L’ultima Vuelta di Gesink, Affini e il gusto per la bici

18.09.2024
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Finita la Vuelta e dopo 18 stagioni da professionista, Robert Gesink ha appeso la bici al chiodo. Non è da tutti trascorrere l’intera carriera nello stesso gruppo: alla fine anche Ulissi ha dovuto rassegnarsi e ha lasciato la UAE Emirates. L’olandese c’è riuscito, con l’aggiunta di un anno nella continental della Rabobank: il team di sviluppo di cui il team si era dotato ben prima di altri.

Con lui alla Vuelta e nei mesi della preparazione, c’era anche Edoardo Affini. Il fresco campione europeo della cronometro ha trascorso la corsa spagnola tirando per Van Aert (finché c’è stato) e mettendo nelle gambe la fatica per le sfide di Hasselt. Però intanto ha potuto osservare gli ultimi giorni da corridore di Gesink e il modo in cui la squadra di sempre lo ha accompagnato alla pensione.

«La sera dell’ultima tappa di montagna – racconta Affini – ci siamo bevuti un bicchiere di vino, perché il giorno dopo c’era la crono, quindi non è che si potesse fare chissà cosa. Invece la domenica sera, siamo stati fuori a mangiare e c’è stato un momento un po’ più rilassato con la squadra e tutto lo staff. Abbiamo fatto un po’ di cinema. Qualcuno ha raccontato degli aneddoti. C’erano i vari capi, poi Robert ha ringraziato tutte le persone che gli sono state vicine durante il percorso, la famiglia e i vari allenatori. Quello è stato il momento della chiusura.

«Invece al via di Lisbona – prosegue Affini – la squadra gli aveva consegnato due bici personalizzate. Sul tubo orizzontale c’erano i vari colori delle maglie che ha indossato nello stesso gruppo. Quindi per esempio l’arancione della Rabobank, il verde della Belkin, il blu di Blanco. Gli hanno fatto la bici da strada e anche quella da cono, in modo che gli resti il ricordo degli ultimi 18 anni».

Sei arrivato nella squadra olandese che Gesink era già in una fase discendente della carriera. Che ruolo ha avuto nel tuo inserimento?

Ci tiene a darti una mano. Essendoci praticamente nato, sa benissimo come lavora tutta l’organizzazione, quindi è stato un buon punto di riferimento per chi, come me, era appena entrato in squadra. L’ho sempre considerato un punto di contatto tra i corridori, i direttori e i manager. E’ comunque uno che si ascolta volentieri.

Cosa sapevi di lui quando nel 2021 sei arrivato alla Jumbo-Visma?

Quando sono passato professionista, aveva già iniziato la carriera da gregario e comunque era uno degli uomini di fiducia dei vari capitani. Però sapevo che era stato una delle grandi speranze del ciclismo olandese. Purtroppo però, ha avuto diversi infortuni che l’hanno segnato. E da quel momento è iniziata la transizione da capitano o comunque da leader a uomo squadra. Che poi si può essere un leader anche nel ruolo di uomo squadra, non solo per i risultati, mettiamola così.

Tra le vittorie più belle di Gesink, la tappa dell’Aubisque alla Vuelta 2016
Tra le vittorie più belle di Gesink, la tappa dell’Aubisque alla Vuelta 2016
Avete fatto insieme la Vuelta, avreste dovuto fare il Giro…

Dovevamo fare il Giro l’anno scorso, però si è ammalato. Dovevamo fare il Giro quest’anno ed è partito, però si è ritirato alla prima tappa per la caduta di Torino. Siamo partiti insieme alla Vuelta del 2022 e per un po’ l’abbiamo fatta assieme, poi però io sono dovuto andare a casa perché ero positivo al Covid. Quindi guardando il quadro completo, con lui ho fatto soltanto la Vuelta del 2024. In compenso, negli ultimi due mesi penso di aver visto più lui che la mia compagna.

Come mai?

Abbiamo fatto il ritiro a Tignes, quindi tre settimane insieme nello stesso appartamento. Poi siamo andati a Burgos e da lì alla Vuelta. Diciamo che ho vissuto molto da vicino i suoi ultimi due mesi da corridore. Eppure negli allenamenti e nella quotidianità non ho visto assolutamente alcun tipo di differenza. Super professionale, super motivato in qualsiasi aspetto. Sulla bici, giù dalla bici, negli esercizi a corpo libero prima di partire e anche dopo. Era sempre sul pezzo, non ha mollato proprio niente.

Pare sia sempre stata la sua grande qualità…

Infatti da quello che mi raccontano i miei compagni e quelli che l’hanno vissuto anche prima, Robert è sempre stato un corridore ultra professionale. E’ un grande amante della bici. Infatti scherziamo spesso o comunque abbiamo scherzato spesso sul fatto che adesso finalmente non dovrà più seguire una tabella, ma potrà fare tutte le ore che vuole. Finora magari c’era l’allenatore che gli diceva di non fare sei ore, ma di farne quattro con una serie di lavori specifici.

Invece adesso?

Invece adesso può prendere la bici e farci tutti i chilometri che vuole. Non credo che si metterà a correre in gravel come Valverde, ma adesso se vuole, può uscire la mattina e rientrare la sera. Abbiamo iniziato a prenderlo in giro sul bus, prima della tappa del sabato, l’ultima di montagna. «Dai che oggi è l’ultima volta che attacchi il numero, l’ultima volta che sei in gruppo. Divertiti!». Tutte stupidate così. Tanto lui sta allo scherzo. Non so cosa farà, ma di certo non scenderà dalla bici.

«La Jayco-AlUla che volevo»: dopo la Vuelta, Piva sorride

15.09.2024
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A luglio non era stato tenero. Avevamo chiesto a Valerio Piva un commento sul modo di correre della Jayco-AlUla e il diesse mantovano aveva detto che la squadra non rendeva come si aspettavano. Che per l’organico che hanno, sarebbe stato lecito aspettarsi altre vittorie e un altro atteggiamento. E poi aveva concluso dicendo che alla Vuelta avrebbe voluto vedere un cambio di passo e di atteggiamento.

Ora che la corsa spagnola è finita negli archivi con le due tappe vinte da Eddie Dunbar, siamo tornati da Piva per capire se quanto ha visto e vissuto sia finalmente simile a ciò che si aspettava. Davanti alla curiosità, Valerio fa una mezza risata.

«E’ stata una bella Vuelta – comincia – perché abbiamo vinto due tappe, abbiamo fatto tre secondi e altri piazzamenti. La squadra è stata presente come mi sarei aspettato quando abbiamo fatto quell’intervista. Nella prima settimana abbiamo sofferto il caldo, ma era davvero tremendo. Qualcuno l’abbiamo perso per malattia, però diciamo che da quando Dunbar ha vinto la prima tappa, tutto il gruppo ha cambiato passo. La Jayco-AlUla è diventata quello che mi aspetto da una squadra, voglio dire corridori motivati che cercano il risultato ogni giorno».

La prima vittoria di Dunbar al Campus Tecnológico Cortizo Padron ha motivato la Jayco-AlUla
La prima vittoria di Dunbar al Campus Tecnológico Cortizo Padron ha motivato la Jayco-AlUla
Senza pensare alla classifica: una scelta?

Dunbar ha perso minuti all’inizio, così abbiamo deciso di lasciarla stare. E’ stato un vantaggio, perché la prima vittoria è venuta da una fuga e lo hanno lasciato andare. La seconda invece è stata una vittoria molto importante, perché si è reso finalmente conto che ha le qualità per rimanere con i migliori in salita e l’ha dimostrato. Quindi ha superato questo periodo di sfortuna, incluso il ritiro dal Giro, con le cadute e tutto quello che è successo quest’anno. E penso che da adesso in poi avrà confidenza, morale e motivazione per se stesso e per la squadra. Quando uno vince, i compagni di squadra sono più presenti.

La seconda vittoria staccando i primi di classifica avrà dato morale certamente a lui…

Continuava a dirmi che si sentiva forte, che voleva vincere qualcosa e che la situazione di classifica non era normale. Quindi ci ha creduto fino alla fine e c’è da dargli merito. Noi l’abbiamo supportato e l’abbiamo spinto nelle fughe, perché un piazzamento nei quindici non ci cambiava nulla, invece una vittoria sarebbe stata più importante. In occasione della seconda vittoria, se fosse stato lì a lottare per i posti alti di classifica, quando si è mosso ai 5 chilometri forse gli sarebbero andati dietro. Ma è anche vero che quando dietro hanno aumentato, lui ha controllato bene.

Zana è arrivato secondo ai Lagos de Covadonga, battuto solo da Marc Soler
Zana è arrivato secondo ai Lagos de Covadonga, battuto solo da Marc Soler
I secondo posto di Zana ai Lagos de Covadonga è un rimpianto o un bel risultato?

E’ andato forte tutto il giorno. Gli avevo detto di stare attento a Soler, perché sapevo che era il più pericoloso. Il problema è che Soler ha una maniera di correre non facile da controllare. Si stacca, poi rientra e attacca. Filippo ci ha raccontato che un paio di volte si è staccato e lui ha controllato. Poi è rientrato e ha attaccato. E quando è partito, lui non aveva più gambe. Poi per fortuna è riuscito a controllare Poole. Secondo me il secondo posto con quel finale è stato il massimo che ha potuto tirare fuori. La vittoria sarebbe stata meglio, ma ci accontentiamo. In più Zana è uscito bene dalla Vuelta e magari lo rivedremo nelle prossime corse.

Tanti dicono che è stata una Vuelta di basso profilo perché non c’erano i tre fenomeni, altri dicono che però si è andati forte davvero…

Per gli atleti la prima settimana è stata molto impegnativa, con un caldo incredibile che ha debilitato tutti. Secondo me la tappa in cui O’Connor ha vinto non è venuta perché lo hanno lasciato andare, ma perché non ce l’hanno fatta a prenderlo. Sicuramente è stato sottovalutato, ma quel giorno faceva davvero caldo e qualcuno avrà pensato che li avrebbero ripresi tutti con il cucchiaino. Invece lui nell’ultima salita è andato più forte del gruppo e se l’è meritata. Roglic ha dovuto attaccare ogni giorno, perché l’australiano teneva bene. E quando alla fine l’ha passato, gli altri sono comunque rimasti indietro.

Anche Schmid, arrivato quest’anno alla Jayco-AlUla, ha fatto una grande Vuelta, con due secondi, un quarto e il quinto nella crono finale
Anche Schmid, arrivato quest’anno alla Jayco-AlUla, ha fatto una grande Vuelta, con due secondi, un quarto e il quinto nella crono finale
Quindi l’australiano è andato forte: buona notizia, dato che il prossimo anno correrà con voi…

E’ stato fortissimo, ma tutti si spremuti su quei percorsi per meritarsi certi piazzamenti. Anche Roglic si è trovato un paio di volte in difficoltà, è stata una Vuelta spettacolare e non scontata come al Giro, dove Pogacar ha preso la maglia e ha chiuso tutto. Abbiamo preso O’Connor perché vogliamo un capitano nei Grandi Giri che corra davanti, aggressivo. Simon Yates ha vinto la Vuelta e portato vittorie di valore, O’Connor può essere protagonista in qualsiasi gara. Può correre in modo da stimolare anche la squadra a stare davanti, stare concentrati e poi magari anticipare e andare in fuga come ha fatto lui. Io penso che ci possa dare delle soddisfazioni.

De Marchi è stato il motivatore che ti aspettavi?

All’inizio Alessandro avuto un problema di salute. Ha preso mal di stomaco, ho avuto paura che andasse a casa perché ha perso chili, si era disidratato. Poi è stato bravo, si è ripreso ed è ritornato il leader in campo, un corridore molto importante. Il giorno che Dunbar ha vinto la prima tappa, è stato lui che gli ha detto di andare, che era il momento giusto. Eddie si è mosso, è entrato nella fuga ed è andato. “Dema” è un corridore che vede la fuga. Quando aveva le gambe, ci andava lui. Adesso in qualche situazione non riesce ad andarci più, però è uno che vede la corsa ed è utilissimo in questi momenti per dare l’input agli altri.

Dopo il calvario della prima settimana, De Marchi è stato decisivo per lo spirito della Jayco-AlUla
Dopo il calvario della prima settimana, De Marchi è stato decisivo per lo spirito della Jayco-AlUla
Pensi che questa Vuelta possa diventare un esempio da indicare ai ragazzi?

Sicuramente sì, è già successo. La sera quando abbiamo festeggiato, c’era anche il nostro grande capo Gerry Ryan e lo ha detto a chiare lettere (l’imprenditore australiano, sponsor principale della Jayco-AlUla, è in apertura con Dunbar, ndr). Ha detto che la squadra deve correre così, che solo così si hanno risultati. Non dico che si vince tutto, ma anche i piazzamenti possono essere positivi se sono la conseguenza della qualità della squadra. E secondo me noi, con questa maniera di correre, possiamo raccogliere tanto. Quindi alla fine, sintetizzando, adesso sono soddisfatto…

Nella gran festa di Madrid, brindano in due: Roglic e Kung

08.09.2024
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Gli assenti hanno sempre torto, ma chissà perché finiscono sempre nei discorsi. Primoz Roglic vince la quarta Vuelta Espana senza avere davanti chissà quali avversari. Il suo percorso fino al trono di Madrid è lo stesso delle prime tre volte: cadute o batoste al Tour e poi la redenzione in Spagna. Roglic ha avuto per anni il livello di Pogacar, almeno finché questi ha salito il gradino che Primoz non potrà mai raggiungere. Per questo, era abbastanza scritto che, se fosse tornato al suo meglio, avrebbe conquistato la maglia rossa.

Alle sue spalle si piazzano Ben O’Connor, il cui miglior risultato finora era stato il quarto posto nel Tour del 2021. E poi Enric Mas, che per tre anni è arrivato secondo alla Vuelta e ormai ci si dovrà chiedere se chi la dura la vince o questa sia la sua dimensione definitiva.

Cadute e redenzioni, la prima

La prima nel 2019. Aveva chiuso terzo il Giro d’Italia vinto da Carapaz su Nibali, cui era arrivato vincendo la Tirreno-Adriatico e il Romandia. Era partito conquistando la maglia rosa nella crono di Bologna, poi si perse nei battibecco con Nibali e chiuse terzo. Arrivò in Spagna correndo nel mezzo soltanto il campionato nazionale, conquistò la maglia rossa nella crono di Pau alla decima tappa e la portò sino in fondo, lasciandosi dietro Valverde e un giovane connazionale di cui si diceva un gran bene: Tadej Pogacar.

La seconda nel 2020

La seconda nel 2020, dopo che quello stesso ragazzino impertinente gli rovinò il sogno del Tour. Roglic tenne la maglia gialla per undici tappe e la perse nella famigerata cronoscalata a La Planche des Belles Filles. Quel giorno gli astri si disallinearono e lo scaraventarono nella polvere. Riprendersi fu dura, ma Primoz trovò la forza in qualche angolo sperduto della mente. Andò in Spagna, prese la maglia il primo giorno, la lasciò andare per quattro tappe e si prese la seconda maglia rossa, precedendo Carapaz e Carthy.

La terza nel 2021

La terza l’anno dopo, quando si ritirò dal Tour dopo la caduta nella tappa di Tignes. Ugualmente si rimboccò le maniche, andò in Spagna, prese la maglia il primo giorno. Trascorse la maggior parte della Vuelta in terza posizione, lasciando l’incombenza del controllo alla Intermarché. Infine se la riprese vincendo la tappa ai Lagos de Covadonga, a quattro tappe dalla fine e vincendo anche la crono finale di Santiago de Compostela.

La quarta giusto oggi

Il meccanismo perfetto si inceppò l’anno dopo. Si ritirò dal Tour per caduta dopo aver aiutato Vingegaard a battere Pogacar e cadde anche alla Vuelta. Si arrotò in una improbabile volata nella tappa di Tomares, quando era chiaro che avesse le gambe per rimontare Evenepoel, che così conquistò il suo primo Grande Giro. Lo scorso anno, infine, vinse il Giro d’Italia e quando arrivò in Spagna trovò sulla sua strada i suoi compagni di squadra. Dovette arrendersi alla scelta di far vincere Kuss, lasciando il secondo posto a Vingegaard.

Un affare fra sloveni

Quest’anno doveva essere quello dell’assalto deciso e decisivo al Tour. Il passaggio alla Bora-Hansgrohe, diventata nel frattempo Red Bull-Bora-Hansgrohe. La preparazione certosina e lo scampato pericolo al Giro dei Paesi Baschi. E quando al Tour sembrava che, pur essendo indietro, avrebbe potuto giocarsi al meno il podio, la caduta verso Villeneuve sul Lot, provocata da Lutsenko e da una posizione troppo arretrata nel gruppo, lo ha rilanciato ugualmente verso la Vuelta. A tre anni dall’ultima vittoria e con 35 candeline da spegnere a ottobre. Nella stessa stagione, per giunta, in cui Pogacar ha vinto Giro e Tour: la Slovenia continua a comandare.

«E’ bello – dice Roglic – avere il record per il maggior numero di vittorie alla Vuelta. Oggi volevo finirla. E’ stata dura, ma è andato tutto bene e sono felice. Ho visto la prestazione di Kung. Sappiamo tutti che è forte in questo tipo di cronometro pianeggiante. Tuttavia, ho cercato di motivarmi per provarci, altrimenti sarebbe stata ancora più dura. Ho spinto e non ce l’ho fatta, per cui voglio congratularmi con lui, perché ha fatto un ottimo lavoro. Kung è stato incredibilmente forte oggi. Non ho parole, è incredibile che la Slovenia abbia vinto tutti e tre i Grandi Giri nel 2024. Ci sono da fare molti sacrifici, non solo io. La mia famiglia, le persone che ho intorno, ci sacrifichiamo tutti. E io sono felice di avercela fatta, per dare un senso alle tante rinunce. Apprezzo molto il supporto che ho ricevuto. Mi hanno già chiesto se vincerò la quinta, ma diciamo che per adesso quattro possono bastare».

La vittoria di Kung è stata netta: era lo specialista più forte in gruppo
La vittoria di Kung è stata netta: era lo specialista più forte in gruppo

La prima di Kung

Stefan Kung ha trent’anni ed è professionista dal 2015. Eppure, nonostante abbia vinto europei e titoli nazionali, non aveva mai vinto crono nei Grandi Giri. Oggi quel gap è stato chiuso ed è per questo che il sorriso dello svizzero era secondo forse soltanto a quello di Roglic.

«E’ incredibile – dice Kung – ho lottato per vincere una tappa di un Grande Giro per molto tempo. Volevo davvero la vittoria oggi e sapevo che con questo percorso dovevi dare il massimo e tenere duro fino alla fine. E’ quello che ho fatto, ho sofferto molto, ma penso sia stato così per tutti. C’è voluto molto tempo, ma è sempre bello se vinci con più di mezzo minuto. Dimostra che sei stato assolutamente il migliore, non è stata una coincidenza. E’ davvero bello e ripaga tutto il lavoro che abbiamo fatto come squadra, anche per sviluppare la nuova bici con Wilier.

«Cerco sempre di essere professionista al 100 per cento. Cerco sempre di tirare fuori il massimo da me stesso. E quando si vince, è una bella sensazione. Ci sono molte grandi cronometro ancora e aver vinto oggi mi darà la sicurezza per restare sull’onda. Penso che la Vuelta sia stata per me la migliore preparazione possibile per gli europei e per i mondiali di Zurigo, che saranno molto duri».

La Vuelta di Garofoli negli occhi e nei pensieri di suo padre

08.09.2024
8 min
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Una foto su Instagram. Garofoli è piegato sulla bicicletta, sfatto dalla fatica sull’arrivo di Villablino alla Vuelta. Alle sue spalle c’è il padre, che gli poggia appena la mano sulla schiena, quasi con la paura di fargli male. Il commento accanto recita: «Sempre al mio fianco. Daddy».

Che cosa spinge un padre a seguire il figlio in un posto così lontano? Perché Gianluca Garofoli ha sentito il bisogno di raggiungere il Nord della Spagna per stare accanto a suo figlio? Glielo abbiamo chiesto. Perché la carriera di Gianmarco di colpo si è fermata e di colpo lo sguardo guascone di quel ragazzino tutto scatti e nervi ha cambiato sfumature. Lo vedi che si è fatto uomo, ma capisci anche che manca qualcosa. La fiducia. La continuità. E anche un contratto per il prossimo anno. Perché un padre parte dall’Italia e suo figlio gli riconosce a questo modo la presenza?

«Da due mesi a questa parte – racconta – lo vediamo veramente in sofferenza per il discorso della squadra. Si sente in crescendo, sente che non ha avuto fiducia. Si sente in un vicolo stretto e vuole liberarsi, ma ancora non ce la fa. Purtroppo negli ultimi due anni ha avuto parecchia sfortuna e per questo ha perso quasi un anno di allenamenti. Di fatto sta un anno indietro con la preparazione. Si è visto qui alla Vuelta che più corre e più le sue prestazioni migliorano. Avrebbe potuto farlo prima un Grande Giro. Penso che quella foto l’abbia messa per ringraziarmi».

Alla partenza della tappa di ieri, con l’idea di andare in fuga: la Vuelta di Garofoli è stata finalmente positiva
Alla partenza della tappa di ieri, con l’idea di andare in fuga: la Vuelta di Garofoli è stata finalmente positiva

Il cuore e la paura

Ripilogando, Gianmarco Garofoli fa parte dell’infornata di Milesi, Germani, Piganzoli, Moro e tutti i 2002 che nelle categorie giovanili si dividevano le vittorie. Trascorre il primo anno alla DSM Development. Vince al Val d’Aosta, ma non si trova bene e nel secondo anno da under 23 approda alla Astana Development, guidato da Orlando Maini e fortemente voluto da Giuseppe Martinelli cui lo aveva consigliato Michele Scarponi in tempi non sospetti. E’ il 2022 e il marchigiano fa appena in tempo a partire, quando gli viene diagnosticata una miocardite, per la quale deve stare fermo a lungo. E’ l’inizio dei problemi.

«Fu un periodo di grande apprensione – racconta Gianluca – e quando di recente con mia moglie abbiamo sentito la notizia della morte del povero Roganti, ci siamo guardati con le lacrime agli occhi. E’ stato come smuovere una cosa molto dura, perché noi quella situazione l’abbiamo vissuta da vicino. La miocardite fu un grandissimo spavento. Fortunatamente il malore che ebbe fu preso per tempo. Il giorno dopo andammo all’ospedale e trovarono un principio di infarto. Fu preso in tempo e trattato. Da lì è stato tutto un buio, fino alla ripresa. Abbiamo vissuto con lui tutte le sue paure e le ansie. Anche se da papà, devo ammetterlo, per certi versi fu pure bello. In quel periodo era fermo con la bici, quindi non sapeva cosa fare e si dedicò a starmi dietro. Venne al lavoro in azienda, andammo in fiera, venne in giro per clienti. Fu pure bello, perché sennò questo spazio con il suo lavoro non sarebbe stato possibile…».

Primavera 2022. Un malore, la corsa in ospedale, la miocardite. Garofoli si ferma. Conseguenza del Covid? (foto Instagram)
Primavera 2022. Un malore, la corsa in ospedale, la miocardite. Garofoli si ferma. Conseguenza del Covid? (foto Instagram)
Dopo il cuore, tutto ha ripreso il giusto corso?

Neanche per sogno, sono continuate ad accadere una dietro l’altra. Anche quest’anno ha avuto la bronchite prima del Giro Italia e ha fatto due settimane di antibiotici. Alla prima corsa, ha iniziato ad avere i crampi allo stomaco. Fatti gli accertamenti, si è scoperto che c’era l’helicobacter in corso, quindi altre due settimane di antibiotico. E insomma alla fine ha perso un sacco di tempo per cause di questo tipo.

Adesso le cose sembrano andare meglio, perché allora la sua presenza alla Vuelta?

Ho seguito la corsa nei weekend, avevo piacere che mi sentisse vicino. Certo il pensiero della squadra non aiuta. Non c’è niente di ufficiale, ma da quando è entrato lo sponsor cinese, vogliono fare giustamente lo squadrone e gli hanno fatto capire che per lui non c’è più posto.

Giro di Valle d’Aosta 2021, Gianmarco Garofoli con il fratello Gabriele: suo primo tifoso
Giro di Valle d’Aosta 2021, Gianmarco Garofoli con il fratello Gabriele: suo primo tifoso
Suo figlio ha sempre avuto l’atteggiamento da guascone, forse le botte prese lo hanno cambiato, perché sembra molto più riflessivo…

In realtà, vivendolo da vicino e seguendolo alle corse anche con sua madre, lo studiamo. Gianmarco è sempre stato molto autonomo e indipendente, infatti noi molto spesso stiamo in disparte. Mi ricordo che da allievo di primo anno vinse il campionato regionale e ordinò da sé la maglia con la scritta della sua squadra. Tanto è vero che l’azienda da cui l’aveva ordinata mi chiamò per farmi complimenti. Non gli capitava spesso che un ragazzino di 15 anni fosse in grado di cavarsela da sé. Addirittura in quel periodo ebbe un incidente e si ruppe la clavicola e il titolare di quell’azienda, venne all’ospedale per conoscerlo. Non era guasconeria, era gioia esplosiva per i risultati che aveva. Però per contro è stato sempre molto altruista.

Ad esempio?

Noi abbiamo un altro figlio che ha la sindrome di down. E questo ha fatto sì che Gianmarco sia sempre stato con i piedi per terra e aiuti le persone più deboli vicine a lui o all’interno delle varie squadre in cui è cresciuto. La svolta ce l’ha avuta quando è andato alla DSM, lì è cresciuto moltissimo sotto tutti i punti di vista. La lontananza da casa e dagli amici. Fu uno dei primi a partire per una devo team straniera. Rimase su per sei mesi, tornando una sola volta e lassù maturò molto in tutti i sensi.

Due top 10 nel suo primo Grande Giro: Garofoli ha iniziato a mettere fuori la testa. Ha solo 21 anni
Due top 10 nel suo primo Grande Giro: Garofoli ha iniziato a mettere fuori la testa. Ha solo 21 anni
Con la DSM vinse delle belle corse: come la prendeste quando decise di cambiare squadra?

Anche sul piano delle squadre, ha sempre fatto da sé le sue scelte. L’ambiente DSM era particolare, ma non mi chiese consiglio, semplicemente a un certo punto disse che sarebbe andato via. C’ero anche io in Olanda quando ruppe il contratto. Loro dissero di non volere più un corridore che non riusciva a osservare pedissequamente le loro regole e che ogni volta che qualcosa non lo convinceva chiedeva spiegazioni. Lui rispose in inglese di non voler stare un solo giorno di più nella squadra che lo aveva inserito nel gruppo del Giro di Sicilia e poi lo aveva tolto dalla lista senza chiamarlo o dargli una spiegazione.

Non ha chiesto consiglio?

Credo che abbia preso una buona decisione. Mia moglie è stata bravissima sin da piccolino a renderlo indipendente nelle sue decisioni, per cui di solito va che lo assecondiamo, cercando però di stargli vicino nei momenti più difficili.

Si è sempre saputo che il nome suo alla Astana lo fece Michele Scarponi, che per Gianmarco è sempre stato un riferimento…

Michele era venuto alla sua comunione e alla cresima. Veniva a prenderlo a casa per portarlo ad allenarsi. Due giorni prima del suo incidente, si erano allenati insieme. Eppure la conoscenza venne per caso.

Ieri, salendo verso Picon Blanco, con Aleotti nella tappa regina della Vuelta
Ieri, salendo verso Picon Blanco, con Aleotti nella tappa regina della Vuelta
In che modo?

Mi pare che Gianmarco fosse ancora nei giovanissimi quando andammo allo Scarponi Day, che Michele organizzava a fine anno, con un pranzo e prima una pedalata da Filottrano a Sirolo, facendo la salita da Numana. Quella volta Gianmarco prese e scattò davanti al gruppo, avrà avuto 12 anni. Michele lo seguì e fecero insieme tutta la salita da Numana a Sirolo. Si conobbero così. Quando durante il pranzo venne il momento della lotteria per vincere le maglie che aveva messo in palio, Michele prese il microfono e disse che il body da gara non sarebbe stato estratto, perché lo avrebbe regalato al migliore di giornata. Chiamò Gianmarco e lo regalò a lui e fu così che nacque l’amicizia. Dopo un po’ che Michele era morto, Gianmarco ebbe un incidente e si ruppe una clavicola. Martinelli chiamò e ci invitò su, perché ci avrebbe pensato lui.

Lo conoscevate bene?

Non ci avevo mai parlato, ma ci raccontò che Michele gli parlava sempre di lui e diceva che avrebbero dovuto prenderlo. E anzi gli aveva detto che quando avesse smesso, si sarebbe dedicato a coltivare le sue grosse potenzialità. Era il lavoro che Michele si era prefissato per il dopo carriera.

Ci sono consigli che gli date in questo momento difficile oppure, visto che è così autonomo, lo osservate e non dite niente?

Il consiglio che gli diamo è di stare tranquillo, perché se c’è valore, viene fuori da solo. Secondo me la tranquillità paga sempre su tutto. Se uno deve andare, andrà di certo. Altrimenti vorrà dire che farà altro. E lui ogni cosa ha dovuto meritarsela. Mi ricordo dei mondiali del 2019, quando era campione italiano juniores e non volevano portarlo perché era troppo piccolino. Finché mio figlio andò ad affrontare il cittì e gli diede un ultimatum: «Dimmi cosa devo fare perché mi porti al mondiale».

Garofoli corre dal 2023 nell’Astana WorldTour. Approdò nel team kazako su indicazione di Scarponi
Garofoli corre dal 2023 nell’Astana WorldTour. Approdò nel team kazako su indicazione di Scarponi
Che cosa gli rispose?

Che lo avrebbe portato se avesse vinto il Trofeo Buffoni.

E lui?

Venne a casa e disse che lo avrebbe fatto. Infatti vinse il Buffoni, andò ai mondiali di Harrogate e si piazzò quinto. Stessa cosa al tricolore juniores. Prima di partire mi disse: «Papà, oggi vinco». E’ partito e ha vinto. Due sole volte mi ha parlato così e in entrambe ha vinto. Quindi sono convinto che la sua tranquillità porterà ai risultati. Sembra in crescita, capace di stare accanto a quelli più forti. Se avesse potuto fare prima un Grande Giro, forse oggi staremmo parlando di un altro corridore. Ha 21 anni, mi sembra strano che si ragioni di lui come di un vecchio. I procuratori gli dicono che deve fare punti sennò è difficile trovare squadra, ma io spero che la squadra venga fuori ugualmente. Stasera torniamo a casa insieme, sperando che i manager guardino i corridori non solo per i punti che portano.

Roglic vigila, Dunbar vince, fra Mas e O’Connor ballano 9 secondi

07.09.2024
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Doveva essere la tappa regina, ma con la sensazione che i giochi fossero già fatti, alla fine il poco che si è visto ha riguardato la lotta per il secondo posto. Con l’arrivo posto sulla settima salita di giornata, ad alzare le braccia al cielo è stato per la seconda volta in questa Vuelta Eddie Dunbar. L’irlandese del Team Jayco-AlUla è stato freddo ad aspettare il momento giusto, ha agganciato Sivakov a lungo in fuga e ha piazzato la zampata vincente. Alle sue spalle, dopo 7 secondi Enric Mas ha preceduto Roglic e altri 7 sono stati necessari per veder arrivare Ben O’Connor, che ha così mantenuto il secondo posto nella generale con 9 secondi sullo spagnolo. Si decide tutto domani nei 24,6 chilometri vallonati della crono di Madrid.

Eppure sull’arrivo irto di Picon Blanco a domani non si pensa ancora, tra la soddisfazione legittima del vincitore e della sua squadra, guidata in Spagna da un italiano – Valerio Piva partito per lasciare il segno.

«E’ fantastico – dice il tecnico mantovano – sapevamo che Eddie fosse in forma e super motivato per la tappa di oggi. La vittoria era un sogno e ora è realtà. Sono molto felice per lui. La squadra lo ha aiutato il più a lungo possibile e abbiamo capito che era il momento giusto quando tutti i leader si guardavano perché non aveano più gregari. Eddie è stato incredibilmente forte, perché rimanere davanti quando gli uomini di classifica si attaccano a vicenda non è facile. Ha mostrato una qualità e una forma fantastiche. Ha concluso questa Vuelta in ottima forma e questa è un’ottima notizia per lui e per noi».

L’astuzia e le gambe

Dunbar, che in classifica occupa l’undicesima posizione, è davvero al settimo cielo. La sua stagione era stata finora abbastanza sfortunata per non immaginare che prima o poi la sorte gli avrebbe sorriso. Il ritiro dal Giro d’Italia, in cui avrebbe fatto classifica, dopo appena due tappe meritava vendetta e le due tappe in questa Vuelta in qualche modo pareggiano i conti.

«Ho sempre saputo che sarebbe stata una tappa davvero difficile – dice – ma con il modo in cui sono state affrontate le ultime tre settimane, pensavo che molti sarebbero stati stanchi. Soprattutto i corridori della classifica generale, che hanno dato il massimo ogni giorno. Io sono un po’ indietro rispetto a loro e sapevo che se fossi rimasto agganciato, avrei potuto fare un bel risultato. Non mi avrebbero mai lasciato andare in fuga, per cui l’unico sistema sarebbe stato arrivare con loro. I compagni hanno fatto un lavoro fantastico negli ultimi giorni, tenendomi lontano dai guai. Mi hanno davvero sostenuto. Finiremo la Vuelta soltanto in cinque, ma hanno tutti corso in modo superbo.

«Quando ho attaccato, sapevo che avrei dovuto tenere il mio ritmo e pedalare alla soglia. Se qualcuno avesse voluto rientrare, avrebbe dovuto sostenere un grande sforzo. Però solo a 200 metri dall’arrivo ho pensato che avrei potuto vincere. Mi sono voltato e ho visto quanto spazio c’era e finalmente a 50 metri dall’arrivo ho iniziato a godermi la vittoria».

Roglic è salito sul podio con la mascherina: meglio evitare scherzi. Ma con i figli, difese abbassate…
Roglic è salito sul podio con la mascherina: meglio evitare scherzi. Ma con i figli, difese abbassate…

Un altro giorno di classifica

Roglic sta bene e si vede. Ha corso con la testa, mettendo a segno il colpo del kappaò proprio ieri. Con i 50 secondi rifilati a Mas e 1’49” a O’Connor sull’Alto de Moncalvillo, lo sloveno ha blindato la maglia e si avvia alla crono con leggerezza. Ben più di quando era leader al Tour del 2020 e Pogacar trovò le gambe per giustiziarlo. Ben più del Giro dello scorso anno quando a Monte Lussari toccò a lui giustiziare Thomas e prendersi la maglia rosa. Domani per Primoz non ci saranno altre preoccupazioni che quella di arrivare sano e salvo al traguardo, con 2’02” su O’Connor e 2’11” su Enric Mas.

«La squadra oggi non era al meglio – dice il leader nelle interviste post tappa – ma tutti hanno dato il massimo. Ho per loro grande rispetto, hanno dato tutto quello che avevano. Fortunatamente sto abbastanza bene, quindi è stata una bella giornata. Abbiamo fatto un bel lavoro in queste tre settimane e ora dobbiamo solo finirlo. Aspettiamo domani! Siamo un giorno più vicini alla meta, stiamo andando nella giusta direzione, ma domani sarà un’altra giornata importante. Dico sempre che non sono uno specialista delle cronometro. Dovrò nuovamente dare tutto sulla strada».

Anche oggi, O’Connor si è difeso alla grande, dimostrando di avere ancora forze
Anche oggi, O’Connor si è difeso alla grande, dimostrando di avere ancora forze

Metà delusione, metà speranza

I precedenti negli scontri diretti fra O’Connor e Mas non danno ragione all’uno né all’altro. Nella prima crono, Mas ha fatto 26 secondi meglio di O’Connor. Alla Tirreno-Adriatico, O’Connor fece 8 secondi meglio di Mas. Tuttavia osservando gli scontri diretti di questa Vuelta, la sensazione è che Mas abbia una marcia in più e anche una superiore attitudine in virtù dei progressi degli ultimi anni. Tanto che dopo l’arrivo O’Connor parla di giornata positiva, mentre lo spagnolo è deluso.

«Devo accontentarmi di quello che c’è – dice Enric Mas, leggermente abbacchiato – non posso chiedere di più. Mi sarebbe piaciuto prendere un po’ più di tempo su O’Connor, ma non è stato possibile. Mi è mancato qualcosa e per questo non sono del tutto contento. Pensavo che Carapaz avrebbe collaborato di più, ma adesso dobbiamo solo accettare la realtà e sperare domani di fare una super cronometro. Devo andare a dormire pensando a questo. Corro in Spagna, darò tutto e sono sicuro che andrà bene. Il podio è qualcosa di bello, ma siamo qui a parlare di guadagnare 9 secondi per salire un altro gradino del podio, mentre eravamo venuti per vincere. Perché ovviamente non credo di poter dare più di due minuti a Roglic».

Soler vince, Van Aert cade, O’Connor si salva, Zana ci fa sognare

03.09.2024
6 min
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Lagos de Covadonga, salita delle Asturias a quota 1.069. Soler vince la tappa, Zana arriva secondo e avresti avuto voglia di spingerlo in questa sua rincorsa all’attaccante spagnolo. Alle loro spalle, nella lotta per la classifica generale, Ben O’Connor si salva anche oggi. E anche se alla fine il margine residuo è di 5 secondi, ti scopri a fare il tifo perché tenga la maglia ancora per un po’. Roglic là davanti non tira un metro. Si fa portare al traguardo da chi ha rincorso gli scatti di Landa e poi di Mas e passa sulla riga senza spendere un grammo più del dovuto.

Se domani e giovedì promettono di essere giorni senza attacchi, l’arrivo di venerdì al Moncalvillo potrebbe essere quello del patibolo. Poco male, verrebbe da dire: l’australiano si è difeso con piglio e autorità. La sua Vuelta se l’è goduta, sia pure ultimamente stringendo i denti.

La caduta di Van Aert porta via dalla Vuelta la maglia verde e quella a pois. Il belga è in ospedale per accertamenti
La caduta di Van Aert porta via dalla Vuelta la maglia verde e quella a pois. Il belga è in ospedale per accertamenti

Da Van Aert a Soler

Soler è al settimo cielo, in un giorno che per il UAE Team Emirates potrebbe aver significato anche la vittoria della maglia a pois. Infatti il più accreditato per la conquista, Wout Van Aert, è caduto nella discesa della Collada Llomena ed è finito violentemente contro una scarpata rocciosa. Ha provato a ripartire, ma si è presto reso conto di non riuscire a piegare il ginocchio. E dando la sensazione di essere leggermente sotto choc, è stato costretto al ritiro. Sapremo nelle prossime ore quali siano le sue condizioni effettive. Per Vine, che vestiva il primato della montagna al posto suo, si spalanca la via di Madrid, dovendosi difendere dal compagno Soler, che stasera ha ben altro cui pensare.

«Come ve lo spiego cosa provo? Felicità – dice infatti il vincitore di tappa – ricompensa per il lavoro. Penso a mia moglie e i miei figli e a me che sono lontano da casa da tanto tempo. All’inizio soffrivo, ero al limite. Ma poco a poco ho visto che i rivali si stavano staccando. Ho tenuto il passo e sapevo che l’uomo da tenere d’occhio sarebbe stato Poole, perché a Manzaneda era arrivato secondo dietro a Castrillo. Tenevo d’occhio lui e ho approfittato di un suo piccolo rallentamento per attaccare. Ho preso qualche metro e ce l’ho fatta. Non la definirei la vittoria più importante della mia carriera, ma sicuramente è speciale. Da quando sono qui alla UAE non ho molte occasioni. Ci ho provato più volte e ho commesso degli errori, ma ora ci sono riuscito…»

«Non mi sentivo molto bene stamattina – dice invece Jay Vine – e per questo ho deciso di lavorare per Soler e Del Toro. Ero in gara due anni fa quando Marc vinse a Bilbao, quindi è piuttosto speciale essere stato parte di un’altra sua vittoria. La caduta di Van Aert non è assolutamente il modo in cui volevo prendere la maglia a pois e onestamente devo dire che si stava dimostrando più forte di me. Ma l’obiettivo di oggi era una vittoria per la squadra e quell’obiettivo è stato raggiunto. Avevamo tre corridori in fuga, è stata una mossa grandiosa. Del Toro è un ragazzo giovane, al suo primo Grande Giro, e oggi sembrava davvero in forma».

Il secondo di Zana

Eppure in questo giorno in cui si simpatizza per il leader quasi spogliato e si prova compassione per Van Aert, che si era ripreso benissimo dall’infortunio di primavera e speriamo non ci finisca nuovamente dentro, i Lagos de Covadonga e la loro nebbia hanno portato (quasi) bene anche a Filippo Zana. Il vicentino, già protagonista al Giro, prima ha collaborato con Marco Frigo (settimo al traguardo), poi alla fine ha fatto da sé, ottenendo il secondo posto a 18 secondi da Soler. I due azzurri, classe 1999 per Zana invece 2000 per Frigo, sono i soli due italiani dei pochi presenti in Spagna a essere saliti sul podio di tappa. Frigo infatti c’era riuscito a la Yunkera, arrivando secondo dietro O’Connor nel giorno della sua lunghissima fuga.

Filippo Zana, classe 1999, è arrivato secondo a 18″ da Soler: la sua Vuelta va in crescendo
Filippo Zana, classe 1999, è arrivato secondo a 18″ da Soler: la sua Vuelta va in crescendo

«Soler è partito più di una volta – racconta Zana – e l’ultima è stata quella giusta. Io sono andato sotto il mio passo, ma siamo andati veramente forte per tutto il giorno, le forze erano quelle. C’erano delle belle salite non molto facili, ma ho cercato di dare il tutto per tutto. Già non era cominciata bene. In partenza sono caduto subito con Van Aert e avevo un po’ di dolore al ginocchio. Poi sono riuscito a tornare davanti, c’erano un po’ di salitelle e sono riuscito a prendere la fuga giusta. Però non avevo tanta voglia di cadere ancora, per cui la discesa in cui è caduto Van Aert l’abbiamo fatta piano. Era tecnica e e bagnata, mentre quel pezzetto sembrava un po’ più asciutto, quindi forse hanno rischiato di più e nella prima curva sono andati fuori. Non valeva la pena rischiare…

«Nel finale non si vedeva niente. Sapevamo che Soler era davanti e non aveva molto – prosegue Zana – ma c’era così tanta nebbia che non si vedeva niente. Perciò adesso ci dormiamo sopra e poi ci riproviamo, anche se non è facile prendere le fughe. Ci sono altre tappe, speriamo sia di avere le gambe sia di prendere la fuga giusta per provare a vincere. Sono contento della mia condizione. Sto crescendo, magari davvero si riesce a fare qualcosa di buono».

La resa di O’Connor

O’Connor passa con il morale basso. Ha parlato brevemente con Paret Peintre, che probabilmente si è scusato per non averlo assistito sino in cima. Ma il compagno lo ha rincuorato, infilandosi il giubbino della squadra.

«In realtà non pensavo che sarebbe andata così male oggi – dice – ma alla fine ho salvato la maglia. Immagino che sia un bel risvolto positivo per le prossime due tappe. Perciò ormai devo solo godermela al massimo, perché non sono più sicuro che a Madrid vincerò io. Il ciclismo australiano produce sempre buoni risultati ed è bello ritrovarci a combattere nelle posizioni di testa».

Il destino è segnato. Se anche sopravvivesse miracolosamente alle salite, la legge di Roglic nella crono sarebbe inappellabile. Dopo un po’, si percepisce che la stia prendendo col sorriso. Leggermente amaro, va bene, ma farsela andare di traverso servirebbe solo a stare peggio.

Oviedo saluta la Vuelta, la Spagna scopre Castrillo

02.09.2024
5 min
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Il secondo riposo della Vuelta si va concludendo a Oviedo: città del sidro e di Samuel Sanchez, campione olimpico di Pechino. In alto si riconosce il profilo del Naranco, arrivo di una classica in disuso dal 2010 che richiamava i migliori corridori del mondo. Negli hotel della Vuelta si ragiona molto sul tempo riguadagnato e poi perso da Roglic a causa delle penalità. Eppure, anche se O’Connor dice che venderà cara la pelle, la sensazione che lo sloveno si riprenderà presto ciò che è suo si fa largo nel gruppo.

La Spagna dibatte sulle gambe magrissime di Enric Mas terzo in classifica e sul doppio exploit di Pablo Castrillo, vincitore prima a Manzaneda e poi ieri sul Cuitu Negru, che nel pomeriggio ha parlato con i giornalisti molto curiosi. Quel che appare certo, riferendosi a un futuro ravvicinato, è che il corridore dell’Equipo Kern Pharma ci riproverà. Non potrebbe essere altrimenti, dato che alla Vuelta dall’ammiraglia lo guida Mikel Nieve: uno che sulle salite lasciava spesso il segno. Parlando più a lungo termine, appare ormai scontato che l’anno prossimo Castrillo indosserà una maglia diversa. Al grande interesse della Ineos Grenadiers, di cui il quotidiano Marca aveva iniziato a parlare già durante il Giro d’Italia, si sarebbe affiancato quello di altre tre squadre WorldTour. Il corridore ha fatto sapere che prenderà la decisione finale dopo la Vuelta.

«Devo ringraziare proprio Mikel Nieve – racconta – per come mi ha guidato fino ai pedi della salita. Ho deciso di provare da sotto perché Sivakov aveva tirato tanto. Quando Vlasov mi ha ripreso, sono diventato nervoso. Mi ha spaventato parecchio perché sapevo che è un avversario difficile, non sapevo però quanto fosse forte. Allora ho deciso di riprovare per vedere cosa sarebbe successo. E alla fine c’è scappata la vittoria. E’ stata una giornata incredibile».

La prima vittoria poteva essere un exploit, la seconda invece?

Ho sentito molti aggettivi. Ero già soddisfatto della vittoria di Manzaneda, per cui tutto quello che fosse venuto dopo sarebbe stato un regalo. Ma la vittoria di ieri per me è stata molto più di un regalo. Vincere contro gli uomini di classifica e su una salita così grande è stato davvero pazzesco. Qualcuno ha detto che gli ho ricordato Valverde, io non so chi diventerò. So che ho avuto molta calma e molto sangue freddo. Mi sono scoperto più tranquillo, soprattutto dopo la vittoria dell’altro giorno. Sono riuscito a conquistare la vittoria senza agitarmi come invece era successo a Manzaneda.

Come mai vieni fuori solo quest’anno, mentre nel 2023 hai faticato così tanto?

Ho pagato il passaggio di categoria, ma ho imparato dagli errori del passato e adesso sono capace di vincere. Mi sono appassionato al ciclismo grazie a mia madre e mio fratello Jaime, che è anche molto forte (corre in una continental portoghese, la Sabgal-Anicolor, ndr). Ha un motore incredibile, è un talento. Andavo a vederlo alle corse e, anche se da piccolo ho fatto altri sport come l’hockey che a Jaca è molto popolare, vederlo in bici mi ha fatto appassionare al ciclismo.

Vincendo a Manzaneda ti sei commosso dedicando la vittoria ad Azcona, in pratica il fondatore della tua squadra, scomparso proprio quel mattino.

E’ stato tutto pazzesco, lo dico dal profondo del cuore. Soprattutto per l’emozione con cui le persone stanno vivendo questi miei risultati. Chi mi ferma o mi scrive dice che prova una gioia immensa, come se la vittoria fosse stata loro. E questo è molto speciale per me. Ricevere tanto amore fa piacere, dà emozione. Mia madre mi ha detto di aver pianto davanti alla televisione per la prima vittoria e di averlo rifatto ieri. Non so se riuscirò a vincere nuovamente, tanti mi dicono di riprovare ai Lagos de Covadonga (la tappa di domani, ndr). Non so se verrà una tripletta, sono molto soddisfatto così.

Se non altro potrai correre con la mente libera…

Esatto, ora non ho niente da perdere. Cercherò di individuare altre fughe per vedere di vincere ancora. Ma adesso non ci penso. Il riposo serve per tirare il fiato e godere di quello che si è raggiunto. E io sono molto stanco e ho due vittorie da celebrare.

Roglic attacca e viene punito. O’Connor tiene, Castrillo vince

01.09.2024
6 min
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Se qualcuno pensava che la vittoria di Castrillo nella dodicesima tappa, alla Estacion de Montaña de Manzaneda, fosse stata per caso, a quest’ora ha dovuto ricredersi. Lo hanno fatto tutti, forse anche Sivakov e Vlasov che sono stati in fuga con lui per tutto il giorno, immaginando in che modo lo avrebbero staccato, quando lo hanno visto andare via non appena le rampe più severe del Cuitu Negru sono iniziate sotto le ruote. La montagna di Dario Cataldo ha premiato un ragazzino spagnolo con tante cose da dire e la maglia della Kern Pharma sulle spalle.

Il ragazzo non è piccino come uno scalatore. E’ alto 1,83 e pesa 74 chili, eppure quando ha cambiato passo, lo ha fatto con una frullata degna del miglior Froome e ha preso il largo. Prima della vittoria di tre giorni fa, la sua precedente risaliva al campionato spagnolo della crono U23 del 2022: l’identikit si fa interessante.

Pablo Castrillo ha 23 anni ed è pro’ dal 2023. E’ alto 1,83 per 74 chili
Pablo Castrillo ha 23 anni ed è pro’ dal 2023. E’ alto 1,83 per 74 chili

Il sogno di Castrillo

E se l’altro giorno la vittoria aveva portato con sé una gradazione pazzesca di emotività, oggi si è trattato dell’esplodere di gambe e voglia di dimostrare qualcosa. Si dice che sulle tracce del corridore di 23 anni originario di Jaca ci sia già la Ineos Grenadiers e lui ce l’ha messa tutta per dargli qualche spunto aggiuntivo.

«Tre giorni fa – dice – non ho fatto che pensare a Manolo Azcona in ogni momento, per tutta la tappa. Quando ho tagliato il traguardo ho pensato molto a lui. E’ stata una fortuna avergliela potuta dedicare. Grazie a lui sono emersi grandi corridori come quelli che erano in fuga con me, cioè Soler e Rodriguez. Perciò ho voluto dedicargli la vittoria per tutto ciò che ha significato per il ciclismo e per la nostra squadra.

«La verità è che oggi non me l’aspettavo. Stamattina – prosegue – sono arrivato con l’intenzione di andare in fuga e vedere come sarebbe andata, ma non mi aspettavo di arrivare nella posizione per vincere. La prima vittoria è stata incredibile, ma ottenerne una seconda è un sogno. Penso che sia la migliore Vuelta possibile. Non so cos’altro dire».

Red Bull-Bora all’attacco

Oggi era il giorno della prima, vera resa dei conti fra Roglic e O’Connor. Anche Landa voleva lasciare il segno. Eppure nonostante il gran lavoro della Soudal-Quick Step, quando si è scatenata la bagarre, la maglia rossa ha tenuto più di quanto si pensasse e domani vivrà il riposo da leader della Vuelta per l’undicesimo giorno consecutivo. A preparare l’attacco dello sloveno si è ritrovato Lipowitz, che occupando a sua volta il sesto posto della classifica, non ha badato a spese nell’affondare il colpo.

«L’intera tappa è stata super dura – spiega il tedesco della Red Bull-Bora – è stato un ritmo super duro fin dall’inizio. Nell’ultima salita, ho cercato di stare con i migliori. Poi, negli ultimi 3 chilometri ho lanciato l’attacco di Primoz. Ho dato tutto quello che potevo, poi sono esploso completamente. Ho cercato di arrivare al traguardo nel miglior modo possibile, ma alla fine ero completamente al limite. Penso che Roglic abbia fatto un buon lavoro e avevamo anche Vlasov davanti, quindi penso che oggi abbiamo fatto bene tutti e ora siamo molto più vicini alla maglia rossa».

La risposta di O’Connor

O’Connor ha la faccia tosta di dire che tutto sommato ancora ci crede e a diventare l’agnello sacrificale non ci pensa troppo. E a ben vedere è stato bravo. Non ha neppure provato a rispondere allo scatto di Roglic, anzi ha preso il suo passo. E anche se alla fine il suo vantaggio risulta dimezzato (risalirà sopra al minuto per la penalizzazione inflitta a Roglic), intanto arriva al riposo con la maglia rossa. E magari per la sua squadra va bene anche così.

«Oggi ero ottimista – dice inaspettatamente – immagino di aver smentito le persone che si aspettavano che perdessi la maglia. Ho avuto una giornata piuttosto buona. E’ un peccato che sia scoppiato un po’ nel finale, ma è stato uno degli arrivi in salita più orribili che abbia mai fatto. C’è stato un solo attacco, quello di Roglic. E’ stato super impressionante, poi è stata una scalata uomo contro uomo. Mi sentivo come se non stessi andando da nessuna parte, non riuscivo a vedere nulla con la nebbia. È stato difficile, ma sono ancora in testa, quindi va bene. Domani mi riposerò e poi martedì affronterò i Lagos de Covadonga. Sono orgoglioso di me e dei ragazzi. Penso che sia davvero un momento magico».

Roglic ha cambiato bici prima della salita finale, perdendo 20″ per una penalizzazione per scia
Roglic ha cambiato bici prima della salita finale, perdendo 20″ per una penalizzazione per scia

Il cambio bici di Roglic

Roglic ci ha provato anche cambiando bici. Si è fermato quando la corsa era nella direzione della scalata finale e si è fatto passare dall’ammiraglia una Tarmac Sl8 con monocorona da 46 e pacco pignoni 10-44. Ruote a profilo medio di Alpinist, per un peso di 6,81 contro i 6,9 dell’altra. Non l’aveva mai usata prima, ma sapendo di dover affrontare una salita così ripida, lo sloveno non ha rinunciato a giocare la carta della tecnologia, puntando sull’inerzia inferiore dei cerchi più bassi.

Purtroppo il margine guadagnato in salita è stato vanificato in parte dai 20 secondi di penalità che gli sono stati inflitti per il rientro dietro troppe scie, proprio in occasione del cambio di bici. Lo sloveno ha mostrato ottime gambe e probabilmente la sua erosione al trono di O’Connor darà i frutti che spera. Forse c’è da sistemare un po’ la mira: il punto scelto per il cambio bici non era forse dei migliori.

Marcato in estasi: «Yates ha fatto una cavalcata alla Tadej»

25.08.2024
6 min
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«Non avevo mai sofferto così tanto», ha detto Adam Yates subito dopo l’arrivo. «Fa così caldo che dall’ultima salita ho avuto i crampi. Non sapevo davvero se avrei potuto continuare così. Ho avuto molta sfortuna negli ultimi grandi Grandi Giri, per cui sono felice di essere riuscito finalmente a vincere di nuovo una tappa. Abbiamo fatto molto bene come squadra, con Marc e Jay (Soler e Vine, ndr) nella fuga. Mi hanno lanciato alla perfezione. Dopodiché sono rimasto solo con Gaudu.

«Quando ho visto che stava attraversando un momento difficile per il caldo – prosegue il britannico – ho capito che avrei dovuto approfittarne. E da quel momento in poi è stata solo sofferenza e sofferenza fino alla fine. Se posso dirlo, non mi interessa la classifica. Oggi era tutta una questione di vittoria di tappa. Ho dato tutto quello che avevo perché non avevo niente da perdere».

Adam Yates è rimasto in fuga per 58 chilometri e alla fine ha vinto con 1’39” su Carapaz e 3’45” su O’Connor
Adam Yates è rimasto in fuga per 58 chilometri e alla fine ha vinto con 1’39” su Carapaz e 3’45” su O’Connor

La giornata perfetta

Difficile dire se Marcato lo abbia ascoltato, dato che il diesse vicentino sulla prima ammiraglia della UAE Emirates in quel momento la stava guidando fino all’area dei pullman. Di certo però la sua idea in questo momento è ben altra. E anche se i ritmi sono convulsi perché c’è da prendere l’aereo che porterà il gruppo al riposo di Vigo, c’è spazio per il ragionamento. Adam Yates ha vinto la tappa di Granada con una fuga di 58 chilometri. Ben altro stile rispetto ai colpi chirurgici in salita con cui ha vinto ad esempio il Giro di Svizzera.

«Hai presente – sorride Marcato – quando fai un piano e va tutto bene? Oggi è andata così. Siamo partiti prima per la tappa, perché magari Adam alla classifica non ci credeva ancora tanto. Noi invece pensiamo che tutto sia ancora possibile, vedendo come corrono. Nulla vieta che arrivi un’altra fuga come quella che ha dato la maglia rossa a O’Connor. Si sta correndo in situazioni meteo impegnative, diverse tappe si sono fatte sopra i 40 gradi. Anche oggi abbiamo fatto un gran lavoro di idratazione lungo il percorso per permettere ai ragazzi di non soffrire troppo. E devo dire che la prestazione è un gran segnale che dà tanta motivazione, perché è stata una grande performance di squadra».

Tiberi è incorso in una pessima giornata, piegato da un colpo di calore che lo ha costretto al ritiro
Tiberi è incorso in una pessima giornata, piegato da un colpo di calore che lo ha costretto al ritiro

Un colpo di calore per Tiberi

Granada ha accolto la nona tappa della Vuelta con il calore di una fornace e purtroppo il primo a farne le spese è stato Antonio Tiberi. L’italiano del Team Bahrain Victorious si è fermato una prima volta alle prese con il mal di testa e poi ha alzato bandiera bianca, vittima di un colpo di calore. La squadra ha messo in atto tutti i metodi per abbassare la sua temperatura, che hanno dato buon esito, ma non hanno scongiurato il ritiro.

Il ragionamento di Marcato non ha grinze. L’impresa di Adam Yates e quella di Carapaz riaprono la classifica e riportano dentro due uomini pericolosi. Si vedrà nei prossimi giorni se davvero il britannico non abbia davvero in animo di risalire posizioni. Intanto va al riposo con un minuto di ritardo dal podio e magari, sfogliando le tappe, capirà che l’occasione non va sciupata. Anche perché nonostante la vittoria di ieri, Roglic non appare ancora quello dei bei tempi, per cui nessun epilogo potrebbe stupirci. E O’Connor sarà un osso duro da mandare a casa. Oggi intanto ha sprintato e ha colto il terzo posto.

«Ho preso l’abbuono nello sprint per il terzo posto – ha detto il leader di questa Vuelta – non è esattamente la mia specialità, ma quei 4 secondi erano lì da prendere. Penso di aver dimostrato che non mi toglieranno questa maglia tanto facilmente. Il giorno di riposo sarà bello, anche perché sono saldamente al comando e con una squadra forte intorno a me. Felix Gall ha fatto un buon lavoro, ma in genere tutti i ragazzi hanno fatto la loro parte. Mi dà fiducia per il proseguimento di questa Vuelta».

Una cavalcata alla Tadej

Marcato va avanti nel ragionamento. Durante la riunione sul pullman ha fatto i complimenti ai ragazzi e dato le indicazioni più importanti per le prossime ore. Domani si riposa, ma prima è stato giusto riconoscergli la bontà del lavoro, all’indomani del ritiro di Almeida che sembrava la figura più vicina a un leader per la generale.

«Joao – racconta Marcato – era uscito benissimo dal Tour e teneva a fare bene. Si sono preparati entrambi alla grande, per cui sono partiti alla pari e poi sarebbe stata la strada a parlare. Ma visto che Adam aveva pagato tantissimo il caldo e sembrava fuori dai giochi, ci eravamo concentrati di più su Almeida. E le cose poi sono andate così. Per questo stamattina abbiamo detto che la cosa migliore sarebbe stata andare in fuga con Adam e due compagni. Lui poi ci ha messo del suo e ha fatto una cavalcata alla Tadej.

«Soler è stato fantastico e anche Vine. Ma quando ha visto che Gaudu soffriva e Carapaz si stava avvicinando – prosegue Marcato – Adam ha semplicemente fatto il suo passo, che però è bastato per andare al traguardo e aumentare il vantaggio. Ora il riposo sarà importante per ricaricare le batterie. Andrà gestito bene. La tappa di martedì ha una salita di prima categoria in partenza e se ci arrivi ingolfato, rischi di restarci. Vedremo come vorranno gestirlo…».

Ancora tutto da scrivere

Nell’angolo della EF Education, Carapaz ha appena dichiarato che vincere la Vuelta potrebbe diventare un obiettivo. In casa Red Bull-Bora invece, Roglic ricorda a tutti di aver avuto ancora fastidi dalla schiena e ci si chiede se lo sloveno stia bluffando o in realtà non fosse davvero pronto per rientrare e abbia dovuto farlo per esigenze di squadra. Come dicevamo ieri, la Vuelta è appena decollata. Vivremo le prossime due settimane senza un italiano in classifica, ma convinti che ne vedremo delle belle.