Velocisti: le differenze tra U23 e WorldTour con Bruttomesso

27.05.2024
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Con Samuel Quaranta, atleta della MBH Bank-Colpack-Ballan-Csb, si parlava delle volate al Giro di Ungheria. Il giovane pistard e velocista del team bergamasco si è confrontato con i migliori sprinter del mondo, conquistando un secondo posto all’esordio della corsa a tappe magiara. Nel confrontarci era emerso però delle difficoltà nel competere con chi aveva mezzi superiori, a livello di scelta tecnica di materiali e componenti. Quaranta aveva sottolineato come gli fosse mancato quel dente in più per poter scaricare tutta la potenza sui pedali, sottolineando l’importanza di avere una corona grande del 55 e non del 54. 

Con un dente in più davanti Quaranta sarebbe riuscito a contrastare il rientro di Welsford in Ungheria?
Con un dente in più davanti Quaranta sarebbe riuscito a contrastare il rientro di Welsford in Ungheria?

Lo sguardo di Bruttomesso

Alberto Bruttomesso, che su quelle strade c’era ed era al fianco di Rajovic, velocista polacco del team Bahrain Victorious, ci può rispondere a riguardo. 

«Nella prima tappa del Giro di Ungheria – racconta Bruttomesso – avevo montato un 56 cosa che solitamente non faccio. Però l’arrivo era su un rettilineo molto lungo sul quale abbiamo raggiunto velocità folli. Gli ultimi due chilometri la media è stata di 65 all’ora. Io ho lavorato nel treno per Rajovic e mi sono messo in azione tra i meno 1.500 metri e l’ultimo chilometro. Chiaramente a queste velocità con un 54 frulli, il 55 serve tutto. Ma si può mettere tranquillamente anche il 56, più che altro per un discorso di tenere la catena dritta».

La Cinelli di Quaranta monta una doppia corona con misure 54-40
La Cinelli di Quaranta monta una doppia corona con misure 54-40
Spiegaci meglio.

Al posto di spingere un 55×11, e far lavorare la catena storta, usi un 56×13 e la catena si raddrizza, girando meglio. Però la prima tappa dell’Ungheria è stata l’unica gara in cui ho montato il 56, per il resto delle tappe ho montato un 55. 

Si è trattato quindi di un caso eccezionale?

Sì, dovuto più alle caratteristiche dell’arrivo. Su rettilinei lunghi e un po’ favorevoli è facile fare velocità altissime, soprattutto quando si hanno diversi treni che lavorano l’uno accanto all’altro. 

Cosa che tra gli U23 non avviene?

Tra gli under hai due o tre squadre che hanno un treno organizzato, gli altri sono tutti da soli o quasi. Lo stesso Quaranta al Giro di Ungheria ha fatto tutti gli sprint da solo, questo aggiunge un gran valore al risultato fatto. Ma deve andarti tutto bene.

In che senso?

Se prendi un po’ d’aria rimbalzi indietro, considerando anche le velocità a cui si viaggia. Se rimani coperto o battezzi la ruota giusta tutto è più semplice.

Tu ora monti un 55 in gara?

Dipende dai percorsi. Ho corso tanto in Belgio quest’anno e ho spesso messo il 54, solo alla Dwars Door Vlaanderen e a De Panne avevo il 55. Al Tour of Antalya, dove ho provato a fare la volata (foto di apertura), e alle altre corse ho messo sempre il 55. Anche se a casa mi alleno con il 54. 

Come mai?

Perché a casa sono da solo quindi le velocità non sono le stesse della gara. Quando faccio gli sprint dietro moto forse dovrei usare il 55, ma per il resto sto bene così. 

Per Bruttomesso la scelta tra il 54 e il 55 dipende dal percorso e dall’altimetria del finale
Per Bruttomesso la scelta tra il 54 e il 55 dipende dal percorso e dall’altimetria del finale
Che differenze hai notato aumentando la corona grande di un dente?

Non tante. Quella più evidente è che a 60 all’ora riesci a fare meno pedalate al minuto passando da 100 a 90. A volte penso che il 54 sia comunque più utile, soprattutto nei finali dove si deve rilanciare spesso (Dainese e Milan nella tappa di Padova hanno sprintato con il 54, ndr). Continuare a rilanciare con un rapporto più duro non è facile, ti consumi prima. 

Stai facendo anche lavori di forza per crescere da questo punto di vista?

In inverno ho fatto tanta palestra, a differenza dello scorso anno non l’ho abbandonata a febbraio, ma la sto portando avanti ancora adesso. Vado una o due volte a settimana, tranne durante le corse. Faccio i classici esercizi di squat e di pressa per aumentare la forza nelle gambe e la resistenza.

Busatto: sprazzi di talento con l’Intermarché

22.02.2023
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Francesco Busatto, dopo un lungo inverno, ha fatto il suo esordio con la Intermarché Circus Wanty. Il giovane veneto è passato con la squadra development ma le prime gare le ha già corse con i grandi. L’ultima volta che lo avevamo sentito non aveva ancora avuto modo di incontrare la nuova squadra. Negli ultimi mesi ha passato tanto tempo con il team U23 e con la WorldTour, iniziando a prendere le misure con la nuova realtà belga. 

Busatto nel 2022 ha corso con la General Store (photors.it)
Busatto nel 2022 ha corso con la General Store (photors.it)
Come è andato l’inverno?

Bene – esclama – ci siamo trovati con il development team i primi di dicembre in ritiro vicino a Calpe. Ne abbiamo approfittato per fare conoscenza e imparare a stare insieme, d’altronde prima di allora non avevo ancora conosciuto nessuno. 

Pochi allenamenti e tanto team building?

Sì, la squadra ha pensato di farci fare tante attività più per conoscerci che per allenarci. Tanti giochi e molte attività per legare. Naturalmente si è pedalato e nelle pause bar parlavamo molto tra di noi: dalla preparazione ad argomenti di attualità.

Quando hai iniziato a spingere un po’ di più?

A gennaio, quando sono andato in ritiro con i ragazzi del WorldTour. Abbiamo fatto tanti lavori più spinti per avere la gamba pronta alle prime corse di stagione. Avere la possibilità di conoscere i professionisti è stato incredibile. Ero in camera con Petilli ed è stato gentilissimo con me. Condividere la stanza con un italiano e per di più professionista è stato bellissimo, Petilli mi ha spiegato tante cose.

Nel ritiro spagnolo della Intermarché si è lavorato molto alla costruzione del gruppo (foto Instagram)
Nel ritiro spagnolo della Intermarché si è lavorato molto alla costruzione del gruppo (foto Instagram)
Di cosa avete parlato?

Di tutto: degli allenamenti, dell’alimentazione e dei vari test che facevamo sui prodotti utilizzati. Abbiamo visto degli studi sull’alimentazione e ci hanno spiegato molte cose, siccome era tutto in inglese, Petilli mi hai aiutato a capire meglio le cose che mi sfuggivano. 

Hai svolto altre attività con loro?

Degli studi con la bici da crono ad Amsterdam, poi dei test sul VO2Max ed altri dati in Belgio. A tutti questo si è aggiunto il classico bike fitting. Mi è capitato di fermarmi a pensare e mi sono detto che quella che ho è davvero un privilegio unico. 

Insomma, si capisce che siete trattati come professionisti…

Assolutamente. E se devo essere sincero, non mi aspettavo così tanta fiducia. Puntano molto su di me per le gare del calendario U23, questo mi fa piacere perché vuol dire che hanno avuto delle buone impressioni. 

Prima gara con i professionisti e subito un quarto posto per Busatto (foto Tour of Oman)
Prima gara con i professionisti e subito un quarto posto per Busatto (foto Tour of Oman)
Intanto hai già attaccato il numero e lo hai fatto con i grandi.

La prima gara è stata la Muscat Classic, con un quarto posto finale che nemmeno sognavo la mattina. Valerio Piva mi aveva detto di provare a stare davanti, il percorso era vicino alle mie caratteristiche. Gli ho risposto che sulla prima salita avrei capito la mia condizione e mi sarei regolato di conseguenza, sentivo di stare bene ma non credevo così tanto. Sono stato bene per tutta la corsa ed alla fine mi sono anche lanciato nella volata finale. 

Nel frattempo hai corso anche il Tour of Oman. 

Lì ho lavorato per i miei compagni, l’obiettivo era di fare classifica con Meintjes e Taaramae. Nella quarta tappa, sulla salita finale, ho provato a stare con i migliori, ci sono riuscito ma ho fatto troppa fatica e non sono riuscito a lanciarmi nella volata finale. Gareggiare con i ritmi dei professionisti mi ha fatto subito capire il loro livello, è davvero elevato! Il ritmo sull’ultima salita è stato infernale. 

Correre con accanto Piva e Petilli è stato utile per “ammorbidire” il tuo esordio?

Sono persone che ho conosciuto in ritiro e con loro accanto mi ha fatto sentire tranquillo. Mi manca ancora correre con gli altri diesse, ma non vedo l’ora di farlo

Busatto, il primo dei tre, con alle spalle il suo mentore alla Intermarché Petilli con il numero 25
Per Busatto i consigli dei compagni più grandi sono stati utili per ambientarsi nella nuova squadra
Che sensazioni hai provato ad avere accanto Meintjes e Taaramae, corridori che hanno vinto tappe nei Grandi Giri?

Fa un certo effetto ascoltare i loro consigli. Così come ritrovarsi in gruppo gomito a gomito con Cavendish, Merlier o Ulissi. Ma si tratta solamente di un passaggio intermedio rispetto al mio obiettivo di voler diventare professionista. 

Arrivi da una vita completamente diversa, che sensazioni provi se ti guardi indietro?

Un po’ è strano. Ripenso a quando ero piccolo, quando prendevo la mountain bike e andavo nei campi dietro casa, mettevo la bandana e facevo finta di essere Pantani e vincere il Tour de France. Da bambino avevo anche una piccola fattoria, quella classica che tutti i nonni hanno dalle mie parti. Ora non c’è più, non c’è più molto tempo per curare tutto, ho solo qualche gallina e tanti gatti. 

Dominio vikingo anche nella crono U23. I nostri si fanno le ossa

19.09.2022
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Un altro norvegese nella crono, questa volta negli under 23 e con un nome vikingo ben più impegnativo di quello di Foss: Soren Wærenskjold. Solo che somiglia così tanto al vincitore di ieri, che la prima domanda che è venuta da fargli è se Foss gli abbia dato qualche dritta. E lui, sorridente dentro la sua maglia iridata, ha spiattellato subito tutto.

«Stamattina – ha spiegato – Foss prima mi ha detto di credere in me stesso, poi mi ha detto di salvare la gamba sullo strappo ripido del primo giro, perché me la sarei ritrovata nel secondo. E poi mi ha indicato un paio di curve in cui fare la differenza. Io ho fatto come mi ha detto. Sul primo strappo sono andato più piano ed effettivamente quelle due curve le ho pennellate. Aveva ragione lui, ho fatto il secondo giro meglio del primo e questo credo mi abbia aiutato a vincere».

Alec Segaert, il belga grande favorito e nostra vecchia conoscenza, annuisce e sportivamente conferma di aver fatto un primo giro da record e il secondo stringendo i denti. E di aver perso così la maglia iridata, distante appena 17 secondi.

Preparazione al top

Il suo futuro, come pure il suo presente, è nella Uno X e dice di starci bene. Che la squadra sta crescendo assieme ai suoi corridori e che in futuro punterà a corse che contengano delle crono, per provare a fare classifica. Anche se resta l’anomalia di due norvegesi iridati contro il tempo.

«Lo so che fa notizia vederci vincere le cronometro – spiega Wærenskjold – soprattutto guardando alla situazione di 2-3 anni fa, quando non c’eravamo negli ordini di arrivo. Non ho una risposta sul perché questo accada. Per quanto mi riguarda, posso dire che ho fatto una preparazione specifica di alto livello. Sono andato in galleria del vento. Ho provato il nuovo casco. Ho provato il nuovo body. E da un anno ho la bici da crono a casa e la uso spesso. E poi lo staff ha fatto la differenza, per me come per Foss. Hanno mappato il percorso metro per metro, non c’era traiettoria su cui non abbiano studiato. Sapevo tutto di ogni curva e alla fine questo ha pagato».

Sui suoi inizi dice che è stato tutto per caso e per seguire sua sorella. Ed è bastata quell’unica volta che uscì con lei, per innamorarsi della bici e mettersi a strillare fino a che non gliene comprarono una. E da allora, non c’è stata attività sportiva che abbia preferito al ciclismo. Amore a prima vista, punto e a capo.

Piganzoli e il vento

Alle sue spalle è arrivato Alec Segaert e poi Leo Hayter, quello del Giro d’Italia U23, il cui fratello ieri ha maledetto i comandi della sua bicicletta che gli hanno fatto cadere la catena costringendolo al cambio bici e al quarto posto, con 39” da Evenepoel che si potevano anche limare.

I nostri invece hanno continuato a fare esperienza, con Piganzoli partito per primo e arrivato 16° a 1’45” dal vikingo e Milesi, partito un’ora dopo e arrivato 10° a 1’05”. Per entrambi si è trattato di un investimento che darà i suoi frutti nelle prossime stagioni, quando entrambi saranno professionisti e sapranno maneggiare meglio queste bici.

«E’ stata una crono difficile – dice Piganzoli – diciamo che c’era molto vento. Ho provato a spingere il più possibile. A prescindere dal risultato, ho fatto un po’ fatica, diciamo per il percorso e un po’ per la mia statura. Sicuramente mi definisco abbastanza uno scalatore, anche se sicuramente ho molto da migliorare. Però anche a crono mi difendo. Ho vinto l’italiano e ho avuto questa convocazione, quindi sono contento.

«Tornando al percorso, la salita era tutta nella prima parte e anche il vento. Era necessario gestirsi bene, però alla fine si può dire che sia stata una prova molto tecnica, con tanti rilanci. Al via ero emozionato. Lassù si ripensa a tutti i sacrifici fatti per arrivare qua, quindi è stata una bella sensazione». 

Milesi soddisfatto a metà

Milesi che forse ci puntava un po’ di più, dopo l’arrivo aveva la faccia un po’ lunga, anche se alla fine l’orgoglio di esserci è bastato per fargli fiammeggiare gli occhi chiari.

«Contento no – dice – però la prestazione mi è sembrata abbastanza buona, quindi la prendiamo per come è venuta e poi la analizzeremo. Come sono andato? Ho sbagliato un paio di curve, una perché ieri per i pro’ c’era in mezzo una transenna e invece oggi si poteva fare tutta la strada, però nel complesso direi abbastanza bene. E’ il seguito di un cammino, sicuramente un’esperienza molto importante che aiuta a crescere. E vedremo più avanti cosa porterà.

«Nervoso in partenza? Zero (sorride, ndr). Affronto gara per gara, così anche mentalmente è più facile. Comunque il mondiale aggiunge tanto. E’ la gara più importante dell’anno e quindi sono contento di essere qua, di essere stato convocato e che mi abbiano dato fiducia. E adesso speriamo di rifarci su strada».

Alfio Locatelli: «A 24 anni, troppo vecchio per passare»

04.06.2022
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Quanta dispersione di talenti c’è nel ciclismo italiano? Tanta, potremmo dire. Causata sia da U23 che vengono fatti passare troppo presto venendo poi bruciati, sia da ragazzi di 23 anni compiuti che vengono considerati già vecchi. Di Evenepoel ce n’è uno solo, così come di Ballan, che diventano pro’ al sesto anno da dilettante, non ne esistono più. Possibile che non ci sia una via di mezzo? Possibile che non ci sia la pazienza di aspettare la crescita fisiologica degli attuali giovani corridori?

«Si deve distinguere fra chi merita e chi no. Perché al contrario ci sono stati miei amici che meritavano e hanno smesso senza avere la possibilità». Le parole per nulla banali sui giovani espresse la settimana scorsa da Jacopo Mosca ci hanno dato ulteriori spunti di riflessione, oltre che a suggerirci il nome di Alfio Locatelli (nella foto di apertura assieme a Mosca dopo la vittoria della Firenze-Mare del 2015). Uno che, secondo il piemontese della Trek-Segafredo, sarebbe potuto stare tranquillamente in gruppo.

Locatelli nel 2012 corre per la Trevigiani. Qui esulta per la vittoria del GP Città di Felino
Locatelli nel 2012 corre per la Trevigiani. Qui esulta per la vittoria del GP Città di Felino

Il bergamasco di Sotto il Monte, classe ’90, che ha trascorso otto stagioni nei dilettanti, ce lo ricordiamo bene e la chiacchierata con lui non solo è stata l’occasione per sentire la sua opinione, ma anche per rinverdire tante memorie.

Alfio innanzitutto come stai?

Dopo aver smesso nel 2016, l’anno successivo mi sono trasferito in Brianza per lavoro. Ora vivo a Giussano e sono dipendente di un’azienda che produce cartoni per imballaggi e tovaglioli di carta. Sto studiando per diventare massaggiatore e, compatibilmente con gli impegni di lavoro, sono stato a fare un po’ di pratica con la formazione di Matteo Provini (il diesse della Hopplà Petroli Firenze, ndr), con cui sono rimasto in contatto.

Com’è il tuo rapporto col ciclismo?

Sereno, direi. Mi manca l’agonismo e il gruppo degli ex compagni. Ero sul Fedaia alla penultima tappa del Giro, a 3 chilometri dal traguardo, dove avevamo preparato il campari per Formolo (ride, sono stati compagni di squadra nel 2013, ndr), ma è passato a ruota di Carapaz e non ha potuto gustarselo. E pensate che proprio dove ero io, ho trovato Dal Col e Collodel, altri due miei compagni alla Trevigiani. Incredibile dopo tanti anni. Non mi manca invece il modo di fare un po’ falso di alcune persone che ancora orbitano nel ciclismo.

Sei stato nominato da Mosca come uno di quelli che avrebbe meritato di passare pro’. Che effetto ti fanno le sue parole?

Jacopo è un grande amico, abbiamo fatto tanti anni assieme. Sono contento di vederlo come uno dei migliori uomini della sua formazione e del gruppo in generale. Non è lì per caso. Lo ringrazio per il pensiero, mi ha fatto piacere. Con un pizzico di presunzione posso dire che sarei stato un buon gregario. Non avevo paura di prendere il vento in faccia o di andare all’attacco.

Tra i dilettanti hai ottenuto 9 vittorie, alcune importanti. Come mai non sei riuscito a passare?

Una serie di cose, penso. Qualcuno mi rimproverava di non essere costante ma io, anche nelle mie annate migliori, più di così non riuscivo a fare. Qualcuno invece ha riconosciuto che ho avuto avuto anche un po’ di sfortuna. I primi due anni da U23 li ho fatti tra la scuola ed il capire la categoria, poi a 24 anni sono stato giudicato vecchio da un procuratore a cui avevo chiesto aiuto, visto che io non ce l’avevo mai avuto.

E poi com’è andata?

Non l’ho presa bene quella “etichettatura”, sebbene sapessi che quel procuratore stava dicendo una cavolata. Non si può dire così ad un ragazzo che fa sacrifici e risultati, senza sapere nulla e senza contestualizzare. Infatti volevo smettere perché avevo capito che per me non ci sarebbero state altre possibilità. Ho fatto altri due anni con la Viris Vigevano perché un po’ ci speravo ancora e perché mi piaceva fare da “chioccia” ai più giovani, come Ganna, Moschetti, Sobrero, Vlasov e tanti altri. Peccato, mi resta il rammarico di non aver provato a passare e vedere cosa avrei combinato.

La figura del procuratore secondo te quanto può incidere?

Tanto, anche quando fai pochi piazzamenti. Penso al mio ex compagno Enrico Barbin che non ce l’aveva e che nel 2012 con 7 vittorie tutte di altissimo livello pensava di trovare tante squadre, anche fuori Italia, grazie ai risultati. Invece lo cercò solo la Bardiani e dopo i primi anni a prendere mazzate in gara a causa di un calendario minore, divenne più rinunciatario. Noi lo vedevamo cambiato, anche se lui ci ha sempre detto di no. Anche questo aspetto influisce.

Situazioni come la tua continuano a verificarsi. Perché secondo te?

Troppa avidità di certi dirigenti e procuratori. Ed anche la mancanza di lungimiranza. Tutti vogliono prendere chi vince e basta. Ma poi chi è che tira? E credo che bisognerebbe dare un giusto peso alle vittorie. Poi c’è ancora gente che, si sa, porta sponsor e gli vengono spalancate le porte del professionismo. Per me mancano umanità e rispetto. Molti dirigenti, anche tra i pro’, ti promettono tante cose e poi cambiano idea improvvisamente. Non ti prendono oppure, come è successo a qualche mio amico senza fare nomi, ti lasciano a casa senza un reale motivo. Meno male che ci sono anche casi fortunati come quelli di Mosca o Masnada, perché anche lui abbiamo rischiato di perderlo. Ho notato un’altra cosa tra l’altro…

Quale?

Che i flop dei giovani ce li abbiamo solo noi in Italia, nelle nostre formazioni. Sembra che ogni giovane interessante debba raccogliere l’eredità dei grandi nostri corridori. Non si può fare continuamente la caccia al fenomeno. Siamo in balia di questa situazione. Abbiamo tanti buoni atleti, ma nessuno riesce ancora a capire che ogni ragazzo ha la propria maturazione. Ai ragazzi che passano adesso e che non riescono ad andare nel WorldTour consiglio di andare nelle professional estere. Là fanno ritiri come si deve, possono fare un calendario più completo e crescere meglio.

Una soluzione a tutto ciò esiste?

Non lo so. Credo che il dilettantismo italiano vada rivisto o trovato un modello diverso. Purtroppo c’è ancora tanta instabilità economica che condiziona. Alcune gare storiche non ci sono più o sono state ridimensionate. Però credo che alla base di tutto ci vorrebbero nuove figure dirigenziali. Serve un ricambio generazionale e culturale, prendendo spunto dall’estero o dai modelli aziendali. Infine tanta pazienza.

Sulle parole di Bartoli, la risposta del CT Friuli

05.03.2022
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Eravamo abbastanza sicuri che dopo l’articolo con Bartoli sul GP La Torre qualcuno ci avrebbe contattato. Pensavamo qualcuno di quelli che si era sentito defraudato dalla vittoria di Buratti, invece a scrivere è stato proprio Renzo Boscolo, direttore sportivo di Buratti e del Cycling Team Friuli.

«Ho letto il tuo articolo con l’intervista a Bartoli – c’era scritto – e credo che hai centrato il punto. Siamo appena partiti e già ci sono lamentele sulle continental. Se hai tempo e piacere, ti dirò la mia…».

Sul podio di Fucecchio, Boscolo (a sinistra) con il vincitore Buratti e il CT Friuli
Sul podio di Fucecchio, Boscolo (a sinistra) con il vincitore Buratti e il CT Friuli

Continental e U23

Il Cycling Team Friuli 2022 è composto da 15 atleti e fatto salvo Donegà e i suoi imminenti 24 anni, gli altri sono tutti nati fra il 2000 e il 2003 (un atleta del 2000, 3 del 2001, 4 del 2002, 5 del 2003), pertanto si tratta di un team under 23 a tutti gli effetti che, non avendo ancora cominciato a correre con i professionisti, aveva tutto il titolo di correre a Fucecchio. Quel che poteva fare la differenza rispetto agli atleti delle piccole squadre toscane era la qualità degli atleti, ma da quando è dannoso correre contro rivali più forti?

«Bartoli ci ha preso – dice Boscolo, subito contattato – ma francamente mi spiace perché domenica non avevo percepito i malumori. Le continental alterano il panorama nel momento in cui iniziano a fare attività con i professionisti, ma anche noi quel giorno partivamo da zero e nei primi 10 c’erano anche ragazzi di squadre più piccole. Abbiamo dovuto sudare per andare a riprendere un corridore di Chioccioli (Lucio Pierantozzi, marchigiano, in fuga per quattro giri, ndr). E soprattutto parliamo sempre di corridori giovani, il cui impegno va dosato. Non puoi mandare i primi anni al massacro. Un po’ tra i professionisti e un po’ tra i dilettanti, non è pensabile con un gruppo così giovane andare a fare esclusivamente una stagione tra i professionisti».

Al GP La Torre, quattro giri in fuga per Lucio Pierantozzi (terzo da destra, al via della Firenze-Empoli, foto Facebook)
Al GP La Torre, quattro giri in fuga per Lucio Pierantozzi (terzo da destra, al via della Firenze-Empoli, foto Facebook)

Il calendario non basta

In realtà sarebbe possibile, su questo siamo parzialmente in disaccordo, se solo il calendario fosse tale da supportare il movimento per come si va strutturando.

«Tredici continental – dice Boscolo – sono troppe e limitano la partecipazione alle corse dei professionisti. Per cui capiterà anche a noi di andare alle gare più piccole, quelle organizzate dalle società che magari domenica si sono lamentate. Noi tutti dobbiamo dire grazie a Renzo Maltinti, ad esempio, che oltre ad avere la squadra, organizza le sue corse. Il ciclismo ormai esiste soltanto in Europa, e le WorldTour ce le ritroviamo anche nelle gare 2.1.

«Ad esempio, con la nostra squadra abbiamo sempre fatto il Sibiu Tour in Romania, ma quest’anno probabilmente non riusciremo. E’ ovvio che anche io preferisca le gare internazionali, ma per ora dobbiamo tenerci stretto il calendario italiano, che è apprezzato anche dalle squadre straniere. Gli sloveni ad esempio se non venissero di qua, non potrebbero garantire una grande attività ai loro ragazzi».

Al Sibiu Tour 2021, Fran Miholjevic in fuga con Aru: il confronto con i più forti fa crescere
Al Sibiu Tour 2021, Fran Miholjevic in fuga con Aru: il confronto con i più forti fa crescere

Guardiamo all’estero

Il punto debole dello sviluppo è infatti il calendario dei professionisti, che non riesce a strutturarsi in modo da concedere spazio a tutti.

«Agli organizzatori – dice Boscolo – interessano le WorldTour e le professional, non mi immagino una Coppi e Bartali con 13 continental italiane. Ma se ci guardiamo intorno, si vede che in Europa le squadre dei dilettanti corrono regolarmente fra le continental e le professional. Adesso va di moda portarli all’estero, dopo che per anni si è detto che così si cresce. Ma se vai fuori a fare figuracce, forse è bene che stai a casa. Per questo 13 continental sono troppe, perché non tutte hanno il livello necessario.

«Bartoli ha centrato il tema, i ragazzi devono confrontarsi con quelli più forti. Il Buratti che ha vinto La Torre, da junior non ha fatto niente. Non mi permetto di dire chi farà carriera e chi no, ma quando poi vai ai mondiali o all’estero, contro questi devi correre. Questi devi battere. Se ci provi tutto l’anno, magari soffri di meno».

Punto sui rapporti e debutto alla San Geo: il ciclismo di Oioli

12.02.2022
4 min
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«Sto cercando di adattarmi ai nuovi rapporti – dice Manuel Oioli, appena diventato under 23 con la Fundacion Contador, vivaio della Eolo-Kometa – ma il problema non è tanto in allenamento, quanto quello che succederà in gara. Intanto faccio anche dei lavori a bassa cadenza…».

Quinto agli europei, settimo ai mondiali, vincitore di due tappe al Lunigiana, il piemontese è uno degli azzurrini da far crescere con i crismi giusti per le potenzialità che ha mostrato. Alla larga da titoli troppo altisonanti e paragoni che ad ora possono solo creare imbarazzo. Però una cosa si può dire: Manuel ha cervello e sa usarlo.

«Su questa cosa dei francesi e i tanti che in Nord Europa corrono con i rapporti liberi anche da juniores – dice – ho cercato di sentire più pareri per farmi un’idea e alla fine secondo me serve una via di mezzo. Lo ha detto anche il cittì Salvoldi. Magari il 52×14 è superato e allora si potrebbe passare al 53, mantenendo però dietro il 14. Andare col rapporto libero magari non è un problema per i 5-6 che fanno il mondiale e magari sono più forti anche fisicamente, ma potrebbe danneggiare i ragazzi meno sviluppati che hanno bisogno di più tempo per venire fuori».

Come ti va di solito con i passaggi di categoria?

Ho sempre fatto fatica, devo prendere le misure. Per cui se per maggio-giugno non avrò già fatto risultato, non mi fascerò la testa. Anche perché ho la scuola e devo mettermi sotto per riuscire a fare tutto.

Ai mondiali di Leuven, Oioli ha centrato il settimo posto, dopo il quinto agli europei di Trento
Ai mondiali di Leuven, Oioli ha centrato il settimo posto, dopo il quinto agli europei
Come è fatta la tua giornata?

Sempre uguale, tranne quando sono in ritiro. Scuola 8-14, poi ho la patente per cui arrivo presto a casa. Mi cambio e vado in bici. Sto fuori fino alle 17,30-18, poi rientro e faccio i compiti o quello che c’è da fare. Sono al Liceo Linguistico, non so se per la maturità dovrò mettere un po’ via la bici, ma non credo. Serve volontà. Certo non avrò la media del 10, ma il 7 riesco a portarlo a casa. La scuola mi viene incontro, non conteggiando le assenze dei ritiri. E per il resto, almeno fino a giugno correrò solo in Italia e nei fine settimana.

Insomma, tutto già definito?

Ci provo. L’unico intoppo è stato il Covid durante le vacanze di Natale, ma ora sembra tutto a posto. Ho fatto le visite, ho ottenuto l’idoneità, ma non nascondo che soprattutto all’inizio a livello respiratorio un po’ ne ho risentito.

Oioli premiato per il secondo successo al Lunigiana assieme al tecnico del Piemonte, Francesco Giuliani
Oioli premiato per al Lunigiana con il tecnico del Piemonte, Francesco Giuliani
Che cosa è cambiato nella preparazione rispetto allo scorso anno?

Sono cresciute qualità e quantità. Faccio tanti più chilometri, perché le corse saranno più lunghe e lavori specifici ad alta intensità che al secondo anno da junior magari si facevano da marzo-aprile. Ho messo i rapporti… da grandi a fine stagione e sto lavorando bene. La squadra mi piace. E’ molto internazionale, c’è tanta professionalità in tutti i ruoli, siamo seguiti in tutto.

La Bustese Olona da cui vieni è un loro vivaio: un sistema che funziona?

Dico decisamente di sì. Lavoro con persone come Dario Andriotto che mi conosce da quattro anni e non nascondo che ho corso per tutto il 2021 sapendo che questa porta per me sarebbe stata aperta. Le cose possono cambiare, ma è stata una bella tranquillità. Sono andato alla Bustese proprio per questo.

Oioli è approdato quest’anno alla Fundacion Contador U23, dopo aver corso alla Bustese, suo vivaio
Oioli è approdato quest’anno alla Fundacion Contador U23, dopo aver corso alla Bustese, suo vivaio
In che modo Basso e Contador partecipano alla vita della squadra?

Ivan si interessa molto anche a noi di primo anno. Sono stato a casa sua per firmare il contratto e lo vediamo spesso con noi in bici. Alberto è preso totalmente dal progetto Aurum, dalle sue bici, ma soprattutto nei ritiri è venuto a trovarci. La squadra da quest’anno ha doppia affiliazione, ma resta sempre agganciata alla sua Fundacion, per cui ci sta vicino anche lui.

Da dove cominci?

Dalla San Geo e poi solo calendario italiano. Da sabato intanto siamo in ritiro a Oliva, in Spagna. C’è un bel caldo, è il modo giusto per avvicinarsi al debutto.

Thibau Nys 2021

Thibau Nys, quanto pesa essere “figlio d’arte”…

20.09.2021
5 min
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Nel ciclismo i figli d’arte hanno sempre trovato molte strade sbarrate, troppo pesante l’eredità lasciata, a meno che non cerchi vie nuove ed è quello che sta cercando di fare Thibau Nys, il nuovo campione europeo Under 23 che punta a sorprendere anche in casa, a Leuven, aggiungendo un’altra maglia a quella fresca con le stellette. Quando hai un cognome simile il fardello è pesante, perché parliamo di Sven Nys, uno dei più grandi ciclocrossisti della storia, due volte iridato e per ben 25 volte vincitore di una grande challenge, fra cui 3 Coppe del Mondo, ma soprattutto capace di attirarsi grandi simpatie da parte dei tifosi.

Quando Thibau ha iniziato nel ciclocross, i dubbi erano tanti: «Ecco, un altro che vuole imitare il padre». In Belgio il fardello dell’eredità di un campione è pesante, ne sa qualcosa Axel Merckx, che dopo aver cercato gloria su altre strade (il calcio), non resistette alla voglia di mettersi in gioco, vivendo una carriera lunga ben 14 anni e contraddistinta da 14 successi tra cui un titolo nazionale su strada, ma lontana anni luce dai fasti del padre, anche se vinse quel che a Eddy non riuscì: una medaglia olimpica (bronzo ad Atene 2004 dopo una coraggiosa quanto vana caccia a Bettini).

Nys volata trento 2021
La volata vincente di Nys a Trento, battendo l’azzurro Baroncini e lo spagnolo Ayuso
Nys volata trento 2021
La volata vincente di Nys a Trento, battendo l’azzurro Baroncini e lo spagnolo Ayuso

Il vantaggio di chiamarsi Nys

Questo peso Thibau lo ha sempre sentito: «Dipende da come lo si guarda – ha affermato dopo aver vinto nel 2020 il titolo mondiale junior di ciclocross – in fin dei conti quando ti chiami Nys, gli sponsor vengono a cercarti e questo è un vantaggio, dall’altra parte però c’è una tale pressione addosso che non ti lascia mai e so che dovrò farci i conti per sempre».

Questo concetto lo ha fatto suo anche chi lo segue giorno dopo giorno, il suo allenatore Sven Van Den Bosch, tecnico di lunga esperienza che seguendo il ragazzo ha capito che era necessario trovare nuovi sbocchi, diversi da quelli del padre per tagliare una volta per tutte quel cordone che li lega: «Le aspettative pesano non poco su di lui, perché Nys è un cognome che in Belgio è sinonimo di vittoria, ma qui parliamo di un’altra persona e questo andrebbe sempre tenuto nel dovuto conto».

Van den Bosch 2020
Sven Van Den Bosch, il preparatore di Thibau Nys, che ha fortemente spinto per un suo futuro su strada
Van den Bosch 2020
Sven Van Den Bosch, il preparatore di Thibau Nys, che ha fortemente spinto per un suo futuro su strada

Il padre in Mtb, il figlio su strada

Il ciclismo su strada può, anzi dovrà essere il mondo di Nys proprio perché lì quel cognome non pesa come nel fuoristrada. Suo padre ha corso su strada, ma quello non fu mai il suo mondo, tanto che pensò invece di dedicarsi alla Mtb, riuscendo per due volte a qualificarsi per le Olimpiadi ma non andando al di là del 9° posto a Pechino 2008. Ecco perché proprio la strada potrebbe essere il suo futuro.

L’Europeo di Trento ne è stato la perfetta dimostrazione: «Forse le nazionali più forti, Italia in testa, mi hanno sottovalutato, ma ora sapranno con chi hanno a che fare – ha dichiarato dopo la vittoria – Per me era lo scenario perfetto, quando ho visto che ero riuscito a resistere nel gruppo dei migliori ho capito che potevo farcela».

Nys Trento 2021
Thibau Nys, nato il 12 novembre 2002, vanta un titolo europeo e mondiale junior nel ciclocross oltre a quello di Trento
Nys Trento 2021
Thibau Nys, nato il 12 novembre 2002, vanta un titolo europeo e mondiale junior nel ciclocross oltre a quello di Trento

Un velocista adatto ad alcune classiche

Che tipo di corridore può essere Nys nel ciclismo su strada? Van Den Bosch ha le idee abbastanza chiare in proposito: «Lo vedo come un velocista capace di emergere anche in classiche con pendenze brevi. Non uno sprinter puro, alla Caleb Ewan per esempio, ma sicuramente in grado di dire la sua in volate di gruppo nei grandi giri, ma anche di puntare ad alcuni appuntamenti dove la selezione è più stringente».

«La forza di Thybau – riprende il tecnico – è che ha grandi valori di potenza, se facciamo il rapporto tra wattaggio e chilogrammi. Valori che si esprimono sia sul breve, nell’arco di 30 secondi, quanto sul lungo periodo, anche 20 minuti e questo potrebbe portarlo anche a progredire nelle cronometro. Sicuramente andrà avanti sia su strada che nel ciclocross, perché una specialità beneficia dell’altra, ma per carità non facciamo paragoni con i 3 Tenori, ha già un peso importante sulle spalle…».

Nys Thibau Sven
Thibau Nys con suo padre Sven, grande campione del ciclocross, iridato nel 2005 e 2013
Nys Thibau Sven
Thibau Nys con suo padre Sven, grande campione del ciclocross, iridato nel 2005 e 2013

Non essere solo il “figlio di Sven”

Già, sempre quel peso. Anche quando ha vinto a Trento, tutti lo hanno etichettato come il “figlio di Sven” più che come Thibau. La sua parabola è solo agli inizi, ha già promesso che il prossimo anno lo vedremo di più su strada e magari un giorno verrà nel quale, vedendolo insieme a suo padre (oggi dirigente sportivo alla Baloise Trek Lions) qualcuno dirà: «Scusa, chi è quello con Thibau Nys?»…

Marino Amadori

U23: Amadori già “a bomba” sul 2021

17.12.2020
4 min
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Quello che sentiamo al telefono è un Marino Amadori brillante. Il tecnico della nazionale U23 sembra non veda l’ora d’iniziare la stagione e ritrovare il contato con i suoi, tanti, ragazzi…

Marino, andiamo verso il 2021, secondo te si correrà normalmente?

Già quest’anno si è riusciti a concludere quasi tutta la stagione e con il vaccino in arrivo credo che le cose andranno sempre meglio. Magari all’inizio ci sarà ancora qualche limitazione, ma da maggio-giugno si potrà ripartire normalmente.

Al netto dei nomi che sono passati, che gruppo avrai?

E’ già due anni che me ne passano di nomi, ma qua sembra che nessuno lo noti! Lo scorso anno sono passati 8 corridori nel WorldTour di cui 6 ancora U23. E quest’anno ne sono passati altri 6 di cui 5 U23. Eravamo nell’occhio del ciclone perché non si cresceva, sembrava che l’Italia fosse il Paese delle banane senza ragazzi e senza atleti bravi. Invece le squadre, le nazionali… stanno lavorando bene. Abbiamo talenti e arrivano i risultati. E lo dicono i numeri. Oltre a quelli del WT ci sono altri 25 ragazzi che sono passati nelle Professional negli ultimi due anni. Che poi per vari motivi non siano super campioni e che il super talento non sia italiano… questo è un altro discorso.

Marco Frigo
Marco Frigo in azione agli ultimi europei di Plouay
Marco Frigo
Marco Frigo in azione agli ultimi europei di Plouay
Cosa intendi per “lavorare bene”?

E’ un discorso a 360°. La multidisciplinarietà ormai è un qualcosa di concreto. Lo hanno capito le squadre, i ragazzi. Viviani ha aperto la strada e adesso abbiamo Ganna. Pippo è un bell’esempio perché è cresciuto gradualmente. Nelle categorie giovanili non ha colto grandi risultati. Anzi, lui era anche abbattuto. E io gli dicevo: tranquillo, pensa a lavorare che andrai forte quando servirà. Un altro punto di forza del nostro lavoro sono state le corse a tappe. Giro del Friuli, Val d’Aosta che ci sono sempre stati ai quali si sono aggiunti il Giro d’Italia, il Giro del Veneto, quello di Romagna che doveva disputarsi quest’anno ma che non si è fatto per via del covid. Questi giri fanno crescere gli atleti, preparano al professionismo.

Quando è stato il momento del cambiamento?

Quando ci siamo specchiati con il mondo esterno. Per tanti anni siamo stati i numeri uno e l’avvento delle Continental e tutte le corse 1.2- 2.1… ci hanno un po’ spiazzato. Ci abbiamo messo un po’, ma adesso abbiamo recuperato quel gap e abbiamo atleti di livello.

Veniamo a nomi sui quali lavorare per questo 2021…

Vuoi dire di chi è rimasto! Scherzi a parte è giusto che i ragazzi passino. Giusto ieri ho tirato giù una lista parecchio allungata di nomi da tenere d’occhio. C’erano 60 ragazzi. Qualcuno di questi viene dagli junior, ma essendo di primo anno nessuno gli chiede nulla, tanto più con la scuola ancora in corso. Ed è così finche studiano. Solo dopo l’estate del secondo anno si inizia a fare qualcosa in più. Io comunque li tengo in considerazione. Ho ragazzi come Frigo, che corre all’estero ed è un 2000, Gazzoli che è al quarto anno, lui è un 1999, e mi aspetto molto da lui. E poi Puppio che deve tornare ai suoi livelli, Marcellusi, Benedetti, Martinelli che quest’anno avuto un grosso problema fisico, Zambanini che ha fatto un bel Giro… 

Edoardo zambanini
Edoardo Zambanini è stato maglia bianca al Giro U23
Edoardo zambanini
Edoardo Zambanini è stato maglia bianca al Giro U23
Come si lavora con chi corre all’estero? Con i loro team?

Con la Seg di Frigo per esempio mi trovo molto bene. Ho una bozza del programma e collaboriamo bene incastrando gli impegni. Con altre squadre è un po’ più complicata la cosa perché a loro la Nazionale non interessa.

Lo scambio d’informazioni è sempre più importante. Anche negli ultimi giorni ne abbiamo parlato con Ellena e Bartoli. E’ così: c’è più comunicazione tra i vari tecnici che in passato?

Sì, in effetti c’è più scambio d’informazioni che in passato e questo serve a valorizzare l’atleta al 100%. E si lavora tutti insieme perché se il corridore va forte è un vantaggio per tutti: per il team che ottiene visibilità e mostra che lavora bene, al corridore che può passare, alla Nazionale che ottiene risultati.

Come ogni anno ti chiedo della crono. E’ sempre una nota dolente o anche in tal senso c’è un lavoro corale tra squadre e nazionale?

E me lo chiedi nell’anno in cui Ganna vince la crono iridata!

Beh, però ricordo che prima del via di una Coppa Cicogna di qualche anno fa ne parlammo ed eri piuttosto arrabbiato…

No, no è vero. Se ne è fatta di strada. La FCI ci ha investito parecchio, facciamo degli stage. Ganna, Affini, Scaroni… Si cerca di fare un lavoro condiviso e a chi ne ha bisogno forniamo le bici da crono. Abbiamo una collaborazione con Pinarello. Parecchie società ci vengono dietro, altre meno. Però io dico che la crono serve. E serve non solo agli specialisti, ma anche agli scalatori. Se un giorno vogliono vincere un grande Giro devono abituarsi a certi sforzi e a certi gesti.

Smarzaro, mattatore senza squadra

20.10.2020
3 min
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Daniel Smarzaro è stato il mattatore del finale di stagione. Il corridore della General Store dopo aver passato un’estate a rincorrere la forma, ha trovato il picco proprio nelle ultime gare. Due secondi posti e una vittoria. E che vittoria. Il trentino si è portato a casa la prestigiosa Coppa San Daniele.

Corridore completo

«Ho iniziato con i pro’ – dice Daniel – a Laigueglia. Dopo il lockdown ho ripreso ad ExtraGiro. Rispetto ad altri ho capito subito che la quarantena sarebbe stata lunga. Così ho mollato del tutto all’inizio. Poi ho fatto rulli ed esercizi a corpo libero. Quando ci hanno liberato ho cercato di ricostruire subito il fondo, facendo tanti chilometri».

Daniel, 23 anni appena compiuti, con il covid ci ha rimesso più di altri. Per un ragazzo della sua età, questa stagione era fondamentale. Aveva impostato la preparazione invernale molto bene. L’idea era quella di partire forte e ci era anche riuscito.

«Speravo di raccogliere di più. Volevo partire forte visto che c’erano gare adatte alle mie caratteristiche. Sono un corridore completo, con un ottimo spunto veloce. Tengo bene sulle salite brevi. Però non ho potuto fare quelle corse su cui avevo puntato. Alla ripresa abbiamo corso spesso con i pro’. Le gare con loro sì sono belle, ti fanno crescere, ma è anche vero fai tanta fatica e prendi tante bastonate. Questo lavoro almeno ha fatto arrivare la condizione a fine anno».

Smarzaro corre con la General Store dal 2018 (foto Scanferla)
Smarzaro corre con la General Store dal 2018 (foto Scanferla)

A scuola da Fruet e Conci

Smarzaro è trentino della Valsugana. “Vicino di casa” di Nicola Conci e del grande biker Martino Fruet, spaziale nella guida.

«Da due come loro c’è sempre da imparare. Con Conci usciamo spesso insieme. I suoi consigli sono utili. Si vede che viene dal WorldTour. E Martino è un maestro, in discesa cerca di fare i Kom e ogni planata con lui si fa a tutta. E’ un kamikaze. Non riusciamo a tenerlo, però ti dà sicurezza».

E adesso?

Purtroppo il futuro immediato di Smarzaro non è sgombro di nuvole. La General Store sembra non lo riconfermi e a questo punto dell’anno non è facile trovare squadra. 

«Sinceramente non so neanche se continuerò a correre. Il mio team mi ha comunicato tardi che non voleva più tenermi. Le altre Continental sono già piene. E con due squadre WorldTour che chiudono anche le Professional si riempiono. Deciderò a fine mese».

Sarebbe un peccato se un ragazzo, che in questi anni ha dimostrato costanza di rendimento, dovesse dire addio ai suoi sogni a soli 23 anni, nonostante il bel finale di stagione.

«Quella di San Daniel è stata una vittoria cercata, a tutti i costi. Anche perché pochi giorni dopo sarebbe stato il mio compleanno e quello della mia ragazza Valentina. Volevo farle un regalo. Quando ho visto quell’arrivo su quello strappo mi sono detto che non avrei potuto sbagliare».