Saronni e il primo Pogacar. La Vuelta della sua esplosione

03.10.2024
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Passano i giorni, ma l’eco della straordinaria impresa iridata di Tadej Pogacar non si spegne, soprattutto per come essa è arrivata. Per la dinamica che ha esaltato da una parte la sua follia, dall’altra la sua clamorosa superiorità sulla concorrenza. Sono ripartiti i confronti con i grandi del passato e c’è già chi afferma che siamo di fronte al più grande ciclista di sempre.

Andando più in là in questi discorsi di confronto che lasciano sempre il tempo che trovano, noi abbiamo voluto rispolverare il Pogacar dei primordi nel mondo dei professionisti, quel ventenne sloveno che si rivelò al mondo alla Vuelta 2019 con un terzo posto condito da tre vittorie di tappa. Giuseppe Saronni, che contribuì al suo arrivo alla Uae Emirates, ricorda bene chi era allora e le differenze con quello attuale.

Una delle tre vittorie di tappa alla Vuelta 2019, dove molti scoprirono il talento dello sloveno
Una delle tre vittorie di tappa alla Vuelta 2019, dove molti scoprirono il talento dello sloveno

Il ragazzino che sorprese tutti

«Io andrei ancora più in là nel tempo, all’anno prima e alla sua vittoria al Tour de l’Avenir che è sempre stata la corsa più importante della categoria inferiore. Già allora ci arrivavano testimonianze su questo sloveno bellissimo nell’andatura, nella posizione in bici, anche nella faccia limpida anche sotto sforzo. Si vedeva che aveva qualità non comuni, in salita staccava corridori che erano già nelle professional.

«Chi era presente alla corsa francese – prosegue – ci raccontò di imprese che fecero strabuzzare gli occhi a tanti e di Pogacar si cominciò a parlare con molta frequenza. Noi lo avevamo già contattato e dall’anno successivo era sotto contratto con noi. Appena passato di categoria ci mise poco ad ambientarsi, a vincere anche fra i grandi, soprattutto nelle piccole corse a tappe, conquistando quelle dell’Algarve, della California, ma soprattutto lo faceva con una facilità disarmante, che lasciava attoniti i diesse delle squadre avversarie. Procedeva passo dopo passo, ma si vedeva che stava bruciando le tappe e quindi decidemmo che fosse già maturo per farsi le ossa in un Grande Giro. Così lo portammo alla Vuelta e lì sbocciò il campione che conosciamo».

Pogacar vincitore dell’Avenir 2018: per Saronni è stato quello il momento della sua rivelazione al mondo
Pogacar vincitore dell’Avenir 2018: per Saronni è stato quello il momento della sua rivelazione al mondo

L’azzardo di cambiare le regole

A quel tempo però Pogacar era solito aspettare la fine delle tappe, piazzare la sua stoccata nei chilometri finali, ma già allora c’era l’impressione che quel modo di correre quasi lo annoiasse: «E’ un’ipotesi, solo lui potrebbe dare una risposta esauriente. Il principio è che quando stai bene e hai un potenziale come il suo, ti senti portato a fare cose anche illogiche come quella di domenica. Sei talmente superiore che sei in grado anche di cambiare le regole di corsa. Un’azione come quella era azzardata, non potevi sapere che cosa sarebbe successo dietro, se si sarebbero organizzati, inoltre se avevi forze sufficienti per portarla a compimento. Ora sappiamo tutti com’è andata…».

Saronni nei suoi primi anni di carriera ha convissuto con Eddy Merckx, al quale tutti avvicinano lo sloveno con il Cannibale che addirittura ha detto che gli è superiore. Fare confronti fra epoche diverse è difficile, ma Beppe li ha conosciuti bene tutti e due, in che cosa differiscono? «Non possiamo metterli di fronte, troppo diversi i periodi, la tecnica, la scienza del tempo. Ai nostri tempi non si parlava di preparazione, tabelle di allenamento, alimentazione, tutti temi che oggi sono all’ordine del giorno. Io ho un paio di foto con Eddy, fatte al mondiale del ’76 vinto da Moser che custodisco gelosamente: allora Merckx non faceva più paura, eppure aveva un carisma, meritava un rispetto enorme per quello che aveva fatto.

La voglia di vincere sempre

«Possiamo confrontarli dal punto di vista caratteriale, questo sì: Merckx sappiamo tutti che voleva vincere sempre. Per lui il mondiale e la gara di quartiere avevano lo stesso valore e le correva con lo stesso obiettivo. Tadej forse è da allora il corridore che più lo ricorda da questo punto di vista, non partecipa mai per il solo gusto di partecipare, ogni volta che inforca la bici vuole fare qualcosa, farsi vedere, provarci, a prescindere da quale sia il percorso».

Nelle dichiarazioni del dopo mondiale, Pogacar ha ammesso che teme di avere un tallone d’Achille nella Sanremo, che pure Merckx vinse ben 7 volte: «La Classicissima di allora era ben diversa proprio per le ragioni esternate prima: tecnica dei mezzi a disposizione, differenze dei corridori, preparazione… Il percorso della Sanremo permetteva anche di fare quelle differenze che oggi sono impossibili, sia perché è un tracciato molto semplice, sia perché a inizio stagione i corridori sono uniformati, vengono dalla preparazione invernale, sono tutti pronti e al massimo. Ma attenzione: proprio perché è semplice, la Sanremo è una corsa difficilissima da interpretare perché anche uno come Tadej non sa come esprimere la sua superiorità, non ci sono appigli per farlo, anche il Poggio è troppo poco. Non è un caso se coloro che l’hanno vinta con la maglia iridata addosso si contano sulle dita di una mano…».

Pogacar chiuse terzo a 2’55” da Roglic e alle spalle anche di Valverde. La maglia roja è un altro suo obiettivo
Pogacar chiuse terzo a 2’55” da Roglic e alle spalle anche di Valverde. La maglia roja è un altro suo obiettivo

Meglio la Roubaix della Sanremo…

E la Roubaix? Tadej farà come Hinault, che la corse e la vinse una volta sola e poi non ne volle più sapere? «Tadej l’ha già corsa da junior, sa che cos’è e sa anche che per certi versi è addirittura più facile rispetto alla Sanremo per lui. Io credo che quando vorrà e la preparerà a dovere potrà anche vincerla, a maggior ragione con condizioni climatiche estreme come c’erano quasi sempre quando correvo io mentre ora sono diventate piuttosto rare. Ripeto: la Roubaix ha quelle caratteristiche che possono esaltare la sua superiorità tecnica e tattica, la Sanremo resta un rebus, per questo è affascinante e lo sarà ancora di più».

Cattaneo è tornato, ma che fatica arrivare fin qui…

27.08.2024
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Il primo riposo è alle spalle e per fortuna nell’area di Vigo le temperature sono scese di parecchio. La massima è stata per tutto il giorno di 26 gradi, circa 14 meno rispetto ai giorni scorsi in Andalucia. La Vuelta riparte senza Tiberi, eliminato da un colpo di calore, e con la classifica che vede ancora in testa O’Connor, poi Roglic, Carapaz, Mas e al quinto posto Mikel Landa, già quinto all’ultimo Tour. La Soudal-Quick Step punta forte sul basco e per dargli qualche chance in più gli ha costruito attorno una bella squadra. Fra gli uomini prescelti, c’è anche Mattia Cattaneo. Lui avrebbe dovuto fare parte della guardia scelta di Remco per il Tour, ma qualcosa (che ora vi racconteremo) glielo ha impedito. Per adesso è in hotel che riposa in vista della decima tappa, che inizia con una bella salita di prima categoria. Giusto per non farsi mancare nulla.

«Fino a ieri – dice – c’era un caldo potentissimo, da far venire i pompieri a spruzzare acqua sul gruppo. Nove giorni tutti così. Detto questo, siamo qui per Mikel, ma non so dire cosa mi aspetto. E’ veramente imprevedibile. Ogni giorno può andare via la fuga che prende i minuti. Andò così anche l’anno scorso quando Kuss beccò la fuga, prese una palata di minuti e poi fu bravo a tenerli. Secondo me dipende anche dai percorsi che aiutano questo tipo di azioni e rientri in classifica. Ormai ci sono talmente tanti corridori che vanno forte, che non si può controllarli tutti. In più non c’è un vero e proprio super favorito con la squadra costretta a controllare, per cui chiunque attacchi, può prendere del tempo».

Prima tappa del Romandia, 24 aprile: Cattaneo prende il via, ma si ritirerà: inizia il lungo stop
Prima tappa del Romandia, 24 aprile: Cattaneo prende il via, ma si ritirerà: inizia il lungo stop

Non parlavamo con lui dai primi giorni di primavera, quando il progetto di scortare Evenepoel al Tour de France ne aveva fatto uno dei riferimenti della squadra. Nel cerchio della fiducia del piccolo belga, anche per via dei trascorsi negli ultimi tempi, il bergamasco rappresentava uno degli elementi di maggior rilievo. Invece di colpo Cattaneo è sparito, dai radar e dalle corse. Ritirato il 24 aprile nella prima tappa del Romandia e di nuovo in gruppo soltanto il 25 luglio nella prima tappa del Czech Tour. Tre mesi di blackout, con la visita a sorpresa ai compagni nel giorni di riposo di Livigno al Giro.

Perché non sei andato al Tour?

Mi hanno trovato un problema alla tiroide e sono stato fermo quasi 40 giorni da fine aprile a metà giugno. Quindi penso che la risposta sia chiara. Era impossibile rimettersi in forma, ma io non sono uno capace di raccontare tante cose. Per cui alla fine è stato un periodo difficile. Mi hanno trovato questo problema e anche la cura, che consiste semplicemente nel prendere una pastiglia.

Tutto risolto?

Il problema è che una persona normale impiega sei mesi a trovare il dosaggio giusto. Per cui sono partiti da quello che secondo loro era corretto, però mi dava un sacco di effetti collaterali. In bici diventavo balordo. Facevo fatica a dormire. Non stavo bene in generale, per cui non sarei stato in grado di allenarmi. Quindi alla fine hanno preferito aspettare che i valori tornassero a posto, senza sapere quanto tempo sarebbe servito. Se una settimana oppure un anno, perché dipende da come reagisce il corpo, in quanto tempo si adatta e ritrova l’equilibrio. Alla fine ci ho messo un mese abbondante.

Salite, caldo e ventagli: Cattaneo conferma che in questa Vuelta durissima non è mancato proprio nulla
Salite, caldo e ventagli: Cattaneo conferma che in questa Vuelta durissima non è mancato proprio nulla
Ti hanno trovato l’anomalia alla tiroide perché sei stato male?

In realtà no, anzi stavo meglio prima rispetto a quando ho iniziato a curarmi. Sono andato a fare i controlli del sangue periodici imposti dall’UCI ed è venuto fuori un valore anomalo della tiroide. Stavo facendo la Parigi-Nizza, per farvi capire quando tutto è partito. Mi hanno chiesto se mi sentissi stanco e io ho risposto che lo ero come chiunque stesse facendo una corsa così tirata. Per cui abbiamo deciso che dopo la Sanremo sarei andato a fare degli esami specifici.

E come è andata?

Quando mi sono arrivati i risultati, non c’era un solo valore a posto, per cui mi hanno detto di stare fermo per una settimana, dieci giorni. Quando sono andato a rifare gli esami, quel valore che era appena anomalo era diventato sette volte peggiore. Nel frattempo ho provato a vedere se riuscivo a tenere un po’ di condizione, ma alla fine ho dovuto fermarmi per forza. Altrimenti non ne sarei più venuto fuori.

La squadra ti ha seguito in questo percorso?

Sono stato seguito da un endocrinologo in Italia, anche per una questione di comodità. Però sempre in contatto con Corsetti, che è il mio medico di riferimento per la Federazione, e con i dottori della squadra.

Cattaneo al lavoro per Landa: i due assieme sarebbero stati grandi spalle per Remco al Tour
Cattaneo al lavoro per Landa: i due assieme sarebbero stati grandi spalle per Remco al Tour
E adesso è tutto come prima?

Adesso sto bene, onestamente. All’inizio ero preoccupato, ho pensato che non ho più vent’anni e alla peggio avrei smesso. Non sapevo, dopo una roba così, se sarei riuscito a tornare. Invece sono contento, perché sono quello di prima. Certo ho dovuto vedermi il Tour di Remco in televisione, ma quasi non mi è dispiaciuto, dal tanto forte che andavano (ride, ndr).

L’importante è che stai bene, perché eri un po’ sparito anche dai radar e anche la squadra non ha fatto trapelare nulla…

Non volevano che lo dicessi finché non fossimo stati certi dei tempi di ripresa, ma a me di certe cose interessa poco. Meglio dire le cose come stanno, anche se sapete come vengono gestite queste comunicazioni. Adesso finalmente sono com’ero prima. Prendo questa pastiglia ogni mattina e fine della storia. Però all’inizio è stata davvero dura. Mi sentivo un’altra persona, ma mi hanno detto che erano sintomi connessi con la tiroide. Mi venivano attacchi d’ansia e roba così, da non capire cosa fosse. Invece, da quando ho iniziato a stare bene, i valori sono tornati tutti a posto. Sono tornati tutti in equilibrio e ora mi sento esattamente come prima.

Come è stato ricominciare?

Mi sono rimesso sotto come al solito, nel senso che sono un professionista, con la testa del professionista. Però un conto è allenarsi, un conto andare alle corse. Ho ripreso a Czech Tour ed era la prima corsa dopo quattro mesi abbondanti che non correvo. Quindi per me era già tanto essere lì, a prescindere che fosse una corsetta. Era un primo step e quando ho visto che andavo bene, mi ha dato una bella spinta.

Le foto… spiritose prima del via della Vuelta, ma per Cattaneo esserci è stata già una vittoria
Le foto… spiritose prima del via della Vuelta, ma per Cattaneo esserci è stata già una vittoria
Sei rientrato con degli obiettivi?

Gli obiettivi che mi ero posto per quest’anno sono tutti già passati (sorride amaramente, ndr). Però già essere qua alla Vuelta ed essere competitivo e aiutare Landa mi sembra una cosa grossa. Già essere tornato quello di prima per me si potrebbe considerare un primo obiettivo raggiunto.

Inizia la seconda settimana della Vuelta.

E ci sarà da centellinare le forze. Anche domani (oggi, ndr) potrebbe benissimo andare via qualcuno con 6-8 minuti di ritardo, ne prende 4 e te lo ritrovi in classifica. Si ha un bel dire che la terza settimana sarà durissima, come se la prima sia stata tenera e la seconda non sia ugualmente dura impestata…

In Spagna attenti a Riccitello, oriundo nostrano

15.08.2024
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Non si può certo dire che Matthew Riccitello sia una rivelazione. Il ventiduenne americano di Tucson già da giovanissimo si era messo in luce come uno dei talenti più promettenti, ma non ha avuto quella deflagrante esplosione che ci si attendeva e che hanno avuto altri della sua generazione, da Evenepoel in poi. Pian piano però l’oriundo italiano ha trovato il suo spazio, anzi in questa stagione ha mostrato di che pasta è fatto.

L’ultimo Giro della Svizzera lo ha visto protagonista, quasi un Don Chisciotte contro l’armata della Uae, ma Matthew non si è per nulla intimorito, dando battaglia quasi come un corridore smaliziato. Tanto che all’Israel Premier Tech si sono lustrati gli occhi, confidando di avere fra le mani un vero diamante grezzo. Alla vigilia della Vuelta dove conta di essere protagonista, Riccitello ha deciso di farsi conoscere un po’ di più anche nella terra delle sue origini.

Riccitello è al terzo anno all’Israel, con contratto firmato anche per il 2025
Riccitello è al terzo anno all’Israel, con contratto firmato anche per il 2025
Come hai iniziato a fare ciclismo?

Sono cresciuto in questo sport perché mio padre era un triatleta professionista, quindi il Tour de France era sempre in TV d’estate. Mi piaceva guardarlo, ma da ragazzino seguivo molto le gesta di mio padre, quindi correvo e nuotavo, avrei voluto fare come lui. Poi quando avevo 14 o 15 anni, per qualche motivo ho deciso che volevo iniziare ad andare solo in bici e fare ciclismo su strada, da allora non mi sono più fermato.

Tu vieni dall’Arizona, quanto è diffuso il ciclismo e l’uso della bici in quello stato?

Direi che è decisamente più popolare rispetto alla maggior parte degli altri Stati, perché il clima è così bello lì, tanto che è stato un posto dove per molti anni molti ciclisti professionisti si allenavano d’inverno, quindi direi che è uno sport piuttosto popolare, ma non è neanche lontanamente come lo è in Italia o in questi Paesi europei.

L’americano corre spesso in Italia. Al Giro d’Abruzzo è stato 3° fra i giovani
L’americano corre spesso in Italia. Al Giro d’Abruzzo è stato 3° fra i giovani
Il tuo cognome tradisce le origini italiane: da dove viene la tua famiglia e che legami hai con l’Italia?

La parte di mio padre è italiana: il mio bisnonno è venuto dall’Italia, neanche so più da dove, per prima cosa a New York e poi da lì con la famiglia si è spostato a Tucson. Quindi abbiamo un po’ di sangue italiano. Io amo l’Italia. Amo la cultura. Amo le corse di queste parti, è il mio Paese preferito in Europa, mi piace molto venirci a correre e, perché no, a mangiare…

Di te si parla molto sin da quando eri junior, ma quest’anno sembri aver fatto un vero miglioramento, a che cosa è dovuto?

Penso che nel tempo ho acquisito più esperienza. In realtà ogni gara che ho fatto sin dagli inizi, sono sempre migliorato un po’. La cosa più importante è semplicemente essere costante e allenarsi in modo coerente e cercare di imparare il più possibile. Quest’anno ho fatto un grande passo avanti e credo che molto sia dovuto al fatto che sono sicuramente migliorato fisicamente, ma quel che conta è acquisire sicurezza e sapere che posso esserci quando la corsa si decide. Una volta che ce l’hai in testa, che ne sei convinto, è molto più facile.

Al Giro 2023, alle spalle di Fortunato. Per Riccitello una grande esperienza
Al Giro 2023, alle spalle di Fortunato. Per Riccitello una grande esperienza
Stai emergendo molto nelle corse a tappe, è quella la tua dimensione preferita?

Sì, di sicuro. Le corse a tappe sono dove mi esprimo meglio, ma non solo in quelle brevi, io credo che col passare dei giorni posso andare sempre meglio e per questo attendo la Vuelta con curiosità. Sento di riprendermi bene ogni giorno ed è quello che mi piace. Vedremo dove mi porta.

Al Giro di Svizzera sei stato il vero avversario del team di Yates e Almeida: ti sentivi in minoranza?

Forse un pochino. Erano in ottima forma e avevano una squadra fortissima dalla loro. Stavano andando davvero bene, quindi è stato difficile tenere loro testa. In quegli arrivi in cima alla montagna, era come se potessi tenere il passo con loro, quindi si trattava solo di cercare di tenerli il più a lungo possibile. Forse io ero un po’ isolato ma non c’era molto altro che potessi fare. Loro erano semplicemente più forti, almeno in quell’occasione, ma ciò mi dà maggiore stimolo per cercare di colmare quel divario man mano che cresco e faccio più esperienze.

Il ventiduenne ha dato filo da torcere a Yates e al suo team al Giro della Svizzera
Il ventiduenne ha dato filo da torcere a Yates e al suo team al Giro della Svizzera
Sei già confermato all’Israel per il prossimo anno, come ti trovi e pesa per voi il non essere un team WorldTour?

Per me è il primo contratto da professionista e la squadra è stata subito super, super fantastica. Per me, il fatto che sia una squadra professionistica e non un World Team non cambia molto. Voglio dire, penso che lo sia, come valore e come calendario seguito. E credo che valga un po’ per tutti noi. La squadra è gestita in modo molto professionale, quindi per me non c’è differenza.

Ora parti per la Vuelta, quali saranno gli obiettivi tuoi e della squadra?

Per me, voglio partire bene sin dalle primissime tappe e cercare di fare una buona classifica generale. La squadra è molto competitiva, ci sono Bennett e Woods che possono anche loro puntare alle posizioni alte, poi Corbin Strong per le volate. La squadra è anche ben costruita, con Teuns, Frigo, Raisberg e Sheehan che potranno darci aiuto nelle prime fasi delle tappe, proteggerci un po’. Non abbiamo una strategia definita, penso che la prenderemo giorno per giorno e man mano che la gara si sviluppa, decideremmo il da farsi.

Il giovane americano si sta mettendo sempre più in luce. All’Israel puntano su di lui per la Vuelta
Il giovane americano si sta mettendo sempre più in luce. All’Israel puntano su di lui per la Vuelta
Tu sei americano e dalle tue parti ora si festeggia la vittoria nel medagliere olimpico. Se dovessi scegliere fra vincere un mondiale o un’Olimpiade che cosa preferiresti?

Domanda molto difficile per me – ride – Penso che come hai detto, essendo americano, le Olimpiadi siano così importanti. Succede solo una volta ogni quattro anni, hai tutti gli occhi puntati addosso. Mettiamola così: dovrei scegliere una medaglia d’oro olimpica piuttosto che un titolo mondiale, ma sceglierei sicuramente una maglia iridata piuttosto che una medaglia d’argento o di bronzo olimpica.

L’anno nero di “Juanpe” Lopez. Che non può più sbagliare

10.11.2023
5 min
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Che fine ha fatto Juan Pedro Lopez? Che ne è di quel talentuoso spagnolo della Lidl-Trek che nel 2022 indossò la maglia rosa per dieci giorni, dopo aver impressionato tutti sulle rampe dell’Etna, cedendo solamente al tedesco Kamna, riuscendo alla fine a entrare nei primi 10? E’ davvero incredibile pensare che, a un solo anno di distanza, siamo di fronte a un corridore che non ha colto neanche una top 10 in tutta la stagione, a fronte di 73 giorni di gara.

Eppure qualche piccolo segnale alla fine della stagione si è visto o almeno così vogliamo interpretare il 17° posto finale alla Vuelta. Niente per un corridore che ha ben altre ambizioni di partenza, ma è il segno che in fondo il talento c’è ancora. E allora che cosa è successo?

Per Lopez un anno davvero difficile, mai nelle prime 10 posizioni. Serve un reset completo
Per Lopez un anno davvero difficile, mai nelle prime 10 posizioni. Serve un reset completo

Tutto è cominciato a gennaio…

A provare a dare una risposta è chi proprio in quella Vuelta lo ha guidato, l’ha seguito passo passo. Adriano Baffi era il diesse di riferimento e le sue parole possono sembrare dure, ma ci sono anche comprensione e sostegno.

«E’ stata una stagione ampiamente sotto le aspettative – dice il tecnico italiano – ma questo lo sa bene anche lui, anzi è il primo ad essere arrabbiato. Io credo che tutto sia nato da una caduta nel ritiro di gennaio, dove ha riportato la frattura della clavicola. Qualcosa che a un ciclista capita spesso, ma per lui era la prima volta e ci ha messo tanto tempo a recuperare, è andato sempre all’inseguimento. Il problema è che ha perso fiducia in se stesso, nella sua stessa tenuta in gruppo».

Adriano Baffi, diesse alla Lidl-Trek che ha guidato il team alla Vuelta
Adriano Baffi, diesse alla Lidl-Trek che ha guidato il team alla Vuelta
Un problema fisico, tecnico, mentale?

Io direi soprattutto mentale, non riusciva a superarlo, col risultato che poi tutto è diventato un perenne inseguimento per essere competitivo. Gli abbiamo dato fiducia al Delfinato, dove ha corso in supporto di Ciccone, poi è andato al Tour ma ha sofferto per tutte e tre le settimane. Ha comunque tenuto duro e poi lo abbiamo portato alla Vuelta dove ha confermato quello che ci aspettavamo. Non possiamo dire che sia andato benissimo, ma ci ha messo tanta grinta, il piazzamento – discreto – è stata una conseguenza.

Che idea ti sei fatto di lui come corridore?

Io continuo a pensare che sia un corridore da grandi Giri, uno come lui però è da top 10. Poi arrivi 15° o 17° cambia poco, è chiaro che non era il Lopez del Giro 2022. Lì aveva una condizione ottima, il morale alle stelle, ma quel Lopez non lo abbiamo più visto e lui per primo non è contento di questo, non si sente se stesso, vuole molto di più.

Lo spagnolo con la maglia rosa al Giro d’Italia 2022, quando si rivelò al grande pubblico
Lo spagnolo con la maglia rosa al Giro d’Italia 2022, quando si rivelò al grande pubblico
Fondamentale quindi sarà avere un inverno senza intoppi, non solo fisici…

Assolutamente. Quando si comincia a correre sono già tutti tirati, vai subito alla ricerca del limite, se ti trovi di fronte un problema devi risolverlo subito e lui non è riuscito a farlo. Se forzi la situazione non è detto che trovi la soluzione.

Secondo te può tornare quello del 2022?

Secondo me può andare anche oltre, è uno scalatore di vaglia con una grinta come pochi, ma deve migliorare in tante cose. Di regola è uno che nelle gare importanti è davanti, fra quei 25 che hanno quel qualcosa in più, io dico però che può andare ancora oltre, essere all’altezza dei più forti. Diciamo che è un team player, che può anche avere ambizioni proprie pur correndo al servizio di un capitano. E questo è un profilo fondamentale nei grandi Giri.

L’iberico con l’ammiraglia al Tour. La squadra gli dà fiducia, ma vuole segni di ritorno ai fasti del 2022
L’iberico con l’ammiraglia al Tour. La squadra gli dà fiducia, ma vuole segni di ritorno ai fasti del 2022
Parliamoci chiaro: nel ciclismo di oggi se sbagli una stagione diventi oggetto di un’approfondita attenzione, è come se ti fossi giocato il jolly, poi non puoi più sbagliare…

E’ un po’ così, lui lo sa bene. Sei sulla graticola, sai che devi recuperare innanzitutto in credibilità anche se, è bene sottolinearlo, Juan Pedro non ha alcuna colpa. E’ solo che le cose sono andate così. Da un anno negativo, soprattutto alla sua età (Lopez ha 26 anni, ndr) puoi anche prendere tanti insegnamenti utili, crescere. Noi ci aspettiamo molto da lui nel prossimo anno.

Dove pensate che verrà impiegato?

E’ ancora presto per parlare di programmi specifici, va capito dove utilizzarlo. A lui il Giro d’Italia piace molto e anche a noi. Abbiamo chiuso al 5° posto nel ranking e il prossimo anno vogliamo salire, per questo abbiamo anche cambiato molto in squadra. Ora ha una motivazione in più, la voglia sempre più forte di far bene e confermare il suo potenziale. Sapendo che, come avete detto, il suo jolly se lo è giocato.

Giro o Vuelta, quale miglior GT per debuttare? Risponde Maini

31.10.2023
4 min
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«Da italiano, mi verrebbe da scegliere il Giro. Però da giovane, mi viene da dire di più la Vuelta. Se non dovessi recuperare bene le fatiche del Giro d’Italia, me le porterei per tutto il resto dell’anno. Alla Vuelta invece, si è quasi a fine stagione, quindi un po’ mi salverei». Queste le parole di Alessandro Verre ad Enzo Vicennati in un’intervista fatta durante il Tour of Guangxi.

Questa considerazione del lucano lancia un tema: qual è il miglior grande Giro  per un giovane professionista? E perché? Lo abbiamo chiesto a Orlando Maini, direttore sportivo tra i più esperti in assoluto e molto a contatto con i giovani.

Orlando Maini è attualmente uno dei diesse dell’Astana-Qazaqstan: vanta un’esperienza pluridecennale prima come atleta e poi appunto come tecnico
Orlando Maini è attualmente uno dei diesse dell’Astana-Qazaqstan: vanta un’esperienza pluridecennale

Differenze? Una volta forse…

Tutto sommato le parole di Verre hanno un certo fondamento. Lorenzo Germani, che ha un anno in meno di Verre, ci aveva detto giusto dodici mesi fa che non avrebbe avuto in programma i grandi Giri per la prima stagione nel WT, salvo lasciare una porta aperta sulla Vuelta nel caso tutto fosse andato bene. Una scelta quella della Vuelta che non avrebbe poi fatto tanti “danni”, primo perché a fine stagione e poi perché ci si arriva con qualche mese di esperienza da pro’.

«Io – spiega Maini – ritengo che il Giro d’Italia sia il giusto mix fra Tour e Vuelta. Per anni la corsa rosa è stata etichettata come la più dura d’Europa, ma dico che negli ultimi anni la tendenza non mi è sembrata questa. Semmai una volta la Vuelta e ancora di più il Tour avevano caratteristiche ben diverse. Tanta pianura all’inizio e montagne dopo e questo presupponeva una divisione di categorie di ciclisti da chiamare in causa (magari si poteva approfittare di questa finestra meno dura per esordire, ndr). Ora non è più così. E anche la Vuelta non è certo leggera. In più arriva a fine anno e anche se sei giovane e ci arrivi bene, sei comunque stanco».

Lorenzo Germani della Groupama-FDJ ha esordito nei GT all’ultima Vuelta. Il laziale è un classe 2002
Lorenzo Germani della Groupama-FDJ ha esordito nei GT all’ultima Vuelta. Il laziale è un classe 2002

L’importanza dei numeri

Maini fa poi il quadro della situazione e ribadisce quelli che ormai sono i numeri. Spesso molti nelle top 10 dei grandi Giri sono ventenni.

«E’ quel che ci dice l’anagrafe», va avanti Maini. «Siamo di fronte ad un generazione di fenomeni, che ormai sono la normalità, quando fino a qualche anno fa si cercava di far fare le grandi gare a tappe ai corridori giovani nel momento giusto, quando cioè c’era una certa maturazione fisica e anche mentale. Ora è quasi il contrario. E vediamo ragazzini primeggiare nei grandi Giri, ma anche in corse come la Tirreno-Adriatico, Parigi-Nizza, Catalunya… che sono corse vere.

«A conferma di ciò è il fatto che sempre più squadre, anche grandi, investono direttamente sugli juniores e molti osservatori partono dagli allievi. Ma se da una parte lo stato dello sviluppo fisico a quell’età può “falsare” gli ordini di arrivo, dall’altra ci sono i numeri, i test che dicono il potenziale del ragazzo. Penso a Finn e Bessega che al primo anno juniores hanno già firmato per degli squadroni».

Come detto, Maini ha fatto una foto, ma il discorso dei baby campioni non vale proprio per tutti. C’è ancora chi ha bisogno di più tempo. Per questa tipologia di atleti vale il “vecchio stile” del grande Giro dai 24-25 anni su. 

«Sì, questo discorso per me – conferma Maini – ci può stare e vale ancora. Penso ad esempio a due giovani italiani, Pellizzari e Piganzoli, che sono in due professional serie, due squadre che li stanno facendo crescere bene, con i giusti tempi. E magari se un giorno passeranno in squadre WorldTour soffriranno meno».

Per Verre un esordio al Giro dalla doppia faccia: sempre in fuga e pimpante all’inizio, fermato dal Covid dopo 13 tappe
Per Verre un esordio al Giro dalla doppia faccia: sempre in fuga e pimpante all’inizio, fermato dal Covid dopo 13 tappe

Giro e Vuelta uguali

Ma torniamo al discorso del grande Giro. Ci sono differenze tecniche perché è meglio esordire ad una Vuelta e non ad un Giro? Cosa cambia? Qualcuno ha detto che le strade della Vuelta sono migliori rispetto a quelle del Giro, ma la corsa è meno frenetica rispetto alla corsa rosa e ancora di più rispetto al Tour.

«Credo che per un giovane italiano – conclude Maini – la differenza sia nell’approccio mentale. Psicologicamente è forse penalizzato dal fatto che, correndo in Italia, si ritroverebbe a gareggiare nelle terre e sulle strade che lo hanno visto crescere. Il Giro lo sente dentro. E tutto questo messo insieme magari gli mette pressione. Ma per il resto non vedo differenze tecniche tra Italia e Spagna. Come dicevo prima, forse prima c’erano delle differenze, ma negli ultimi anni tutti e tre i percorsi dei grandi Giri si somigliano molto.

«Semmai è importante come il giovane arriva al suo primo grande Giro. Oggi gli juniores come abbiamo visto vanno direttamente all’estero e lì fanno anche più corse a tappe. Un ragazzo che invece resta in Italia è meno pronto a certe esperienze appena divenuto pro’».

Rui Oliveira sempre più stradista (e apripista)

12.10.2023
5 min
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Certe volte si pensa che il corridore che arriva ultimo non sia forte. In realtà – ed oggi più che mai – le cose non stanno così. Specializzazione in ruolo, dosaggio delle energie (ricordate cosa ci avevano detto Cimolai e Dainese?), qualche acciacco… fanno sì che in coda alle classifiche sia facile trovare dei pesci grossi. E di pregio. E’ stato il caso di Rui Oliveira alla Vuelta.

Rui è un corridore da scoprire in un certo senso. I suoi progetti sono in evoluzione. Pistard con una vena sempre più stradistica. Apripista, ma non solo… Per conoscerlo meglio partiamo dall’ultima Vuelta.

Uomo squadra

Il portoghese del UAE Team Emirates ha chiuso la corsa spagnola in “maglia nera” a 4 ore 32’55” da Sepp Kuss. Eppure il bilancio della sua prova non è stato affatto negativo. Spesso è stato nel vivo della corsa e in un caso è stato persino decisivo. Ci riferiamo al giorno in cui il suo compagno Sebastian Molano ha vinto la tappa.

«L’ultimo posto – ha detto Oliveira – non ha alcuna importanza. Ciò che conta è fare il miglior lavoro possibile per la squadra ed essere sempre presenti quando si è chiamati in causa. E sotto questo aspetto io ci sono sempre stato. Ovviamente non sono abituato ad essere l’ultimo!».

E il portoghese c’è stato a tal punto da terminare la Vuelta con un braccio fratturato. Caduto nell’ultima settimana, nella tappa dell’Angliru, Rui sentiva dolore, ma è comunque riuscito ad arrivare a Madrid. E’ stata la nazionale portoghese a scoprire della sua frattura. Doveva infatti essere una pedina importante per gli europei in Olanda, ma chiaramente una volta rilevata la frattura tutto è saltato.

«Mancavano un paio di tappe dure e a quel punto nonostante il dolore al braccio bisognava arrivare a Madrid. Bisognava tenere davanti i nostri leader», aveva detto Rui ai media locali.

I fratelli Oliveira impegnati agli ultimi mondiali su pista nell’americana. Entrambi hanno un contratto con la UAE fino al 2027
I fratelli Oliveira impegnati agli ultimi mondiali su pista nell’americana. Entrambi hanno un contratto con la UAE fino al 2027

Dalla pista…

Un grinta affatto scontata e costruita anche in pista, dove le “botte” non mancano. Rui, insieme al fratello Ivo, di un anno più grande, è uno dei maggiori esponenti del parquet portoghese. I due corrono insieme nell’americana. E lui ama molto anche l’eliminazione, dove è stato tanto – per citare solo l’ultimo risultato – argento agli europei di Grenchen.

Americana ed eliminazione sono le specialità di contatto per eccellenza della pista. Ma queste oltre a fornire grinta forniscono altre due doti fondamentali per un velocista: il colpo di pedale e il senso della posizione. Elementi tecnici che se sei un leadout, come si dice ora, cioè un apripista sono fondamentali.

Quel giorno a Zaragoza, nella vittoria di Molano, c’era tanto di tutto ciò.

«È stata una tappa in cui tutto è andato alla perfezione – ci ha raccontato Oliveira – già gli altri giorni avevo sentito di avere buone gambe, quindi è stata una questione di fiducia. Siamo riusciti a sorprendere gli altri al momento giusto». Quel giorno Rui si è schiacciato sulla bici e ha portato fuori Molano ad una velocità altissima e con la strada libera soprattutto. A quel punto il colombiano doveva “solo” continuare a spingere.

Rui viaggia dunque spedito su questo ruolo di apripista. Per il prossimo anno la UAE Emirates perde Ackermann e Molano avrà più chance come velocista. Va da sé che Rui avrà più spazio al suo fianco. Bisognerà vedere però se e quali grandi Giri potrà fare, ma è chiaro che questa coppia potrà lavorare parecchio insieme.

Rui Oliveira (classe 1997) in coda al gruppo con il braccio sinistro fasciato, durante le ultime tappe della Vuelta
Rui Oliveira (classe 1997) in coda al gruppo con il braccio sinistro fasciato, durante le ultime tappe della Vuelta

Alla strada

Tuttavia il suo impiego potrebbe non essere circoscritto al ruolo dell’ultimo uomo. Lo stesso Oliveira, quando gli abbiamo chiesto del suo futuro in pista, ci ha risposto senza troppi giri di parole che punta sulla strada. E ha aggiunto anche: «Le gare che mi si addicono di più sono le classiche. Mi piacciono molto quelle con il pavé. Ma adoro anche fare le gare di tre settimane». Potrebbe dunque rivestire un ruolo di appoggio (e non solo) in certe gare d’inizio stagione.

Corridori così versatili e grintosi sono una risorsa per un team. Insomma, non capita sempre di vedere un atleta che va avanti nonostante un braccio rotto.

E già adesso il ruolo di Rui è andato oltre quello del solo apripista. Nelle tappe più impegnative è stato chiamato a lavorare nelle prime fasi anche per  gli uomini di classifica. Se poi uno di questi è Joao Almeida, connazionale e compagno anche già dai tempi della Hagens Berman Axeon, tutto assume un altro sapore.

«Con Joao – ha detto Rui – siamo spesso in stanza insieme. Siamo compagni di squadra ma soprattutto amici, abbiamo molte cose in comune. Lui è un bravo ragazzo e un ciclista che lavora duro. Per me è un piacere lavorare anche per lui». Questo “anche” finale la dice lunga…

Alla Vuelta sboccia Groves che un po’ ricorda Greipel

26.09.2023
5 min
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Con tre tappe vinte alla Vuelta e in precedenza quella di Salerno al Giro d’Italia, Kaden Groves è stato la rivelazione dei velocisti del 2023 o quantomeno una delle voci emergenti cui prestare più attenzione. Quello che sembra interessante (e che la corsa spagnola ha amplificato) è stata la sua tenuta sui percorsi più duri. Siamo certi, si sono chiesti alla Alpecin-Deceuninck, che questo australiano sia soltanto uno sprinter?

«Non ho ancora capito del tutto che tipo di corridore sono. I miei migliori risultati arrivano dagli sprint di gruppo dopo tappe difficili e collinari, quindi mi considero un velocista che può sopravvivere a un certo tipo di salite».

A Burriana, Groves vince la sua seconda tappe della Vuelta: batte Ganna
A Burriana, Groves vince la sua seconda tappe della Vuelta: batte Ganna

Velocista atipico

Queste parole profetiche, Groves le pronunciò nel 2019 alla fine del suo percorso fra gli under 23, dopo aver fatto tappa nella Seg Academy Racing e da lì aver spiccato il volo verso il WorldTour con la maglia della Mitchelton-Scott. «Non c’è dubbio – ricorda oggi – che il 2019 sia stato un punto di svolta, con due tappe al Triptyque des Ardennes e altre due al Circuit des Ardennes».

Vinse anche una tappa alla Ronde de l’Isard e si piazzò nei dieci alla Liegi U23. In Australia, dove è nato il 23 dicembre del 1998, era un corridore già molto apprezzato, ma dopo la prima stagione completa in Europa, è stato chiaro che la sua caratura fosse da scoprire.

«La sua seconda vittoria al Catalogna – ha raccontato di recente il suo diesse Gianni Meersman – comprendeva una salita di quasi otto chilometri, al sette per cento. Dei 150 corridori al via, ne erano rimasti in testa circa cinquanta. Non c’erano più velocisti in giro. Kaden era lì in mezzo a corridori che pesavano meno di 65 chili. E bastava guardare le sue gambe per capire che lui fosse ben più pesante (Groves è alto 1,76 e pesa 70 chili, ndr)».

La popolarità di Groves è uscita dai confini australiani: è il primo “canguro” a vincere la verde
La popolarità di Groves è uscita dai confini australiani: è il primo “canguro” a vincere la verde

Australiano con la valigia

Il ragazzo che iniziò ad andare in bici per guarire dai danni di un infortunio nel motocross, fece il salto di qualità decisivo quando prese coraggio e decise di spostarsi in Europa. 

«Venire a vivere in Spagna – ha raccontato dopo l’ultima tappa della Vuelta – è stato un grande passo, reso più semplice grazie al supporto e agli amici che mi sono fatto nel gruppo. A Girona ho trovato strade strette e un clima più rigido. Correre in Australia è meno aggressivo, ma quando sono in Spagna e non corro, riesco a divertirmi. Ed essendoci intorno anche altri corridori australiani, mi sembra di essere quasi a casa.

«Mi hanno detto che sono il primo australiano a vincere la maglia verde alla Vuelta e questo significa molto per me. Dimostra la coerenza che abbiamo dimostrato in questa corsa, impegnandoci in tanti sprint intermedi e anche sulle montagne. Anche io sono dovuto andare in fuga nella tappa di Bejes con l’arrivo in salita. Senza quei punti, la maglia sarebbe stata impossibile».

In fuga per 75 chilometri nella 16ª tappa verso Bejes per fare punti nei traguardi volanti e sulle salite
In fuga per 75 chilometri nella 16ª tappa verso Bejes per fare punti nei traguardi volanti e sulle salite

L’amico Dainese

Nell’intreccio delle sfide dell’ultima Vuelta, non è passata inosservata quella con Alberto Dainese: un altro che quando è in condizione e la fatica si accumula, riesce a fare la differenza nel gruppo dei velocisti. Così, dopo essergli finito alle spalle nelle prime due settimane, il veneto è riuscito a vincere dopo le montagne asturiane, mentre Groves proprio in quel giorni di Sicar è caduto dovendo rinunciare alla volata.

«Alberto è sempre stato incredibilmente veloce – ha raccontato Groves – e ci siamo allenati spesso insieme quando eravamo alla Seg, soprattutto nel ritiro che facemmo in Grecia nel 2017. Allenarmi con lui ha migliorato molto il mio sprint, siamo entrambi molto competitivi e ogni volta ci spingevamo al limite. Abbiamo una grande amicizia, in corsa sapevamo muoverci insieme».

Come Greipel

Quando la Vuelta è finita e, vinta la tappa di Madrid su Ganna, Groves ha raccontato che i suoi sogni da professionista sono la Sanremo e i Campi Elisi, i tecnici che erano già usciti dal Tour con le quattro vittorie e la maglia verde di Philipsen, si sono davvero fregati le mani. Al punto che Bart Leysen, che in carriera si è diviso fra le maglie della Lotto e quella della Mapei, si è lanciato in un interessante parallelo.

«Kaden mi ricorda André Greipel – ha detto – sia in termini di statura che di personalità. Si inserisce molto bene nel gruppo e ha la fiducia di tutti. Ha fatto davvero molta strada per la sua giovane età».

Sanchez ha detto basta: ultimo, ma da vincitore

25.09.2023
5 min
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Vuelta, tappa con arrivo a Bejes. Vingegaard, il vincitore è arrivato da 19 minuti, i Jumbo-Visma hanno sistemato la loro classifica, ma la gente non è andata via. E’ lì. Aspetta. Aspetta che Luis Leon Sanchez arrivi al traguardo. E’ caduto, i dolori gli fanno compagnia nelle faticose pedalate verso il traguardo. E’ ultimo, ma la gente gli tributa un’ovazione come se fosse il primo. Perché sa che non lo vedrà più correre.

L’arrivo a Rejes, ultimo e staccato, con i segni della caduta. La folla lo acclama come se avesse vinto
L’arrivo a Rejes, ultimo e staccato, con i segni della caduta. La folla lo acclama come se avesse vinto

20 anni da professionista

Sanchez ha deciso di chiudere. «Avevo già detto che lo avrei fatto a Madrid, chiudendo la mia ultima Vuelta – afferma ai giornalisti presenti – e neanche l’ultima, ennesima caduta della mia carriera me lo impedirà. E’ un atto dovuto a tutti i miei tifosi, per ringraziarli del sostegno che non mi hanno mai fatto mancare. Il mio sogno era di fare anche un solo anno da professionista: ne ho fatti 20…».

Sanchez è uno che ha vinto, tanto: 47 successi in carriera, fra cui 4 tappe al Tour de France e 2 Clasica di San Sebastian, oltre a 5 titoli spagnoli di cui 4 a cronometro. Ma non è con queste che è riuscito a essere più popolare anche di suo fratello Pedro Leon, calciatore del Murcia passato anche nelle fila del Real Madrid di Mourinho e ricordato con poco piacere dai tifosi del Milan per quel gol al 93° in Champions League 2011 costato la vittoria. Non è con queste che è riuscito a far passare sotto traccia la sospensione per doping che lo ha coinvolto nel 2015, quand’era nelle file dell’olandese Blanco/Belkin per essere legato al famigerato dottor Fuentes, quello dell’Operation Puerto. Sospetti costatigli tutta la stagione ma mai effettivamente affluiti verso una vera squalifica.

Sanchez premiato a Madrid, dopo la conclusione della sua ultima Vuelta, la tredicesima
Sanchez premiato a Madrid, dopo la conclusione della sua ultima Vuelta, la tredicesima

La perfetta vita da atleta

La grande forza di Sanchez è stata la sua simpatia, la sua disponibilità. Stefano Zanini ha vissuto parte della sua vita ciclistica insieme allo spagnolo, dal 2015 a oggi all’Astana con la parentesi del 2022 alla Bahrain Victorious e lo conosce bene: «Lo conoscevo già, nei miei ultimi anni da corridore lui iniziava la sua avventura e si vedeva il suo talento. Sanchez è quello che si chiama uomo-squadra, quell’elemento che tutti vorrebbero avere all’interno del proprio team perché fa gruppo ed è di esempio ed è su questo aspetto che voglio mettere l’accento.

«Lo spagnolo è sempre stato un corridore vecchio stampo. Uno attentissimo a ogni aspetto della propria vita d’atleta, guardava all’alimentazione, alla preparazione con un’attenzione pari a quella di oggi, ma quando lui iniziò non era così. E’ stato un antesignano. Un professionista vero, che non ha mai mollato neanche un secondo.

La vittoria nella tappa del Tour del 2008, battendo il tedesco Schumacher poi squalificato e Pozzato
La vittoria nella tappa del Tour del 2008, battendo il tedesco Schumacher poi squalificato e Pozzato

Gli esercizi per la schiena malandata

«Tanto per fare un esempio, Luis ha sempre avuto una particolare attenzione per la schiena, sentendo col passare degli anni i naturali problemi di postura e di risentimento che l’attività può comportare. Ebbene, non ha mai rinunciato agli esercizi specifici, neanche a fine carriera. Un altro avrebbe potuto mollare, lui no, fino all’ultimo giorno è stato un professionista serissimo».

Tra le vittorie, quali pensi siano quelle che tiene nel cuore? «Si sarebbe portati a dire le due prove di San Sebastian perché per uno spagnolo vincere in casa è il massimo, ma so che tiene particolarmente ai successi al Tour perché è l’espressione ciclistica per eccellenza. Ad esempio quella del 2012, quando dopo la lunga fuga è ancora in testa con 4 uomini fra cui Sagan ma approfitta della distrazione dello slovacco per allungare senza essere più ripreso».

Il momento dello scatto decisivo nella tappa di Foix al Tour 2012. Beffati i compagni di fuga
Il momento dello scatto decisivo nella tappa di Foix al Tour 2012. Beffati i compagni di fuga

Al servizio di Cavendish

Per Zanini l’essere un uomo-squadra significa anche sapersi mettere in discussione: «Sanchez è stato competitivo fino all’ultimo, ma ha saputo essere utile per il team anche in maniera diversa. Ad esempio all’ultimo Giro d’Italia si è messo al servizio di Cavendish e gli ha tirato la volata verso la vittoria. Ha sempre saputo mettersi a disposizione degli altri quando capiva che la corsa non era per lui e questo è un pregio».

Tecnicamente come può essere identificato? «E’ stato un corridore completo, capace di vincere su diversi percorsi. Non era certamente uno scalatore ma sapeva domare anche le alte montagne altrimenti non finisci nella Top 10 al Tour e alla Vuelta come ha saputo fare. Era fortissimo sul passo, capace di fare la differenza anche su salite non troppo dure come dimostrato a San Sebastian, anche veloce, mai averlo con se in una fuga ristretta…».

Per Sanchez 48 vittorie in carriera, tra cui anche due Clasica di San Sebastian (qui nel 2012)
Per Sanchez 48 vittorie in carriera, tra cui anche due Clasica di San Sebastian (qui nel 2012)

Il dolore per Michele

E al di fuori delle corse? «Uno attaccatissimo alla famiglia, quando ci vivi assieme durante l’anno cogli quel legame, quel bisogno di sentire sempre i propri cari vicino, anche solo con una telefonata. Era uno che dava tutto, ma io ricordo un momento particolarmente doloroso della sua carriera e fu quando morì Michele Scarponi. Luis era stato nella stanza con Michele al Tour of the Alps, la sua ultima corsa. Erano molto legati e la notizia della sua scomparsa fu per lui un colpo duro da assorbire. Io spero che rimanga nell’ambiente, uno così in una squadra è sempre una figura importante, qualsiasi ruolo ricopra».

Kuss e la Jumbo: ipotesi e chiacchiere sul contratto

25.09.2023
5 min
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Sepp Kuss ha vinto la Vuelta ed ha un altro anno di contratto con la Jumbo-Visma. Far parte della squadra numero uno al mondo e la consapevolezza che non avrebbe mai vinto senza la benevolenza dei compagni smorza probabilmente ogni velleità. Tuttavia, la penuria di uomini da Giri potrebbe indurre qualche squadra a tentare l’americano. E per contro, nei piani del suo agente potrebbe esserci la voglia di tentare il salto. Che cosa fa in certi casi l’agente di un corridore come Kuss?

Alex Carera con suo fratello Johnny è uno dei soci fondatori della A&J, società che rappresenta un ampio numero di atleti
Alex Carera con suo fratello Johnny è uno dei soci fondatori della A&J, società che rappresenta un ampio numero di atleti

Il contratto di Kuss

Sepp è seguito da un agente americano, per cui quello che segue è praticamente un discorso da bar, per capire quali siano le dinamiche possibili. Lo abbiamo chiesto ad Alex Carera, che non ha mai lavorato con Kuss, ma in certi scenari si muove perfettamente a suo agio.

«Farei un altro ragionamento – inizia il bergamasco – e cioè che in questo momento ci sono cinque team estremamente ricchi e Kuss fa parte di uno di quelli. Quindi l’eventuale proposta economica di un’altra squadra, potrebbe arrivare dalla stessa Jumbo, cui lui deve qualcosa, come la Jumbo deve qualcosa a lui. Io credo che se fossi il suo agente, la prima cosa che farei sarebbe incrementare il suo contratto, ma al tempo stesso punterei ad allungarlo, perché non so quante altre Vuelta potrebbe vincere».

Richard Plugge, Merijn Zeeman e i loro gioielli: Vingegaard, Kuss e Roglic. I contratti sono blindati
Richard Plugge e i suoi gioielli: Vingegaard, Kuss e Roglic. I loro contratti sono blindati
Infatti Kuss avrà certamente la consapevolezza che se gli altri lo avessero attaccato, non avrebbe vinto…

Sicuramente questo c’è, perché aveva soltanto 8 secondi di vantaggio e non ci dimentichiamo che ha guadagnato tre minuti grazie a una fuga. Per cui se io fossi il suo agente farei questa mossa.

Kuss sembra un ragazzo con la testa sulle spalle, ma può capitare che al corridore venga la voglia di andare a cercare fortuna altrove?

Se vince un grande Giro, se la gioca anche dov’è, quindi perché andare via, considerato che lui è uno di quelli meglio pagati? Secondo me non è questo il problema. Ci sono tre grandi Giri e nessun grande capitano può farli tutti, quindi se lui da gregario pure diventasse capitano, troverebbe lì il suo spazio.

In cosa si potrebbe migliorare il contratto?

Prima di tutto, nella maggior parte dei casi hai già previsto delle clausole migliorative, nel caso di particolari risultati. Questo è il punto numero uno, per cui normalmente tutti hanno il bonus. Non solo per la vittoria, anche per una top 3 o una top 5. Quando le cose iniziano a mettersi in questo modo, non si aspetta neppure la fine della corsa: tante volte si bussa alla porta del team manager anche durante la competizione.

Kuss vive in Andorra da anni e ora la sua popolarità è alle stelle
Kuss vive in Andorra da anni e ora la sua popolarità è alle stelle
L’atleta è al corrente di queste manovre?

In queste fasi l’atleta deve rimanere concentrato unicamente sulla gara. Oggi un bravo agente è colui che lascia l’atleta più tranquillo possibile, in modo che non debba preoccuparsi delle discussioni con le squadre. Poi a fine gara, il lunedì o la domenica sera, si tirano le somme.

L’incremento di un contratto così, fermo restando che non sappiamo da che base parta, è significativo secondo te o si parla di piccoli ritocchi?

Quando uno parla di un atleta del genere, è normale che sia un ritocco significativo. Molto dipende anche dalla base di partenza. Kuss a mio parere, provo a fare una stima, è un atleta che guadagna un milione e 200 mila, un milione e mezzo, quindi si parlerebbe di un salto in avanti comunque importante. Non ho la certezza che lui guadagni così perché non sono suo agente, però credo che per un atleta considerato da tutti come uno tra i migliori aiutanti al mondo, e non da oggi, i valori siano questi.

Quindi gli orizzonti possibili in questo momento non sono molti…

Lui è un caso molto particolare. E’ già al top come atleta, in una tra le cinque squadre più ricche al mondo. Quindi bisogna considerare che non ce ne sono così tante che possano paragonarsi alla Jumbo a livello di budget: due o tre al mondo? Quindi un conto è se corresse in una squadra più piccola, ma corre già alla Jumbo, credo che il caso neanche si ponga.

Kuss ha aiutato Roglic a vincere il Giro, poi Vingegaard al Tour: la squadra gli doveva qualcosa
Kuss ha aiutato Roglic a vincere il Giro, poi Vingegaard al Tour: la squadra gli doveva qualcosa
La sensazione è che rispetto a una volta la vittoria non sia più il motivo per cambiare squadra…

La differenza è che adesso ci sono contratti molto più lunghi: una volta normalmente erano biennali, adesso sono quadriennali. Di conseguenza fanno tutti i programmi a crescere con dei bonus. E’ un’altra mentalità: oggi si ragiona a lunga scadenza, una volta si ragionava a corta scadenza. Quindi il ragionamento non si può più fare in questi termini.

Aumentare l’ingaggio comporta necessariamente un prolungamento?

Se chiedi di più, devi dare qualcosa in cambio. Quindi io sono disposto a concedere fino a 500 mila euro in più, ma devo avere in cambio uno o due anni di contratto in più.