Il Tour of Rwanda e le sue cronache stanno allontanando le ombre dal mondiale che a settembre si dovrebbe svolgere per la prima volta in un Paese africano. Il condizionale è sempre meno d’obbligo, anche se la mossa dell’UCI di indicare già l’alternativa di Martigny aveva fatto pensare che alla fine le cose avrebbero preso una direzione diversa (in apertura il presidente Paul Kagame con David Lappartient danno il via alla corsa, foto KT Press Rwanda).
In realtà gli scontri tra le forze governative della Repubblica del Congo e i ribelli filo-ruandesi a tre ore dalla Capitale Kigali sembrano essersi calmati e i discorsi virano finalmente sull’aspetto sportivo e semmai su quello economico, allontanandosi dalle cronache di guerra.
«Come africano – ha detto pochi giorni fa Biniam Girmay – è un immenso orgoglio che i mondiali siano organizzati per la prima volta nel nostro continente. Come corridore e viste le mie caratteristiche, so che il percorso non è fatto per me. Il Rwanda ha dato molto al ciclismo africano e mi sarebbe piaciuto partecipare da favorito. Purtroppo non sarà così perché i percorsi saranno troppo duri. Ma se la mia federazione vorrà che vada, non mi rifiuterò mai. Sarò onorato di vestire i colori eritrei».
La defezione della Soudal
Un po’ per paura e forse anche un po’ per pregiudizio, la sola squadra che si è rifiutata di andare al via della corsa africana è stata la Soudal-Quick Step. La decisione, attribuita al nuovo proprietario Jurgen Foré, è stata presa quando i suddetti scontri erano nel vivo e si temeva potessero condizionare due tappe del Tour of Rwanda che si sarebbero svolti in prossimità del confine: a Goma e a Kubavu.
In realtà, come confermano gli organizzatori della corsa nelle tante dichiarazioni rilasciate, la vita di Kigali non ne ha mai risentito e la città ha continuato nel solito binario. Si temeva un effetto domino, invece la corsa è partita con 14 squadre continental e un solo italiano: Enea Sambinello del UAE Team Emirates Gen Z.
Foré ha spiegato di essersi attenuto alle raccomandazioni del nuovo Ministro degli Esteri del Belgio e ci si chiede se la decisione coincida con l’interruzione degli scambi di cooperazione fra il Governo del Rwanda e quello di Bruxelles. Una scelta che i membri della squadra si sono ben guardati dal commentare, pur ricordando che nelle due partecipazioni precedenti le cose sono filate nel migliore dei modi.
La difesa del patron
La risposta degli organizzatori invece non è tardata ad arrivare, con una giusta precisazione da parte del patron Kamuzinzi, che non è caduto nelle provocazioni e, anzi, ha difeso con orgoglio la sua creatura.
«Organizziamo questa gara da 16 anni – ha detto – e abbiamo sempre dato prova di saper garantire lo stesso grado di qualità organizzativa che abbiamo riscontrato in Europa. Il Tour du Rwanda non dovrebbe essere al centro di un dibattito. Teniamo tanto alla sicurezza dei corridori quanto a quella del nostro pubblico, che verrà in massa ad applaudire i corridori per tutta la settimana. Anche altre manifestazioni si sono svolte vicino a vere zone di guerra (il riferimento potrebbe essere al Tour de Pologne, ndr) e di conseguenza non siamo tenuti a dare più risposte di quelle che sono state loro richieste».
Il sogno di Lappartient
Di fronte al serpeggiare di umori e malumori, il presidente dell’UCI Lappartient è volato a Kigali per dare il via alla corsa e sgombrare, per quanto possibile, il campo dagli equivoci.
«Il Rwanda – ha detto a Cyclingnews – rimane completamente sicuro per il turismo e gli affari. I prossimi mondiali celebreranno i 125 anni dalla fondazione dell’UCI ed il fatto di andare in Africa ha secondo me un valore simbolico notevole. Erano il mio sogno e il mio obiettivo, sin da quando sono diventato presidente. Il continente africano ha grandi potenzialità, le federazioni si stanno strutturando sempre meglio e con il nostro centro di Aigle abbiamo una collaborazione sempre più stretta con questi Paesi».
I costi troppo alti
I motivi per cui le federazioni del resto del mondo avevano salutato con malcelato sollievo l’ipotesi di spostamento del mondiale non hanno radici politiche o legate alla sicurezza, bensì soprattutto ai costi del viaggio e del soggiorno. Dopo il salasso di Zurigo, la prospettiva dei costi del Rwanda ha già spinto l’Olanda ad annunciare che non porterà le squadre juniores. E anche il Belgio e fra gli altri Paesi la stessa Italia sarebbero alle prese con identiche valutazioni. Un mondiale privo di squadre di un certo peso sminuirebbe il senso di grandezza dell’evento e l’UCI non lo vuole.
«Poiché sappiamo che viaggiare in Africa centrale è più costoso – ha perciò detto Lappartient – stiamo anche lavorando con il governo ruandese per operare più voli RwandAir e persino organizzare alcuni charter. Per poter portare con sé più atleti e ridurre i costi finali per le nazionali».