Marta Cavalli è stata una delle “sorprese” della nazionale di Dino Salvoldi ad Imola. Tuttavia per la ragazza della Valcar la maglia azzurra non è certo una novità. In pista infatti ha raggiunto traguardi importanti specialmente nell’inseguimento a squadre, non ultimo il titolo europeo a Fiorenzuola. Ed anche al Giro Rosa Iccrea la 22enne lombarda è stata tra le migliori: buoni piazzamenti di tappa e seconda azzurra dopo Elisa Longo-Borghini nella generale. Conosciamola meglio.
Marta, quando e come hai iniziato a pedalare?
Ad 11 anni, un po’ per gioco e un po’ perché vedevo il Giro, il Tour insieme a papà e poi imitavo Mark Cavendish in cortile mentre faceva le volate. Mio padre, appassionato, ha assecondato questo mio interesse e mi ha portato al C.C. Cremonese, la squadra locale, dove ho iniziato a gareggiare. Da qui l’impegno è andato a crescere fino ad arrivare alla Valcar.
E hai capito subito che il ciclismo potesse essere più di un gioco?
Fino da juniores lo vedevo solo come un divertimento. In più non che andassi molto bene, avevo paura del gruppo, non vincevo… e più di qualcuno tra i tecnici mi disse che il ciclismo non era per me. Però vedere le altre che miglioravano e vincevano mi fece scattare una molla. Così iniziai anche io ad essere più puntigliosa, ad allenarmi di più e arrivarono le prime soddisfazioni. E’ al secondo anno elite che ho capito che il ciclismo era la mia strada.
Qualcuno mi disse che il ciclismo non era per me. Però vedere le altre che miglioravano e vincevano mi fece scattare una molla.
E le prime gare con le grandi come andarono?
Gli esordi nel World Tour furono devastanti! Mi sono ritrovata con campionesse tipo Vos, Van Vleuten, ho preso delle batoste che la metà bastavano! Però mi sono anche detta: così non vado avanti, adesso mi ci metto al cento per cento. Adesso non sono ancora tra quelle 10-15 top rider, mi manca qualcosa, ma l’obiettivo è quello di far parte di quel ristretto gruppo di atlete.
E cosa ti manca?
Le variazioni di ritmo in salita. Quando una Longo-Borghini o una Van Vleuten attaccano, la differenza la sento. Hanno un altro ritmo. Però anche se mi stacco devo dire che cerco subito il mio passo e quasi sempre riesco a cavarmela limitando i danni. Ci sono alcuni aspetti che miglioreranno da soli col tempo, come la resistenza e la capacità di allenarsi o tenere certi sforzi e altre che invece sulle quali devo proprio lavoraci su, come appunto il cambio di passo in salita.
Dove ti alleni?
Io vivo a Formigara, un paesino della Bassa, in provincia di Cremona. Lì è tutta pianura e spesso per trovare della salita o faccio molte ore oppure prendo la macchina e mi sposto verso l’Appennino piacentino. E lì faccio lavori specifici.
Ti alleni sola? E chi ti segue?
Sì, il più delle volte da sola, però con la nazionale e la squadra spesso facciamo dei ritiri, andiamo anche in pista. Mi allena Davide Arzeni, che è anche il direttore sportivo della Valcar.
C’è una compagna che ti ha fatto da chioccia?
Fino allo scorso anno avevamo in squadra Dalia Muccioli. Lei è davvero brava. Sempre disponibile e sempre pronta a darmi consigli.
Hai parlato della pista, tu vanti una bella storia con il parquet…
E’ lì che ho iniziato a raccogliere i risultati più importanti, tra cui l’oro europeo nell’inseguimento a squadre (era il 2017 e lo ottenne con Martina Alzini, Elisa Balsamo e Francesca Pattaro, ndr). Questo risultato fu poi anche quello che mi aprì la porta tra le elite e alla Valcar. La pista è un vecchio amore e in vista delle Olimpiadi da questo inverno mi ci concentrerò per bene. Anche la strada mi piace. A conti fatti dico che la passione tra le due è 50-50!
Ti aspettavi la convocazione da parte di Salvoldi?
Non me l’aspettavo però ci speravo. L’anno scorso stavo bene ma non fui convocata. Due anni prima il circuito era troppo duro per le mie caratteristiche. Questo è stato l’anno buono per far parte del gruppo azzurro.