E’ stato il grande giorno della Bola del Mundo alla Vuelta. La tappa del verdetto, quella che avrebbe decretato il re della maglia roja. La frazione è di nuovo di quelle toste, ma si sapeva già che a decidere tutto sarebbero stati gli ultimi 3.700 metri. Quelli in cemento, quelli con pendenze da MTB. Lassù avrebbe dominato la legge del più forte. E il più forte è stato Jonas Vingegaard. Per il corridore della Visma-Lease a Bike tappa e appunto… Vuelta.
Tra una fitta schiera di poliziotti e corse per contenere il pubblico più in basso, il già spoglio monte madrileno era ancora più vuoto nel suo chilometro finale. Si è sempre sul chi va là riguardo alle ormai note proteste pro Palestina.
In questo contesto vanno in scena 153 storie, tante quante i corridori rimasti in gara. Ogni scalata così estrema si trasforma per ognuno in qualcosa di strettamente personale. C’è chi vuole semplicemente arrivare al traguardo, chi vuole vincere, chi deve difendersi, chi dimostrare il suo valore, chi vuole la tappa. Ognuno ha il suo obiettivo.
Noi ve ne raccontiamo tre di queste storie e lo anche con l’aiuto di uno scalatore che sulla Bola del Mundo ci sarebbe stato alla grande: Domenico Pozzovivo.


Vingegaard campione vero
La prima storia, e non poteva essere diversamente, è quella di Jonas Vingegaard. Oggi il danese ha vinto. Ma la sua è una vittoria di chi era chiamato, e forse voleva dimostrare al mondo intero e prima di tutto a sé stesso, che è ancora forte. Che sa vincere anche senza Tadej Pogacar.
Anzi, a dire il vero era quasi obbligato a farlo.
Eppure in queste tappe è sì stato il più forte, ma non quello schiacciasassi che era lecito attendersi. Il Tour, e lo diciamo da tempo, si è fatto sentire. Jonas ha centellinato energie fisiche e mentali giorno dopo giorno.
«Dopo il Tour così duro – ha detto Pozzovivo – sinceramente mi aspettavo una Vuelta così di conserva, ma forse un po’ meno di come è stata realmente. Mi aspettavo che avrebbe cercato di addormentare la corsa e che non avrebbe corso come fa quando è contro Tadej o come fa lui stesso quando non c’è Pogacar. Penso per esempio alla Tirreno dell’anno scorso».


Jonas il chirurgo
«Anche oggi ha fatto di mille metri (è partito ai -1,3 chilometri e ha mollato ai 300 metri, ndr). Ha calcolato più la durata dello sforzo che la distanza. Sono stati 5 minuti di attacco, 5′ di fuorigiri ad una media di 13 all’ora o poco più. E’ stato un attacco chirurgico, preparato. Credo sapesse che non avrebbe aperto grandi margini e così ha fatto al massimo quello che poteva. Se fosse partito prima lo avrebbero ripreso, non avrebbe avuto la possibilità di portare un attacco simile più a lungo».
Le nostre sensazioni dunque erano giuste. Non ha sprecato nulla più del dovuto. Ha corso con grande consapevolezza dei suoi limiti. E che dire? Chapeau. Le corse si vincono anche così.
«Uno come lui – aggiunge Domenico – se fosse stato meglio avrebbe messo la firma sull’Angliru, per esempio».
Oggi Vingegaard doveva dimostrare che era comunque il miglior corridore di questa Vuelta e ci è riuscito. Onore a lui.


Almeida: sostanza e personalità
L’altra storia ci porta dal grande rivale di questa corsa spagnola, Joao Almeida. Chissà cosa, e se, gli ha detto Pogacar, il suo capitano, quando si è trovato a battagliare con il rivale storico del suo leader. Se gli ha svelato qualche punto debole.
Il portoghese della UAE Team Emirates si è ritrovato capitano. Sarebbe dovuto essere lo stesso Pogacar a guidare la corazzata in Spagna. Invece…
«Invece – ha detto Pozzovivo – si è ritrovato leader in modo inatteso. Ma è sbagliato dire che la sua stagione è venuta fuori in modo inaspettato. Andava già forte al Giro di Svizzera (anche prima al Romandia, ndr) e poi doveva fare bene il Tour. E invece ecco che si ritrova a fare la Vuelta e anche da capitano».


Joao leader
E proprio sull’essere leader, sulla pressione, sulla convivenza con Juan Ayuso, Pozzovivo esalta il portoghese: «Per me è stato fortissimo e questo lo consacra sia a livello internazionale che nella sua squadra. Credo che Joao si sia gestito benissimo, anche dal punto di vista della personalità, dell’essere leader appunto. E non ha avuto un inizio di Vuelta facile, con quei problemi di “spogliatoio”. Nella tappa in cui ha accumulato il maggior distacco da Vingegaard, lui stesso al termine della frazione ha detto che la squadra non aveva lavorato al 100 per cento per lui. Credo riferendosi non solo ad Ayuso, ma anche a Vine. E se dici una cosa del genere è perché ti prendi poi pressioni e responsabilità e lui ci ha convissuto benissimo. Idem quel che ha fatto sull’Angliru. Si è messo al massimo del suo limite. Di solito quando hai avversari così forti ti lasci un minimo di margine per rispondere a uno scatto. Lui no… e ha avuto ragione».
Anche oggi sulla Bola del Mundo ha perso qualche secondo, Almeida e la UAE con corridori che gli sono diventati fedeli quali Grosschartner e Vine, non si è fatto intimorire. La mancanza del riferimento Pogacar non si è fatta sentire.
«Non credo che Almeida senta questa cosa. Anche lo scorso anno al Tour era gregario di lusso, ma Tadej spesso partiva così tanto presto che anche lui poteva correre per sé stesso. E poi ha avuto altre occasioni di essere leader. Non ha perso insomma attitudine. Discorso diverso se si fosse trasformato nel leadout che si sposta e prende 10 minuti».


Pidcock: ora è nel posto giusto
La terza storia ci porta a Tom Pidcock. Il folletto della Q36.5 finalmente sale sul podio di un Grande Giro. In tanti, dopo la vittoria al Giro U23, lo aspettavano al varco, ma l’inglese aveva sempre mostrato altre preferenze, sia dal punto di vista personale che tecnico.
Domani a Madrid salirà sul gradino del podio e sempre domani Van der Poel sarà al mondiale di MTB. Per Pidcock è di certo un colpo al cuore. «Io sono un biker», ha sempre detto. Oggi all’arrivo quasi non riusciva a parlare tanto era stanco.
La domanda delle domande pertanto è: da oggi possiamo dire che Pidcock è uomo da corse a tappe? Mai come stavolta l’opinione di Pozzovivo, anche lui piccolo, scalatore e persino un po’ biker, è calzante.
«La Vuelta è sempre particolare quando si parla di Grandi Giri e questa lo è stata ancora di più. C’è una dichiarazione di Tom che mi ha colpito nel post Giro d’Italia e cioè: “Ho sofferto molto il caldo”. Per uno che soffre il caldo la Vuelta non è la miglior gara, ma in questo caso si è partiti con il maltempo in Italia, si è sempre restati al Nord dove le temperature non sono mai state torride e niente Andalucia. Questo ha giocato a suo favore».
«Rispetto alle tre settimane possiamo dire che ha dimostrato di esserci. Però mancava almeno un tappone da oltre 5.000 metri. Al Giro d’Italia ce ne sono sempre almeno due se non tre. Se ci fosse stato quello gli avremmo potuto dargli definitivamente la “patente” per corridore da Grandi Giri. Però questo podio è incoraggiante per lui. Resta il fatto che è un corridore che ama la corsa secca, che ama alzare le braccia e credo che correre per la classifica sia stato un grande sforzo mentale per Tom».


Chissà in casa Ineos…
Le analisi di Pozzovivo sono davvero eccellenti, ficcanti come solo chi è stato in gruppo per tanto tempo ad alti livelli può fare. E così gli chiediamo anche se domani, mentre metterà il piede sul podio, lui, ma soprattutto la Ineos Grenadiers, cosa penserà. Gli inglesi si mangeranno le mani?
«Assolutamente sì – dice secco il “Pozzo” – A loro manca un punto di riferimento per i Grandi Giri e in Ineos Grenadiers lo hanno fatto fuori con troppa fretta».
Però è anche vero che in quella squadra c’è una certa mentalità, una certa disciplina, di certo uno che vuole fare MTB non è il massimo per il team. E viceversa. Pidcock aveva perso il sorriso. In Q36.5 qualche comparsata in più offroad la può fare…
«E infatti – conclude Pozzovivo – per Tom stare in una squadra più piccola come la Q36.5 è meglio, può avere questo approccio. Alla fine è un po’ il faro, la maggior parte dei punti dipendono da lui e può permettersi di avere più spazi, di gestire un po’ di più i suoi impegni. Penso anche all’eccezione che, non essendo in una WorldTour, abbia comunque potuto disputare due Grandi Giri. Di certo è una situazione a suo vantaggio».