Da Bogotà a Benevento per diventare grande

14.02.2021
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Einer Rubio risponde da Bogotà, dove la sua famiglia si è trasferita da qualche anno. Le loro origini infatti sono boyacensi, a Chiuquiza, in mezzo alle montagne da cui lo scorso anno iniziò la sua carriera da professionista con la maglia della Movistar. Einer è lo scalatore che in due stagioni da U23 in Italia ha vinto 7 corse, fra cui 2 tappe al Giro d’Italia (Folgarida 2018, Passo Fedaia l’anno dopo), il Gran Premio Capodarco (2018) e il Memorial Tortoli (2019). Faceva e fa ancora base a Benevento, a casa di Donato Polvere, suo diesse alla Vejus, che anche nel 2020 ha allestito la squadra assieme a “Umbertone” Di Giuseppe, lo stesso che per un anno accolse Hindley.

Quando la Movistar realizzò che dal 2020 avrebbe perso i fratelli Quintana e Anacona, si orientò su Rubio per mantenere la quota colombiana. Perciò nel 2020 del Covid, Einer ha debuttato al Giro d’Italia con appena 15 giorni di corsa e lo ha portato a termine, andando in fuga spesso. Era con Ganna e De Gendt a Camigliatello, prima che Pippo aprisse il gas, e ha centrato il 6° posto nella penultima tappa di Sestriere.

Nella tappa di Roccaraso, passa su strade familiari
Nella tappa di Roccaraso, passa su strade familiari

Dopo la quarantena in Spagna per la positività di Lopez, appena si è reso conto che le prime corse sarebbero state annullate, Einer si è affrettato a tornare in Colombia. Avrebbe così partecipato ai campionati nazionali, ma in extremis sono stati cancellati pure quelli. Per cui rimarrà ancora un po’ laggiù e tornerà in Europa per il debutto alla Tirreno-Adriatico. Il segnale va e viene, il suo italiano è sempre migliore.

Come è stato il primo anno da pro’?

Particolare. Sono stato contento dell’opportunità di fare il Giro. Nel mezzo del Covid, qualcosa di buono c’è stato. Anche se forse il momento più bello è stato il Tour Colombia.

A Boyaca, nella tua regione, il massimo…

Un po’ a Boyaca, un po’ a Cundinamarca e poi a Bogotà. Con la Movistar, fra la mia gente. E’ stata una festa, quando ancora si poteva fare festa. Adesso qua è tutto aperto, ma fare le cose è più difficile.

Fra le “sue” salite a Bogotà c’è l’Alto de Patios (foto Instagram)
A Bogotà, sull’Alto de Patios (foto Instagram)
Tornerai al Giro?

Farò la Tirreno, il Catalunya, poi andrò in altura con la squadra. Quindi il Tour of the Alps e il Giro. Un bel programma, molto impegnativo. Mi piace.

Con la squadra tutto bene?

L’ambiente è molto familiare, ma forse qualche errore c’è stato. Mi è mancato un po’ di lavoro, mi sono mancate le corse. Dovevo capire cosa posso fare e dove posso arrivare e avrei avuto bisogno di una base migliore. Però adesso questo è chiaro e abbiamo fatto un bel programma. Si fidano di me.

Sei contento dell’arrivo di Lopez?

Molto, perché ha tanta esperienza. Faremo qualche gara insieme. Lo conoscevo, ma adesso ho avuto l’opportunità di approfondire. Almeno a questo la quarantena ci è servita (ride, ndr).

Al Giro d’Italia U23 del 2019, Rubio vince sul passo Fedaia
Al Giro U23 del 2019, vince sul passo Fedaia
Tanti colombiani si sono trasferiti a Monaco, oppure ad Andorra, tu resterai in Italia?

Certamente continuerò a fare base da voi, dalla famiglia di Donato. Loro sono la mia seconda famiglia, mi sono stati molto vicino quando sono arrivato. Sono davvero come i miei secondi genitori e loro mi vedono come un figlio, mi vogliono bene.

L’anno scorso al Giro si è parlato di quando Hindley correva in Italia: a te Umbertone ne aveva mai parlato?

Effettivamente è curioso che entrambi abbiamo corso per lui. Non conoscevo Hindley, però Umberto mi aveva fatto vedere le foto. Ho parlato con lui in corsa e ci siamo fatti due risate ricordando il suo periodo in Abruzzo.

Quanto ti manca per arrivare a lottare come Hindley?

Devo lavorare tanto. Con la squadra abbiamo individuato le cose da mettere a posto, ma non sono lontano. Devo curare di più i lavori specifici. E poi nel primo Giro ho avuto un po’ paura in certi momenti a stare in gruppo. Abbiamo corso a un livello altissimo, ma adesso ho preso le misure. So dove sto andando.

Ecco Rubio che si avvia a centrare il 6° posto a Sestriere, penultima tappa
Rubio ottiene così il 6° posto a Sestriere, 20ª tappa
Verrai al Giro per aiutare Soler?

Esatto, perché Lopez farà Tour e Vuelta. Si partirà per aiutare Marc, ma poi sui ruoli effettivi deciderà la strada. Lui di sicuro ha un gran motore.

Che cosa rimane della spedizione colombiana che dominò il Giro U23 del 2019?

Ogni tanto ci vediamo. Ardila è alla Uae, Alba è mio compagno di squadra. Ci sentiamo, in corsa spesso si fanno due chiacchiere. E quando serve, ci aiutiamo.

Jay Hindley, 2015, Aran Cucine

Il 2015 di Hindley a casa di Umbertone

23.10.2020
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Jay Hindley e Umbertone, ma non è il titolo di un film. L’australiano vincitore della tappa ai Laghi di Cancano arrivò a Cappelle sul Tavo alla vigilia della stagione 2015. Un australiano che vive in Italia, tale Robert Petersen grossista nel campo della sanitaria, parlò di lui con Umberto Di Giuseppe, 73 anni, figura di riferimento del ciclismo abruzzese e tecnico della Aran Cucine.

Umbertone, così lo chiamano da sempre. Anche se da quando il cuore gli ha mandato l’ultimo avviso, il punto vita si è sfinato e si potrebbe tornare a chiamarlo Umberto. Quella che non è mai cambiata invece è l’inconfondibile voce roca, che ha incitato, sgridato, motivato, blandito e punzecchiato generazioni di corridori. Un uomo grande e buono che non ha famiglia e per questo ha sempre considerato i corridori come figli. Masciarelli padre e figli. Rabottini padre e figlio. Caruso che prese l’argento ai mondiali giapponesi del 1990. E di recente Einer Rubio, vincitore del tappone del Passo Fedaia al Giro d’Italia U23 dello scorso anno e ora pro’ con la Movistar.

Immaginare il giovane australiano con il burbero abruzzese strappa il sorriso e allora lo abbiamo chiamato per farci raccontare la storia di Jay Hindley in Abruzzo.

Umbertone sulla sua ammiraglia in una foto di qualche anno fa (foto Scanferla)
Umberto Di Giuseppe (foto Scanferla)
In che modo arrivò Hindley?

C’era questo signore australiano. Me ne parlò e me lo propose. Io ero sempre in contatto con Shayne Bannan, che è stato manager della nazionale e poi della Mitchelton-Scott. Anche lui ha corso per me. Tre anni assieme a Mike Turtur, che ora organizza il Tour Down Under. E d’accordo con Shayne creammo un programma per Jay.

Dove andò a vivere?

Abitava a casa mia. E si vide subito che non era un perditempo. Sapeva il fatto suo e sapeva anche fare la vita. A me piaceva andare spesso al ristorante e invece certe volte si imputava e diceva che avremmo mangiato a casa. E si metteva a cucinare.

Perdona la curiosità: in che lingua parlavate?

Ieri sera Luciano Rabottini, che conduce un programma sul ciclismo in una televisione privata, TvSei, ha fatto rivedere un’intervista. E c’è Jay che diceva: «Io non parlo italiano, parlo l’Umbertano». E mi faceva il verso, imitando anche la voce rauca.

Quindi Hindley è stato per un anno a casa tua?

Una stagione intera, poi siamo rimasti sempre in contatto. Sia quando è venuto con la nazionale, poi con la squadra continental nella quale passò. Lui voleva diventare subito professionista, ma Shayne gli disse di fare prima un anno nella continental e poi l’avrebbe messo alla Scott. In realtà lui ha fatto uno stage con la Mitchelton e poi si è trovato il posto alla Sunweb.

Sa cucinare sul serio?

Le cose base sa farle. Jay non mangia pesce e così, quando tornavamo dalle corse e andavamo al ristorante, mentre gli altri ordinavano pesce, lui chiedeva la chitarra teramana: degli spaghettini sottili di cui era molto goloso. E così il padrone del ristorante gli preparava non una sola porzione, ma due piatti abbondanti che lui mangiava con gusto.

Quando l’hai visto per l’ultima volta?

Sono andato da lui a San Benedetto del Tronto, alla Tirreno-Adriatico, e gli ho chiesto come stesse. Lui ha risposto che stava bene, ma sorridendo ha aggiunto che come si mangiava alla Aran… Allora gli ho fatto vedere una foto e lui si è ricordato il nome di Adolfo, il titolare del ristorante.

Si vedeva che fosse forte?

Era evidente. Il giorno prima del tappone del Giro d’Italia U23 a Campo Imperatore, nel 2017, gli ho detto che avrebbe vinto e così andò. Primo lui e secondo il compagno Hamilton. Nel 2015 ha fatto Capodarco e arrivò 26°. Mi guardò e disse che l’anno dopo l’avrebbe vinto. E così fece. Per me è un corridore vero.

Come si inserì a casa tua?

Si è fatto voler bene. E’ un ragazzo in gamba. Mi prendono in giro che mi sono innamorato, ma quando vedi che un ragazzo è educato e gentile e ha le qualità…

Tao Geoghegan Hart, Jay Hindley, Laghi di Cancano, Giro d'Italia 2020
Hindley ha sofferto per non aver potuto dare cambi a Geoghegan Hart
Tao Geoghegan Hart, Jay Hindley, Laghi di Cancano, Giro d'Italia 2020
Da Hindley zero cambi a Geoghegan Hart
Ma questo Hindley non ha proprio difetti?

Gli dicevo che in corsa lavora troppo. Non è di quelli che sfrutta il lavoro degli altri. Al primo Giro delle Marche, appena arrivato, cominciò subito a lottare per il gran premio della montagna. E io gli dicevo di calmarsi. I risultati che ottiene se li guadagna, non sfrutta il lavoro degli altri. Conoscendolo, ieri gli sarà costato non dare cambi a Geoghegan Hart.

E’ stato corretto…

Qualcuno dice che hanno sbagliato a non tenerlo con il leader, ma dopo quello che ha fatto a Piancavallo non possono esserci dubbi sulla sua lealtà. Poteva vincere benissimo e prendere dei minuti.

In Abruzzo lo ricordano ancora?

Il giorno di Roccaraso gli abbiamo messo gli striscioni in un paesino prima dell’arrivo e il telecronista ha detto che erano arrivati i tifosi dall’Australia. A Montesilvano abbiamo messo un cartello con la sua fotografia. Quel giorno è partito all’ultimo chilometro e ha guadagnato su Nibali. E’ uno che lavora.

Perché adesso puntate sui colombiani?

Non è facile fare la squadra nel Centro Sud, soltanto per i viaggi si spende una fortuna. L’anno scorso volevamo vincere il Giro dei dilettanti e per farlo abbiamo preso Rubio. Abbiamo fatto l’unione con Donato Polvere e la Vejus, ma siamo sempre una squadra abruzzese. Anche se in televisione la raccontano sempre in modo diverso. Con Rubio il Giro lo abbiamo sfiorato, ma chissà che a questo punto non si vinca prima il Giro dei grandi con quel piccolo australiano…