Quando si parla di preparazione uno dei nostri cardini è senza dubbio Pino Toni. Stavolta al tecnico toscano abbiamo sottoposto un argomento che è sì di preparazione, di allenamento, ma forse è anche “politico”, se vogliamo. In pratica, facendo un po’ i conti e parlando con diversi corridori, ci siamo resi conto di quanto i corridori abbiano già messo nel sacco… e tante altre gare li aspettano.
Alla luce di tutto questo ci siamo posti una domanda: ma quando si allenano? Oggi, si vede quanto fare programmi, alternare fasi intense e di recupero sia importante. Lavorare sulla forza o fare l’altura. Giovanni Carboni è uno di quelli che ha già oltre 30 giorni di corse nelle gambe e tantissime altre ne ha in lista. Alex Aranburu, Thibault Guernalec che supera i 35, e Jorge Arcas che addirittura guida questa classifica con 40 giorni. Lo scorso anno Damiano Caruso finì la stagione con 82 giorni di gara e fu il primo. Ad inizio anni 2000-2010 superare i 100 giorni era cosa consueta. Adesso non più e quei 30 e passa giorni di gara fanno riflettere.


Toni, molti corridori, specie di team non di primissimo piano, “non si allenano” più. Nel senso che sono sempre impegnati a correre…
E’ così. I big hanno la preparazione studiata nei dettagli, ma gli altri seguono il calendario, punto. Le squadre oggi fanno troppe corse, troppe. E con il sistema a punti attuale vanno a fare anche le gare 2.2 per cercare di accumulare qualcosa. Quindi si incastrano le corse brevi di uno o due giorni, le brevi gare a tappe, e quando uno corre tutte le settimane, ti ritrovi che l’allenamento lo fai… in gara.
E come si fa in questi casi?
Devi calibrare bene la gara e quei giorni tra una competizione e l’altra. Non puoi caricare l’atleta in settimana e allora lo porti alla corsa nella miglior condizione possibile e la corsa diventa il giorno di carico. Ma non è semplice. Non puoi più permetterti di “andare a fare la corsa per arrivare”, perché poi rischi pure il contratto, oltre che fai una fatica bestiale. Oggi i ragazzi sembrano quasi carne da macello e mi dispiace dirlo.
Quindi è una questione più “politica”, se vogliamo, che tecnica?
E’ chiaro. Un corridore non va in gara perché c’è un fine tecnico, ma perché la squadra ha bisogno di punti. Se non sei nei primi 30 del ranking, non fai i Grandi Giri. Specie le squadre Professional (ma anche qualche WorldTour aggiungiamo noi, ndr), mandano i corridori ovunque. Il ragazzo ti chiede di fare l’altura ma non ha tempo, corre ogni settimana. Fa tre giorni a casa, poi è di nuovo su un aereo. Ed è così per tantissimi. A tanti team interessa solo che abbiano avuto punti l’anno prima, li prendono al minimo salariale e li fanno correre.


Come gestite la preparazione in questi casi?
Si parte dal capire quanto recupera. Se recupera bene, gli metti qualcosa tra una corsa e l’altra. Altrimenti, lo tieni “a galla”: mantieni il peso, l’alimentazione, gli fai fare un po’ di ritmo dietro moto, ma niente carichi. Le 5 ore insomma non le fai più.
E la palestra, la forza per dire, che è ormai un cardine anche nel pieno della stagione è praticamente impossibile inserirla?
Non è detto, magari puoi sostituire un paio di uscite con della forza leggera, ma è complicato. Come ripeto, va calibrato bene con il recupero e le tempistiche tra una gara e l’altra.
Oggi si usa anche la tenda ipossica, che ora è stata sdoganata anche in Italia, ha senso farla? Il problema di questi ragazzi è che spesso non possono inserirci l’altura ideale per costruire e rigenerarsi…
Non è l’altura certo, ma è utile se fatta in blocchi di 3-4 giorni, può dare uno stimolo. Non serve starci settimane come per l’altura. In tenda sei in ipossia senza fare fatica. Alla fine l’allenamento è una forma di ipossia e vai in debito di ossigeno se sei in quota o se spingi forte in allenamento. Il principio è quello.
A livello psicologico non è pesante per i corridori? Vent’anni fa, per dire, quando arrivavano le corse di primavera ed estate in qualche modo si era più tranquilli. Si correva al mercoledì (o al martedì), il sabato e la domenica…
Ma quello è il ragionamento dei dilettanti… di un tempo. A livello psicologico per un professionista attuale è tosta, ma lì entrano in gioco il preparatore e l’ambiente. Se il corridore si convince che “non vado forte perché non ho fatto l’altura”, è finita. Allora devi fargli capire che si può fare bene anche così.. Il coach deve aiutare il corridore a capire che non è tutto perduto, che c’è un modo per salvare la stagione anche senza i blocchi di allenamento perfetti.


Insomma è il sistema dei punti che ha inciso su questa situazione?
E’ il problema principale. Una volta facevi un calendario logico, ora togliendo da questo discorso i big e gli squadroni, devi rincorrere i punti. E quindi corri le 1.1, le 2.2 in Asia, in Africa. Pensate che alcuni team faranno più punti in una corsa in Giappone che c’è in questi giorni che al Giro d’Italia, se non si arriva nei primi o non si vince una tappa.
E questo colpisce soprattutto le professional che hanno strutture importanti, ma non hanno 30 corridori più il devo team…
Ma colpisce anche le WorldTour che hanno 30 corridori, c’è chi in classifica annuale è dietro pur essendo WorldTour. Le Professional devono coprire ogni corsa per sperare di guadagnare qualche punto, e al Giro se devono andare in fuga dove li fanno i punti? E’ dura, e finché resta così, i corridori “di manovalanza” faranno più gare che allenamenti.