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Bouhanni, tre mesi fermo. Un ricordo che fa male

01.05.2022
5 min
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Presidential Tour of Turkey, seconda tappa. Arrivo ad Alcati, 11 aprile, si attende la volata. Il mare sulla destra, le case e il marciapiede sulla sinistra. Il gruppo arriva tutto in fila, ma un pedone cammina in mezzo alla strada e non si sposta. Qualcuno lo chiama. L’omino addetto all’incrocio con la giacca gialla fa per tirarlo indietro, ma è tardi. Il primo a centrarlo è un corridore della Eolo-Kometa. Fra gli altri che lo seguono a ruota ci sono anche Manuel Penalver della Burgos BH che finisce lì la sua corsa e Nacer Bouhanni, maglia Arkea-Samsic, che colpisce in pieno i due uomini sulla strada: il bollettino medico parla di vertebra cervicale fratturata. La sua stagione, iniziata finalmente bene, subisce un brutto arresto. Il ricordo sa tanto di scampato pericolo, ma è terribilmente amaro. 

«Eravamo in fila indiana a più di 55 all’ora – racconta Bouhanni (nella foto Instagram di apertura è nella Clinica Bizet di Parigi) – perché c’erano dei cordoli pericolosi. Poi ho questo flash in cui vedo due persone davanti a me sulla strada. Le ho colpite entrambe a testa alta. Ricordo di averla abbassato solo all’ultimo per proteggermi e poi ricordo la sensazione di aver sbattuto contro un muro. Non ho fatto in tempo a mettere la mano sul freno, è successo in una frazione di secondo. Da allora, non ho dormito per tre notti. Avevo questa immagine violenta di shock che continuava a tornare».

La caduta nella 2ª tappa al Presidential Tour of Turkey of stata provocata da un pedone (foto Instagram)
La caduta nella 2ª tappa al Presidential Tour of Turkey of stata provocata da un pedone (foto Instagram)

Il collo non regge

Abbiamo parlato più volte con i corridori di cosa si provi in quell’attimo in cui capisci che la caduta è inevitabile. Ci sono delle volte che non ti rendi conto, altre in cui, come in questo caso, capisci di non poterci fare niente. E’ incredibile invece come poi, nel racconto, sembri quasi di viverla al rallentatore.

«Mi sono reso conto – ammette il francese – ho subito messo le mani sulla testa per via del dolore e perché mi sentivo come se il collo non ce la facesse a reggerla. Ho pensato al peggio. Ricordo anche che c’erano Emmanuel Hubert, e il mio direttore sportivo (Yvon Ledanois, ndr). Gli ho chiesto perché mi stesse capitando ancora. Avevo già avuto una commozione cerebrale all’inizio dell’anno (il francese era caduto in allenamento ad Altea, in Spagna, e aveva per questo rinviato il debutto, ndr). Ho anche detto che non volevo saperne di più del ciclismo. Con tutto quello che mi stava succedendo, non ce la facevo più. Soprattutto ero spaventato. Pensavo che non li avrei più visti. Tenevo la testa e sentivo che c’era qualcosa di serio».

A soccorrere Bouhanni sulla strada, subito Ledanois, il suo direttore sportivo alla Arkea (foto Instagram)
A soccorrere Bouhanni sulla strada, subito Ledanois, il suo direttore sportivo alla Arkea (foto Instagram)

Ospedale da incubo

Paura. Dolore. Essere per giunta lontani da casa, in una terra di cui non capisci nemmeno la lingua. E quel senso di sgomento, perché il collo che non sorregge il capo.

«Soffrivo molto – prosegue questa volta Bouhanni con il giornalista de L’Equipe – volevo solo essere rimandato a casa in fretta per vedere mia moglie e mio figlio. Non sapevo cosa fosse. Ero spaventato, era orrore. E quando sono arrivati i soccorsi è stato anche peggio. Mi hanno preso bruscamente per mettermi su una barella. Continuavo a urlare che soffrivo atrocemente. Mi hanno gettato nell’ambulanza. Tutto quello che hanno fatto mi è parso brusco. Il viaggio poi è stato tremendo. Buche. Curve. Stavo impazzendo. Mi hanno chiesto di muovere la testa da destra a sinistra, ma non potevo. Non si rendevano conto che poteva essere molto grave? In ospedale ho passato sette ore in pantaloncini in un corridoio con l’acqua che cadeva dal soffitto. Ho dovuto fare pipì in una bottiglia di plastica. Ho pensato tra me e me che stavo dormendo e probabilmente mi sarei svegliato. Per fortuna c’era anche il medico della squadra e l’ho pregato di non lasciarmi lì da solo. Ha passato la notte in camera. Poi i medici turchi mi hanno fatto una radiografia. Mi hanno detto che era molto grave e che avevo rischiato la paralisi…».

Tre mesi fermo

Tornare a casa. Avere intorno qualcuno di fiducia che prenda in mano la situazione. Il team manager che contatta un neurochirurgo in Francia, che per fortuna lo tranquillizza. Dopo aver ricevuto il risultato della tac infatti, la dottoressa parigina è più rassicurante di quanto siano stati i colleghi all’ospedale di Smirne.

«Il rischio di paralisi – sorride ora per il pericolo scampato – si è trasformato nella necessità di tenere per due mesi il busto senza poter muovere la testa. Poi saranno necessari altri esami per valutare cosa fare. Quel che è certo è che dovrò stare per tre mesi senza sport. Non c’è bisogno di dire altro per descrivere il resto della mia stagione. Avevo lavorato duramente per rientrare dopo la commozione cerebrale all’inizio dell’anno e invece siamo di nuovo qui. Adesso però penso alla salute, nessuna fretta. Per cosa? Offrirei in cambio le mie 70 vittorie, perché il ciclismo è una cosa, la vita un’altra. Mentalmente, è molto difficile accettare quello che mi sta succedendo. Sento già intorno a me dire: ”Sei un combattente, ne uscirai e tornerai”. Dopo un po’ però ti dici che non sei Superman. Quello che mi fa impazzire è che questo è successo in una gara UCI. Allora penso che quei signori che ci danno lezioni dietro le loro scrivanie, dovrebbero finalmente dare un’occhiata seria alla sicurezza dei corridori».

Un podio per sognare in grande? Chiedete a Tagliani

11.02.2022
4 min
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Dice che il podio di oggi è una bella emozione, ma quei cinque minuti di attesa sul palco della crono di Torino al Giro d’Italia, neoprofessionista e per giunta primo a scattare, saranno impossibili da dimenticare. La storia di Tagliani è di quelle che ti restano addosso e aspetti il varco giusto per farla uscire. Oggi è il giorno giusto, anche se il terzo posto nella tappa di Antalya potrebbe non giustificare chissà quali slanci. Filippo avrebbe voluto sprintare anche ieri, ma è rimasto chiuso. Oggi invece ha trovato il varco e si è arreso solo a Rajovic e Gibson

«L’anno scorso quando ero su quel palco – sorride – mi è passata tutta la vita davanti. Ho rivisto vent’anni di ciclismo. Mi ci hanno tenuto per cinque minuti, un’eternità».

Volata della seconda tappa, Rajkovic anticipa, Tagliani chiude terzo
Volata della seconda tappa, Rajkovic anticipa, Tagliani chiude terzo

La grinta di Righi

All’ammiraglia dopo l’arrivo il diesse Righi gli strillava bonariamente in faccia: «Adesso puoi mandarmi a cagare! Mi ci mandi a cagare?».

Si vedeva che il tecnico toscano della Drone Hopper-Androni Giocattoli fosse contento, ma non capivamo il perché di quelle parole, finché non glielo abbiamo chiesto.

«Ieri l’ho brontolato – dice con un’espressione toscanissima – e lui mi guardava male. Erano stati bravi per tutto il giorno a restare davanti nonostante quel vento, ma lui ha esitato ed è rimasto chiuso per la volata. E allora, visto che mi guardava storto, gli ho detto che aveva un solo modo per mandarmi a cagare: fare un bel risultato. E oggi l’ha fatto. Per carità, non s’è ancora combinato nulla, ma mi auguro che il podio gli dia morale. Qualsiasi cosa fa la fa per sé, non certo per me».

Nel 2018 la sua vittoria più bella: la San geo sulle strade di casa (foto Piton)
Nel 2018 la sua vittoria più bella: la San geo sulle strade di casa (foto Piton)

Destino segnato

Tagliani non poteva che fare il corridore. Se nasci a Gavardo e per anni ti partono da davanti casa la Coppa San Geo e il Trofeo Soprazocco, la voglia di buttarti anche tu nel mezzo deve venirti per forza. In più suo nonno Emilio ha mandato avanti per anni la trattoria Alle Trote, che ora è dei suoi genitori e per i corridori è un vero punto di ritrovo. Per questo nel 2002 ha staccato il primo tesserino con la UC Soprazocco e ci è rimasto sino al 2011. Forse per questo, fra le vittorie più belle da dilettante, Filippo inserisce la Coppa San Geo.

«Vincere davanti a parenti, amici e tifosi, sulla porta di casa di Delio Gallina è stato qualcosa di molto speciale – raccontò – quel giorno ho davvero toccato il cielo con un dito. Ci tenevo moltissimo ed è stato il miglior modo per dire grazie all’amico Delio e al team manager Cesare Turchetti, con i quali sono rimasto in buonissimi rapporti anche quando ho cambiato club».

Pro’ a 25 anni

Già perché la sua storia passa per un anno alla Named-Ferroli, ben 4 alla Delio Gallina, una alla Casillo e l’ultima alla Zalf, prima di passare professionista a 25 anni, mentre intorno impazzava la caccia ai ragazzini.

«Ma io ci ho sempre creduto – dice di ritorno verso l’hotel – altrimenti avrei ascoltato i consigli di chi mi diceva di smettere da under 23. Per fortuna continuo a fare le cose come voglio farle io e questo piccolo podio non è niente, ma ripaga dei sacrifici che sono sempre tanti lo stesso. Ho iniziato la stagione in Venezuela e ho preso un virus intestinale, ma per fortuna è durato poco e il lavoro non s’è buttato. Lo so che i risultati importanti sono altri, ma questo podio dà morale per riprovarci. Voglio fare una bella stagione, per cui domenica mi butto dentro lo stesso».

Dimenticato il vento di ieri, la Turchia mostra il suo volto primaverile
Dimenticato il vento di ieri, la Turchia mostra il suo volto primaverile

Volata kamikaze

E se gli fai notare che nella volata mancavano a causa della salita alcuni dei velocisti più forti, l’orgoglio viene in superficie.

«Rispetto a ieri – dice – mancava solo Mareczko, gli altri c’erano ma non sono usciti. Abbiamo fatto gli ultimi cinque chilometri di volata e sull’arrivo stavolta mi ci sono lanciato da kamikaze. Volevo partire lungo, è partito lungo anche Rajovic ed è stato il più forte. Perciò sì, sono emozionato, ma quei cinque minuti sul palco di Torino ancora sono inarrivabili. Me lo dissero la mattina dello stesso giorno, non mi aspettavo neanche la convocazione per il Giro. No, quell’emozione resta la più bella».

Malucelli e Mareczko, nervi tesi ad Antalya

10.02.2022
5 min
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«Uso il 53 perché ho le pedivelle corte – dice Malucelli – quindi se per caso rallento, rilanciare una padella grande è difficile. Però in un arrivo come questo, tutto dritto e con la strada che scende, a un certo punto cercavo i rapporti, ma erano finiti. Sono andato a tutta. L’ho visto arrivare. Mareczko ha sicuro il 54. Era in scia e ha cominciato a uscire. Non mi sono seduto e ho detto: “Fino alla fine, fino alla fine!”. Arriva, arriva, arriva, arriva. Poi per fortuna è arrivata prima la riga».

Sei andato dritto?

Non lo so (ride, ndr). Che domande mi fai?! Mi sembra di sì, gli ho lasciato lo spazio per passare. Lo spazio c’era.

Verdetto in bilico

Per una volta cominciamo dalla fine, mentre il vento sferza la costa di Antalya e la neve del Monte Toros si specchia sul mare. Tour of Antalya, prima tappa. Dopo il traguardo l’attesa per il fotofinish è stata lunga come un rosario. Malucelli era convinto di aver perso. Mareczko si sentiva di aver vinto. I rispettivi compagni intorno chiedevano e guardavano i vari replay. Ci sono foto di varie esultanze. E quando alla fine il verdetto ha premiato il romagnolo, la battuta di Mareczko mentre posava per una foto accanto al rivale, è stata sferzante. «La prossima volta faccio anch’io così».

«Vecchie ostie», ha commentato Malucelli andando verso il podio. Vecchie ruggini.

Sapevamo che i rapporti fra i due non fossero idilliaci, succede fra velocisti. Mareczko è arrivato tra i professionisti forte di vittorie a palate fra gli under 23 e quando Malucelli cominciò a batterlo, lui che da under 23 non era in grado di tenergli testa, il bresciano si convinse che probabilmente le sue vittorie fossero frutto di scorrettezze. Tra velocisti è così. Chiedete a Cipollini e Abdujaparov, a Cavendish e Sagan.

La 1ª tappa del Tour of Antalya è partita da Side, città che fu anche romana
La 1ª tappa del Tour of Antalya è partita da Side, città che fu anche romana

Promessa mantenuta

Ma dietro questa vittoria c’è una lunga storia, di cui il forlivese ci aveva già parlato in ritiro, a Calpe, quando lo incontrammo nell’hotel della squadra. I racconti sul lavoro fatto per migliorare in salita, perdendo lo spunto in volata. La voglia di tornare velocista, investendo di nuovo sulla palestra.

«Abbiamo mantenuto le promesse – sorride il corridore della Gazprom-RusVelo – ma in genere è stato un inverno regolare. Mi sono ammalato fra Natale e Capodanno, ho preso un virus intestinale che mi ha debilitato per una decina di giorni, ma tutto sommato è stato un inverno tranquillo. Sono stato attento, nel senso che a Capodanno i miei amici hanno fatto il tampone per venire a casa mia e nell’ultimo mese non sono uscito mai a cena, per paura di ammalarmi. E’ stato un inverno regolare, ma impegnativo. Anche la a mia ragazza ha fatto un bel po’ di sacrifici insieme a me e questo era il massimo che potevo ottenere dopo tanti sacrifici».

Doppia fila e volate

La Turchia ha suoni e colori speciali, anche se la temperatura non è troppo primaverile. La sveglia del mattino arriva col muezzin e la gente è gentile oltre ogni immaginazione. Le vestigia della città romana alla partenza da Side fa capire quanta storia ci sia lungo queste strade. E intanto Malucelli racconta, seduto davanti all’antidoping, perché non è banale vincere la prima corsa, dopo un inverno di lavoro.

«Abbiamo fatto tanti lavori di doppia fila – racconta – e volate, volate, treni… La mia fortuna è sempre quella di riuscire a partire bene. Nel 2017 ho fatto 4° nella prima tappa in Argentina, nel 2018 ho vinto al Tachira, nel 2019 ho fatto 2° nella prima tappa in Argentina, l’anno scorso ho vinto al Tachira. Quindi ho questa fortuna che facendo tanta fatica, perché il motore è piccolo rispetto agli altri (sorride, ndr), in allenamento sono sempre fuori giri e quindi arrivo alle corse che ho già il ritmo gara e l’abitudine alla fatica. Ho già un fuori giri importante. E poi abbiamo lavorato tanto. Palestra e abbiamo fatto tante doppie file e volate, doppie file e volate».

Sul podio, oltre ai due italiani, anche l’estone Lauk
Sul podio, oltre ai due italiani, anche l’estone Lauk
Hai una bestia nera in squadra che ti fa dannare in volata?

Vacek, è forte, verrà un bel corridore. E’ un 2002, viene fuori un campione. Ma adesso penso a me. Vincere subito dà morale. Sapevo di stare bene, ma un conto è stare bene e un conto è vincere. Non è uguale.

La volata, disse a dicembre, è come nella giungla, vince chi sopravvive. Oggi la giungla ha trovato il suo re. Ma a giudicare dal ghigno di Mareczko, l’occasione per la rivincita non tarderà ad arrivare.