Neanche il tempo di mettere da parte le emozioni mondiali e già si parla di ciclocross. L’inizio della stagione invernale è più vicino di quanto si pensi, ma Fausto Scotti e il suo staff sono abituati a iniziare molto prima. Quest’anno il Giro d’Italia scatta già il 1° ottobre e sarà un vero viaggio attraverso il Paese, anche se le aspirazioni del tecnico romano vanno ben oltre, come vedremo.
La manifestazione è al suo 15° anno e già questo è un traguardo importante e prestigioso, difficilmente nella specialità si è andato tanto lontano soprattutto considerando la complessità data dal mettere insieme tante realtà diverse fra loro. Pur essendo così “anziana”, stiamo parlando di una realtà in continua espansione e lo si capisce dal numero di richieste da parte degli organizzatori locali.
«Ce ne sono arrivate almeno 12 degne di essere prese in considerazione – spiega Scotti – ossia che avevano tutti i crismi di serietà organizzativa e strutturale che richiediamo per entrare a far parte del circuito, ma in generale le richieste sono di gran lunga maggiori. La challenge però si compone di 6 gare perché è la Federazione che ha imposto un tale limite massimo, quindi ci siamo dovuti uniformare».
Quali tappe avete quindi scelto per quest’anno?
Partiremo da Tarvisio (UD) il 1° ottobre e nelle due domeniche successive saremo rispettivamente a Osoppo (UD) e Corridonia (MC). La seconda metà del Giro sarà a novembre, il 12 a Follonica (GR), il 18 a Cantoira (TO) e il 26 a San Colombano Cernetoli (GE).
Rispetto allo scorso anno cambia la metà delle sedi…
Tarvisio era già da 2-3 anni che voleva entrare e finalmente abbiamo potuto accoglierla nella nostra famiglia. A Cantoira eravamo già stati, poi gli organizzatori avevano puntato a ottenere i campionati italiani senza riuscirci e ora rientrano nel Giro, d’altronde ci eravamo trovati molto bene. San Colombano è una novità assoluta ed è un piacere concludere la nostra avventura in Liguria, dove si disputano effettivamente poche gare nel calendario nazionale, ma tutte di qualità.
Chi è rimasto fuori?
In tanti, qualcuno ci darà una mano nell’altra nostra challenge, il Giro delle Regioni, ma c’è un aspetto che voglio sottolineare: prima di scegliere ogni tappa, contattiamo i vari comitati regionali e procediamo di concerto con loro come ero abituato a fare da tecnico della nazionale. Dalle realtà regionali ho sempre avuto grandissimo supporto. Inoltre il Giro non sarebbe possibile senza tutta la struttura che da anni mi dà una mano: noi affianchiamo i vari comitati locali attraverso una sinergia che ha fatto la fortuna di questo circuito.
Il calendario nazionale è sempre più fitto. Il Giro era abituato a svolgere la sua attività nella prima parte della stagione proprio per trovare spazi, ma le date cominciano a riempirsi anche in quei periodi?
Assolutamente sì, diventa sempre più difficile trovare spazi, considerando che abbiamo oltre 40 gare nazionali concentrate in pochissimi mesi. Il Giro però è sempre attesissimo: nelle prime tappe arriviamo ad avere almeno 900 iscritti fra le varie categorie e se consideriamo che il movimento italiano nel suo complesso conta poco più di 3.000 praticanti si capisce bene quanta sia l’attenzione e la voglia di partecipare. Per questo quando prendiamo contatto con gli organizzatori locali guardiamo molto all’aspetto logistico: portare in una località, tra atleti e accompagnatori, più di 2.000 persone può essere fatto solo se troviamo una ricettività adeguata, sia nei numeri che nella qualità.
Da che cosa dipende questo?
Io credo che sia diretta emanazione del prestigio che ci siamo ritagliati nel tempo. Molte società mi hanno detto che la loro partecipazione al Giro è richiesta direttamente dagli sponsor, perché siamo in grado di garantire una vetrina che altre organizzazioni non hanno. Poi non dobbiamo dimenticare che ogni gara ha al suo interno spazi anche per i più giovani: noi siamo l’unica challenge che dà ai G6 lo stesso spazio e la stessa attenzione delle categorie più grandi, ma l’aspetto promozionale non deve mai essere dimenticato.
Quando inizia il lavoro di assemblaggio delle varie tappe?
Inizia? Praticamente non si finisce mai. Posso dire che non c’è giornata durante l’anno nella quale non ci sia qualche telefonata con organizzatori, società, gente che chiede informazioni, anche solo per le convenzioni con gli alberghi. E’ un lavoro a ciclo continuo, posso dire che m’impegna quasi più questo che quello che svolgevo da commissario tecnico della specialità…
Rispetto al passato, questo Giro ha una forte presenza nel Nord Italia…
Nel corso della storia del circuito, abbiamo toccato 18 regioni. Mi mancano solo le isole. La Sardegna l’abbiamo sfiorata lo scorso anno, ma poi i contatti che avevamo non sono approdati a una conclusione positiva ma ci riproveremo. In Sicilia invece sono stato la scorsa settimana, parlando con il comitato regionale, enti locali e organizzatori per trovare una sede per il prossimo anno e sono fiducioso. Io vorrei completare il “mio” Giro portando la challenge anche nelle due regioni mancanti, sarebbe come chiudere il cerchio.
Il Giro d’Italia è alla sua quindicesima edizione. Rispetto alla prima quante cose sono cambiate?
Ricordo agli inizi, quando andammo a Lecce con 273 agonisti in gara, se guardo i numeri che raggiungiamo ora la differenza è evidente. Insieme al Giro è cresciuto tutto il movimento, ora quasi ogni regione ha un’attività larga, intensa, abbiamo spinto anche regioni confinanti a mettersi insieme nell’allestimento dei loro calendari, tutto per andare vicino ai praticanti.
Che cosa ti aspetti dalla prossima edizione?
Che esca fuori qualche nuovo talento, qualche giovane che poi possa approdare all’estero per svolgere l’attività nella maniera giusta. Purtroppo in Italia soffriamo per due aspetti: il primo è la mancanza di un vero e proprio team internazionale, che sia all’altezza dei più forti del nord Europa. Il secondo, ancor più grave, è la mancanza di una vera cultura fuoristradistica: la multidisciplinarietà da noi è una bella parola, ma alla resa dei conti i team guardano solo alla strada. Una storia come quella del giovane Philipsen, che a Glasgow ha vinto il titolo junior sia su strada che in mtb da noi non può realizzarsi.