La storia di Gianluca Tonetti, persa nei meandri della fine del secolo scorso, ha qualcosa di originale ed è tornata di attualità vedendo che in campo femminile agisce sua figlia Cristina, under 23 attualmente in forza alla Top Girls Fassa Bortolo. Ripercorrendo velocemente la sua carriera, si scopre che ha fatto avanti e indietro fra dilettanti e professionisti: passato una prima volta nel 1989, la sua prima parte di carriera è durata fino al 1993, poi è tornato indietro fino al 1999. Quando ha ritrovato un contratto, questo è durato fino al 2005.
Una cosa del genere, nel ciclismo d’oggi è da considerare pressoché impossibile, ma la sua testimonianza, unita al racconto del rapporto con la figlia, è un be contraltare al ciclismo odierno: «Inizialmente non ero andato neanche male, anche una vittoria al Trofeo dello Scalatore nel 1990, ma alla Mapei nel 1993 non mi trovai bene e alla fine non mi confermarono, così mi ritrovai a dover fare un passo indietro. Non era andata come speravo e non mi misi neanche a cercare un altro contratto, avevo perso entusiasmo».
E poi?
Pian piano, nel mondo dei dilettanti lo ritrovai, ripresi gusto ad allenarmi, a gareggiare, ad andare in cerca della vittoria. Dal 1994 al ’99 ottenni una decina di vittorie tra cui anche alcune importanti, come la classifica generale del Giro della Brianza e una tappa al Giro della Valle d’Aosta nel 1996. Così nel 1999 si presentarono quelli della Selle Italia chiedendomi se mi andava di ritentare. Avevo 32 anni e molta esperienza in più, infatti i risultati furono molto migliori.
Un caso del genere oggi sarebbe possibile?
Non credo proprio… Le differenze con quei tempi sono enormi. Allora c’erano più corridori e più team, c’erano molti sbocchi nel professionismo perché tante aziende vi investivano e creavano squadre, composte però da molti meno corridori di oggi, dove i team veramente forti sono pochi e nessuno in Italia. La differenza principale era che allora passava davvero chi meritava e se non ne avevi, finivi presto fuori, come successe a me.
Ti piace il sistema attuale?
Non molto. C’è troppo stress dettato dal fatto che non si dà tempo ai corridori di crescere, di imparare e quindi migliorare. Il sistema dei punti allora ti dava l’opportunità di farti le ossa, oggi conta solo vincere subito. Ci sono fenomeni, sì, ma gli altri si perdono e questa ricerca ossessiva del talento giovanile, pescando continuamente fra gli juniores non fa bene.
Tu passasti a 21 anni, a conti fatti a un’età oggi normale. Fu una scelta giusta?
No. Mi avevano consigliato di aspettare, ma io non diedi retta a chi ne sapeva più di me. Avrei imparato di più, mi sarei trovato meglio e forse la mia carriera avrebbe avuto un’altra piega.
La differenza fra i due mondi, dilettantistico e professionistico, è sostanziale oggi come allora?
Sì, forse ancora di più oggi. Il ciclismo è sempre stato uno sport esigente, se passi con aspettative ma non sei pronto, prendi legnate e ti arrendi, a molti è capitato così. Io ho avuto la fortuna di continuare e ritrovare la spinta per emergere, alla fine posso dire che non ero certo un campione ma la mia carriera l’ho fatta.
Tua figlia come ha seguito il tuo esempio?
A dir la verità neanche lo ricordo, però sinceramente posso dire che all’inizio non ero molto propenso, correva con i maschi, era una ragazzina. Col tempo ho visto che ha continuato con passione sempre crescente, senza esasperazione ma facendo grandi sacrifici. Ci crede davvero e io la sostengo.
Le tue perplessità iniziali erano legate anche al diverso valore del ciclismo femminile ai tuoi tempi?
Probabilmente sì, io neanche mi ricordo chi correva allora… Il ciclismo femminile ha fatto passi da gigante, anche troppo, nel senso che sono stati saltati passaggi importanti. Io ad esempio sono convinto che serva una categoria di mezzo fra le juniores e l’Elite, non solo come riconoscimento da parte delle federazioni internazionali, ma anche come calendario a sé stante, per permettere alle ragazze di crescere con il giusto tempo.
Tua figlia ti chiede consigli?
Ogni tanto sì, ma io non voglio invadere il campo del direttore sportivo. Per un certo tempo, dopo che avevo finito la mia carriera da corridore ho fatto il dirigente di società e non gradivo per niente le ingerenze di genitori che in forza del loro passato da corridore si mettevano in mezzo fra me e l’atleta, quindi cerco di evitarlo.
Come caratteristiche siete simili?
Non tanto. Lei è una perfetta passista, che se la cava bene sulle salite brevi e che soprattutto è molto più veloce di me. Io ero il classico scalatore, infatti emergevo soprattutto nelle gare a tappe dove riuscivo a fare classifica proprio grazie alle montagne.
Che cosa sogni per lei?
Io le dico sempre che il ciclismo deve essere per lei divertimento e che non deve trascurare gli studi. E’ iscritta al primo anno di biotecnologia alla Bicocca e per fortuna i primi esami sono andati molto bene, per questo dico che si sacrifica tanto. Se nel ciclismo riuscirà a trovare spazio tanto di guadagnato, sicuramente le lascerà bei ricordi, ma senza dimenticare che trovare un posto in un team WorldTour è davvero complicato, quasi un terno al lotto. Se questo è il suo sogno, io sarò al suo fianco.