Un pensiero per Weylandt, poi è tempo per un’altra volata

10.05.2021
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«Di Wouter Weylandt ho un ricordo bellissimo. Quell’anno condividemmo la camera durante classiche, io ero al primo anno da professionista e fu una bellissima esperienza passare quel periodo assieme a lui. Parlava anche italiano, quindi per me che ero appena entrato nel professionismo era semplice stare con lui. Invece di quel tragico giorno ricordo uno shock. Ricordo che ero a casa, la televisione diceva che Weylandt era morto… Che dire, ci son poche parole per descrivere quella giornata se non“ terribile”. E’ stato davvero un bell’omaggio da parte del Giro d’Italia. Lo portiamo tutti nel cuore».

Da Weylandt a Novara

Nizzolo dice tutto d’un fiato nel buio della seconda notte al Giro d’Italia. Il Giro d’Italia ha ricordato i 10 anni dalla morte di Weylandt con una gigantografia del suo numero 108 alla partenza, davanti cui il gruppo si è fermato in un minuto di raccoglimento. Poi è iniziata la corsa e il traguardo di Novara ha visto Nizzolo secondo, ma un po’ come per la crono tra Ganna e Affini, nella sua voce non c’è una delusione particolare.

«La storia dei secondi posti inizia a scocciarmi – dice – chiaro che tutti vorrebbero vincere. Non credo che il mio valore sia legato alle vittorie, anche se me la meriterei. Se verrà, sarò il primo ad essere felice. In passato ci sono stati tanti piazzamenti che mi sono bruciati, questo meno. Merlier ha fatto gran volata. Sapevo che era così forte. L’avevo anche detto a Missaglia andando alla partenza. Ero contento di stargli a ruota perché di solito parte lungo…».

Casco tricolore Ekoi, con autodichiarazione stile Covid: al Giro per vincere una tappa
Casco tricolore Ekoi, con autodichiarazione stile Covid: al Giro per vincere una tappa

La prova del nove

Con Giacomo avevamo parlato anche ieri e aveva spiegato che la prima volata è un po’ un’incognita e, confermandolo, aggiunge che quanto visto ieri sarà un utile punto di partenza.

«Esatto – dice – sono contento, era una tappa per velocisti puri e Merlier è un bel velocista. Dopo le classiche ho staccato un po’, dovevo recuperare. Per cui non sapevo bene cosa aspettarmi. Non mi sono allenato inseguendo qualcosa di particolare. Ieri ho avuto buone sensazioni, oggi sarà la prova del nove. Il discorso meteo sarà decisivo, a me non piace correre sotto la pioggia. Durante la tappa, Viviani mi ha un po’ spiegato il percorso, dato che è andato a vederlo…».

L’autodichiarazione

La maglia. La bicicletta. Il casco. Non c’è parte del suo kit che non ricordi il tricolore, coperto dalle insegne di campione d’Europa. E non è un mistero che correre il Giro con la maglia di campione italiano avrebbe avuto un altro sapore.

«Fa strano non avere addosso il tricolore – sorride – ma come avete visto, cerco di metterlo dovunque. In ogni caso è bello correre anche con la maglia di campione d’Europa, mi riconoscono, chiamano il mio nome. L’idea della bici con quei colori nasce da una mia indicazione. I grafici di Bmc avevano fatto delle proposte e sono stati bravi a fare la sintesi con le mie idee. Mentre il casco è pure tricolore e con l’idea dell’autodichiarazione, sul fatto che sono qui per una vittoria di tappa, spero di aver strappato un sorriso e insieme ricordato il difficile momento Covid da cui stiamo uscendo».

La sua Bmc ha il telaio azzurro con i colori d’Europa e l’orizzontale con quelli d’Italia
La sua Bmc ha il telaio azzurro con i colori d’Europa e l’orizzontale con quelli d’Italia

Moda e bici

Il ciclismo e il Giro in questi giorni stanno facendo la loro parte per portarci fuori da quella prospettiva dolorosa e bloccata. Il pubblico è presente lungo le strade con la mascherina, mentre sul fronte delle distanze ci sarebbe da dire qualcosa, anche se la sensazione, in una fase di riapertura degli stadi, è che ci sia la necessità di tenere la briglia sciolta per non avere figli e figliastri.

«Stiamo tornando alla normalità – chiude Nizzolo – direi che dopo questi mesi il ciclismo è diventato uno sport super di moda. Probabilmente è quello che prima mancava, fa piacere a tutti, a noi per primi che ne abbiamo fatto il nostro mestiere. E’ una bellissima cosa».

Bettini: «Vi svelo il segreto della Deceuninck»

30.03.2021
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Mark Cavendish, Fernando Gaviria, Elia Viviani: è lungo l’elenco di velocisti usciti da anni ruggenti alla Deceuninck Quick Step e poi affievoliti nel loro curriculum di successi. Tanto che nell’ambiente è ormai diffusa l’idea che se esci da quel gruppo, non vinci più…

Andare alle radici di questo principio non è facile, a meno che non l’hai vissuto sulla tua pelle, come accaduto a Paolo Bettini: «E’ nato tutto da Tom Boonen (con lui nella foto d’apertura, ndr). Quando correvamo insieme lui era il velocista, io me la cavavo, ma puntavo su altre corse e avevo altre caratteristiche, ma già allora nel team c’era uno spirito che si è tramandato nel tempo».

Come si crea lo spirito vincente?

Più che spiegarlo, posso raccontarlo tramite un aneddoto. Nel 2008 eravamo alla Vuelta, in una tappa di pianura Boonen mi disse che non se la sentiva di fare la volata e avrebbe tirato la mia. Io gli risposi di fare un’altra cosa: dedicarci a Wouter Weylandt, che era il suo ultimo uomo e invertire le parti. Li pilotai fino all’ultimo chilometro, Boonen fu l’ultimo vagone del treno e il compianto Wouter vinse. Questo è lo spirito, fatto di trasparenza, sincerità e amore per la squadra.

La volata vincente di Weylandt: era la Vuelta 2008, tre anni prima della tragedia al Giro
La volata vincente di Weylandt: era la Vuelta 2008
Quanto influisce la mano di Lefevere?

Tantissimo. Lui trasmise la filosofia del sacrificio per uno scopo comune sin dagli inizi. Bisogna ricordare che la Quick Step nasce dalle ceneri della Mapei, dove la dottoressa Spazzoli, moglie del patron Squinzi, aveva coniato un motto: «Un team per vincere insieme», che avevamo fatto nostro.

Patrick Lefevere con Bettini, un sodalizio che ha portato il toscano ai vertici mondiali
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Eppure nell’ambiente molti faticano a nascondere un pizzico di malizia, quando si parla dei successi in casa Deceuninck…

Chi non conosce quel sistema non potrà mai capire. Io l’ho vissuto agli albori, lavorando con Lefevere nel 1999 e 2000 e poi dal 2003 fino al 2008, praticamente a fine carriera. Tutto nasce dalla cura del minimo dettaglio, della persona prima ancora che della performance perché questa arriverà di conseguenza.

Perché allora il velocista che esce dalla Deceuninck fatica a ritrovarsi?

Il discorso è più ampio e riguarda la figura stessa del velocista. Se non hai un supporto forte non puoi più vincere. Non basta cambiare squadra, devi farlo portandoti dietro almeno due elementi del tuo treno. Meglio ancora se gli ultimi due. Altrimenti devi ricostruire tutto, ritrovare gli automatismi, perdi mesi e la stagione non ti dà il tempo di attendere. Ma non basta…

Elia Viviani e Mark Cavendish: tante difficoltà dopo l’addio alla Deceuninck
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Che cosa manca ancora?

Devi ricreare anche un giusto ambiente, quello spirito di cui parlavamo all’inizio. Capire che si lavora tutti insieme sacrificandosi, si vince insieme e si perde insieme. Se dovessi sintetizzare, alla Deceuninck vincono perché sono una famiglia prima che un team, altre squadre che puntano tutto sulla scienza non riescono a fare lo stesso.