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Germani, la mia prima Vuelta: si continua tra salite e fatica

11.09.2023
5 min
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La seconda settimana di Vuelta è alle spalle, sei giorni di grande fatica, passando dalla cronometro al Tourmalet. Insieme a Lorenzo Germani continuiamo il diario di questo suo primo grande Giro. Dopo tanti giorni in sella la fatica si sente eccome, ma la determinazione per arrivare fino in fondo è maggiore. 

«Il giorno della crono – racconta Germani poco prima di uscire con i compagni per una sgambata – stavo malissimo. Avevo sensazioni strane, non riuscivo a stare bene in posizione, ero costantemente fuori sella. Sensazioni orribili che mi sono portato dietro per tutta la settimana praticamente».

Durante la cronometro le sensazioni peggiori per Germani: gambe vuote e fatica a stare in posizione
Durante la cronometro le sensazioni peggiori per Germani: gambe vuote e fatica a stare in posizione

Fatica accumulata

Avere una cronometro il giorno dopo quello di riposo non è mai facile, ce lo ha raccontato anche Vincenzo Nibali. Anche quando non si hanno velleità di classifica bisogna comunque spingere, perché in questo ciclismo rallentare sembra quasi proibito

«Nei due giorni dopo la cronometro – riprende Germani – avevo quella sensazione di gamba vuota. Pian piano è andata sempre meglio, ma ho vissuto con una sensazione di stanchezza generale. A questa ha contribuito anche il raffreddore che da qualche giorno condiziona me e i miei compagni. Non credo si tratti di un virus o altro, semplicemente è dovuto agli sbalzi di temperatura e alla fatica».

Per Germani le prime tappe dopo il giorno di riposo sono state difficili (foto Groupama-FDJ)
Per Germani le prime tappe dopo il giorno di riposo sono state difficili (foto Groupama-FDJ)
In squadra che si dice, i tuoi compagni hanno le tue stesse sensazioni?

Più o meno sì. I ritmi sono davvero esagerati, basti pensare che nella tappa di Laguna Negra, il giorno dopo la cronometro, abbiamo tenuto una media di 46 all’ora. Considerando anche la salita finale. 

Ritmi alti, che non permettono mai di rifiatare…

Sì, anche Lenny (Martinez, ndr) li ha sofferti. Praticamente il giorno dopo la tappa del Tourmalet tutta la squadra ha fatto gruppetto. 

Com’è andata sul Tourmalet? E’ stata la tappa che ha scombussolato la Vuelta..

Quel giorno io ho solamente pensato al tempo massimo, dovevo starci dentro e basta. E’ stata una tappa durissima, già dalla prima salita il ritmo era altissimo, tanto che molti corridori si sono staccati subito (tra cui Evenepoel, ndr).

Nella tappa del Tourmalet la testa era focalizzata sul tempo massimo, nient’altro
Nella tappa del Tourmalet la testa era focalizzata sul tempo massimo, nient’altro
C’è stata subito una partenza in salita, anche se corta.

Tosta anche quella, poi i 30 chilometri successivi di discesa sono stati fatti a blocco. La Jumbo ha deciso di fare corsa dura fin da subito ed il rischio per me era il tempo massimo. La tappa era corta, quindi non c’era troppo margine (il limite era a 37 minuti, Germani e compagni sono arrivati a 31’57”, ndr).

Com’è stato gestirsi?

La cosa che ho capito fin da subito era che non sarebbe stato utile fare un fuori giri già dalla prima salita lunga, il Col d’Aubique. L’avrei pagato con gli interessi dopo, quindi ci siamo messi al nostro ritmo, ma comunque abbiamo dovuto menare tanto. Solo sull’ultima salita abbiamo potuto gestire di più lo sforzo. Per fortuna avevo dietro l’ammiraglia, quindi potevo andare a prendere i rifornimenti quando volevo, in più ci davano indicazioni per il tempo massimo. 

Il giorno dopo però avete faticato ancora, e non poco…

Quella tappa è stata difficile per tutti, anche per Lenny Martinez. Lui sul Tourmalet aveva tenuto più di noi, arrivando a 8 minuti. La tappa successiva però non ci ha nemmeno provato, troppa fatica. 

Martinez nella tappa del Tourmalet è stato il primo corridore della Groupama-FDJ a tagliare il traguardo, a 8’25” da Vingegaard
Martinez nella tappa del Tourmalet è stato il primo corridore della Groupama-FDJ a tagliare il traguardo
Come vi siete fatti forza per arrivare al traguardo?

Io quel giorno da Lenny mi sono fatto spingere (dice ridendo ndr). Con tutte le borracce che gli ho portato un aiuto era più che dovuto. Come detto eravamo tutti nel gruppetto, c’era solo Storer in fuga, ha provato a vincere, ma ha trovato un Evenepoel esagerato.

La sua è stata una super reazione dopo il giorno a vuoto…

Da dentro abbiamo tutti detto: «Chapeau!». Reagire così non è da tutti, anzi, il giorno dopo (ieri, ndr) ci ha provato ancora. 

Cosa si dice del dominio Jumbo-Visma?

Ce lo aspettavamo, sono la squadra più forte. Forse non ci si aspettava di vedere Kuss in maglia rossa. Ma fanno davvero paura, erano il team da battere e così è, per il momento in maniera abbastanza incontrastata. 

Germani (dietro) e Martinez (davanti) sono entrambi al primo grande Giro (foto Groupama-FDJ)
Germani (dietro) e Martinez (davanti) sono entrambi al primo grande Giro (foto Groupama-FDJ)
La fatica di quest’ultima settimana si chiama Angliru, cosa ti aspetti?

Fatica, tantissima. In tappe così penso solamente ad arrivare all’imbocco della salita finale e poi sfilarmi. Per fortuna abbiamo un pacco pignoni che va dall’11 al 34 e nonostante questa scala ampia riusciamo a montare il 54-36 davanti. Se avessi dovuto montare il 52 mi sarei sentito come un allievo in mezzo ai professionisti (ride ancora, ndr). 

Da qui a fine Vuelta manca una settimana, obiettivi?

Mi piacerebbe entrare in una fuga, in questi giorni ci ho provato qualche volta, ma è tostissima. Le tappe sono state vinte solamente da grandi campioni, non c’è praticamente spazio per gli altri. Domenica ho provato ad uscire, stavo anche abbastanza bene. Dopo 10 chilometri la strada si stringeva e avevo individuato quello come punto ideale. Invece la fuga è andata via 50 chilometri dopo. Anche questa è tutta esperienza, bisogna saper attendere e muoversi al momento giusto. 

Poi Germani ci racconta del raffreddore che sta passando e di altri problemi. Verso le 11,30 lo lasciamo andare, a breve deve prendere la bici per fare una sgambata, sperando che sciolga un po’ le fatiche di queste 15 tappe.

Dietro le quinte, nel dramma e la resurrezione di Evenepoel

10.09.2023
6 min
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«Anche caratterialmente, per quanto possa essere un campione – riflette Cattaneo – Evenepoel rimane sempre un ragazzo di vent’anni. Non può ancora avere il carattere di un uomo di trenta. L’altro giorno è stato devastante per lui, bruttissimo per noi. Però io credo che proprio quella tappa, come avevamo già visto al Tour con Pogacar, ha dimostrato che sono campioni, ma anche esseri umani e come tali hanno giorni sì e giorni no. E questo, dal punto di vista del tifoso, è una cosa che esalta il ciclismo. Sembrano intoccabili, ma si dimentica che sono ragazzi…».

Come sia stato iniziare la risalita dall’inferno a 24 ore dalla crisi più nera è però quello che fa la differenza fra un campione e una persona normale. Al netto di tutte le osservazioni possibili che si possono muovere all’indirizzo di Evenepoel, una reazione “cattiva” come quella di ieri non è cosa comune. Puoi farla se hai tanto motore e probabilmente una volta ritrovata la libertà mentale. Noi abbiamo cercato di capirla attraverso il racconto di Mattia Cattaneo: testimone silenzioso della disfatta e potente guida nel momento della riscossa. Il bergamasco ha 33 anni, è professionista da 11 e ha visto tanto ciclismo: quanto basta per leggere con noi nei due giorni pazzeschi di Evenepoel.

Cattaneo è con la Soudal dal 2020, è professionista dal 2013. Qui scherza con Remco al via della Vuelta
Cattaneo è con la Soudal dal 2020, è professionista dal 2013. Qui scherza con Remco al via della Vuelta
Due giorni sulle montagne russe. Prima siete andati giù e ieri siete tornati su…

Diciamo che ci voleva. Specialmente per lui, moralmente credo che gli servisse questa sorta di rivincita.

Si è capito che cosa sia successo l’altro giorno?

Onestamente no, credo che abbia semplicemente avuto un passaggio a vuoto nel giorno sbagliato. Ho sempre detto che in un grande Giro capita sempre la giornata in cui non vai. Se ti capita nella tappa piatta, riesci a salvarti. Se hai la sfortuna che succede in una tappa super esigente come quella del Tourmalet, abbiamo visto tutti quello che è successo.

Ieri Nibali ha fatto qualche ipotesi su cosa potrebbe essere successo dopo il giorno di riposo.

Ho letto l’articolo, quello che dice Vincenzo è possibile, però è difficilissimo da dimostrare. Siamo seguiti in tutto e per tutto, anche dal punto di vista dell’alimentazione. Calcolano quello che consumi e mangi in base a quello. Come però dice Vincenzo, il giorno di riposo è sempre molto delicato. Il tuo corpo è abituato a girare sempre a tutta e quel giorno può farti bene, nel senso che ti fa recuperare, o può farti male. Magari ti blocca, ti scombussola, ma resta difficile da capire. Probabilmente la causa non si saprà mai, si possono avere delle ipotesi, ma poco più.

Primi chilometri del tappone del Tourmalet, Evenepoel sta bene: nulla lascia presagire il crollo
Primi chilometri del tappone del Tourmalet, Evenepoel sta bene: nulla lascia presagire il crollo
Sul momento si poteva pensare che si fosse ammalato di nuovo.

Penso che ieri abbia dimostrato che comunque sta bene (sorride, ndr).

Era previsto che andaste in fuga o vi siete trovati nel posto giusto?

Onestamente era previsto che avremmo provato, però non in modo così “cattivo”. In gara le situazioni si creano, la fuga è venuta fuori e Remco ha fatto quel numero spaziale.

Questo tipo di reazione l’ha avuta la sera o è nato tutto a colazione?

In realtà già la sera. Magari nell’immediato era parecchio giù, però poi a cena ci siamo messi tutti ad aiutarlo perché stesse su di morale. E’ logico che avrà passato una notte difficile, però la mattina aveva già lo sguardo diverso. Credo che la differenza tra un campione e un corridore normale stia proprio lì. Il campione vuole sempre dimostrare qualcosa. A chi me l’ha chiesto, ho detto che ieri nessuno avrebbe potuto batterlo. Era come Van der Poel al mondiale. Poteva andare o non andare in fuga, ma avrebbe vinto comunque, perché era in uno di quei giorni in cui va forte in discesa, in pianura, in volata… dappertutto, capito?

Come è stato per te restargli accanto nella… processione del Tourmalet e poi ieri?

Io cerco sempre di fare il mio lavoro, ma logicamente il giorno del Tourmalet non è stato facile. Vedevo che non riusciva a spingere e poi ho visto subentrare anche il fattore mentale. Allora ho cercato di stargli più vicino possibile, mentre ieri ho semplicemente fatto il mio lavoro, cercando di dare il massimo.

Sul traguardo del Tourmalet, il passivo di Evenepoel è di 27’05”: la squadra è tutta attorno a lui
Sul traguardo del Tourmalet, il passivo di Evenepoel è di 27’05”: la squadra è tutta attorno a lui
Più facile ieri che il giorno prima, probabilmente…

Per me sì, soprattutto mentalmente. Non è facile vedere uno come lui che soffre così tanto, non è facile in generale vedere le persone quando soffrono. Però un conto è fare gruppetto, perché lo vuoi e vai all’arrivo cercando di risparmiare energie, un conto è prendere una legnata così e doverla portare al traguardo. Cambia decisamente.

Parlavate o andavate avanti in silenzio?

All’inizio siamo andati avanti in silenzio, poi pian piano si è incominciato un po’ a parlare. Abbiamo cercato di supportarlo moralmente il più possibile, aveva intorno praticamente tutta la squadra.

Domanda facile, la risposta forse meno. Remco ha 23 anni, si è cucito addosso un personaggio invincibile. Possibile che abbia avuto un crollo psicologico?

Io posso solo dare il mio punto di vista, quindi da esterno. Remco vive in un Paese in cui il ciclismo è come per noi il calcio. Perciò qualsiasi cosa fai bene, sei sulle stelle. Se invece fai male sei, sei nella… nel fango. Questo crea anche una pressione mediatica. Se la Juventus non fa un cavolo, è una squadra da buttare. Quando vince Champions e campionato, per i media è normale. In Belgio, Evenepoel è il Cristiano Ronaldo del ciclismo. Qualsiasi cosa faccia, bella o brutta, piovono articoli su articoli e questo crea inevitabilmente una pressione. Ma lui è giovane, giovanissimo. Quindi secondo me dovrà imparare a gestire questi passaggi. Deve essere consapevole che oggi sei un campione e domani non sei nessuno. Però un conto è la capacità di… sbattersene di un corridore che ha 30 anni e ha capito certi meccanismi, altro quando, passatemi il termine, sei ancora un bambino.

Ieri verso Larra-Belagua, tutto cambia di nuovo. Evenepoel attacca, con lui Bardet: il belga vince per distacco
Ieri verso Larra-Belagua, tutto cambia di nuovo. Evenepoel attacca, con lui Bardet: il belga vince per distacco
I media amplificano ogni cosa.

E alla fine i due soli giorni neri nella carriera di uno come Remco faranno più rumore dei 250 mila di noi persone normali. Esattamente così.

Peccato solo che abbia perso 27 minuti e ora sia inimmaginabile riaprire la Vuelta.

Credo che in quel momento fosse davvero impossibile mentalmente per un per uno come lui tenere duro e soffrire per arrivare a 15 minuti. Il guaio è che è crollato sulla prima salita. Fino al Col de Spandelles eravamo lì, poi di colpo Remco ha detto basta. Se fosse successo anche solo a metà di quella salita, la avremmo gestita diversamente. Hai la discesa, poi resta solo il Tourmalet. Invece mancava una vita per andare al traguardo.

Che tipo di Vuelta ti aspetta d’ora in avanti?

La Vuelta come se fossi ancora all’Androni (ride, ndr). Vabbè, ci proveremo sempre. Logicamente gli obiettivi sono cambiati, però credo abbiamo dimostrato di aver reagito e di avere nuovi stimoli. Cercheremo di vincere altre tappe, in fuga o quello che sarà.

Dopo essere stato in fuga con Evenepoel, a Larra-Belagua Cattaneo taglia il traguardo a 16’21” dal suo capitano
Dopo essere stato in fuga con Evenepoel, a Larra-Belagua Cattaneo taglia il traguardo a 16’21” dal suo capitano
Magari provi a vincere anche tu?

L’importante è fare risultato, ma certo non nascondo che mi piacerebbe vincere una tappa. La condizione c’è, però ci vuole fortuna. Di sicuro ci provo e poi vediamo.

Allora in bocca al lupo. A che ora si parte oggi?

Evviva il lupo. Si parte alle 13,20. Ieri siamo andati a cena tardissimo dopo 150 chilometri di trasferimento su strada normale, oggi si parte tardissimo. Alla Vuelta ci sono orari belli tosti. Quanto sarebbe bello partire un’ora prima e andare a letto a orari normali…

Remco, inferno e ritorno: ne parliamo con Nibali

09.09.2023
5 min
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«Ieri ho avuto una giornata e una serata molto difficili – dice tutto d’un fiato Remco Evenepoel – non sono riuscito a dormire molto e ho passato una notte molto brutta. Mi preoccupavo continuamente e mi svegliavo ogni ora. Avevo solo pensieri negativi. Volevo ritirarmi, ma Oumi mi ha costretto a prometterle che avrei continuato per lei. Non avrei potuto farcela senza il suo sostegno e quello dei dirigenti e compagni di squadra. Hanno continuato a credere in me e dicevano costantemente: un vero campione risponde sempre. Questo è per tutti coloro che continuano a credere in me. E non è ancora finita».

Commosso all’arrivo, con quell’essere teatrale che contraddistingue Remco
Commosso all’arrivo, con quell’essere teatrale che contraddistingue Remco

Al telefono con Nibali

Come sia che a distanza di 24 ore dalla crisi più terrificante della sua carriera, Remco sia riuscito ad andare in fuga e ad arrivare da solo su un traguardo di montagna resterà a lungo motivo di dibattito. Va bene: quando hai mezz’ora di svantaggio, ti lasciano andare, ma ugualmente non saresti capace di andare sino in fondo nella tua fatica. Che cosa lo ha tradito ieri, al punto da accusare un passivo di 27 minuti?

Dato che si cammina nel terreno delle ipotesi, abbiamo provato a vederci chiaro con l’aiuto di Vincenzo Nibali. Quelle che seguono sono teorie dal di fuori, cercando di capire che cosa potrebbe essere successo ieri. Lo Squalo visse tutto il Giro del 2016 senza uno spiraglio di luce: qualcosa lo bloccava. Poi di colpo tornò la luce e in tre tappe ribaltò un risultato che sembrava ormai immutabile.

Con Nibali abbiamo provato a capire che cosa sia successo ieri a Remco Evenepoel
Con Nibali abbiamo provato a capire che cosa sia successo ieri a Remco Evenepoel
E’ possibile che abbia pagato la pressione psicologica di dover vincere a tutti i costi?

Siamo nel campo delle ipotesi, questo diciamolo chiaramente. Che Remco sia esuberante lo sappiamo e magari politicamente gli sarebbe convenuto stare più abbottonato davanti a uno che ha vinto per due volte il Tour. I rivali vanno sempre studiati e rispettati. Tanti mi prendevano quasi in giro perché alla Vuelta del 2013 mi feci battere da Horner, ma io non lo sottovalutai affatto. Fu davvero il più forte e non batté solo me, ma tutti i migliori di quel tempo. Poi magari i rivali li punzecchiavo, ma sempre tenendo un basso profilo. Anzi, a volte mi incavolavo…

Quando?

Quando i giornalisti mi attribuivano dichiarazioni troppo altisonanti. Io non ho mai usato certe parole. Per contro bisogna dire che il modo di correre di Remco è spettacolare, ma forse è più utile nelle classiche che nelle corse a tappe. Se però ti metti a fare i traguardi volanti, allora vuol dire che sei poco sicuro. Anche io ho avuto i momenti in cui soffrivo, ma quando era necessario menavo forte.

L’arrivo di Cattaneo nella fuga ha dato nuovo impulso all’azione e lanciato Remco
L’arrivo di Cattaneo nella fuga ha dato nuovo impulso all’azione e lanciato Remco
Che cosa può essere successo ieri?

Se prendi mezz’ora, vuol dire che sei saltato del tutto. E qui forse potrebbe entrarci anche l’alimentazione. Ormai si va avanti solo con rifornimenti liquidi, ma se sei in crisi, i liquidi non sono l’ideale. Bere e mangiare è difficile, per questo se a inizio tappa hai mandato giù qualcosa di solido, ti aiuta anche a trattenere i liquidi. Non sono un nutrizionista, ma nell’ultima parte della mia carriera, iniziavo la corsa mandando giù qualcosa di solido e poi prendevo i liquidi. Era una strategia concordata con Erica Lombardi e mi trovavo bene.

Perché secondo te Evenepoel è andato fortissimo fino al giorno di riposo, poi ha fatto una bella crono e poi è colato a picco?

Ne parlavamo ieri a Squalo TV con Sobrero e Piccolo. Quando metti in fila il giorni di riposo e poi una crono, è come se riposassi per due giorni. La crono ti dà un’attivazione minima, perché è breve. Vieni da giorni in cui sei abituato a fare 4-5 ore, mangi di più e il giorno successivo può arrivare la crisi.

La Jumbo-Visma ha gestito senza affanno: i primi tre posti della classifica sono ancora suoi
La Jumbo-Visma ha gestito senza affanno: i primi tre posti della classifica sono ancora suoi
In realtà dopo la crono però c’è stata una tappa veloce.

In una tappa di montagna bruci circa 4.000 kcal e sono di zuccheri e grassi. In una crono ne vanno via a dire tanto 1.000, mentre nella tappa veloce come quella vinta da Molano arrivi a consumare 2.500 kcal, quindi sono tappe che passano come se non avessi acceso il motore. Sono ipotesi di quello che può essere successo, ma hanno una parte di fondamento. Se poi fa caldo, è un attimo anche prendersi qualcosa.

Un raffreddore come Almeida, ad esempio?

Dopo lo sforzo intenso di un arrivo, c’è la finestra temporale in cui è facilissimo ammalarsi, perché le difese immunitarie sono basse. Per questo tante volte andavo prima a fare la doccia calda e poi venivo alle interviste. Non ero arrabbiato, solo curavo questi dettagli.

Con Bardet hanno diviso il peso della fuga: il francese ha chiuso secondo a 1’12”
Con Bardet hanno diviso il peso della fuga: il francese ha chiuso secondo a 1’12”

Evenepoel commosso

Commosso dopo la vittoria, Evenepoel ha detto parole molto interessanti, che avvalorano il fatto che quel blackout sia stato frutto della pressione eccessiva o della difficoltà a carburare, ottimamente spiegata da Nibali.

«Nella prima parte della fuga – ha detto – siamo andati a tutto gas, ma mi sentivo molto bene. Questa è sicuramente una delle vittorie più emozionanti della mia carriera. Oggi volevo fare quello che meglio mi rappresenta, cioè andare forte e provare a vincere. La classifica è completamente rovinata, ma questa Vuelta può essere decisamente migliore. Come posso spiegare questa svolta? Nessuna idea. Volevo rimettere a posto la situazione, penso che sia tipico del mio carattere. Questo dimostra che ieri ho avuto una giornata davvero brutta, ma oggi ho pedalato a un livello superiore a quello degli ultimi due anni. Stiamo parlando di un livello altissimo, la Vuelta può essere ancora migliore».

Entriamo nei segreti del 47° Giro della Lunigiana

25.08.2023
7 min
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Il 31 agosto, da La Spezia, prenderà il via il 47° Giro della Lunigiana “La gara dei futuri campioni”. Una corsa a tappe dedicata alla categoria juniores che nel tempo ha premiato quelli che erano i talenti più promettenti. Nel passato ha visto il successo di Simoni, Di Luca, Cunego e Nibali. In tempi più recenti, invece, si sono aggiudicati questa corsa nomi del calibro di: Bettiol, Mohoric, Geoghegan Hart, Pogacar ed Evenepoel. L’ultimo italiano a vincere il Giro della Lunigiana è stato Andrea Piccolo, nel 2019.

Nel 2019 il Giro della Lunigiana lo ha vinto Andrea Piccolo (al centro): è stato l’ultimo italiano
Nel 2019 il Giro della Lunigiana lo ha vinto Andrea Piccolo (al centro): è stato l’ultimo italiano

Cinque tappe

Tre tappe e due semitappe (entrambe nel primo giorno di corsa) da godersi tutte d’un fiato. Si attraversano le regioni di Liguria e Toscana, dove la pianura è soltanto un ricordo lontano. Da queste parti per fare la differenza la catena deve essere sempre in tiro ed il corridore attento e con l’attenzione ai massimi livelli. Alessandro Colò, uno degli organizzatori della corsa, le ha provate tutte e ci racconta cosa dovranno aspettarsi i corridori (nella foto di apertura a Portofino, sede di partenza della seconda tappa). 

«Saranno quattro giorni durissimi – spiega – non ci sono cronometro e gli arrivi non sono mai semplici da interpretare. Non c’è la tappa dedicata ai velocisti, in Lunigiana non è sempre semplice trovare la pianura».

Partenza con il botto

Le prime due semitappe, da correre entrambe nella giornata del 31 agosto, saranno uno spartiacque iniziale. Mettere fatica nelle gambe ai corridori fin da subito porterà a scremare già il gruppo tra chi corre per vincere e chi dovrà difendersi.

«Già dalle prime due semitappe – continua Colò – La Spezia-Fivizzano e Massa-Bolano si capiranno tante cose. In entrambi i casi è previsto un arrivo in salita. Nella tappa del mattino (la tappa 1a), con arrivo a Fivizzano, si passa due volte sotto il traguardo in un circuito davvero tosto. La strada che porta a Fivizzano sale, misura poco più di 3 chilometri e serve tanta forza per emergere».

«A poche ore di distanza si riparte, questa volta da Massa, in direzione Bolano (tappa 1b). Altra semitappa da 50 chilometri. Anche in questo caso i ragazzi faranno un circuito che passa ai piedi della salita finale. Un’ascesa davvero interessante, con gli ultimi 300 metri all’interno del borgo medievale di Bolano. Un finale intricato, con i sanpietrini e che si snoda all’interno dei “carruggi”, come li chiamiamo noi in dialetto ligure: delle strade strette e tortuose. I corridori che vorranno vincere dovranno stare nelle prime posizioni».

Una delle partenze più suggestive del Giro della Lunigiana è quella di Portofino, con i corridori che si specchiano nel mare
Una delle partenze più suggestive del Giro della Lunigiana è quella di Portofino

Sul mare

La seconda tappa, in programma l’1 di settembre, va da Portofino a Chiavari, quasi 100 chilometri e tanto dislivello. Si affronteranno tre salite, in ordine crescente di difficoltà: la prima è un GPM di terza categoria, poi subito dopo ne arriva un altro di seconda categoria. La salita di giornata è quella di Passo del Portello, che termina alla metà esatta della tappa, poi si scende fino a Chiavari per l’arrivo. 

«E’ una tappa divisa in due – racconta Alessandro Colò – con una prima parte davvero impegnativa. La salita di Passo del Portello misura 14 chilometri e ha pendenze sempre sopra il 7%. Non tutti i corridori sono abituati ad affrontare salite così lunghe e impegnative. Dal punto di vista tattico è una gara apertissima, molti corridori perderanno le ruote in salita, bisogna capire in che modo i primi affronteranno la discesa. Questa si divide in due parti: la prima misura 10 chilometri ed è una discesa vera, con tante gallerie. Poi spiana e diventa un falsopiano al 2% per altri 10 chilometri, se davanti trovano l’accordo dietro non rientrano più. Altrimenti, se iniziano a scattarsi in faccia, non fanno velocità ed il gruppo si “appalla”. Potrebbe arrivare un gruppo di 50 oppure anche uno in solitaria. 

Le strade della Lunigiana sono un continuo sali e scendi, non c’è tempo per respirare (foto Michele Bertoloni)
Le strade della Lunigiana sono un continuo sali e scendi, non c’è tempo per respirare (foto Michele Bertoloni)

Occhi aperti

Le ultime due tappe si svolgono all’interno del territorio della Lunigiana, la terza la “Terre di Luni Stage” prende il nome dallo sponsor: un’azienda che offre esperienze ed attività, tra cui anche escursioni in bicicletta, in questo territorio tutto da esplorare.

«La tappa numero tre – riprende Colò – parte e finisce ad Ameglia, sede dell’azienda Terre di Luni, il trasferimento porta i corridori fino a Sarzana. Si passa da Aulla, Villafranca in Lunigiana, insomma è un continuo sali e scendi. Una fatica continua che rimane nelle gambe dei corridori, in quel tratto non succederà un granché ma è un antipasto per la salita finale di Fosdinovo. Si tratta di un’ascesa famosa per il Giro della Lunigiana, che è stata scalata più volte. In questo caso, però, si cambia versante: sono 14 chilometri, ma di salita vera se ne contano 7. Le pendenze sono sempre intorno al 7% ma non vanno oltre. La parte più “interessante” arriva dopo, con una discesa tecnica e gli ultimi dieci chilometri che sono in pianura. Gli scalatori puri, se davanti da soli, potrebbero piantarsi, quindi chi vuole vincere quella tappa deve avere buone doti da passista». 

Si chiudono i giochi

Il giorno dopo sveglia presto per la quarta ed ultima tappa del 47° Giro della Lunigiana. Partenza prevista per le ore 9:20, quindi la sveglia nelle camere dei corridori suonerà molto presto. 

«La partenza anticipata – conclude Colò – potrebbe essere un fattore che influenzerà sul recupero dei ragazzi. Le tre salite previste, tutte di seconda categoria, non sono impossibili. Chi avrà in squadra il leader dovrà gestire lo sforzo almeno fino all’ultima salita, che si trova a ridosso del traguardo. Lì si darà fuoco alle polveri, mi aspetto dei distacchi ridotti tra i primi della classifica. L’ultima salita, quella di Montecchio, è paragonabile ad un muro delle Fiandre: un chilometro, o poco più, con pendenze cattive e strada stretta e tortuosa. Come la discesa che porta al traguardo, chi vorrà attaccare dovrà stare davanti e non correre rischi».

Abbiamo già avuto modo di parlare con alcuni tecnici regionali che guideranno le squadre, uno su tutti Eros Capecchi, alla guida della selezione umbra. L’ex professionista ci ha detto che le ricognizioni saranno importanti, viste le strade strette e mai totalmente pianeggianti. La tavola è pronta, non ci resta che scendere in strada e goderci la “Corsa dei futuri campioni”!

Calzoni, impresa sfiorata a Capo Nord. E intanto cresce bene

24.08.2023
7 min
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Gli ordini d’arrivo talvolta non dicono tutto. Anche dietro ad un piazzamento lontano dal podio può esserci una storia che regala soddisfazioni. Lo sa bene Walter Calzoni che ha sfiorato il colpaccio a Capo Nord nell’ultima frazione dell’Arctic Race of Norway. Gli sono mancati solo duecento metri per mettere a segno il suo primo successo da pro’ nel contesto più estremo e surreale del ciclismo moderno.

Il trentunesimo posto di tappa (a 43” dal vincitore Champoussin) non deve trarre in inganno perché il 22enne della Q36.5 Pro Cycling Team è stato protagonista assoluto della giornata, tanto da meritarsi il premio di “più combattivo” di giornata dopo ottanta chilometri di fuga. Calzoni nel finale ha inscenato un intenso braccio di ferro col gruppo sul filo dei secondi e di quelle lingue d’asfalto che si stagliano nell’orizzonte delle colline del Circolo Polare Artico. Un’azione che è stata lo spunto per sentire il bresciano di Sellero e farci aggiornare sull’andamento della sua stagione.

Walter ci racconti questa tappa lassù dove finisce il mondo?

E’ una giornata dura ma in quei giorni ho sentito di aver ritrovato una buona condizione. Così sono sempre stato nel vivo della corsa entrando subito in una fuga assieme a due miei compagni di squadra. Ci hanno ripresi ma sono ripartito poco dopo e il gruppetto di testa era di quindici uomini. A trenta chilometri dalla fine ho attaccato e siamo rimasti in 4-5. Avevamo un minuto e mezzo di vantaggio però abbiamo collaborato poco e siamo stati ripresi ancora una volta. Sull’ultimo gpm, ai meno 5, ci ho provato nuovamente.

E cosa è successo?

Era una salita corta e difficile, resa ancor più dura dal vento contrario. Dallo scollinamento all’arrivo c’erano ancora tanti “mangia e bevi” nei quali ho patito, riuscendo tuttavia ad avere fino a 20 secondi di vantaggio a meno di due chilometri dalla fine. Ho spinto più forte che potevo, senza rendermi conto del paesaggio attorno a me. Forse lo avrei fatto dopo ma quando sei così a tutta non vedi niente a parte la strada o gli eventuali inseguitori (sorride, ndr). Ci ho creduto finché non mi hanno ripreso ai 200 metri. Credo che avrei potuto vincere se Arkea e Cofidis non avessero tirato così forte per la sprint finale. Erano le squadre più interessate alla tappa. Ma è andata così…

Nell’arco di pochi istanti hai vissuto emozioni diametralmente opposte. Come l’hai presa?

Inizialmente ero molto deluso. Quando sono stato ripreso ho praticamente smesso di pedalare e ho chiuso sconsolato. Poi a mente fredda, quando ero sul bus della squadra, ho analizzato tutto e ha avevo motivo di essere contento della mia prestazione e della mia forma. Ho un po’ di rammarico perché è la seconda volta che mi capita una situazione simile. A marzo alla Per Sempre Alfredo c’era bagnato ed ero scivolato a cinque chilometri dalla fine quando avevo un bel vantaggio (chiuderà poi ottavo, ndr). Diciamo che forse sto prendendo le misure per la prima vittoria.

Potresti raccoglierla nelle prossime gare. Il tuo programma cosa prevede?

Adesso continuerò ad allenarmi a fondo senza correre. Rientro il 13 settembre al Giro di Toscana, quindi Sabatini, Memorial Pantani, Trofeo Matteotti e così via. Insomma il calendario italiano lo farò tutto. Avrò tante occasioni per farmi vedere e per fare bene ancora.

Calzoni dopo un bell’avvio di stagione, ad aprile ha rinnovato con la Q36.5 fino al 2026
Calzoni dopo un bell’avvio di stagione, ad aprile ha rinnovato con la Q36.5 fino al 2026
Tracciamo il bilancio della stagione di Walter Calzoni. Com’è andata finora?

Sono contento. Ho avuto un calo di condizione tra maggio e giugno, tra Giro di Norvegia e Tour de Suisse ma credo che fosse normale visto che avevo fatto un buon inizio. Sono migliorato nell’alimentazione in corsa e ho notato i benefici di aspetti che l’anno scorso tralasciavo un po’. Uno dei miei obiettivi principali era quello di non subire troppo il passaggio di categoria da U23 a pro’. Direi di esserci riuscito. Il mio 2023 è andato molto bene, sicuramente oltre le aspettative. Questo però è merito della mia squadra. In Q36.5 ho fatto un bel salto di qualità, crescendo molto tra palestra, chilometri e motivazione.

In generale come ti stai trovando con la loro realtà?

Mi trovo talmente tanto bene che ad aprile ho prolungato il contratto fino al 2026. Qui c’è un progetto importante dove si punta ad entrare nel WorldTour nel prossimo triennio. In questo senso hanno preso Nizzolo proprio per raccogliere risultati e punti importanti. Nel 2024 forse potremmo correre il Giro d’Italia, sarebbe un traguardo importante anche quello. In squadra ho legato con tutti, a cominciare dal gruppo italiano che è bello folto (Brambilla, Fedeli, Moschetti, Puppio, Conca e Parisini,ndr). Poi abbiamo una figura come Nibali che malgrado abbia tanti impegni ci è sempre vicino. Ad esempio è venuto allo Svizzera e mi ha dato alcuni consigli sul riscaldamento prima di una crono. Sono dettagli che talvolta non consideri ma che sommati a tanti altri fanno la differenza.

Con la nazionale invece come sei messo? Non hai corso il mondiale e magari potevi essere utile ma c’è ancora l’europeo. D’altronde sei ancora un U23 e volendo il percorso ti si addice…

Col cittì Amadori ci eravamo visti alla Coppi e Bartali. Mi aveva chiesto disponibilità ed eravamo rimasti in contatto ma alla fine gli impegni che avevo con la squadra non combaciavano col cammino da fare con la nazionale. Ad esempio, al Giro NextGen avrei potuto correre nel nostro Devo Team ma ero già stato convocato per il Tour de Suisse. Forse era difficile farsi notare, se penso che oltretutto in quel periodo non ero al top. Di sicuro so che per eventi come mondiali ed europei bisogna creare un gruppo coeso. Non lo puoi costruire solo in base ai risultati. In ogni caso adesso io non ci penso e punto a preparare bene le gare con la squadra ma se, in accordo con tutti, si dovesse aprire uno spiraglio per una maglia azzurra, io sono a disposizione.

EDITORIALE / Forza, talento e determinazione non si insegnano

07.08.2023
4 min
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GLASGOW – Quando si trattò di distribuire i suoi doni, madre natura diede a Mathieu Van der Poel talento, forza fisica e determinazione. A Van Aert una testa da schiacciasassi, tanta forza e meno talento. Infine a Pogacar diede indiscutibilmente talento e testa, ma meno forza rispetto agli altri due. Ovvio che ogni percorso faccia risaltare una caratteristica tecnica rispetto all’altra, ma la sintesi del mondiale di ieri è tutta qui. Quando le situazioni sono estreme o lo scontro è particolarmente elevato, vince chi ha tutte le doti al posto giusto. Van der Poel ha vinto a Glasgow perché più di Van Aert ha avuto il talento per indovinare l’attacco giusto e più di Pogacar, che un’azione del genere avrebbe potuto anche pensarla, la forza per realizzarla e portarla a termine.

Quando si dice che il podio del mondiale sia il più bello degli ultimi anni, forse ci si riferisce proprio a questo. Non tanto al palmares dei tre occupanti, quanto alle doti grazie alle quali li hanno riempiti di successi.

Bettiol non avrebbe potuto reggere il confronto diretto con i primi e ha fatto bene ad anticipare
Bettiol non avrebbe potuto reggere il confronto diretto con i primi e ha fatto bene ad anticipare

Gli azzurri di Bennati

Che cosa avrebbe potuto fare l’Italia di Bennati per infilarsi nel mezzo? Tentare la carta della superiorità numerica, come detto tante volte nell’avvicinamento al mondiale. Dato che anche i fenomeni a volte commettono qualche errore o si mostrano stanchi (anche Evenepoel ha dovuto alzare bandiera bianca), avere più uomini per approfittarne poteva essere il modo per portare qualcosa a casa. Altrimenti, nel confronto diretto chi dei nostri avrebbe potuto mettere sul tavolo talento, forza fisica e determinazione per battere Van der Poel, Van Aert e Pogacar?

Bettiol ha talento e forza fisica, ma si perde spesso dietro ai suoi ragionamenti. Trentin ha forza e testa, ma forse gli manca il guizzo risolutore o gli anni se lo sono portato via. Bagioli ha talento e una serie di altre fragilità che speriamo vengano superate dal passare degli anni. Forse Baroncini potrebbe mettere sul tavolo doti all’altezza, ma è troppo giovane per pretendere che possa già farlo.

Allora bene ha fatto Bettiol, perso il supporto di Trentin, a giocare la carta solitaria. Sarebbe arrivato ugualmente decimo, staccato inesorabilmente quando Van der Poel avesse deciso di partire. Attaccando, ha se non altro inseguito il sogno di vincere.

Una pioggia di watt sul percorso di Glasgow: a certe andature la cilidrata è comunque decisiva
Una pioggia di watt sul percorso di Glasgow: a certe andature la cilidrata è comunque decisiva

Il miglior Nibali

Una cosa però è certa: corridori come quelli che stanno dominando la scena saranno anche il prodotto di una scuola che funziona, ma sono essenzialmente delle splendide eccezioni. Quei watt nelle gambe li ha messi la natura.

Van der Poel è nato così forte magari anche per i geni di famiglia. Il Van Aert ragazzino non godeva di una grandissima considerazione: ricordano però tutti quanto fosse volitivo e capace di lavorare su se stesso. E Pogacar, corridorino già noto da junior, ha avuto la fortuna di essere gestito bene, ma tutto quello che scarica nei pedali viene da sua madre e suo padre.

Questo per dire che se ieri nel gruppo ci fosse stato il miglior Vincenzo Nibali, l’ultimo italiano al top di gamma, sul piano del talento e della forza fisica avrebbe avuto poco da invidiare agli altri tre, della determinazione invece si sarebbe potuto parlare.

Ganna avrebbe potuto ben figurare su strada? Ha preferito vincere l’oro in pista: non male
Ganna avrebbe potuto ben figurare su strada? Ha preferito vincere l’oro in pista: non male

Lo sport dei social

La scuola italiana è in crisi, ha detto qualche giorno fa Bettini in un’intervista su Tuttobiciweb, ma sarebbe riduttivo ridurre il tutto a un problema del ciclismo. E’ la società italiana che ha perso l’orientamento e fa sembrare il ciclismo uno sport troppo faticoso rispetto al giocherellare sui social. Avete provato a chiedere a un ragazzo di 17 anni di aiutarvi a fare un lavoro minimamente faticoso?

I governi si fronteggiano su decine di temi, ma dello sport nelle scuole non si parla, dello sport come palestra di vita non si parla, di borse di studio per meriti sportivi non si parla. Lo sport è ai margini. Lo sport è il calcio, per il resto non c’è posto.

Siamo certi che da qualche parte in Italia non ci sia un Van der Poel o un nuovo Nibali? Nessuno dei presenti si sente di escluderlo. Dice Bettini che abbiamo solo Ganna e forse ieri Pippo, visto il quinto posto di Kung, avrebbe potuto fare la sua parte anche su strada. Ha preferito correre in pista e vincere il mondiale dell’inseguimento. Non ci pare che sia andata tanto male, insomma. Quanti hanno nelle loro bacheche quei titoli e quel campione? Ma a noi non basta, forse il problema in qualche modo ce l’abbiamo anche noi. Quanto alla strada, bene insistere sulle scuole, soprattutto per il reclutamento dei talenti. Ma scordiamoci che possa essere una scuola di ciclismo a tirar fuori certi mostri. Non si può dare a nessuno la colpa per il sole che tramonta né il merito per quando sorge.

Quando Sky fece alzare l’asticella. Pogacar come Nibali?

28.07.2023
6 min
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Jonas Vinegaard e la Jumbo-Visma in questo Tour hanno curato ogni aspetto al millimetro, andando oltre il dettaglio. Il danese è un fenomeno, ma se alle prestazioni super si aggiunge la maniacalità, allora le performance assumono dimensioni enormi. L’esempio migliore è stata la crono di Combloux. E chi si è ritrovato a lottare con lui, Tadej Pogacar, ha avuto dei bei grattacapi.

Questa situazione ricorda quella che si verificò quando il Team Sky si rivelò al mondo con i suoi metodi più scientifici, i sopralluoghi ripetuti delle tappe più importanti, l’alimentazione futuristica, aprendo l’era dei marginal gains. Una situazione che ci ricorda anche Vincenzo Nibali. Lo Squalo doveva lottare con queste “macchine”: da Wiggins a Froome, passando per Thomas.

Qualche giorno fa chiamando in causa Sky nell’editoriale avevamo scritto: «Vincenzo si trasformò in una vera macchina da guerra. Non rinunciò alla sua imprevedibilità, ma è certo che si presentò al via tirato e allenato come mai fino a quel punto...». Partendo da questa frase abbiamo coinvolto proprio Nibali.

L’università di Messina ha insignito Nibali della laurea ad honorem in “Scienze e Tecniche delle Attività Motorie Preventive e Adattate”
L’università di Messina ha insignito Nibali della laurea ad honorem in “Scienze e Tecniche delle Attività Motorie Preventive e Adattate”
Vincenzo, quindi Sky ti fece alzare l’asticella? La situazione di Pogacar e della UAE Emirates ricorda la tua e quella del tuo team?

Io non farei dei paragoni con il passato, anche se non è troppo lontano. Quel che ho visto in questo Tour de France è che è stato dominato da due team, la Jumbo-Visma e la UAE Emirates chiaramente. E in molte occasioni ho visto la UAE più forte della Jumbo.

Più forte la UAE…

Sì, alla fine hanno fatto secondo e terzo. Adam Yates nonostante si sia messo a disposizione, è salito sul podio e questo non può che parlarci di un team che è andato forte e che ha lavorato bene. Mentre dall’altra parte non avevano un Van Aert al livello dell’anno scorso che dominava in ogni tappa. Sì, Wout è andato forte in diverse occasioni, ma l’anno scorso vinceva le volate e quando tirava in salita staccava Pogacar! E poi c’era Vingegaard che si è ripetuto. Rispetto alla passata edizione, Jonas ha avuto più sicurezza. Ha corso con grande intelligenza e con la consapevolezza delle proprie energie.

Consapevolezza delle proprie energie: cosa intendi?

Ogni volta che Pogacar attaccava, lui gli faceva di no con la testa: non gli dava cambi. Gli lasciava appena qualche secondo e gli abbuoni senza sfinirsi troppo, consapevole appunto che con un’azione decisa gli avrebbe rifilato un minuto. Che poi è la stessa cosa che dicevamo con Martinelli quando facevamo i nostri grandi Giri. Oltre alla crono, individuavamo quel paio di tappe chiave… Se poi veniva qualcosa di più, tanto meglio. Ma ci si concentrava su determinate tappe. Sapendo di essere meno esplosivo di Tadej, penso che Vingegaard si sia fatto questo conto: Pogacar in dieci scatti (tra abbuoni e secondi) gli guadagnava un minuto, lui lo faceva con un solo attacco in salita. Io ero come lui, poco esplosivo. E quando lottavo con Contador, Purito, Valverde, il mio obiettivo era arrivare con loro ai 200 metri. A quel punto anche se perdevo erano pochi secondi.

Che Vingegaard avesse ben preparato la crono si vedeva anche da come guidava in curva e in discesa
Che Vingegaard avesse ben preparato la crono si vedeva anche da come guidava in curva e in discesa
Cosa dovrà fare Pogacar per invertire questa rotta? Più sopralluoghi, peso più al limite…

Più che questo, deve iniziare a rivedere la sua esuberanza, che però fa parte di lui. Ma deve cambiare in gara. Si sapeva che il vero rivale sarebbe stato Vingegaard, che forse è anche più forte in quel tipo di gara, quindi io avrei lasciato a lui la prima mossa. L’avrei aspettato, studiato… Insomma mi sarei dato un ruolo diverso. Poi è anche vero che la caduta della Liegi lo ha rallentato.

Lo sloveno è stato anche altalenante nelle prestazioni…

E questo mi ha lasciato perplesso, soprattutto nel giorno in cui ha pagato tantissimo (sul Col de La Loze, ndr), poi è andato di nuovo forte. Non è mica scontato che dopo certe crisi torni ad andare bene. Lui invece ha persino vinto una tappa. Magari nel giorno della crisi ha pagato anche l’aspetto mentale dopo la crono. E comunque non era la prima volta che Vingegaard andava fortissimo a crono, anche l’anno scorso fu strepitoso.

Il modo di correre di Pogacar è fantastico, ma forse almeno contro certi avversari va rivisto
Il modo di correre di Pogacar è fantastico, ma forse almeno contro certi avversari va rivisto
Quel giorno Pogacar non stava bene, ma anche la testa ha influito. In effetti qualche informazione sul morale basso dopo la crono è trapelato dal suo staff…

Pogacar sa che ha di fronte un avversario molto forte. Per me Tadej è più completo e se vogliamo mi piace anche di più, ma Vingegaard in salita è leggermente più forte, anche in virtù delle sue caratteristiche fisiche, è più piccolo. Jonas è più “killer”, è meno espansivo, anche sui social. Un po’ come me. Io pubblicavo poco, anche per non far sapere come stavo, non amavo magari mettere un sorriso di circostanza. Non si trattava di essere scontrosi o meno: Vingegaard è così. Così come non significa che Pogacar non si sappia focalizzare su un obiettivo perché è espansivo.

Van Dongen, diesse della Jumbo, ha detto che una crono così si prepara mesi prima, che bisogna arrivarci con le idee chiare e le scelte già fatte. Il tecnico aveva visto gli UAE fare le prove dei cambi bici durante le ricognizione del mattino. Anche da parte di Pogacar servirà lo stesso approccio?

Ogni team, specie a quel livello, ha del personale qualificato che sa quali scelte fare. Le uniche condizioni per cambiare sul momento, nel caso della crono, sono quelle meteo e del vento in particolare. Ognuno ha un suo protocollo. Per me il discorso non è tanto questo, quanto il fatto che sin qui Pogacar ha vinto con spensieratezza, mentre ora questo Vingegaard gli mette confusione mentale. Ma a lui e alla sua squadra non mancano le qualità e le dotazioni tecniche per vincere anche questa sfida.

Il Team Sky ha dominato la scena schierando formazioni monster tra il 2012 e il 2019. Solo Nibali nel 2014 ha rotto il loro dominio
Il Team Sky ha dominato la scena schierando formazioni monster tra il 2012 e il 2019. Solo Nibali nel 2014 ha rotto il loro dominio
Quindi questa situazione non ti ricorda un po’ la tua con Sky? Loro indirettamente non avevano fatto alzare l’asticella anche a te?

Io direi di no… Sapete qual era la vera differenza di Sky e perché era il riferimento? Il budget. Noi avevamo un budget alto, loro di almeno 10 milioni di euro in più. E questo comportava che avevano dieci corridori più forti. Corridori che ti sostengono e con i quali potevi interpretare la corsa in un certo modo: prendevano la testa del gruppo e tiravano per te e ti tenevano fuori da ogni rischio su ogni terreno. Sei più tranquillo. E quando hai dei compagni così forti, anche in allenamento cambiano le cose. E’ lì che semmai alzi l’asticella.

Insomma tu avevi dei gregari e loro erano nove capitani…

Sia chiaro, non dico che non avevo compagni all’altezza. Ho avuto gente come Scarponi, Agnoli, Vanotti… Ma quando hai dieci top rider, dieci corridori che vincono una Parigi-Nizza, una Liegi, una Tirreno che tirano per te, le cose cambiano. Loro avevano il miglior Boasson Hagen, Kwiatkowski, Poels… (Froome e Thomas che all’inizio tiravano per Wiggins, ndr). Noi, prima in Liquigas e poi in Astana, non eravamo a quel livello. Sì, c’era gente che poi è diventata fortissima, penso a Sagan o a Colbrelli quando ero in Bahrain, ma non erano i corridori che sono diventati poi. Quindi se parliamo di dettagli, dei sopralluoghi come dicevamo, è chiaro che contano, ma prima ci sono altre cose. E poi fare un sopralluogo a febbraio o a dicembre è anche rischioso per me. Non hai la stessa condizione che avrai poi a luglio e rischi di farti un’idea sbagliata.

SPORTLER, grande successo la social ride con Nibali

20.07.2023
3 min
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Negli ultimi anni SPORTLER è sempre più un riferimento per gli appassionati di ciclismo. Tutto ciò anche grazie all’apertura di ben due bike store rispettivamente a Bolzano e Peschiera del Garda. Proprio lo store di Bolzano lo scorso 30 giugno è stato al centro di una social ride organizzata in collaborazione con Q36.5, ma soprattutto con Vincenzo Nibali, che da quest’anno ricopre il ruolo di consulente tecnico del brand che proprio a Bolzano ha la sua sede.

A raccontarci qualcosa di più su una giornata che si è rivelata un vero successo è Luca Gransinigh, Project Manager HR e Marketing di SPORTLER, che insieme alla collega Arianna Calovi, Brand Manager dell’azienda, ha curato l’organizzazione dell’evento.

L’evento di SPORTLER è stato un momento per pedalare assieme a Vincenzo Nibali
L’evento di SPORTLER è stato un momento per pedalare assieme a Vincenzo Nibali
Come è nata l’idea di organizzare una social ride con Nibali e Q36.5?

L’iniziativa nasce dal nostro crescente desiderio di interagire con i marchi con i quali lavoriamo e nel contempo accrescere la community attiva attorno ai nostri bike store di Peschiera del Garda e Bolzano. Il fatto che Q36.5 abbia la propria sede a Bolzano ha reso tutto più facile e naturale.

Come era impostata la social ride?

Per prima cosa è importante sottolineare che si è trattato di un evento diverso dalle community ride che dallo scorso anno abbiamo iniziato ad organizzare presso i nostri store. Questa tipologia di evento non prevede normalmente il numero chiuso. La social ride con Nibali era invece… chiusa. Hanno potuto partecipare solo 20 persone che si sono “prenotate” attraverso l’app SPORTLER. L’aver previsto un numero chiuso ci ha permesso di garantire a tutti i partecipanti il massimo della sicurezza nel corso della pedalata con Nibali, ma soprattutto la possibilità di poter vivere momenti “unici” con lui.

Entrando nel dettaglio, come si è svolta la giornata?

Ci siamo ritrovati alle 9 al nostro bike store di Bolzano e da lì verso le 9,30 siamo partiti per una pedalata di circa 45 chilometri. Con noi ha pedalato anche Luigi Bergamo, CEO di Q36.5, e alcuni suoi collaboratori, a conferma di come l’azienda credeva molto all’iniziativa organizzata insieme a noi di SPORTLER.

Al ritorno in sede a Bolzano abbiamo previsto un rinfresco e un momento di incontro aperto a tutti per consentire ai fans di Nibali di incontrare il loro campione. E’ stata l’occasione per ripercorrere con lui la sua carriera, parlare del suo nuovo ruolo in Q36.5 e nel team legato al brand. Lo stesso Nibali ha poi presentato in anteprima la nuova collezione Nibali Shark che Q36.5 gli ha dedicato e che da fine giugno è disponibile nei nostri bike store.

La social ride è stata l’occasione per presentare la collezione Nibali Shark firmata Q36.5
La social ride è stata l’occasione per presentare la collezione Nibali Shark firmata Q36.5
Siete rimasti soddisfatti di come è andata nel suo complesso la social ride?

Direi molto soddisfatti. Anche in Q36.5 sono rimasti molto contenti tanto che ci vogliono coinvolgere in una loro nuova iniziativa legata alla loro sede di Bolzano. Per noi di SPORTLER è stata la conferma di quanto sia importante lavorare al rafforzamento della community che gravita attorno ai nostri store. Dallo scorso anno abbiamo anche rilanciato gli SPORTLER Team, molto attivi fino a qualche anno fa nel ciclismo e nel podismo.

Di cosa stiamo parlando esattamente?

Si tratta di team formati dai nostri clienti che vogliono partecipare alle gare sotto l’insegna di SPORTLER, indossando la nostra divisa. Fino ad oggi avevano due “anime”, una ciclistica e una podistica. Per ognuno dei due team era prevista rispettivamente l’affiliazione alla FCI e alla FIDAL. Stiamo già lavorando ad aprirci ad altre discipline sportive come sci nordico, alpinismo e arrampicata. Il nostro obiettivo è quello di promuovere fra le persone la voglia di fare sport e nello stesso tempo il senso di appartenenza che si può avere nel riconoscersi in un brand come SPORTLER.

SPORTLER

Izagirre riapre una vecchia ferita, Vasseur piange. Domani le Alpi

13.07.2023
6 min
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Un giorno di ordinaria follia al Tour de France e vittoria di quel Ion Izagirre che sette anni fa ci fece quasi piangere, sfilando una vittoria quasi sicura dalle mani di Vincenzo Nibali. Lo Squalo aveva vinto il Giro, ma in Francia faticava a collegare i puntini, sulla strada delle Olimpiadi di Rio. Erano giorni pesanti e duri, fra attacchi sui giornali e colpi bassi.

Nel giorno di Morzine, con il Col de Joux Plane e la conseguente discesa, Nibali era riuscito a scollinare davanti e tuffarsi nella picchiata con la solita verve. Poi la pioggia e la voglia di non rischiare gli suggerirono di tirare i freni e sul traguardo alpino fu passato da Pantano e Izagirre, che vinse. Ironia del destino, a Rio Nibali cadde proprio in discesa, rimpiangendo forse quella tappa sfumata. Alla fine della stagione, chissà se dopo averlo visto in azione al Tour, Nibali portò con sé Ion e suo fratello Gorka nella neonata Bahrain-Merida.

«Gli ultimi chilometri sono stati emozionanti – racconta Izagirre – volevamo continuare la linea dopo la vittoria di tappa di Lafay. Eravamo venuti al Tour per vincere una tappa, ma averne già vinte due è fantastico. Ero felice di essere nella fuga giusta. La collaborazione è stata buona fino all’ultima salita, così ho deciso di attaccare. Avevo molta fiducia nelle mie gambe. Negli ultimi chilometri mi sono passate per la testa un sacco di cose. E’ stato un giorno emozionante».

Dopo il traguardo il team manager Cedric Vasseur (foto di apertura) non ha fatto nulla per trattenere le lacrime. Per la squadra che lo scorso anno lottò per non retrocedere, due vittorie di tappa sono più dell’ossigeno.

Jakobsen a casa

Già, la fuga giusta. Nel giorno in cui l’invisibile Jakobsen ha lasciato il Tour (l’olandese accusa i postumi di una caduta), la corsa è stata a dire poco esplosiva. Verrebbe da appuntare la vena di ironia che popola le vicende più recenti dei velocisti di casa Soudal-Quick Step. Lasciato andare Cavendish per puntare su Jakobsen, le prestazioni dell’olandese al Tour si sono limitate alla tappa di Nyborg dello scorso anno, antipasto del titolo europeo di Monaco. Per lasciargli spazio, la squadra ha lasciato partire anche Merlier, salvo scoprire che dal 2024 Jakobsen se ne andrà, probabilmente al Team DSM.

Comunque stamattina c’è stato appena il tempo perché Prudhomme abbassasse la bandierina di partenza e Mads Pedersen ha attaccato.

Ha continuato a insistere per tutta l’ora successiva, mentre Van Aert sembrava iperattivo in testa al gruppo, senza tuttavia riuscire a guadagnare metri. La fuga giusta è partita dopo 70 chilometri da mal di testa e ha visto a fasi alterne gli attacchi di Van der Poel e Amador, mentre dietro il gruppo esplodeva. Poi Van der Poel ha deciso di fare da sé, ma ha pagato l’assolo, staccandosi dopo aver iniziato con un piccolo vantaggio anche l’ultima salita.

Un circolo virtuoso

Izagirre è partito con un vantaggio di 25 secondi proprio sulla cima della rampa finale, mentre dietro Guillaume Martin faceva la guardia con astuzia e grande tempismo.

«E’ stata molto dura dall’inizio alla fine – racconta il filosofo della Cofidis, venuto al Tour per fare classifica – e davanti tutti hanno finito la tappa con l’energia che gli era rimasta. Il gruppo in fuga alla fine si è sbriciolaro. Abbiamo pedalato anche con le orecchie – ha riso – come si suol dire in questi casi, ma questi sono giorni belli e bei ricordi. 

«Ho provato a controllare, non è stato facile perché alla fine attaccavano a turno e sono contento di avere di nuovo gambe che rispondono bene. Ion (Izagirre, ndr) prima ha chiuso su Thibaut Pinot e poi ha attaccato ed è riuscito a vincere. E’ un circolo virtuoso, la vittoria chiama vittoria e noi della Cofidis potremmo non fermarci qui».

Van der Poel è stato anche da solo al comando, ma ha dovuto arrendersi alla gamba che ancora non c’è
Van der Poel è stato anche da solo al comando, ma ha dovuto arrendersi alla gamba che ancora non c’è

La resa di Van der Poel

Secondo Sonny Colbrelli, che oggi a Reggio Emilia ha presentato la Merida prodotta col suo nome in edizione limitata, Van der Poel ha fatto ancora un po’ di prove per il suo vero obiettivo: il campionato del mondo.

«Mi sono sentito meglio oggi – ha detto Mathieu, ancora rauco – ma il mio corpo non è ancora pronto per una prestazione vincente. Sono tre giorni che mi sento male. Ricevere il numero rosso è un bel premio, ma avrei preferito vincere. Oggi potrebbe essere stata la mia ultima possibilità di fare qualcosa, ma non ho avuto abbastanza vantaggio per passare l’ultima salita. Nei prossimi tre giorni il percorso non fa per me. Se non altro, sono contento di essermi sentito meglio rispetto agli ultimi tre giorni».

Largo ai giganti

Da domani infatti il gruppo attaccherà le Alpi, con l’arrivo in salita a Grand Colombier, in una tappa breve di 138 chilometri.

Sabato giornata più lunga, con 152 chilometri e l’arrivo a Morzine con lo stesso finale di quella volta nel 2016.

Infine domenica, altri 179 chilometri fino a Saint Gervais Mont Blanc. Le tappe interlocutorie sono finite, da domani riprenderanno in mano le operazioni le squadre dei giganti. E Pogacar, tanto per scaldare la gamba, come risposta implicita agli scatti del mattino di Vingegaard, ha fatto la volata di gruppo.