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Parla zio Tafi: «Umberto devi crederci»

21.01.2021
3 min
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La vicenda di Umberto Orsini, costretto a ritirarsi a soli 26 anni non avendo trovato una squadra che credesse ancora in lui, lo ha toccato nel profondo e non poteva essere altrimenti: Andrea Tafi è suo zio e sa bene che le sue imprese hanno instillato in quel ragazzo la forte voglia di emularlo, di investire ogni stilla di energia sulla bici. Nel corso della chiacchierata, zio Andrea non vuole però parlare di ritiro: «Ho detto a Umberto che deve sempre crederci, che non deve smettere di allenarsi, perché finché c’è vita c’è speranza. Gli ho detto che ai miei tempi c’erano più possibilità – prosegue Tafi – più squadre, ma questo non significa che non possa trovare una porta aperta, deve però crederci sempre».

Sicuramente i problemi fisici al ginocchio, in una stagione così complicata e sui generis come il 2020, non lo hanno aiutato…

E’ un periodo difficile, le squadre sono poche e non hanno potuto fare piena attività, soprattutto in tutto il calendario extra WorldTour. I team vivono con fatica questa pandemia, i soldi scarseggiano e se a questo si aggiungono i problemi fisici che Umberto ha avuto sin dal Giro 2019, ecco che viene fuori la situazione attuale. Io dico che il 2020 non fa testo, è stata una stagione troppo diversa dalle altre, nessuno ha potuto esprimersi al meglio.

Al Giro dell’Emilia 2020, Orsini si è piazzato al 62° posto
Al Giro dell’Emilia 2020, Orsini si è piazzato al 62° posto
Umberto ha sofferto più di altri il passaggio di categoria?

Probabilmente sì, è un mondo completamente diverso, quello dei professionisti. Aveva dimostrato tanto prima di passare di categoria, ma tra i professionisti bisogna stringere i denti, tutti hanno avuto momenti difficili. Io stesso nel ’91 ero quasi rimasto a piedi, sapevo che dovevo fare qualcosa e con lavoro, costanza e determinazione mi rimisi in piedi, lavorai per mettermi in evidenza e vinsi il Giro del Lazio, da cui ripartii per la parte più importante della mia carriera. Probabilmente in Umberto ha influito molto anche il suo carattere, un po’ chiuso. E’ abituato a tenere tutto dentro di sé, ma vedevo la sua amarezza e la sua delusione.

Nel suo racconto, Orsini ci ha detto che quel che manca nel mondo professionistico è la tutela nei confronti dei ragazzi, che si sentono un po’ soli…

Su questo non sono d’accordo. Non stiamo parlando di ragazzini, sono maggiorenni, devono essere capaci di camminare da soli, farsi domande, mettersi in discussione e cercare cose concrete. Le squadre sono molto attente ai corridori perché sono loro che muovono il movimento, è chiaro che tutto dipende dai risultati, se non arrivano si perde smalto, ma è un mondo che non regala nulla e bisogna sempre trovare dentro di sé le forze per andare avanti.

Secondo Tafi, la Federazione dovrebbe essere maggiormente attiva al fianco dei ragazzi che sono costretti a chiudere la propria carriera anzitempo?

Non credo, alla Fci si chiede già tanto e non penso che questo debba rientrare nei suoi compiti. Quando una carriera finisce è sempre un trauma, si entra in un altro mondo, bisogna rimettersi in discussione, ma questo vale per tutti. Bisogna tener duro e cercare opportunità, nel mondo del ciclismo ma anche fuori. La Federazione sta lavorando per rilanciare il ciclismo italiano e sono convinto che entro poco tempo torneremo ai nostri migliori livelli.

La parabola di Umberto è definitivamente chiusa?

Io spero di no, il mio consiglio è di continuare a crederci, non fermarsi e continuare ad allenarsi e a bussare alle porte. Magari nel corso dell’anno qualcuno aprirà, io sono fortemente convinto che questo succederà. Umberto ha ancora tanto da dare in sella alla sua bici…

Orsini e quello stop a 26 anni che fa male

12.01.2021
4 min
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Si può lasciare il ciclismo a 26 anni? A quanto pare sì. Ed è quel che è successo ad Umberto Orsini,  ex tricolore junior, ex azzurro e professionista per tre stagioni alla Bardiani CSF Faizanè. Il suo addio ricorda le difficoltà che stanno vivendo molti nostri corridori, che tra Covid e carenza di squadre inevitabilmente si trovano in difficoltà. E rischiano di fermarsi. Ci è andato molto vicino Manuel Bongiorno, per esempio, salvatosi in corner con una Continental. Ragazzi che sicuramente non sono degli assi, questo va detto, ma che non sono riusciti a mostrare il loro potenziale.

Umberto Orsini, nella sua Toscana…
Orsini, nella sua Toscana…
Umberto, che cosa è successo?

E’ successo che a 26 anni la Bardiani non mi ha rinnovato il contratto. Non sono riuscito a trovare una squadra con proposte idonee ed ho fatto questa scelta di vita.

A che età hai iniziato a correre?

Da G1, a sei anni. L’ho fatto perché mi appassionavo a vedere mio zio, Andrea Tafi, vincere. Ammiravo le sue imprese. Volevo farlo anch’io.

Quando sei passato?

Sono passato nel 2018 alla Bardiani. Ho fatto il dilettante alla Mastromarco prima e alla Colpack poi. E sono passato che già ero elite.

Allora è vero che questo ciclismo ti chiude la porta in faccia a 26 anni. Perché secondo te?

Eh, bella domanda. Certamente il Covid ha peggiorato le cose. O sei un campione o un corridore da WorldTour, o è davvero difficile andare avanti. Che poi è la mia storia. Io ho avuto dei problemi fisici e non ho sfruttato al massimo le mie possibilità. E in questo ciclismo o ti fai valere subito o, ripeto, si fa dura. Non ti puoi permettere di avere un problema.

Un giovane Orsini tra Moser e suo zio Tafi ai tricolori juniores del 2012
Umberto con suo zio Tafi ai tricolori juniores del 2012
Che problemi hai avuto?

Io sono stato male a settembre, il momento peggiore vista la stagione. Durante la Tirreno-Adriatico (foto in apertura, ndr) ho iniziato ad avere dolore al ginocchio. Tendinite. Ero anche partito bene cogliendo una bella fuga, poi il dolore, che avevo già avuto, è riemerso in modo importante e di fatto mi sono dovuto fermare lì. Ho provato con biomeccanici e dottori. Chi mi diceva fosse un problema muscolare e chi di posizione in bici. Ho rinforzato la muscolatura e ho provato diverse posizioni, ma non è mai cambiato nulla. Non sono riuscito a venire a capo del problema, magari sono io che sono fragile.

Senti di aver commesso degli errori? C’è qualcosa che non rifaresti?

Bah, io rifarei tutto – ci pensa un po’ Orsini – no, non ho rimpianti.

Ma quindi ce l’hai un po’ con il ciclismo?

Un po’ sì. Mi sarei aspettato di più da me e soprattutto dall’ambiente: non ho trovato quel che sognavo da piccolo.

Orsini, in maglia Colpack, in azione a Capodarco
Orsini, in maglia Colpack, in azione a Capodarco
Cosa intendi per ambiente?

I giovani non sono tutelati. Passano e sono lasciati da soli, non sono seguiti e perdono passione.

De Candido ci diceva che a farli passare troppo giovani (juniores) si correva qualche rischio. Di contro però, se si guarda all’estero sembra esserci la situazione opposta: ragazzi molto liberi. Forse i dilettanti italiani sono troppo seguiti e coccolati?

Io ho corso nella Colpack e quel team è organizzato come quelli dei pro’, ma ci sentivamo come una famiglia. Nonostante ci si giocava il posto per ogni gara: c’era da sudarselo, in corsa e negli allenamenti. Però eravamo più coesi e correvamo con passione. Nel mondo dei pro’ non hai quell’appoggio anche morale, magari un corridore di 35 anni ne ha meno bisogno. In tanti non maturano e restano come quando sono passati. Ma questo succede non solo alla Bardiani, sia chiaro.

Che cosa ti resta di questa tua avventura nel ciclismo? 

Mi poterò dietro le amicizie fatte in questi anni, le persone che mi hanno aiutato e la forza che mi ha dato questo sport per il futuro, per come potrò affrontare i problemi. Saprò stringere i denti e ce la metterò tutta.

E cosa vorresti fare?

Sto cercando lavoro. In questo momento andrebbe bene qualsiasi cosa. Magari sarebbe bello restare nell’ambiente. Io ho un diploma da ragioniere.