caruso. Il primo per la famosa vittoria alla Sanremo e quelle al Tour de France, mentre Caruso per quello che ha fatto nei Grandi Giri. Però si è subito creato un bel rapporto, sia con loro che con lo stesso Tiberi».


Sei uno che ama le sfide, arrivare nel WorldTour a cosa equivale?
Fino a tre anni fa non sapevo a cosa stessi andando incontro, il ciclismo era un gioco. Poi pian piano è diventato un lavoro. Negli ultimi due anni ho iniziato a pormi degli obiettivi, sono uno che crede molto in se stesso e mi ero prefissato di fare due stagioni da under 23 e poi entrare nel WorldTour. A livello personale sono contento di aver rispettato quello che mi ero prefissato. Ora che sono qui me ne sono posti degli altri.
Di questi due anni da under 23 che bilancio trai?
Al primo anno arrivavo in una categoria nuova, in un ciclismo diverso e sempre più impegnativo. Avevo iniziato a fare le prime esperienze all’estero, con avversari molto forti. Sono entrato nella categoria senza sapere nulla al riguardo e senza aspettative. Dopo le prime gare in Belgio ho capito di essere a un buon livello. Il 2025 è stato l’anno della consacrazione, con due vittorie importanti (Gent U23 e il campionato italiano U23, ndr).




C’è qualche aspetto che avresti potuto o voluto fare meglio?
Quando mi fanno questa domanda rispondo sempre che un rimpianto è il secondo posto di tappa al Giro Next Gen. Vincere avrebbe dato qualcosa in più. Mi ero imposto di fare un bel risultato di tappa all’Avenir, ma anche in quel caso non è andata secondo le aspettative. Tuttavia è stata una corsa che mi ha dato tanto, in termini di esperienza e consapevolezza.
In che senso?
Nella tappa regina sono andato molto forte in salita, quella prestazione mi ha fatto crescere molto. Tanto da portarmi una convocazione al mondiale in Ruanda. Era un obiettivo fin dall’inizio della stagione. E’ stata un’esperienza indimenticabile, sia a livello personale che ciclistico.
Con il senno di poi il mondiale in Ruanda era troppo duro?
Il percorso era esigente, ma se la corsa si fosse svolta in un altro modo avrei potuto dire la mia. Ha vinto Lorenzo (Finn, ndr) uno scalatore, e tra i primi dieci sfido a trovare un corridore che non lo sia.


La stagione scorsa si è conclusa con il secondo posto nel campionato italiano crono a squadre…
Ci tenevo a far bene, più per i miei compagni Marco e Bryan (Andreaus e Olivo, ndr). Anche perché c’era il rischio che potesse essere la loro ultima corsa. Mi sarebbe piaciuto aiutarli a vincere una maglia tricolore. Hanno avuto degli anni difficili, purtroppo il ciclismo non regala nulla. Ripartire non è mai semplice e non tutti capiscono cosa vuole dire.
Torniamo alle sfide, qual è quella di quest’anno?
Sicuramente voglio rubare con gli occhi dai più esperti, tra tutti Mohoric, che è l’atleta a cui sento di potermi ispirare. Il 2026 sarà l’anno delle esperienze, mi piacerebbe fare tante gare in Belgio e imparare a muovermi su quei terreni.
Pensi che possano diventare le tue gare?
Direi di sì. Dico il Belgio ma intendo tutte le Classiche, con pavé, freddo, vento e muri.


Ora che sei nel WorldTour lo spirito deve rimanere lo stesso di sempre?
Sicuramente non posso andare con l’idea di vincere la Roubaix il prossimo anno, avremo un capitano e dovrò lavorare per lui. Siamo una squadra che si è ringiovanita tanto, con innesti interessanti come Alec Segaert. Entrambi siamo giovani e vogliamo emergere sulle pietre del Nord. Ovviamente in questi anni il leader sarà Mohoric e lavoreremo per lui, mettersi a disposizione di un talento del genere è ancora più bello.
Tre anni fa non pensavi di poter essere qui, ora hai un pensiero su Borgo da qui a tre anni?
Penso di poter rispondere a questa domanda una volta terminata la mia prima stagione da professionista. Fino a quando non sei dentro e non corri è difficile capire cosa sia il WorldTour e le difficoltà a esso collegate. Anche solo entrare in un settore di pavé o andare alla presentazione dei team la mattina della Roubaix sono cose che posso solo immaginare ora.
Allora ci diamo appuntamento a ottobre?
Va bene.