L’ultimo saluto a Umberto, un uomo elegante

19.02.2023
8 min
Salva

Oscar Saturni era con lui ad Altea e lo ha visto andar via. E’ successo tutto troppo in fretta e di colpo Umberto non c’era più. Per questo ieri i suoi amici si sono raccolti per salutarlo con il necessario passo lento nella parrocchia di San Giovanni a Mozzo.

Non è stato un bel giorno, ma il tempo passato ha permesso di lucidare i ricordi migliori. Tutti hanno rievocato quanta allegria e umanità abbia portato nelle loro vite quel brav’uomo di Inselvini, che ti arricchiva semplicemente guardandoti negli occhi e salutandoti con le stesse mani che hanno carezzato e massaggiato i muscoli dei campioni.

Il massaggiatore è fisioterapista e psicologo: con la sua esperienza, Umberto riassumeva il meglio di entrambi gli aspetti. Era il riferimento dei colleghi, il fratello maggiore. Una brava persona. Un filosofo. Una persona seria. Persino un comico. Così lo hanno descritto i suoi colleghi e compagni di chilometri e giorni sulle strade del mondo.

Borselli e Inselvini: autista e massaggiatore, due colonne dell’Astana
Borselli e Inselvini: autista e massaggiatore, due colonne dell’Astana

Telecronache spagnole

Oscar Saturni racconta l’amico degli ultimi 12 anni. «Gli dicevi: “Umberto, andiamo a quella corsa, ti ricordi cosa successe l’ultima volta?”. E lui rispondeva: “Sì, io c’ero”. Lui era stato in tutte le parti, era cittadino del mondo. Scherzando diceva che veniva da un paesino de La Rioja, in Spagna: Cuzcurrito de Rio Tiron. Umberto di dove sei? “Di Cuzcurrito de Rio Tiron!”. Era sempre molto sorridente e contento e… era un fenomeno. Un uomo elegante».

Umberto faceva le imitazioni delle radiocronache spagnole e se le sentivi restavi a bocca aperta, mentre ti piegavi dal ridere.

«Io non riesco a dire tutte le parole – dice Saturni – ma lui era bravissimo. C’erano delle frasi sempre uguali, non so come le ricordasse. Ricordava anche la pubblicità delle pile Varta che facevano durante il Giro della Colombia. Oppure faceva la telecronaca finale degli ultimi metri di una corsa vinta da Alberto Volpi all’Alentejo.

«C’era questa salita di 10 chilometri, un vento della miseria. Tre uomini in fuga. Mauleon della Once, Garmendia della Banesto, Volpi della Batik. Finché arrivano in cima e gli spagnoli provano a mettere in mezzo l’italiano. A lui quella telecronaca è rimasta in mente. E allora strillava, come il giornalista di Cadena Ser che faceva le telecronache per la radio spagnola (José Maria Garcia, ndr). “Mauleon, Garmendia. Mauleon, Garmendia. Mauleon, Garmendia. Mauleon, Garmendia. Mauleon, Garmendia… Volpi!!!”. Non voleva rifarla spesso, però ogni tanto lo convincevamo.

Con Saturni in una foto da Instagram: un’amicizia di vecchia data
Con Saturni in una foto da Instagram: un’amicizia di vecchia data

«Ho conosciuto Umberto negli anni 90 – prosegue Saturni – ma gli ultimi 12 li abbiamo condivisi qui in Astana. Eravamo sempre insieme, una persona molto amica con cui potevo confrontarmi. Non c’è stato giorno in questi 10 anni che non ci siamo sentiti. Un messaggio, una chiamata o un commento sulla giornata. Umberto amava il suo lavoro e la sua famiglia, per me Umbi era questo. Un signore, capace di convivere in un mondo difficile come il nostro. L’unica cosa che lo preoccupava era il fatto che gli anni passassero troppo in fretta, si lamentava che stava diventando vecchio. Invece se ne è andato ancora giovane. Mi manca molto il mio amico, merita di essere ricordato bene…». 

Gli anni alla Carrera

Erano sempre insieme e un po’ si somigliavano, in quel 1992 nella Carrera di Chiappucci e a breve di Pantani. Umberto e Stefano Del Cas.

«Facevo lo sciatore – ricorda Stefano – per cui entrai nel 1991 a giornate, cercando di imparare il mestiere da Umberto e da Verzelletti. Poi dal 1992, ho iniziato fisso. Non sapevo molto del ciclismo professionistico, incontrare Umberto fu una fortuna. Una volta i vecchi massaggiatori erano gelosi del loro lavoro, quindi coi giovani erano molto avari. Non dico che sia stato come un papà, perché aveva solo 10 anni più di me, però mi ha aiutato tanto. La Carrera era uno squadrone. Un anno col Tour si arrivava sull’Alpe d’Huez, nel periodo in cui in Francia ti davano le macchine.

«Quel giorno dovevamo fare il rifornimento e poi andare in cima per fare l’arrivo. C’era parecchia strada da fare, si correva. Solo che a un certo punto ci siamo ribaltati. La macchina si è girata ed è rimasta sul fianco. Siamo scesi e siamo riusciti a ribaltarla. Non so come, ma funzionava ancora. E così siamo ripartiti e siamo arrivati ai piedi dell’Alpe d’Huez, anche se non ci hanno fatto salire perché era tardi. Poi le nostre carriere si sono separate, ma tutte le volte che negli anni successivi ci incontravamo, commentavamo che quel giorno il Signore ci aveva messo una mano sulla testa…».

Al Giro d’Italia del 1995, alle spalle di Leonardo Sierra c’è Stefano Del Cas
Al Giro d’Italia del 1995, alle spalle di Leonardo Sierra c’è Stefano Del Cas

«Quegli anni – prosegue Del Cas – ce li siamo portati dentro. Non è per parlar male del ciclismo di oggi, però una volta anche le squadre più grandi erano una famiglia. Adesso ti ritrovi con due italiani, un inglese, un tedesco, un francese, invece il nostro gruppo era tutto lì. Verzelletti e Umberto, poi c’era Archetti… Insomma, i gruppi erano più piccoli e alle corse c’erano sempre le stesse persone. Si creava un ambiente familiare, anche con Boifava, che era il grande capo.

«Di solito quando viene a mancare qualcuno, è quasi una consuetudine dire che fosse una brava persona. Lui lo era davvero. A volte negli hotel c’è quello che si presenta e alza la voce se c’è qualche problema. Umberto invece è sempre stato molto professionale: i problemi ci sono, diceva, ma si possono risolvere restando tranquilli. Poi parlava benissimo 4-5 lingue, non aveva problemi a farsi capire».

Al Tour del 1992, Umberto al lavoro sulle gambe di Chiappucci (foto Facebook)
Al Tour del 1992, Umberto al lavoro sulle gambe di Chiappucci (foto Facebook)

Nibali contro Aru

Inselvini con Aru, Pallini con Nibali, anche quando fra i due non scorreva buon sangue. Ma i due massaggiatori continuavano nel lavoro.

«Non abbiamo mai avuto rivalità legate a Nibali e Aru – dice Pallini – al massimo qualche battuta. Umberto era uno che vedeva il ciclismo, non il corridore. Nel senso che gli piaceva il ciclismo e non il singolo. Nel 2016 siamo stati alle Olimpiadi insieme e abbiamo collaborato bene, finimmo sul giornale perché ci ritrovammo a spazzare il box dell’Italia in cui non avevano finito i lavori

«Faceva battute e portava allegria, anche se era il classico comico dall’anima triste. Secondo me era malinconico, ma per sdrammatizzare utilizzava sempre queste battute, le freddure, le imitazioni del telecronista spagnolo. Oppure c’era il giochino che faceva con Martinelli, quando andavamo alle partenze. Umberto imitava gli americani che atterravano sulla luna. Insomma, sentendolo per radio, aveva tutto il suo effetto. Sembrava vero».

Riposo al Tour 2014, Nibali in giallo: Pallini e Inselvini fianco a fianco
Riposo al Tour 2014, Nibali in giallo: Pallini e Inselvini fianco a fianco

«Umberto ripeteva sempre – prosegue Pallini – che lui aveva iniziato con Silvano Mazza alla Malvor-Bottecchia. E proprio al primo anno, Mazza gli aveva detto al Giro d’Italia sarebbero andati solo loro due. Quindi qualunque cosa fosse successa, sarebbe stata colpa dell’uno o dell’altro. Avrebbero dovuto sempre dividere per due. Questo poi è sempre stato un suo cavallo di battaglia. Nel ciclismo moderno, c’è la suddivisione dei ruoli e dei lavori da fare. Però poi alla fine, Umberto diceva sempre che se anche uno ha un ruolo o una mansione, sia gioie sia dolori vanno divisi

«Sono quasi sicuro che Umberto fosse più di quello che mostrava, però non voleva darlo a vedere. Quindi ogni volta che approfondiva un discorso, smorzava sempre il tono e lo riportava a temi più leggeri. Quasi per non sembrare troppo profondo. Solo una volta l’ho visto deluso. Non voglio fare nomi e polemiche in questi momenti, anche perché ne parlavo ieri con la moglie e non è una cosa di cui voleva parlare neppure lui. Nessuno parlava male di Umberto e Umberto non parlava male di nessuno. So però che in una situazione del suo percorso professionale, era rimasto male».

Aru ha appena conquistato Montecampione al Giro 2014: una vittoria per due
Aru ha appena conquistato Montecampione al Giro 2014: una vittoria per due

La Divina Commedia

Cerea era il massaggiatore di Bettini, lo è stato per una vita. Non ha mai lavorato nella stessa squadra di Inselvini, ma hanno diviso i giorni dei mondiali.

«Hai presente quando dici una persona buona che incontri nella vita? Ecco, Umberto era sempre sorridente – racconta Cerea – aveva la battuta per tutti, il sorriso, la tranquillità. A Stoccarda, quando vincemmo il mondiale col “Betto”, c’era anche lui. Ti dava un senso di tranquillità, aveva sempre la battuta, il sorriso. Se avevi bisogno di qualcosa, non c’era nessun problema. Era fantastico con le lingue, un fenomeno. E poi era un uomo colto, questa cosa mi affascinava. Culturalmente era molto, ma molto avanti. Una sera a quei mondiali del 2007, eravamo tutti insieme e Alfredo Martini recitò cinque minuti della Divina Commedia. Umberto era accanto a me e la recitava a bassa voce insieme a lui. La sapeva parola per parola.

«Umbi, come lo chiamavo io, era ancora uno alla vecchia maniera. Credeva che fossimo una famiglia, era uno di quelli che riconoscevi per l’amore verso il lavoro e la professionalità. E poi non l’ho mai sentito parlare male di qualcuno, come credo che nessuno abbia mai parlato male di lui. E anche se qualcuno gli ha mancato di rispetto, Umberto non ha mai detto una parola. Ha sempre avuto dignità, tranquillità e grande pacatezza».

Inselvini in azzurro ai mondiali del 1990 in Giappone, fra Giovanetti e Bugno
Inselvini in azzurro ai mondiali del 1990 in Giappone, fra Giovanetti e Bugno

«Lo prendevo in giro quando non si tagliava da tanto i capelli – sorride Cerea – e allora glieli toccavo quasi per scaramanzia. Li aveva talmente folti e fitti, che sembravano un casco. Lui era nell’ambiente da molto più di me, però non è mai stato uno di quelli con la puzza sotto il naso. Salutava e chiedeva se avessi bisogno di qualcosa. Una volta il ghiaccio non era tanto facile da trovare e se non ti alzavi presto, non lo trovavi. E lui più di una volta si è offerto di dividere il suo, dicendo che ne aveva preso di più.

«Erano anni in cui ci si dava una mano. Si andava al rifornimento con le macchine tutti assieme – ricorda Pallini – non c’erano i GPS, era un’avventura quasi ogni giorno. Certe volte, se riconosceva un posto, iniziava a raccontartene la storia e andava a fondo in certi dettagli che non ti aspettavi. E lo diceva con una tranquillità che mi affascinava. E’ proprio vero, quando dici che il cielo si prende sempre le persone più buone. Ecco, lui secondo me è uno proprio una di queste persone e me lo immagino adesso con Alfredo Martini a recitare Dante uno davanti all’altro».

Velasco vince in Spagna, per Inselvini e per sua figlia

04.02.2023
4 min
Salva

Simone Velasco non aveva mai vinto così presto. La volta precedente era stata al Laigueglia del 2019, ma si correva il 17 di febbraio. Ieri era il 3 e alla Vuelta Valenciana, il toscano dell’Astana ha battuto Bob Jungels sul traguardo di Sagunto dopo 119 chilometri di fuga.

Poi si è fermato. Ha collegato le gambe al cuore e ha puntato il dito al cielo, dedicando la vittoria a Umberto Inselvini, il massaggiatore dell’Astana Qazaqstan Team, scomparso il 27 gennaio nel ritiro della squadra kazaka.

Umberto Inselvini è morto improvvisamente il 27 gennaio nel ritiro dell’Astana ad Altea
Umberto Inselvini è morto improvvisamente il 27 gennaio nel ritiro dell’Astana ad Altea

L’ultima distanza

Erano tutti ad Altea, nello stesso hotel in cui avevamo incontrato Simone prima di Natale, per l’ultimo ritiro prima delle corse. Negli stessi giorni, chi scrive era in Argentina e l’espressione sgomenta sul volto di Michele Pallini e il dottor Magni a migliaia di chilometri di distanza, aveva fatto capire la violenza del colpo per gli uomini della squadra kazaka.

«Umberto per mia sfortuna l’ho conosciuto solo negli ultimi due anni – racconta Velasco – da quando sono passato all’Astana. Prima non avevo avuto un rapporto stretto come negli ultimi tempi. Umberto era sicuramente una persona riservata, competente e molto rispettosa dei colleghi e tutto l’ambiente. La sua morte è stata una grande perdita per tutto il gruppo, non solo per il team. Quando è successo, eravamo anche noi in Spagna e stavamo facendo la distanza».

Sull’ultima salita, Velasco è rimasto nella scia di Jungels e Gregaard, aspettando lo sprint
Sull’ultima salita, Velasco è rimasto nella scia di Jungels e Gregaard, aspettando lo sprint
Eravate in hotel quando è successo?

Eravamo in bici, era l’ultima distanza, la rifinitura appunto, prima dell’imminente inizio delle gare. Ci è giunta notizia proprio all’inizio dell’ultimo lavoro di giornata. Non avevamo ancora la certezza. Poi quando siamo arrivati in hotel, abbiamo toccato la tragedia con mano ed è stato un forte scossone per tutto il team. Non solo il giorno dell’accaduto, ma anche in quelli seguenti.

Come l’avete superata?

Non possiamo far altro che stringerci forte attorno alla famiglia e fare del nostro meglio per ricordarlo. Dedicandogli ogni vittoria, ogni risultato da qui in avanti.

Pensavi di stare già così bene?

Ho sempre bisogno di qualche gara per carburare un po’ e infatti la prima tappa aveva avvalorato il mio pensiero. Dal secondo giorno ho iniziato a sentire qualche miglioramento e comunque sapevo di aver lavorato bene durante tutto l’inverno. Il secondo giorno in effetti poteva essere la tappa giusta per attaccare, andare all’arrivo e giocarmi il mio jolly. Finché ieri è andata bene. In fuga ci siamo fatti un bel mazzo per portarla all’arrivo e adesso siamo stracontenti.

Per Ciccone si è trattato di un giorno di controllo: ha 3″ su Pello Bilbao e 6″ su Vlasov
Per Ciccone si è trattato di un giorno di controllo: ha 3″ su Pello Bilbao e 6″ su Vlasov
Chi ti faceva paura fra i compagni di fuga?

Sapevo che se fossimo arrivati allo sprint, bene o male sarei stato io il favorito, perché sono veloce. Quindi dovevo cercare di limitare i danni nei punti duri della tappa. Quando ha attaccato Craddock sull’ultima salita di giornata, ho tentennato ad andargli dietro, perché sinceramente, con i due giorni passati, non sapevo se avevo già la gamba buona per seguirlo.

Quindi?

Ho preferito andare su più regolare con Jungels e il ragazzo della Uno X (Jonas Gregaard, ndr) e alla fine si è rivelata la scelta vincente. E’ andata bene così. Jungels sicuramente aveva una super gamba e se è arrivata la fuga, è stato anche per merito suo. Però io me la sono giocata bene e… avanti così.

Ieri sera avete brindato?

Un brindisi non ha mai fatto male a nessuno, quindi abbiamo festeggiato qualcosina, con l’obiettivo di festeggiarne altre, magari nel minor tempo possibile. E poi si brinderà anche a casa, anche con la mia pupa, la mia bimba che finalmente ha visto vincere il babbo. Non ha dovuto neanche aspettare tanto, sono stato un bravo babbo.

A questo punto continuiamo così, avendo capito come si fa?

Bisogna, dai. Speriamo di continuare in questo modo. La stagione è appena cominciata.

Umberto Inselvini, Fabio Felline, Memorial Pantani 2020

Inselvini, il massaggio, il presente e il futuro

02.01.2021
6 min
Salva

«Io li ho visti arrivare nella tappa del Gavia – dice Inselvini – ma se fossi andato dai ragazzi di Morbegno a dirgli che in fondo era solo un giorno di pioggia e che quei loro colleghi ancora due mesi dopo non muovevano le dita congelate, mi avrebbero guardato come per dire: e allora? Questo non significa che fosse giusto partire a priori: se avevano le loro ragioni, è stato giusto che le abbiano fatte valere. Il fatto però che ben pochi si siano schierati dalla loro parte, è un messaggio su cui magari rifletteranno. Ancora oggi e nonostante tutto il progresso, il parere della gente è quello che davvero conta».

Sessantadue anni, bresciano della Valtrompia, Umberto Inselvini è uno dei massaggiatori storici del gruppo (in apertura con Felline al Memorial Pantani). Il nono anno nell’Astana, il prossimo, sancirà il sorpasso sugli otto vissuti nella grande Carrera alla fine degli anni 80. E forse neppure lui pensava che fosse un record battibile.

«Siamo passati dalla stretta di mano – sorride – al post su Facebook. Dai corridori che erano in grado di pretendere rispetto in gruppo alzando la voce, a quelli che stanno zitti però commentano su Twitter. Il mondo cambia e non sarebbe giusto richiamarsi sempre a com’era prima. Però noi che il prima lo abbiamo vissuto dobbiamo approfittarne per lavorare meglio e in qualche modo far capire che ci può essere un altro modo di comportarsi».

Umberto Inselvini, Michele Pallini, Tour de France 2014
Con Michele Pallini, al Tour de France 2014 con Nibali in maglia gialla
Umberto Inselvini, Michele Pallini, Tour de France 2014
Con Pallini al Tour de France 2014
E’ cambiato anche il tuo lavoro?

Fondamentalmente è sempre quello, anche se prima facevamo il Tour in tre e adesso siamo in cinque. Questo ci permette di lavorare meglio. Prima un massaggio durava 40 minuti e non sempre si faceva la schiena. Oggi dura un’ora e si fa tutto.

Il massaggiatore era anche il confessore…

Qualche corridore che chiede consiglio c’è ancora, ma hanno talmente tante cose da fare e figure con cui interfacciarsi, che spesso arrivano al massaggio e non hanno voglia di parlare. In quell’ora sono liberi di essere ciò che vogliono.

Il massaggiatore è ancora l’interlocutore dei direttori sportivi?

Una volta venivano e ci chiedevano come fosse la gamba. Adesso contano tanto anche i numeri, per cui vanno prima dal preparatore. A me chiedono semmai se il ragazzo è tranquillo e come voglia correre.

Sei uno che parla o uno che ascolta?

Quando è venuto Lopez la prima volta, mi meravigliai ascoltando i suoi racconti. Era venuto in Europa l’anno prima dalla Colombia e aveva vinto il Tour de l’Avenir, senza sapere nulla dei rivali. Il tecnico gli aveva detto di attaccare in salita e poi di voltarsi per capire quali fossero quelli forti. Lo lasciai parlare a lungo, perché per entrare in sintonia con un corridore, devi conoscere la sua storia. Fermo restando che appartengono a un mondo tutto nuovo, anche i nostri, per cui magari gli parli di Argentin e non sanno nemmeno chi sia. Io non parlo troppo spesso di quello che ho passato, a meno che non me lo chiedano loro.

Bernard Thevenet, Umberto Inselvini, Christian Prudhomme, Bernard Hinault, Tour de France 2014
Con Thevenet, Prudhomme e Hinault, il premio per i 20 Tour seguiti
Bernard Thevenet, Umberto Inselvini, Christian Prudhomme, Bernard Hinault, Tour de France 2014
Con Thevenet, Prudhomme e Hinault per i 20 Tour seguiti
Un giorno arrivò Pantani.

Lo vidi per la prima volta nell’agosto nel 1992. Era un ragazzo alla mano, per certi versi timido. Facemmo insieme i mondiali di Agrigento e quelli in Colombia. All’inizio ascoltava e non parlava, ma era già molto sicuro di sé. In Colombia, dividevo la stanza con Archetti e avevamo un lettore CD con pochissima scelta. Lui arrivava e metteva sempre l’album dei Nomadi. Un giorno non aveva voglia di fare i massaggi, bensì la sauna. Mi convinse a farla con lui e poi, una volta usciti, facemmo i massaggi. Prima che avesse l’incidente, ero andato a portargli due audiocassette in cui il maitre dell’hotel aveva registrato la cronaca dei mondiali di Colombia. So che le aveva fatte mixare da un amico e durante la rieducazione le ascoltava. Quando andò via dalla Carrera, mi chiese di seguirlo, ma avevo firmato con la Roslotto e ho sempre cercato di onorare gli accordi presi.

Ti affezioni ai corridori che massaggi?

Ci si sforza di seguire tutti allo stesso modo, ma è inevitabile si creino sintonie differenti. Ogni volta che uno dei miei vince, mi commuovo. So di aver fatto quello che dovevo, perché di base è un lavoro, ma le emozioni sono forti. Non sono di quelli che si mette a saltare al centro dell’arrivo, mi tengo tutto dentro. Sono nel ciclismo da quando avevo 13 anni, se non avessi passione ed entusiasmo, fra cinque partirei per il ritiro con il morale per terra. E’ un lavoro, ma non lo fai solo per lavoro.

Umberto Inselvini, Paolo Tiralongo, Giro del Trentino 2015, Cles
Giro del Trentino 2015, a Cles con Paolo Tiralongo
Umberto Inselvini, Paolo Tiralongo, Giro del Trentino 2015, Cles
Giro del Trentino 2015, a Cles con Tiralongo
La vittoria di Aru a Montecampione…

Sapevo tutto il lavoro che era stato fatto. Ricordavo di aver accompagnato Tiralongo e quel ragazzino a vedere una salita vicino casa mia. La salita su cui Pantani aveva vinto il Giro. Vederlo vincere staccando tutti… 

Sono cambiati i rapporti fra il personale della squadra?

Il gruppo è importante, ma durante un Giro può capitare che fra massaggiatori ci si veda soltanto a cena. C’è chi scende subito per fare le borracce, chi prepara i rifornimenti, chi si dedica all’albergo e all’arrivo. Alla Carrera eravamo sempre gli stessi. Mi è capitato per tre volte di fare nello stesso anno Vuelta, Giro e Tour.

Quel gruppo Carrera in realtà c’è ancora, sia pure sparpagliato…

E per capirci basta ancora uno sguardo. Archetti, Mario Chiesa, Guido Bontempi, Martinelli… Ci sentiamo spesso, forse perché siamo tutti bresciani e col dialetto si fa prima. Fu la squadra di Visentini e Roche, di Pantani e Chiappucci, di Abdujaparov, di Guidone Bontempi. Ci sono tanti ricordi ad unirci.

Ci sono le vittorie e ci sono le sconfitte. Cosa succede quando il corridore bastonato arriva sul lettino?

Sul traguardo non può manifestare quello che ha dentro. Fa prima il punto con i direttori, poi apre la mia porta, io lo guardo, lui guarda me. In quel momento devi capire se medicare la ferita, parlare d’altro oppure stare zitto. Sale sul lettino, manda un paio di messaggi e poi il più delle volte inizia a raccontare, con rabbia o delusione. Non esiste un protocollo da seguire. Trent’anni fa mi sarà capitato anche di usare frasi di circostanza. Quando ti staccano, non sono mai momenti felici. Hai ambizioni e ti ritrovi a terra, è meglio stare zitti. Lo sport è questo, non sempre ci sono colpe o spiegazioni.

Fabio Aru, Giuseppe Martinelli, Umberto Inselvini, Vuelta 2015
Fabio Aru, Martinelli, Inselvini: si vince la Vuelta 2015
Fabio Aru, Giuseppe Martinelli, Umberto Inselvini, Vuelta 2015
Con Aru e Martinelli, vincendo la Vuelta 2015
La tecnologia ha cambiato il massaggio?

Sono arrivate macchine che agevolano il recupero e c’è l’osteopata che aiuta parecchio. Ma di base, il massaggio resta il massaggio. Non facciamo carezze, andiamo bene a fondo. Quello che cambia è il tempo, che ora è superiore.

E quando il corridore va via?

Qualcuno viene a salutare, qualcuno ti scrive su Facebook un post di ringraziamento, dicendo che si è trovato bene. I social sono uno strumento di lavoro, devono citare gli sponsor perché così gli viene richiesto. Gli addetti stampa vigilano anche su questo. E devono stare attenti a indossare sempre le cose giuste, perché ormai sono i tifosi a rilanciare o segnalare qualche anomalia. Però tutto questo mi aiuta a restare giovane. Che bello però quando uno andava via e magari veniva a darti una stretta di mano…