Carlos Betancur, Palmiro Masciarelli, Giro dell'Emilia 2011

Qualche punto in sospeso fra Masciarelli e Rapone

22.12.2020
3 min
Salva

Masciarelli dice che lui dalla contesa federale abruzzese è rimasto fuori. Per cui quando gli hanno fatto leggere il passaggio “sulla chiamata alle armi” da parte dei senatori di cui ha parlato Virginio Rapone, si è sentito di chiarire un paio di passaggi.

«Non mi sono esposto – dice Masciarelli – nessuno mi ha chiamato e non ho ricevuto messaggi. E di conseguenza non ho proprio votato. Se però lo avessi fatto, avrei sostenuto l’altro candidato. Perché mi ha dato una mano per il trasferimento di mio nipote Lorenzo in Belgio e perché con il cittì Scotti ho un ottimo rapporto per il grande lavoro che sta facendo nel ciclocross».

Testa bassa e pedalare

Masciarelli va avanti. «Ho avuto anche io la squadra juniores – dice – e ho sempre dovuto fare tutto da me, andavo con le mie gambe. Partecipavamo alle corse e, quando ho potuto, ho portato i ragazzi in pista. Ma adesso sono fuori, per cui se questa federazione faccia poco oppure tanto dovrebbero dirlo quelli che svolgono attività adesso. Ma andando a memoria, il ciclismo, qua e altrove, è sempre stato testa bassa e pedalare. Io presi la maglia azzurra alla Settimana Bergamasca e dovetti cavarmela da solo. Andai su in treno. Dormivo in un convento di frati in cui mi davano anche da mangiare. Mi preparavo da solo i rifornimenti. E andavo e venivo in bici dalle corse. Senza l’appoggio di nessuno».

Virginio Rapone
Virginio Rapone, candidato sconfitto nelle elezioni regionali abruzzesi
Virginio Rapone
Rapone, sconfitto nelle elezioni abruzzesi

Il nodo ciclocross

Però qualche nota vagamente stonata emerge quando Palmiro, grande gregario di Moser, dopo aver detto di non aver avuto contatti, racconta di aver parlato con Rapone.

«Mi è parso di assistere a quei duelli politici che si vedono in tivù – dice – con uno che critica e non propone alternative. Se mi avessero chiamato prima e mi avessero coinvolto nel programma, magari avrei potuto valutare. L’unica cosa che ho chiesto a Rapone è che cosa pensano di fare a livello di ciclocross? E lui mi ha fatto capire che se ci sarà un cambio ai vertici federali, l’attuale gestione potrebbe essere messa in discussione. Siccome io con Scotti ho un ottimo rapporto, gli ho detto che non ero d’accordo».

Il punto di Rapone

A questo punto abbiamo incrociato i dati e chiamato Rapone, come si conviene in simili dispute.

«Che Palmiro non sapesse niente – dice – lo trovo strano, visto che l’anno scorso fu organizzato un pranzo proprio per questo. E poi di recente sono stato a trovarlo in azienda. Non posso avergli detto certe cose sulla gestione del cross, perché io ero candidato alla presidenza regionale e non so che cosa pensino al riguardo la Isetti e Martinello. Non so che cosa succederà dopo, ma di certo ricordo di avergli detto che un commissario tecnico dovrebbe essere al di sopra dalle campagne elettorali. E aggiungo che questo è un vecchio problema della nostra federazione».

Il punto finale

E Masciarelli cosa dice? «Ricordo quel pranzo. Mi invitarono senza dirmi molto, vidi solo che c’erano tanti ex corridori, compreso Onesti che aveva corso per me. Avevo da fare, vidi che c’era anche Rapone, ma a un certo punto andai via e tornai per il caffè».

E’ l’eterna storia del ciclismo italiano, spaccato per mille motivi e interessi diversi. Un sistema che si è stratificato negli anni, mandato dopo mandato. Pescando in una memoria neppure troppo lontana, la frase giusta sulla situazione la disse a novembre Moreno Di Biase, parlando del calo del ciclismo abruzzese: «Danno la colpa alla federazione – disse – ma la federazione non ci dava niente neanche prima, quando correvo io. Le cose devi fartele da solo».

E’ il sistema per cui è sempre andato tutto allo stesso modo e che va scardinato. In attesa degli ultimi verdetti regionali, la parola passa ai tre candidati alla presidenza. Prima che l’abitudine e la politica probabilmente priva di prospettive finiscano di mangiarsi lo sport per il semplice gusto di farlo.

Virginio Rapone

Rapone (sconfitto) lancia l’allarme: ascoltiamolo…

19.12.2020
3 min
Salva

Dall’Abruzzo che lo ha visto sconfitto nelle elezioni regionali contro Mauro Marrone, già presidente in carica da due mandati, arriva da Virginio Rapone (in apertura un’immagine ripresa da TIVUSEI) un avvertimento ai candidati alla presidenza federale. Il gruppo è cambiato e a fare la differenza non sono più gli stessi.

Rapone, Maestro dello Sport e per anni dirigente federale (è stato anche segretario generale del Coni regionale), è stato dal 1993 al 2000 il coordinatore delle squadre nazionali. Il ruolo che oggi è di Cassani e che fu introdotto dal presidente Ceruti quando subentrò a Carlesso, per fare ordine fra i tecnici. La struttura funzionava e portò grandi risultati, ma Rapone fu abbandonato quando Ceruti barattò probabilmente la sua presenza con l’ultima elezione. Da allora Rapone è rimasto ai margini, ma quest’anno ha deciso di candidarsi.

Virginio, perché?

Perché a un certo punto si sono mossi i cosiddetti senatori e me lo hanno chiesto. Parlo di Masciarelli, Rabottini, Di Biase. Gente che viene dal ciclismo dei professionisti e delle Olimpiadi. Ma sapevo che non sarebbe andata bene, perché i numeri dicono che il ciclismo ormai è in mano alla mountain bike e al ciclismo amatoriale, un mondo che mi sfugge. Forse la responsabilità in parte è anche delle società tradizionali che non partecipano alla vita federale, ma la colpa è comunque di una Federazione che non sentono vicina.

Marco Villa, Silvio Martinello, Sydney 2000
Marco Villa, Silvio Martinello, bronzo a Sydney 2000 nell’americana
Marco Villa, Silvio Martinello, Sydney 2000
Villa e Martinello, bronzo a Sydney nell’americana
La tua candidatura coincide con quella di Martinello?

No, nasce addirittura prima. Purtroppo il Covid ci ha messo lo zampino, perché avevamo organizzato una serie di incontri per farci conoscere, che purtroppo sono saltati. Però non vi nascondo che Silvio, pur sapendo che oggi l’esito sarebbe stato questo, mi ha chiesto una mano. Abbiamo fatto insieme Atlanta e Sydney, prima che mi mettessero in disparte.

Alla luce di questo risultato, credi che i candidati alla presidenza federale dovrebbero cambiare strategia?

Di certo devono allargare il raggio e non pensare di dover convincere soltanto le società agonistiche, perché sennò a determinare il risultato sarà un altro ciclismo. Ci sono equilibri diversi e magari chi viene dalle corse non è sempre conosciuto o convincente. E comunque a Silvio l’ho detto: la mia disponibilità c’è. Vedere che in Veneto ha vinto Checchin, che è della sua parte, mi dà coraggio.

Continui a parlare di altro ciclismo…

Io credo che la Federazione ciclistica italiana e in genere tutte le federazioni nazionali debbano occuparsi di sport agonistico di alto livello. Non confondiamo piani che devono essere necessariamente separati. Agli amatori devono pensare gli Enti di promozione sportiva e va benissimo che lo facciano. Il Coni esiste perché esistono le Olimpiadi, ma questo concetto in apparenza è stato abbandonato.

Si ricorda abbastanza chiaramente la massiccia presenza della nazionale italiana degli amatori ai mondiali di Hamilton, in Canada, con tanto di villaggio di partenza…

Una cosa voluta da Maurizio Camerini, colui che chiese a Ceruti di scegliere fra me e la rielezione. Ceruti vedeva bene le cose e mi chiese di tenerlo a bada, ma alla fine si arrese. E di quel che cominciò allora paghiamo le conseguenze ancora oggi. La situazione non è buona, bisogna che chi si candida alla presidenza parta dal giusto presupposto.