Raphael Meyer, il motore invisibile del Tudor Pro Cycling

28.01.2024
7 min
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Raphael Meyer, classe 1986, è il motore invisibile e potente del Tudor Pro Cycling Team. Se Fabian Cancellara ne è il proprietario e Ricardo Scheidecker è il responsabile della gestione sportiva, tutto il resto passa attraverso lo svizzero di Lucerna. Nel giorno in cui la Tudor Pro Cycling ha ottenuto la wild card per il Giro d’Italia, le sue parole nel comunicato stampa ci hanno spinto ad approfondirne il senso.

«L’invito – si legge – è un grande riconoscimento del lavoro svolto dall’intero team da quando lo scorso anno siamo entrati nel professionismo. Può sembrare un grande passo avanti per la nostra giovane squadra, ma riteniamo che sia un’evoluzione logica. Abbiamo adottato misure tra cui l’ingaggio di corridori e personale esperti per essere pronti a esibirsi a questo livello. Correremo al Giro con lo stesso spirito audace che abbiamo dimostrato la scorsa stagione e puntiamo a portare a casa una vittoria di tappa».

Raphael Meyer comparve nel ciclismo nel 2018. Cancellara si era ritirato e aveva messo in piedi una serie di eventi. La prima volta che lo incontrammo fu alla tappa toscana di Chasing Cancellara, in cui gli amatori pedalavano con il campione. La collaborazione fra i due nel frattempo si è evoluta. E’ passato prima attraverso la Swiss Racing Academy ed è ora sfociato nel Tudor Pro Cycling Team, di cui Raphael è il CEO.

Raphael Meyer, classe 1986, è CEO della Tudor Pro Cycling (foto Luca David)
Raphael Meyer, classe 1986, è CEO della Tudor Pro Cycling (foto Luca David)
Puoi spiegarci quanto lavoro ci sia stato dietro la costruzione di questo team?

Abbiamo iniziato quasi da zero, partendo da un team continental e non sapendo se avessimo abbastanza materiale, se ci avrebbero consegnato i mezzi in tempo, se il nostro staff sarebbe stato affiatato al punto giusto. Avevamo tante incertezze, ma tutti hanno contribuito alla riuscita credendo nel progetto. Perciò ancora prima di debuttare a Marsiglia, giusto un anno fa, eravamo già in trattativa con i corridori che abbiamo preso quest’anno.

C’è stato un momento in cui i dubbi sono scomparsi?

Sì, il 15 marzo alla Milano-Torino molti punti interrogativi se ne sono andati. Non tutti, perché ne ho ancora oggi. Era il giorno della prima vittoria, era anche il compleanno di mia moglie e due ore prima della partenza, mia madre mi aveva chiamato dicendomi che mia nonna era appena morta. E per me è stato davvero emozionante essere in ammiraglia con Cozzi e sentire alla radio che aveva vinto il numero 161 della Tudor Pro Cycling. Ho pensato: «Ci siamo. Non importa chi ci sia alla partenza, non importa quanti anni abbia la gara, questo è il nostro posto».

Milano-Torino 2023, 15 marzo. Arvid De Kleijn regala la prima vittoria al Tudor Pro Cycling. Meyer era in ammiraglia
Milano-Torino 2023, 15 marzo. De Kleijn regala la prima vittoria alla Tudor. Meyer era in ammiraglia
Qual è il tuo ruolo nella squadra?

Ho iniziato a lavorare con Fabian nel 2018, quando abbiamo creato la società. Abbiamo provato a fare alcune cose, certe hanno funzionato, altre meno. A un certo punto abbiamo pensato di prendere in mano il Giro di Svizzera, ma abbiamo detto di no. Finché a un certo punto ci siamo trovati davanti alla Swiss Racing Academy che stava per chiudere. La gente diceva che avremmo dovuto aiutarli e anche io ho pensato la stessa cosa. Non sapevamo come gestire una squadra, ma Fabian ha detto che se non fossimo intervenuti, avremmo distrutto il sogno di diventare professionisti di quei 14-16 atleti.

E cosa avete fatto?

Abbiamo cominciato a lavorare. E quando poi è stato chiaro che avremmo potuto fare un altro passo, abbiamo richiesto la registrazione come proteam. A quel punto abbiamo discusso su come dividerci i compiti e io sono diventato il CEO, perché conoscevo bene il progetto e avevo tenuto tutti i collegamenti. Non sono troppo legato a questo titolo, che in inglese significa Chief Executive Officer. A me piace intenderlo in un altro modo. Dico sempre che sono il Chief Enablement Officer, cioè quello che consente alle persone di svolgere il proprio lavoro. Mi assicuro che Cozzi abbia un’ammiraglia. Che ci siano abbastanza biciclette. Faccio in modo che abbiamo abbastanza soldi per pagare i conti. Nella nostra squadra ognuno ha il suo incarico, perché ciascuno è bravo nel fare qualcosa. Io verifico che ognuno possa fare al meglio la propria parte. E’ così che vedo il mio ruolo.

La squadra svizzera corre su bici BMC: una sorta di bandiera elvetica
La squadra svizzera corre su bici BMC: una sorta di bandiera elvetica
Quando hai iniziato a sperare nel Giro?

Sin dall’inizio sapevamo che al primo anno non avremmo fatto domanda per un grande Giro, perché non eravamo pronti. Probabilmente avremmo potuto chiedere un invito o fare domanda per il Fiandre del 2023 e per la Parigi-Roubaix, ma non l’abbiamo fatto perché non eravamo pronti. Ora, un anno dopo, sappiamo di essere abbastanza forti e quindi abbiamo chiesto di partecipare a un grande Giro.

Neppure quest’anno sarete alla Roubaix.

Perché non lo abbiamo chiesto. Sui media ho letto di Tudor esclusa dalla Roubaix e dal Tour. Ma non ci hanno escluso, semplicemente non abbiamo chiesto di partecipare. Abbiamo fatto richiesta per il Fiandre, per la Gand-Wevelgem e tutte le classiche fiamminghe. Ma ad esempio ci siamo detti che non avremmo potuto fare il Fiandre, la Schelderpijs, la Roubaix e dopo cinque giorni andare al Tour de Romandie, dove vogliamo fare bene. Siamo esseri umani. Abbiamo dei corridori che hanno bisogno di riposo. Il nostro staff ha famiglia e hanno piacere di tornare a casa, quindi dobbiamo dare loro il tempo di respirare. In compenso stiamo già pensando a cosa fare nel 2025, quali richieste mandare. Non vogliamo partire solo per partecipare o mandare un corridore in fuga. Siamo la Tudor. Ad ogni gara andiamo con un piano e con la possibilità realistica di vincere. Così sarà al Giro, non andremo solo per compiacere i nostri sponsor.

Tudor subito in evidenza, qui Dainese secondo al Trofeo Calvi di Mallorca
Tudor subito in evidenza, qui Dainese secondo al Trofeo Calvi di Mallorca
Cosa ha visto Tudor nel ciclismo?

L’opportunità di creare un progetto molto vicino al marchio. In tutto il mondo la squadra è conosciuta con il nome Tudor, in quale sport succederebbe? A meno che tu non sia Red Bull e compri una squadra di calcio e le dai il tuo nome. Questa potrebbe essere la ragione più ovvia, ma bisogna anche valutare Tudor come brand e come azienda. Non è un marchio effimero che entra in uno sport e scompare dopo tre anni. Tudor è di proprietà di una fondazione che ha determinati principi. Si prendono cura della società e delle prossime generazioni. In qualche misura è quello che facciamo anche noi, ma siamo svizzeri e non ne parliamo perché non abbiamo bisogno di vantarci. Cerchiamo di creare un luogo dove i giovani possano crescere come esseri umani e come ciclisti. Il Devo Team per ora ha 7 svizzeri e 6 atleti internazionali. Sono persone che si trovano in un momento decisivo della loro vita, non solo della loro carriera e lo trascorreranno insieme a noi. E anche questo è uno dei motivi per cui Tudor è nel ciclismo. E poi ci sono i bambini…

Cosa c’entrano i bambini?

In Svizzera abbiamo un programma chiamato Kids on Wheels, in cui promuoviamo il ciclismo anche nelle regioni meno ricche. Andiamo nelle pump track, portiamo le biciclette, cerchiamo di ispirare i bambini. Prima del Giro di Svizzera, andremo nelle scuole per distribuire informazioni, materiale, bandiere, cappellini. Vogliamo che i ragazzi ci vedano e sognino di diventare ciclisti. O almeno sappiano che il ciclismo è uno sport bellissimo e muoversi in bicicletta è super salutare. E’ un cambiamento che stiamo portando in Svizzera, ma presto ci piacerebbe estenderlo all’Europa e al mondo intero. Con un marchio come Tudor puoi farlo.

Raphael Meyer collabora con Cancellara dal 2018. Qui al campionato svizzero 2023 (foto Tyler Haab)
Raphael Meyer collabora con Cancellara dal 2018. Qui al campionato svizzero 2023 (foto Tyler Haab)
Quindi c’è dietro anche un grande lavoro di comunicazione?

La squadra è il faro del progetto. Ora la televisione di Stato dice che il prossimo passo per Cancellara è portare Tudor al Giro. Grazie a questo, le persone al supermercato sanno che esiste una squadra ciclistica in Svizzera. E’ ciò che vogliamo. Ovviamente Tudor vuole vendere più orologi e quindi ho le mie riunioni con il loro responsabile marketing, ma il più delle volte parliamo di questo tipo di visioni.

Tornando a te, seguirai qualche gara durante la stagione o rimarrai in ufficio?

L’altro giorno ho avuto una discussione con mia moglie, mentre guardavamo il calendario. Quando ha visto i giorni delle mie trasferte, mi ha chiesto se sia davvero necessario che vada a tante gare. Le ho risposto di no, ma che voglio andarci. Dedichiamo gran parte della nostra vita al ciclismo e andare alle corse ripaga con emozioni positive. Al Giro rimarrò per almeno due settimane, perché voglio imparare. Probabilmente alla fine sarò distrutto, ma voglio sapere cosa si prova. Ai tempi della continental, andai a una gara con i meccanici. Volevo capire cosa significasse essere un meccanico nel team ciclistico. Onestamente? Fare il meccanico non è un bel lavoro e penso che saperlo mi renda un capo migliore. Forse mi sbaglio, ma questo è quel che provo.

Le fughe della Sanremo: l’esperienza di Tonelli e Maestri

22.03.2023
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Nella fuga della Milano Sanremo si sono ritrovati gomito a gomito due atleti che di esperienza, nell’anticipare il gruppo, e non solo, ne hanno tanta. Si tratta di Mirco Maestri e di Alessandro Tonelli, due corridori che di chilometri in testa alla corsa ne hanno messi tanti nelle gambe. I due ora si trovano rispettivamente alla Eolo-Kometa ed alla Green Project-Bardiani, ma in precedenza hanno condiviso la stessa maglia della formazione di Reverberi.

Maestri (davanti) e Tonelli (dietro) avevano già condiviso una fuga alla Sanremo in maglia Bardiani, era il 2019
Maestri (davanti) e Tonelli (dietro) avevano già condiviso una fuga alla Sanremo in maglia Bardiani, era il 2019

Maglie diverse, stessa situazione

Maestri e Tonelli, insieme agli altri sette corridori, si sono sciroppati 259 chilometri di fuga alla Sanremo. Una giornata in avanscoperta ma con le ore contate, una specie di “bomba ad orologeria” pronta ad esplodere. Insieme a loro scopriamo come si gestiscono e cosa si fa in una fuga così particolare come quella della Classicissima di Primavera. 

«L’avevo fatta in fuga dal 2016 al 2019 – attacca Maestri – poi per motivi diversi negli ultimi anni prima non ho partecipato e poi, l’anno scorso, ho corso in gruppo a sostegno di un mio compagno. Devo dire che una Sanremo dove la fuga prende solamente tre minuti non me la ricordo, eppure siamo andati forte, ma da dietro non ci hanno lasciato spazio. Nel 2016, per esempio, eravamo in undici e siamo arrivati a più di dieci minuti di vantaggio. Rispetto alle edizioni precedenti quest’anno abbiamo anche fatto fatica a portare via il gruppetto degli attaccanti. Infatti, io e Alessandro (Tonelli, ndr) ci siamo avvantaggiati subito ed abbiamo aspettato l’arrivo degli altri.

«Si è trattata di una mossa di esperienza – gli fa eco l’amico Tonelli – abbiamo preso quei quindici secondi sul gruppo che ci hanno fatto comodo. Una volta che il gruppo ha rallentato noi ci siamo fermati, letteralmente, ad aspettare i contrattaccanti. Quest’anno, rispetto alle edizioni precedenti, la fuga è andata via con tanta difficoltà anche a causa del cambio di percorso. Con la partenza da Abbiategrasso i primi 30 chilometri erano completamente differenti e c’era un po’ di timore».

Nella Sanremo 2022, Tonelli insieme a Rivi è arrivato fino al Poggio in fuga
Nella Sanremo 2022, Tonelli insieme a Rivi è arrivato fino al Poggio in fuga

La gestione

Quella della Sanremo sembra una fuga scontata, dove il gruppo ti tiene nel mirino e con due pedalate, nel momento clou, ti riprende. Ma dal racconto di Maestri e Tonelli non pare proprio così, anzi.

«La Sanremo – spiega Paperino Maestri – è una corsa nella quale non si sa mai. In gruppo diventa molto più stressante rispetto al correrla in avanscoperta, devi sempre limare e anche a tanti chilometri dall’arrivo sale lo stress. Alla fine vengono fuori due corse completamente differenti. Vi faccio un esempio: sul Turchino noi davanti andiamo forte ma non a tutta, mentre in gruppo si apre di più il gas. Questo perché la discesa che porta a Genova è insidiosa e in mezzo al gruppo si rischia e non poco (anche quest’anno, infatti sia in salita che in discesa ci sono state due cadute, nella prima è stato coinvolto Alaphilippe, ndr).

«Poi una volta arrivati sul mare inizia un’altra corsa, in fuga si va a tutta e cerchi di prendere più vantaggio possibile. La speranza è quella di arrivare sul mare con 5 minuti di vantaggio, così sei abbastanza sicuro che vieni ripreso a metà Cipressa, per cercare di rimanere agganciato ed arrivare nel finale davanti. A me non è mai successo, a Tonelli, fortunato lui – dice ridendo – sì, anzi lui è stato ripreso sul Poggio l’anno scorso!». 

«Non è così semplice – replica il corridore della Green Project – siamo consapevoli del fatto che verremo ripresi, ma per motivi diversi conviene andare avanti. Io preferisco anticipare perché sono consapevole che riesco a gestire meglio lo sforzo se lo affronto con più costanza. Nel 2018, l’ultimo anno che l’ho fatta in gruppo, sono arrivato dopo la Cipressa che ero finito. In questi anni sono riuscito a gestirmi bene, tant’è che sono arrivato fin sul Poggio lo scorso anno. A Mirco devo una fuga fino a lì, ci ha provato, ma non è mai riuscito».

Quest’anno i fuggitivi non sono mai andati oltre i tre minuti di vantaggio
I fuggitivi non sono mai andati oltre i tre minuti di vantaggio

Anticipare e “sperare”

Quella della Sanremo non sarà una fuga di anticipo come quella della Roubaix, in cui dal gruppo in avanscoperta può uscire il vincitore della corsa. Tuttavia anticipare il gruppo può portare i suoi frutti.

«Ormai – dice il corridore della Eolo – anticipare e fregare il gruppo è diventato difficilissimo. Qualche anno fa non c’era tutta questa conoscenza anticipata delle condizioni di gara, il vento era la più grande incognita e tu andavi in fuga sperando giocasse a tuo favore. Perché, se lo hai alle spalle, è tutto un altro programma. Sai che il gruppo non può guadagnare troppo tempo nel breve periodo. Negli ultimi anni, ormai, si sa tutto prima, anche la direzione del vento quando si arriva sul mare. Io quando vado in avanscoperta non penso mai al fatto che sia un’operazione “suicida”, ma credo sempre di poter fregare il gruppo. Altrimenti, se non parti convinto di testa, è meglio che stai indietro».

La Sanremo in gruppo si vive con più nervosismo, lo sa bene Alaphilippe caduto sulla salita del Turchino
La Sanremo in gruppo si vive con più nervosismo, lo sa bene Alaphilippe caduto sulla salita del Turchino

L’avviso di Mosca

La Trek Segafredo è una delle squadre che si è incaricata in primis di gestire l’inseguimento. Uno dei volti che appariva sempre nelle prime posizioni del gruppo era quello di Mosca, mai fuori dai primi dieci fino ai Capi. Insomma, per il corridore piemontese più di 200 chilometri ad inseguire. 

«Parlavo con lui prima del via – spiega Tonelli – e mantenere la fuga sotto controllo era parte del programma. L’anno scorso sono andato così tanto avanti, perché abbiamo giocato bene le nostre carte e sfruttato il vento a favore una volta arrivati sul mare. Quest’anno c’era ancora una volta il vento a favore, ma dietro hanno tirato costantemente in quattro e non siamo riusciti a prendere vantaggio. In fuga devi giocare sull’esperienza, è un braccio di ferro psicologico, non di forza bruta.

«Se vedi che il gruppo fin da subito ti tiene a tre minuti tu stai lì e gestisci lo sforzo. Poi nelle zone favorevoli, come il passaggio da Genova dove il gruppo si ferma, dai gas e provi a guadagnare tempo. Nel ciclismo moderno non ci sono più grandi occasioni per i fuggitivi della prima ora. Anche alla Tirreno negli ultimi anni sarà arrivata una sola volta la fuga al traguardo. Ma due corridori esperti come noi due non si fanno demoralizzare e ci proveranno sempre».

Mosca e la Trek si sono sobbarcati gran parte dell’inseguimento, così da tenere la corsa il più chiusa possibile
Mosca e la Trek si sono sobbarcati gran parte dell’inseguimento, così da tenere la corsa il più chiusa possibile

I pitstop

Una cosa che si nota in una gara da quasi 300 chilometri sono i continui pitstop, soprattutto nella prima parte di corsa. I corridori del gruppo si fermano spesso per i propri bisogni e hanno più tempo per gestirsi. In fuga, invece, il tempo e lo spazio sono contati. Sabato, alla Classicissima, il giovane francese della Tudor: Aloi Charrin, ha fatto un piccolo scatto per avvantaggiarsi e fermarsi

«E’ un’abilità anche quella – dice Maestri- io nel 2019, alla Tirreno, quando ho vinto la maglia della classifica a punti, ho imparato a fare i bisogni mentre sono in bici. Non è semplice, però ti lanci, fai e perdi molto meno tempo che a fermarti. Alla Sanremo, però, il ragazzo della Tudor non era capace e la situazione stava diventando un’agonia. Così gli abbiamo detto di fermarsi e che lo avremmo aspettato. Diciamo che fermarsi sul Turchino non è stata la mossa migliore, ma alla fine cambia poco scendere da 3 minuti a 2’30”. Tanto il gruppo non aveva intenzione di riprenderci a 150 chilometri dall’arrivo».