Trans Himalaya, racconto di un’avventura fuori dal mondo

29.10.2023
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In Italia è ancora una sfida sconosciuta, ma d’altronde lo è un po’ per tutti i team europei ed è un peccato perché la Trans Himalaya Cycling Race, che qualche giorno fa ha concluso la sua quarta edizione, è una gara davvero unica. Tre giorni di gara, con l’inedita scelta di porre un giorno di riposo subito dopo il primo, per un totale di 311,5 chilometri. Potrebbe sembrare strano, potrebbe sembrare semplice, ma così non è.

La partenza della gara, alla sua quarta edizione, tappa dell’Uci Asia Tour (foto Sonam/ChinaDaily.com)
La partenza della gara, alla sua quarta edizione, tappa dell’Uci Asia Tour (foto Sonam/ChinaDaily.com)

In altitudine, quella vera…

Si pedala sempre in quota, ma non le quote che siamo abituati a conoscere sulle Alpi. Lì non si scende sotto i 3.000 metri, la seconda tappa è anzi tutta sopra i 3.800 e allora il ciclismo, ma anche il mondo che ti circonda, la stessa sopravvivenza assumono significati diversi. E quando vai a guardare la media oraria della seconda tappa, a quasi 50 di media ti prende un sussulto: ma come è possibile?

La risposta è data dal fatto che è una frazione quasi tutta in discesa, quindi molto veloce. Se riesci a respirare a sufficienza. Già, perché la prima regola in una gara del genere è data dall’assuefazione del corpo a quelle altitudini. Non tutti ci riescono, anche dopo il necessario periodo di acclimatamento.

Le altissime vette himalayane: la gara era tutta sopra i 3.000 metri (foto Sonam/ChinaDaily.com)
Le altissime vette himalayane: la gara era tutta sopra i 3.000 metri (foto Sonam/ChinaDaily.com)

Tra entusiasmo e timore

In più di 100 hanno accettato la sfida quest’anno, in appartenenza di 17 squadre diverse. Quasi tutti asiatici, ma anche corridori sudamericani, australiani, anche un ucraino. Ne sono arrivati all’incirca la metà e non è un dato di poco conto. C’è chi ha dovuto fare i conti con il mal di montagna, con improvvisi capogiri, ma c’è stato anche qualcosa di più infido: l’aspetto psicologico.

Dai racconti sono emerse caratteristiche e anche comportamenti che vanno al di là della semplice gara ciclistica e per capire bisogna immaginarsi sul posto. Pedalare in solitudine attraverso spazi sconfinati, con chi è avanti e chi insegue che diventano puntini all’orizzonte e quella sensazione di sentirsi sperduti, oggetti estranei di un’altra galassia. Le montagne innevate che sono sì lontane, ma ti circondano e a un certo punto ti sembrano vicinissime, sul punto di schiacciarti. L’aria che manca sempre di più e i polmoni che reclamano ossigeno a più non posso.

Molti hanno mollato: sofferenza fisica o mentale? Probabilmente non c’è un confine fra le due sfere. Ma c’è anche chi ce l’ha fatta, anzi chi ha vinto perché anche la storia della corsa merita spazio ed è parte dell’avventura.

Lo strano caso Rikunov

Prima tappa, da Nyingchi City a Gongbujiangda County. E’ la più dura di tutte, quasi 130 chilometri sempre sopra 3.000 metri, ma con la caratteristica che si sale sempre. Nel gruppo permane un certo timore, così le azioni d’attacco sono sporadiche. Ne viene fuori quasi una selezione naturale che alla fine vede giocarsi la vittoria in 8 corridori. Vince il russo Petr Rikunov davanti al venezuelano Carlos Torres e al connazionale Andrei Stepanov, ma i due russi improvvisamente vengono tolti dalla classifica ed escono dalla corsa. Perché?

La dinamica della decisione della giuria resta un mistero finché qualche giornalista locale non inizia a effettuare ricerche, considerando che non parliamo certo dei Van Der Poel o Van Aert, ma di corridori che fanno un’attività geograficamente molto ristretta. Si scopre così che Rikunov e Stepanov hanno corso per il Chengdu CCN Cycling Team, ma all’Uci risultano tesserati per la Yunnan Lvshan Landscape, altra squadra al via. Un prestito non comunicato? Una squalifica per antipatia? Chi lo sa…

L’impressionante presenza di gente alle premiazioni a Lhasa. La gara però non è stata molto pubblicizzata
L’impressionante presenza di gente alle premiazioni a Lhasa. La gara però non è stata molto pubblicizzata

Una grande festa per il Tibet

Fatto sta che a giovarsene è Torres, corridore che da parte sua un proprio pedigree ce l’ha, avendo vinto tappe anche alla Vuelta al Tachira ben conosciuta dai nostri team professional e quest’anno presente anche al Tour of Langkawi. Nella seconda tappa, come detto tutta di discesa, resta coperto nel gruppo, nella terza con partenza e arrivo nella capitale tibetana Lhasa controlla senza problemi e si porta a casa la vittoria finale.

La foto delle premiazioni è impressionante, per la gente che si assiepa intorno al palco, quasi in contrasto evidente con gli sconfinati spazi locali, a dimostrazione di quanto il Tibet attenda con trepidazione questa corsa, che i cinesi neanche pubblicizzano poi tanto, molto meno delle altre che si disputano nello stesso periodo e che, quelle sì, accolgono i team professionistici. Eppure, almeno una volta, siamo sicuri che molti dei corridori che vediamo abitualmente durante la stagione potrebbero anche provarci, per fare qualcosa di nuovo…