KUAH (Malesia) – «Un’avventura a quei tempi. Ricordo le iguana per strada che a volte ci attraversavano la strada quando uscivamo in allenamento o i varani, quelle lucertolone al mattino in stanza che ci fissavano. Abbiamo persino dovuto firmare una dichiarazione di scarico di responsabilità per un volo interno su un aereo militare… che non ispirava certo sicurezza. Ma fu davvero una bella esperienza». Sono le parole di Luca Scinto che ci tornano in mente prima di partire per la Malesia, alla volta del Tour de Langkawi.
Un’avventura iniziata oggi con la Kuah-Kuah, andata al gigante dell’Astana-Qazaqstan Gleb Syritsa.


Langkawi… a noi
Questo Tour de Langkawi è dunque iniziato oggi e terminerà il 6 ottobre: otto tappe sparse in gran parte della Malesia. Per l’ente turistico nazionale sta diventando una vetrina alquanto importante, così come importanti sono i suoi sponsor: su tutti Petronas. Otto tappe, sei per velocisti, una per scalatori e una intermedia.
«All’epoca, era il 1997 – racconta Scinto – si correva a febbraio. Il Langkawi era ideale per fare la gamba. Il clima era buono e poi l’intero giro era bello lungo: ben 12 tappe. Arrivò un invito e Ferretti, il nostro diesse, ci portò appunto in Malesia. Arrivammo una settimana prima della corsa. Ricordo hotel bellissimi. Lì si era in pieno boom economico e stavano costruendo queste immense strutture. Un gran lusso».




In quella edizione di corridori italiani ce n’erano parecchi, anche Gianni Bugno. Il Tour de Langkawi era giovanissimo, un paio di edizioni, ma si stava aprendo ad un mondo nuovo e il ciclismo stesso iniziava il suo cambiamento. Quel cambiamento che lo ha portato oggi ad essere uno sport globale.
«A quei tempi bastavano pochi chilometri che i corridori asiatici quasi sparivano del tutto. Davanti era una lotta tra noi europei». Prima di allora quel poco di ciclismo che c’era era tutto locale. Bisogna pensare che il Langkawi fu una vera rivoluzione.




Il primato di Scinto
Quell’anno succede che nella salita simbolo della Malesia, il loro Stelvio potremmo dire, Luca Scinto mette a segno un gran colpo. In quel periodo il toscano va forte… anche in salita.
«Io venivo da un 1996 molto difficile – racconta Luca – avevo corso pochissimo, 7 forse 8 gare per via di un problema al ginocchio. Per fortuna che avevo il contratto anche per l’anno successivo… Quell’inverno dunque partii molto forte e infatti in Malesia andai bene. Verso Genting Highlands, questa salita simbolo, feci il vuoto. Era una scalata dura e lunga. Gli ultimi 4 chilometri erano al 20 per cento a quasi 2.000 metri di quota. Grazie a quella fuga vinsi la tappa e poi l’intero Langkawi mettendo dietro gente come Jens Voigt.
«Francois Belay, speaker del Tour de France presente laggiù, mi disse che fui il primo europeo a vincere la corsa». Alla fine era la seconda edizione del Langkawi, almeno per come lo conosciamo oggi, ma quella dichiarazione fece colore». Di certo Scinto fu, e chiaramente resta, il primo italiano ad averla vinta.
Quest’anno la salita di Genting Highlands non ci sarà. Il tappone, quasi certamente decisivo, sarà quello della terza frazione, quando il gruppo affronterà le rampe di Cameron Highlands, una sorta di doppia scalata, una sequenza stile Passo Tre Croci e Tre Cime di Lavaredo per intenderci. Ma solo per il profilo: le pendenze sono decisamente meno impegnative. Solo negli ultimi 8 chilometri la salita si fa un po’ più dura. Per il resto il Langkawi resta terreno di caccia per le ruote veloci. Nella quarta tappa c’è una lunga salita in avvio, ma poi solo tanta pianura.


Che premi!
Negli anni Scinto ha vissuto questa gara anche da tecnico. E pertanto ha avuto anche un altro punto di vista.
«Guardini è il re della Malesia, ci ha vinto moltissime corse e anche Mareczko (che quest’anno è presente, ndr) ha fatto molto belle cose. I ragazzi sono contenti di andare laggiù. Alla fine stanno bene.
«La prima cosa che chiedono è: “Come sono gli hotel? Come si mangia”? Lì gli standard sono buoni. Insomma non è la Cina dove in qualche caso la questione igienica non è al top. Ma poi oggi è tutto diverso. I team e gli hotel stessi sono organizzati, noi mangiavamo quel che trovavamo e lì era tutto molto piccante. Pollo… piccante. Un’altro tipo di carne… piccante. A volte persino il riso era piccante! Niente pasta, ma tante uova. Poche storie e pedalare».


I ragazzi del Li Nang Star, squadra cinese, si cambiano al volo prima di prendere il traghetto per la terra ferma
«Il Langkawi era generosissimo. Noi della Mg-Technogym vincemmo due tappe, la classifica finale e altri premi: tornammo a casa con un bel gruzzolo a testa. Un gruzzolo che però riuscimmo a riprendere solo grazie agli uffici di Parsani, all’epoca in Mapei, in seguito ad un disguido. Ma vi dico questa, tanto per rendere l’idea delle cifre che giravano. Paolo Bettini era appena passato professionista con noi. Aveva firmato al minimo sindacale che era di 25 milioni di lire l’anno: tornò dal Langkawi con 28 milioni di premi!».
Oggi chiaramente i premi non sono più quelli e le tappe sono anche di meno, d’altra parte con un calendario così fitto è impensabile proporre una gara a tappe di 12 frazioni. Il Langkawi però è una corsa molto sentita in Asia. E di fatto apre al colpo di coda del calendario in questa parte di mondo, visto che poi si corre anche in Giappone e dopo ancora in Cina, con il Taihu Lake prima e il Tour of Guangxi poi, che chiude il WorldTour.