Casa Belgio, guidati dal Nieuwsblad e dalle parole di Campenaerts

27.07.2024
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Che cosa si dice in casa Belgio alla vigilia della crono? Il quotidiano Het Nieuwsblad ha coinvolto per un’analisi della crono olimpica un altro specialista belga che non le manda a dire: Victor Campenaerts. Il vincitore della tappa di Barcelonette al Tour de France ha composto il suo podio analizzando i candidati alle medaglie di Parigi – Evenepoel, Tarling e Ganna –  con una serie di considerazioni che sintetizziamo per offrire il polso di come il Belgio del ciclismo si accinga a vivere il primo giorno di gare del ciclismo (in apertura foto Het Nieuwsblad/IMAGO/SW Pix).

Evenepoel e Van Aert arrivano a Parigi con diverse credenziali. Il secondo in effetti appare ancora sotto tono, ma va capito se i lavori fatti al Tour abbiano in qualche modo migliorato la sua condizione. Nei giorni scorsi ha provato un setup insolito sulla sua Cervélo, utilizzando la ruota lenticolare anche all’anteriore, dato che il percorso risulterà infine molto veloce. Il primo invece arriva con il morale alle stelle, la sensazione di essere il favorito e la sola crepa del terzo posto nella crono finale che potrebbe aver intaccato marginalmente la sua convinzione. Dopo la recon sul tracciato olimpico, Remco ha tuonato sulla condizione delle strade, a suo dire piene di buche.

Campenaerts ha 32 anni, è alto 1,73 e pesa 68 chili. Al Tour ha vinto la tappa di Barcelonette
Campenaerts ha 32 anni, è alto 1,73 e pesa 68 chili. Al Tour ha vinto la tappa di Barcelonette

Su Evenepoel

«Sarà una battaglia emozionante – ha detto Campenaerts a Het Nieuwsblad – una battaglia di secondi. Se a metà della cronometro ci fosse stata una salita di cinque chilometri al 6%, sarebbe stato meglio per Remco. Non perché non possa andare veloce su questo percorso, ma gli altri due sono troppo pesanti e ne sarebbero stati rallentati. Remco è in grado di gestire qualsiasi cosa in termini di percorsi: pesante, medio e piatto. Si corre a Parigi nel centro della città, dove ci sarà molto riparo a causa dei palazzi. Minore è il vento, maggiore è il vantaggio aerodinamico per Remco. Nei rettilinei andranno tutti a 60 all’ora.

«Vince Remco perché è in forma e ha un grande morale. Viene a Parigi con poca pressione. Ha fatto un buon Tour. E’ rimasto ancora per qualche giorno a Nizza con la moglie Oumi. E’ rilassato. Il Tour è stato il grande progetto suo e della squadra. Se al contrario il team avesse messo al centro le Olimpiadi, allora Remco avrebbe fatto più ricognizioni con l’allenatore della nazionale Sven Vanthourenhout. Anche se i due maggiori avversari hanno una preparazione più specifica, credo che possa vincere».

Tarling non ha più corso dopo i campionati nazionali e si è preparato per Parigi (foto Het Nieuwsblad/IMAGO/SW Pix)
Tarling non ha più corso dopo i campionati nazionali e si è preparato per Parigi (foto Het Nieuwsblad/IMAGO/SW Pix)

Su Tarling

«Conquisterà l’argento a vent’anni. Gli atleti inglesi alle Olimpiadi superano se stessi, le vivono con lo stesso spirito con cui tutti gli altri vivono il Tour de France. Tarling ha fatto di questi Giochi un obiettivo. La corona anteriore da 68 denti sarà un vantaggio. Ne ho parlato ampiamente con Remco alla Parigi-Nizza: non so lui cosa sceglierà. Ma ovviamente Tarling non spingerà il 68×11. Su questo percorso che ha poche curve, io avrei osato anche un plateau più grande davanti, ma sarei andato molto agile dietro. Ad esempio il 70X14 produrrebbe meno attrito meccanico. Penso ci abbiano pensato, la INEOS Grenadiers è più avanti rispetto alla squadra di Remco in termini di marginal gains.

«Per Tarling sono le prime Olimpiadi – è la riflessione affidata da Campenaerts a Het Nieuwsblad – ma questo non inciderà tanto. Che si tratti del Tour of Britain o di Parigi, la cronometro rimane una prova in cui si pedala dal punto A al punto B il più rapidamente possibile. Tarling non è solo un ottimo cronoman, ha anche avuto il percorso migliore per prepararsi».

Ganna si è diviso fra il lavoro in pista e quello della crono (foto Het Nieuwsblad/IMAGO/SW Pix)
Ganna si è diviso fra il lavoro in pista e quello della crono (foto Het Nieuwsblad/IMAGO/SW Pix)

Su Ganna

«L’italiano avrà avuto più o meno la stessa preparazione di Tarling, ma la nazionale britannica è leggermente diversa dagli azzurri. La forza degli italiani – annota Campenaerts su Het Nieuwsblad – è che nella corsa su strada, nonostante corrano tutto l’anno in squadre diverse, siano uniti come se fossero compagni per la vita. Questo in una cronometro non conta, ed è il motivo per cui ho messo Pippo al terzo posto. La INEOS Grenadiers aveva un progetto parallelo fra questi Giochi e il Tour. La dirigenza sapeva in anticipo che per Carlos Rodriguez non sarebbe stato facile arrivare terzo, così si è dedicata anche alla preparazione olimpica. Questa ha permesso a Tarling e Ganna di sviluppare il body in base alla velocità di gara stimata. L’effetto di un body migliore cambia a una velocità di 55 chilometri all’ora rispetto a una velocità di 48 chilometri all’ora.

«La nuova bici Pinarello sarà un grande vantaggio, soprattutto a livello psicologico. Se credi che vincerai e il tuo concorrente crede che tu sia imbattibile, allora sei già a metà dell’opera. Però non credo che aggiornando la bici si risparmieranno più di due secondi sull’intero percorso di 32,4 chilometri, anche se quei pochi secondi possono fare la differenza. Se alla fine Van Aert utilizzerà le due lenticolari, farà sicuramente una differenza maggiore rispetto alla nuova Pinarello. Il problema è che la bici diventa come un treno, difficile da guidare in curva. Wout è l’unico che possa guidarla e allora si avvicinerebbe ai primi tre. Mentre credo che Kung non avrà possibilità di medaglia, a meno che i primi tre non incorrano in qualche sfortuna».

E’ il giorno di Campenaerts e delle domande su Evenepoel

18.07.2024
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BARCELONETTE (Francia) – Dice Campenaerts che per vincere questa tappa al Tour è stato per nove settimane a Sierra Nevada. Per quattro, ci sono stati anche i suoi compagni di squadra, poi loro se ne sono andati e lui è rimasto. Il primo ad arrivare, l’ultimo ad andarsene. La famiglia è stata con lui a lungo, come lo hanno seguito nella settimana centrale del Tour, piuttosto vicina al Belgio. Hanno passato del tempo insieme. Dice che gli piacerebbe stare a casa con loro, ma se prevalesse questo sentimento, allora non potrebbe fare il Tour de France.

Dice Campenaerts di aver cerchiato questa tappa da dicembre, quando gli hanno detto che la Lotto Dstny sarebbe venuta in Francia con De Lie. Arnaud è un grande velocista, ma che lui per vincere avrebbe avuto bisogno di una tappa come questa. E infatti l’ha vinta, come vinse quella di Gorizia al Giro 2021, chiudendo idealmente la porta su ciò che di interlocutorio c’è stato in questa corsa così bella.

A casa di Remco

Domani infatti cominciano i tre giorni che decideranno il Tour de France. Si potrebbe dire che tutto sia ormai definito, ma le due tappe di montagna e poi la crono finale sono così cattive che la minima flessione potrebbe costare parecchio. Pogacar ha appena sottolineato l’importanza di conoscere le strade e ha escluso ogni alleanza con Evenepoel, perché saranno tappe che richiederanno più forza che tatticismi. Eppure il belga è l’oggetto misterioso. Non perché possa vincerlo, ma perché il passare dei giorni ha visto anche il crescere della sua fiducia.

Il suo Tour è una sorpresa e una conferma, questo dice Tom Steels, direttore sportivo della Soudal-Quick Step con 9 tappe vinte al Tour e 2 Gand-Wevelgem. Lui lo ha visto nascere, crescere e diventare corridore e sul suo Tour si è fatto un’idea. Parliamo all’ombra del pullman, l’asfalto si squaglia sotto i piedi.

«Siamo venuti qui con l’ambizione di arrivare tra i primi cinque – dice – e poi, passo dopo passo, di avvicinarci al podio. Abbiamo vinto la crono. Ora però ci sono ancora tre giorni duri, sarà molto difficile. Spero che riusciremo a difendere la posizione, ma possiamo essere fiduciosi. Remco ha comunque recuperato molto bene. Salire sul podio a Nizza va bene, se viene fuori qualcos’altro, ci proveremo».

Tom Steels, classe 1971, è diesse alla Soudal-Quick Step dal 2011
Tom Steels, classe 1971, è diesse alla Soudal-Quick Step dal 2011

Anche gli altri soffrono

In quell’attaccare sconclusionato di Pogacar nella tappa di ieri, l’allungo di Evenepoel nel finale è stato un punto di svolta. Di quelli che cambiano una carriera. Non tanto per il vantaggio, ma per averlo pensato e portato a termine.

«E’ stato importante – conferma Steels – è decisivo per lui sentire che è fisicamente è ancora vicino a Vingegaard e Pogacar. Deve rendersi conto che soffrono anche gli altri, anche se Pogacar adesso vola. Mentalmente è molto importante sentire di poter fare qualcosa. Vedremo come andrà domani, ma almeno sa di essere vicino al loro livello. Non sappiamo quale squadra scandirà il ritmo sulla Bonette o come sarà fatta la discesa. Poi Isola 2000 sarà difficile da affrontare. In ogni caso, Remco ha confermato che il Tour è il suo ambiente naturale. Non sente la pressione della gara e del fuori gara. Si comporta come quando non è al Tour e vi garantisco che qui c’è tanta pressione. Lui invece continua come al solito. Sono molto sorpreso dal percorso dalla prima tappa fino ad oggi, da come affronta la corsa. Questa per me è la vera sorpresa».

Sui rulli dopo l’arrivo con il suo giubbino del ghiaccio: Evenepoel è atteso a tre giorni molto importanti
Sui rulli dopo l’arrivo con il suo giubbino del ghiaccio: Evenepoel è atteso a tre giorni molto importanti

Parla l’allenatore

Certe cose non riescono se non si hanno grandi gambe. E la sensazione è che il ragazzino belga in maglia bianca stia crescendo. Forse è funzionale al fatto che poi ci saranno le Olimpiadi o forse si potrà davvero parlare di lui come di un corridore per corse a tappe. Koen Pelgrim che lo allena sembra ottimista circa la sua tenuta.

«Non mi aspettavo di trovarmi così a tre tappe dalla fine – dice – ma lo speravo. Sapevamo che se Remco fosse arrivato nella forma migliore, avrebbe potuto competere con i primi cinque. Penso che ogni giorno sia stato importante e lui è sempre stato stabile fin dai primi giorni in Italia, poi sul Galibier, gli sterrati e la crono. Non c’è stata una tappa in particolare: sta crescendo passo dopo passo. Sapevamo dalla Vuelta vinta che se avesse fatto un buon Tour, allora nell’ultima settimana avrebbe potuto recuperare il terreno perso e questo sta accadendo. Le due corse non sono paragonabili, troppe differenze di temperature, alture, distanze. Ma la sua costanza resta interessante da osservare, in una corsa che non ha avuto un solo giorno privo di agonismo. Stiamo traendo le indicazioni su cui ragionare e poi lavorare».

Koen Pelgrim con Van Wilder al suo arrivo al pullman: il racconto della tappa e delle sensazioni
Koen Pelgrim con Van Wilder al suo arrivo al pullman: il racconto della tappa e delle sensazioni

Due anni da colmare

All’arrivo di ogni corridore al pullman, Koen si ferma a parlare e ne chiede i feedback immediati. Landa è stanco, ma sembra stare bene. Van Wilder ha fastidio a un ginocchio. Moscon, arrivato per primo, sta alla grande. Forse nel valutare questa corsa, si dovrebbe considerare che Evenepoel ha due anni meno di Pogacar e quattro meno di Vingegaard.

«Il fatto di migliorare – spiega l’allenatore – è legato al crescere. Non penso che il cambio di ritmo sia il vero punto debole, soprattutto osservando le tappe qui. Il divario da Pogacar è dovuto al fatto che Tadej al momento è un corridore migliore, soffre di meno e quindi ha più margine per l’accelerazione. In più è un corridore esplosivo per natura. Quindi, se ha ancora molta riserva, la sua accelerazione è davvero impressionante. Penso sia solo un fatto di maturare e far crescere il motore. E se ci riusciamo, anche le accelerazioni saranno più facili da gestire. Forse domani sarà la chiave del suo Tour, con la Bonette così lunga il grande caldo. Guai però sottavalutare il giorno successivo. La tappa è più corta, il dislivello è maggiore. E poi c’è la crono. Sono tre giorni, ma saranno lunghissimi…».

Leve girate, Remco a crono, Ganna in salita: ci chiama Malori

04.03.2022
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Se si parla di aerodinamica, tranquilli che arriva Malori. Adriano ci mette così tanta passione, che le sue osservazioni diventano ogni volta motivi di approfondimento. In particolare, l’emiliano ha annotato nel suo taccuino tre passaggi delle ultime settimane.

1) La posizione da crono di Evenepoel.

2) Le leve sul manubrio girate verso l’interno, che Campenaerts (in apertura a Le Samyn) e Remco potrebbero aver ispirato e si sono ormai diffuse a macchia d’olio.

3) La tattica e la posizione in sella di Filippo Ganna a Jebel Jais, arrivo in salita della quarta tappa del UAE Tour dopo una scalata di quasi 30 chilometri, che ha permesso al piemontese di arrivare a soli tre secondi da Pogacar.

L’occasione è da cogliere al volo, per cui iniziamo anche noi a prendere nota, mentre Malori dall’altra parte inizia a spiegare.

All’Algarve, Evenepoel ha vinto a crono con la nuova posizione e pedivelle da 165
All’Algarve, Evenepoel ha vinto a crono con la nuova posizione e pedivelle da 165

Remco e la crono

Quello che lo stupisce non sono le pedivelle da 165 in sé, usate a crono da Evenepoel, quanto piuttosto la tendenza ad accorciarle rispetto alla bici da strada.

«Allungare le pedivelle sulla bici da crono ha un senso per atleti dalle leve lunghe – spiega Malori – nei brevilinei non ha grande utilità. Probabilmente il fatto che le riduca rispetto a quelle da strada dipende dalla sua agilità. Sono valutazioni che cambiano da corridore a corridore, a me viene da pensare che le abbia provate, si sia trovato bene e non abbia più voluto cambiarle. Non credo però che questo possa modificare le abitudini di altri, dubito che Ganna provi a cambiare certe abitudini.

«La cadenza di pedalata è personale e l’agilità la insegni da ragazzino, magari facendo pista. Diciamo che da un lato è decaduto il tabù del cronoman molto alto, dall’altro sappiamo che più sei basso e più sei aerodinamico. Basti pensare alle differenze contro vento fra uno come Evenepoel e Ganna con le sue spalle larghe. Lo stesso Bissegger che lo ha battuto al UAE Tour è 1,78. Ma tornando a Remco, non lo vedo all’altezza di Pippo in una crono veloce, mentre in una dura come quella di Tokyo, ad esempio, può fargli male».

Le leve girate

Le leve all’interno, un po’ figlie di Victor Campenaerts e in parte anche del giovane belga, fanno decisamente tendenza. La soluzione infatti è stata recepita e copiata da altri professionisti ed è ben diffusa fra gli amatori.

«Manubrio stretto – dice Malori – e leve girate verso l’interno. Sicuramente la spinta è la ricerca di aerodinamicità, ma non si può vedere, oltre a essere pericoloso. Le braccia strette sicuramente migliorano la penetrazione, ma perdi guidabilità e reattività. Considerate che un corridore sta all’80 per cento del tempo in bici con le mani sulle leve. Questo vuol dire che avrà i polsi caricati in dentro e di conseguenza i gomiti e le spalle che devono assecondare quella posizione.

«Oltre che brutto da vedere, il vantaggio aerodinamico è minimo perché per compensare le mani strette, devi tenere i gomiti larghi e in aggiunta perdi guidabilità. Se hai la mano caricata verso l’interno, per frenare devi fare una rotazione del polso che allunga il tempo di reazione. Perdi rapidità nel gesto della frenata e magari in discesa al Lombardia quel mezzo secondo ti sarebbe più utile per frenare. Sono cose che non concepisco, vanno bene i marginal gain, ma un corridore dovrebbe opporsi a certe trovate. Penso che se proponi qualcosa del genere a Valverde o Nibali, i freni girati te li tirano in faccia…».

Ganna e la salita

E poi c’è Ganna, che si salva su una salita di 30 chilometri, gestendosi anche grazie alla sua posizione perfetta sulla bici da strada, che guardando la gallery qui sopra, ricalca davvero quella sulla bici da crono.

«Una posizione da paura – sorride Malori – che gli ha permesso di compensare il gap dagli scalatori. Chiaro che è riuscito a farlo perché la salita era pedalabile, lunga e c’era vento. Quel giorno Pippo ha portato in salita le qualità del cronoman, soprattutto perché una posizione da strada come la sua in salita non ce l’ha nessuno. C’è una foto che ha pubblicato quella sera su Instagram (la stessa che vedete qui sopra, ndr) che merita di essere mostrata nelle scuole di ciclismo. Quando acceleravano, si sfilava e amministrava lo sforzo.

«Quando calavano, lui si faceva sotto. E’ andato sempre agile, tranne l’ultimo tratto in cui ha messo il rapporto. Si saliva a 30 all’ora e credo di poter dire che abbia speso 50 watt in meno solo grazie alla posizione. Lui non ha il cambio di ritmo e si è gestito alla grande. Andavano su a frustate, mentre Ganna è rimasto costante per tutto il tempo. Chiaramente puoi farlo su salite così e non sull’Alpe d’Huez, ma a vederlo tutto basso com’era, si capisce come l’aerodinamica sia importante anche in salita».

Record dell’Ora: ultimi minuti devastanti. Morelli, spiegaci tu

06.11.2021
6 min
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La scalata di un 8.000, una maratona, il record dell’Ora: cosa hanno in comune? Beh, oltre al gusto dell’impresa, la durezza della parte finale. Si dice che nella maratona dopo il 35°, ogni chilometro valga per tre. Che 100 metri di dislivello al di sopra degli 8.000 metri vadano moltiplicati per quattro. E lo stesso vale per i 10 minuti finali del record dell’Ora, una specialità tanto affascinate quanto dolorosa.

Ed è un po’ quel che mercoledì scorso è successo all’inglese Alex Dowsett. E’ stato più o meno sui tempi di Victor Campenaerts, poi è crollato, fermandosi a poco più di mezzo chilometro dal primatista belga: 534 metri per la precisione.

Ad Aguascalientes Dowsett si è fermato a 54,555 chilometri, 534 metri in meno di Campenaerts
Ad Aguascalientes,Dowsett si è fermato a 54,555 chilometri, 534 metri in meno di Campenaerts

Parola a Morelli

Ma cosa succede in quell’ora al corpo umano? E ancora meglio, cosa succede in quei 10′-15′ finali? Proviamo a fare chiarezza con Andrea Morelli, del Centro Mapei Sport, il quale entra subito nel merito.

«E’ un discorso molto ampio – dice Morelli – Io parlerei prima di tutto di fatica metabolica, che in quella fase finale è legata principalmente ad un discorso energetico, al quale si associa anche una fatica psicologica.

«Quando tenti il record dell’Ora cerchi di ottimizzare la potenza nell’arco dei 60’. Pertanto lavori molto sulla potenza aerobica, cerchi di aumentarla il più possibile. Se il VO2 Max, cioè il massimo consumo d’ossigeno, può durare all’incirca 7′, la soglia la si dovrebbe tenere per 40′-60′. Il problema qual è? E’ che il corpo è in equilibrio tra produzione e smaltimento di acido lattico. Spingendo forte in modo costante e supponendo di essere al limite, a un certo punto questo equilibrio si rompe e si inizia ad accumulare acido lattico. Di conseguenza la prestazione inizia a calare».

Le delicate fasi del via. Qui Wiggins che con 54,526 chilometri demolì proprio Dowsett, nel 2015 primatista con 52,937 chilometri
Le delicate fasi del via. Qui Wiggins che con 54,526 chilometri demolì proprio Dowsett nel 2015

Tabella di marcia 

«Tu imposti la tua tabella di marcia – riprende Morelli – sai che ad ogni giro dovrai mantenere un certo tempo, tuttavia partendo da fermi si inizia subito con un deficit. Proprio alla partenza inizia l’accumulo che ci si porta dietro per tutta la durata del tentativo. Anche se in fase di avvio non si è “a tutta”, si passa da uno stato di metabolismo basale ad uno cinetico, di sforzo. Questo fa sì che si produca subito un debito energetico che solitamente si paga nel finale. E per questo è molto importante essere graduali al via».

In pratica bisogna arrivare a regime quanto prima, ma senza accumulare acido lattico o limitarlo al massimo, anche se muscolarmente in quel momento l’atleta non avverte nulla, non ha la sensazione di mal di gambe. Il rovescio della medaglia è che ad essere troppo cauti, si rischia di perdere troppo terreno.

Da Desgrange (1893) a Campenaerts (2019) il Record dell’Ora ha sempre suscitato un grande fascino
Da Desgrange (1893) a Campenaerts (2019) il Record dell’Ora ha sempre suscitato un grande fascino

Disaccoppiamento Fc/Watt

Il discorso sulla partenza da fermo innesca poi un tema affatto secondario: il disaccoppiamento tra la frequenza cardiaca e la potenza espressa, i watt. Che poi il gioco è tutto lì. Perché la letteratura scientifica è una cosa e la realtà è un’altra.

«Prima – dice Morelli – abbiamo detto che in teoria un atleta può tenere il ritmo di soglia anche per 60′. Cioè per un’ora c’è equilibrio fra l’acido lattico prodotto e quello smaltito. Un equilibrio che alla soglia viene individuato in 4 millimoli di acido lattico. In realtà questo valore è un po’ più basso. O quantomeno non dura per 60′. A un certo punto infatti, vuoi perché aumenta la temperatura corporea, vuoi perché cala il glicogeno nei muscoli, il cuore per mantenere lo stesso livello di potenza aumenta i battiti. In questo modo però, poco dopo aumentano anche le 4 millimoli di acido lattico prodotte e il corpo non può smaltirne di più». E a lungo andare la prestazione decade.

Determinanti gli istanti prima del via. Ecco Campenaerts sempre ad Aguascalientes nel 2019 quando siglò il primato con 55,089
Determinanti gli istanti prima del via. Ecco Campenaerts sempre ad Aguascalientes nel 2019

Equilibrio molto sottile

Durante il tentativo di record non ci si può alimentare, né bere. Ogni scorta pertanto deve essere fatta prima del via e deve essere ben valutata.

«La strategia è fondamentale – spiega Morelli – vengono ad innescarsi due meccanismi di fatica: quella periferica e quella centrale. La prima, semplificando al massimo, è il mal di gambe. Ed è la capacità di esprimere la forza nell’arco del tempo. La seconda riguarda il massimo consumo di ossigeno e va ad intaccare il sistema cognitivo e nervoso. Anche il cervello si stanca e ha una determinata percezione della fatica.

«Detto ciò, è molto importante riuscire a trovare il proprio passo su quel determinato dispendio energetico. Nella fatica subentrano tantissimi meccanismi. Il corpo umano trae energia dal fegato, da una parte interna all’organismo che c’è in circolo (ma è molto piccola) e dal glicogeno: è importante riuscire a sfruttarle al massimo e al meglio».

Nel 2015 Bobridge si fermò a 51,300 fallendo i 51,825 di Brandle e disse: «Non ho mai fatto una cosa più dura»
Nel 2015 Bobridge si fermò a 51,300 fallendo i 51,825 di Brandle e disse: «Non ho mai fatto una cosa più dura»

Aerodinamica o ossigenazione?

In velodromo poi le variabili sono meno, ma possono diventare più complicate: come per esempio la termoregolazione. E questo, non potendo bere né gettarsi acqua addosso come si vede spesso fare d’estate, incide più di quanto si possa pensare sulla prestazione e sui minuti finali, come è intuibile.

«L’atleta a un certo punto raggiunge una temperatura interna critica e molti meccanismi entrano in crisi. E lo fanno tutti insieme. Quali? La temperatura troppo alta appunto, l’acido lattico nei muscoli, la scarsità di carboidrati per i muscoli, la diminuzione della forza periferica… Tutto ciò mette in crisi prima di tutto il cervello che è la centralina che comanda tutto.

«Inoltre, nel caso di Dowsett, non dimentichiamo che era in quota (quasi 1.900 metri, ndr). E per i grossi motori aerobici come il suo, paradossalmente è peggio. Poi chiaramente va valutato il punto di equilibrio fra la potenza aerodinamica (che con l’aria rarefatta aumenta) e quella aerobica, che appunto diminuisce. Questo però non toglie il fatto che il cervello, con minor ossigeno a disposizione, sia chiamato ad un extralavoro».

«Chi affronta il Record dell’Ora – conclude Morelli – deve avere caratteristiche molto particolari, fisiche ma anche psicologiche. Deve essere in grado di soffrire moltissimo. Non a caso, quando concludono la prova non stanno in piedi. E questo è anche il motivo per cui in allenamento, quando raggiungono i livelli di potenza aerobica che intendono mantenere, non fanno mai sessioni complete di un’ora, ma di 20′-25′, al massimo 30′. Altrimenti sapendo cosa li aspetta, sarebbero già battuti in partenza».

Campenaerts, l’ardore di chi ha rischiato di smettere

23.05.2021
4 min
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Ripartiamo da Verona, ti va? Victor Campenaerts si gira e fissa perplesso. Ha appena vinto la tappa di Gorizia, cosa c’entra Verona? Gli spieghiamo il punto di vista. Dicesti di essere super felice per la vittoria di Nizzolo, quale felicità provi in questo momento? Sorride e capisce. Si mette comodo e comincia a parlare.

Un paio di chilometri dopo il via, una maxi caduta ferma la corsa e costringe al ritiro 4 corridori fra cui Buchmann
Un paio di chilometri dopo il via, una maxi caduta ferma la corsa e costringe al ritiro 4 corridori fra cui Buchmann

«Con Nizzolo volevamo vincere a tutti i costi – dice – per i tanti secondi posti e perché non aveva mai vinto una tappa al Giro. A Verona è stato un vero lavoro di squadra. Non solo l’esplosione di gioia per Giacomo, ma la soddisfazione di tutto il team. Come questa vittoria. Che resterà assegnata a me, ma ha sopra anche i nomi di Wisniowski e Max Walsheid».

Paura di smettere

Victor è un torello, alto 1,73 per 68 chili. A volte è simpatico, a volte si mette di traverso. Quando è entrato nella stanza, aveva in mano la magnum di Astoria e ci si è attaccato come stesse sorseggiando acqua fresca. La Qhubeka-Assos ha vinto tre tappe in questo Giro d’Italia, uno score impressionante, per una squadra che a un certo punto sembrava dovesse sparire. E a ben guardare è questo il motivo di tanto ardore.

Al passaggio in Slovenia, un tripudio di pubblico: viva il Giro d’Italia
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«E’ stato difficile per questa squadra restare in vita – dice – tutti noi che ne facciamo parte a un certo punto abbiamo dubitato che saremmo stati ancora dei corridori professionisti. Siamo felici di aver avuto la chance di vestire ancora questa maglia, perché corriamo anche con un grande obiettivo. Vogliamo cambiare il mondo con le biciclette, perché le biciclette possono cambiare le vite. E’ la ragion d’essere del nostro sponsor Qhubeka, ma non abbiamo ancora nulla in mano per il prossimo anno, spero che con queste tre vittorie siamo riusciti a fare una valida promozione».

Cambio di pelle

Come è stato che il Campenaerts del record dell’Ora si sia trasformato quasi in un uomo da classiche, capace di vincere una tappa come questa, attaccando sugli strappi e vincendo la volata, lo spiega lui con chiarezza.

Riesbeeks prova a staccare Campenaerts sull’ultimo strappo, ma il belga resiste
Riesbeeks prova a staccare Campenaerts sull’ultimo strappo, ma il belga resiste

«Quest’inverno – dice – mi sono guardato intorno e ho capito che con le prestazioni eccezionali di Ganna nelle crono e anche di Remco e Van Aert, le mie occasioni di avere dei buoni risultati nelle crono sono scese drasticamente. Non avrei potuto rappresentare il mio Paese nelle fantastiche Olimpiadi e così ho cercato di reinventarmi. Probabilmente nella crono di Milano non riuscirò a vincere, anche se ci proverò in tutti i modi. Sarà difficile, perché negli ultimi mesi non mi sono focalizzato su quel tipo di allenamento come avevo fatto l’anno scorso. Si ottengono i risultati che si meritano e forse io non merito di fare risultati a crono, mentre sono felice di essermi guadagnato questa tappa».

Motivati e cattivi

L’ultimo pensiero è per il festeggiamento di questa sera in albergo, senza pensare minimamente alla neve del Giau e della tappa di domani.

Sul traguardo di Gorizia, Campenaerts precede Riesbeeks
Sul traguardo di Gorizia, Campenaerts precede Riesbeeks

«In squadra si è creata una grande atmosfera – dice – avevamo già vinto due tappe e questa si potrebbe considerare un surplus. Però bastava guardare quanto fossimo motivati e cattivi alla partenza, per capire che non fossimo soddisfatti. Abbiamo messo tre corridori nella fuga e abbiamo mostrato una grande intesa. I miei due compagni mi hanno protetto e hanno creduto in me. Sono super contento. Terrò da parte questa bottiglia per loro, stasera voglio festeggiare con i miei amici».