La carriera di Rohan Dennis è come una gimkana, piena di svolte. L’ultima risale a pochissime settimane fa: l’australiano aveva appena vinto la medaglia d’oro ai Giochi del Commonwealth (foto di apertura Getty Images) e quella di Birmingham non era stata una vittoria qualsiasi.
«Ho sempre amato tutto quello che riguarda i “Giochi” – aveva detto – ero già salito sul podio nel 2014 e avevo anche conquistato una medaglia alle Olimpiadi, ma mai avevo vinto l’oro in una manifestazione plurisportiva e per me ha un valore prezioso».
Pochi giorni dopo, Dennis disertava la gara in linea, venendo ricoverato in ospedale perché accusava un non meglio identificato malore. Poi, è notizia di ieri, ha preso il via alla Vuelta, come colonna per la Jumbo Visma al servizio di Roglic a caccia del poker e che ha pilotato il team alla vittoria nella cronosquadre di apertura.
Un nuotatore mancato
C’è da perderci la testa, ma a ben guardare è sempre stato così, sin dagli inizi. D’altronde Rohan il ciclista neanche lo voleva fare. Da ragazzino il suo mito era Kieren Perkins, doppio oro sui 1.500 stile libero di nuoto. Voleva assolutamente seguire le sue orme, ma a scuola erano di parere diverso. Bisogna sapere che ogni ragazzino australiano viene sottoposto al Talent Identification Program, in cui attraverso una serie di test si stabilisce quale sia la disciplina sportiva più adatta e nel suo caso risultò il ciclismo. Rohan, diffidente per natura, era poco propenso ad accettare di cambiare. «Vabbé, io mi alleno e verrà buono per il nuoto» pensava. Dopo tre mesi era talmente coinvolto che al nuoto non ci pensava più…
Dennis non ha un carattere facile, lo ammette lui stesso. Un giorno ammise sinceramente: «Non so davvero come faccia la mia ragazza a starmi accanto. Quando perdo, quando anche la più piccola cosa non va come dico io mi butto giù e lei mi ammazzerebbe… Mi ricorda sempre tutto quello che ho vinto, quello che ho fatto, mi fa vedere l’altro piatto della bilancia». Non si tratta d’altro canto di una donna qualsiasi, ma di Melissa Hoskins, oro iridato con il quartetto nel 2015.
Odia dire: «Te l’avevo detto…»
Molto, nella sua evoluzione, è dipeso e dipende dall’ambiente. A dir la verità non ce n’è stato uno che gli si sia adattato come un vestito su misura, ha sempre trovato qualcosa che alla fine ha corroso i rapporti. Un giorno, intervistato da Procycling, dette una spiegazione a tutto ciò: «Non sono i problemi grossi che mi infastidiscono, ma le piccole cose, quelle che con un pizzico di attenzione e di cura eviteresti. Non sopporto di dire “te l’avevo detto”, ma tante volte non vengo ascoltato ed ecco che poi saltano fuori le magagne».
Tanti hanno provato a dirgli di prendere tutto più alla leggera, ma non è da lui: «Non riesco a girare intorno alle cose, se c’è un problema devo risolverlo e ci sbatto la testa finché non l’ho fatto, il resto passa tutto in second’ordine».
Il misterioso Tour 2019
Un esempio classico è quanto avvenuto al Tour 2019. Al tempo Dennis corre per la Bahrain-Merida. Ha puntato tutto sulla 13ª tappa, la crono di Pau, per questo ha anche evitato di guardare alla classifica, per non disperdere energie. Il giorno prima, alla Tolosa-Bagneres de Bigorre, arriva al chilometro numero 80, scende dalla bici e sale sull’ammiraglia. Non una parola, non una spiegazione. Ai diesse che chiedono risponde lapidario: «Non ne voglio parlare». Arriva al bus posto al traguardo, entra e scoppia in un pianto dirotto. I giornalisti assediano il bus, chiedono spiegazioni, ma nessuno ne ha. L’unica risposta ufficiale è in un laconico comunicato nel quale, oltre ai classici ringraziamenti, Dennis dice che ritirarsi è stata la cosa giusta perché il suo stato d’animo non era dei migliori.
A tal proposito è molto interessante rileggere il resoconto di quelle difficili settimane che lo psicologo David Spindler ha raccontato a Cyclingtips. Spindler, molto esperto nel mondo del ciclismo professionistico, andò a prenderlo direttamente a Pau per riportarlo ad Andorra e iniziò a lavorare con lui in profondità. Innanzitutto gli azzerò i social, perché era solito leggere i commenti e deprimersi per quelli avversi. Poi lo spinse a vivere più in profondità in famiglia.
Famiglia della quale per due settimane entrò a far parte anche lui: dava una mano a Melissa nelle faccende domestiche e nell’accudire il bambino e al contempo ascoltava i suoi sfoghi. Addirittura si metteva sullo scooter per seguire i suoi allenamenti e spesso fargli fare dietro motori: «Doveva sentire la presenza di chi gli era più caro». Un lavoro che sembrava una goccia cinese, tale da scalfire la sua diffidenza e il suo pessimismo, finché un giorno si risvegliò col sorriso. Dieci giorni dopo avrebbe vinto il titolo mondiale…
Per la Ineos parole pesanti
Il divorzio dal team era scontato e imminente, sarebbe arrivato un paio di mesi dopo, al termine dei mondiali. «Non era l’ambiente giusto per me e il mio malessere stava condizionando anche la mia situazione familiare, cosa intollerabile. Dovevo cambiare».
Con la Ineos Grenadiers, dov’è rimasto per tre anni abbondanti, le cose non sono andate poi molto diversamente, anche se dalle sue parole al momento dell’addio non traspare astio. Ma critiche sì, neanche tenere.
«Si sono un po’ accontentati di dove si trovavano e quel che hanno fatto. Sono stati in cima per una decade abbondante e per certi versi si sono un po’ cullati sugli allori. Uae Team Emirates e Jumbo Visma nel frattempo hanno costruito il loro castello mattone su mattone. Negli ultimi due anni i corridori di valore c’erano, eccome, ma ci si chiedeva perché non si vinceva come prima. Ma i corridori non bastano. La Ineos per anni è stata la punta della piramide tecnologica, ma ora il predominio ce l’abbiamo noi alla Jumbo Visma, mai stato in una squadra come questa». Per quanto la penserà ancora così?