Il Rwanda fa quadrato: mondiale al sicuro? Si ragiona sui costi

28.02.2025
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Il Tour of Rwanda e le sue cronache stanno allontanando le ombre dal mondiale che a settembre si dovrebbe svolgere per la prima volta in un Paese africano. Il condizionale è sempre meno d’obbligo, anche se la mossa dell’UCI di indicare già l’alternativa di Martigny aveva fatto pensare che alla fine le cose avrebbero preso una direzione diversa (in apertura il presidente Paul Kagame con David Lappartient danno il via alla corsa, foto KT Press Rwanda).

In realtà gli scontri tra le forze governative della Repubblica del Congo e i ribelli filo-ruandesi a tre ore dalla Capitale Kigali sembrano essersi calmati e i discorsi virano finalmente sull’aspetto sportivo e semmai su quello economico, allontanandosi dalle cronache di guerra.

«Come africano – ha detto pochi giorni fa Biniam Girmay – è un immenso orgoglio che i mondiali siano organizzati per la prima volta nel nostro continente. Come corridore e viste le mie caratteristiche, so che il percorso non è fatto per me. Il Rwanda ha dato molto al ciclismo africano e mi sarebbe piaciuto partecipare da favorito. Purtroppo non sarà così perché i percorsi saranno troppo duri. Ma se la mia federazione vorrà che vada, non mi rifiuterò mai. Sarò onorato di vestire i colori eritrei».

La defezione della Soudal

Un po’ per paura e forse anche un po’ per pregiudizio, la sola squadra che si è rifiutata di andare al via della corsa africana è stata la Soudal-Quick Step. La decisione, attribuita al nuovo proprietario Jurgen Foré, è stata presa quando i suddetti scontri erano nel vivo e si temeva potessero condizionare due tappe del Tour of Rwanda che si sarebbero svolti in prossimità del confine: a Goma e a Kubavu.

In realtà, come confermano gli organizzatori della corsa nelle tante dichiarazioni rilasciate, la vita di Kigali non ne ha mai risentito e la città ha continuato nel solito binario. Si temeva un effetto domino, invece la corsa è partita con 14 squadre continental e un solo italiano: Enea Sambinello del UAE Team Emirates Gen Z.

Foré ha spiegato di essersi attenuto alle raccomandazioni del nuovo Ministro degli Esteri del Belgio e ci si chiede se la decisione coincida con l’interruzione degli scambi di cooperazione fra il Governo del Rwanda e quello di Bruxelles. Una scelta che i membri della squadra si sono ben guardati dal commentare, pur ricordando che nelle due partecipazioni precedenti le cose sono filate nel migliore dei modi.

La Soudal-Quick Step è rimasta a casa. Lo scorso anno vinse una tappa con William Lecerf
La Soudal-Quick Step è rimasta a casa. Lo scorso anno vinse una tappa con William Lecerf

La difesa del patron

La risposta degli organizzatori invece non è tardata ad arrivare, con una giusta precisazione da parte del patron Kamuzinzi, che non è caduto nelle provocazioni e, anzi, ha difeso con orgoglio la sua creatura.

«Organizziamo questa gara da 16 anni – ha detto – e abbiamo sempre dato prova di saper garantire lo stesso grado di qualità organizzativa che abbiamo riscontrato in Europa. Il Tour du Rwanda non dovrebbe essere al centro di un dibattito. Teniamo tanto alla sicurezza dei corridori quanto a quella del nostro pubblico, che verrà in massa ad applaudire i corridori per tutta la settimana. Anche altre manifestazioni si sono svolte vicino a vere zone di guerra (il riferimento potrebbe essere al Tour de Pologne, ndr) e di conseguenza non siamo tenuti a dare più risposte di quelle che sono state loro richieste».

Un passaggio classico della corsa, lungo la “Milky Way” da Rukomo a Kayonza (foto KT Press Rwanda)
Un passaggio classico della corsa, lungo la “Milky Way” da Rukomo a Kayonza (foto KT Press Rwanda)

Il sogno di Lappartient

Di fronte al serpeggiare di umori e malumori, il presidente dell’UCI Lappartient è volato a Kigali per dare il via alla corsa e sgombrare, per quanto possibile, il campo dagli equivoci.

«Il Rwanda – ha detto a Cyclingnews – rimane completamente sicuro per il turismo e gli affari. I prossimi mondiali celebreranno i 125 anni dalla fondazione dell’UCI ed il fatto di andare in Africa ha secondo me un valore simbolico notevole. Erano il mio sogno e il mio obiettivo, sin da quando sono diventato presidente. Il continente africano ha grandi potenzialità, le federazioni si stanno strutturando sempre meglio e con il nostro centro di Aigle abbiamo una collaborazione sempre più stretta con questi Paesi».

Al via anche il team del Rwanda, qui con Didier Munyaneza (foto KT Press Rwanda)
Al via anche il team del Rwanda, qui con Didier Munyaneza (foto KT Press Rwanda)

I costi troppo alti

I motivi per cui le federazioni del resto del mondo avevano salutato con malcelato sollievo l’ipotesi di spostamento del mondiale non hanno radici politiche o legate alla sicurezza, bensì soprattutto ai costi del viaggio e del soggiorno. Dopo il salasso di Zurigo, la prospettiva dei costi del Rwanda ha già spinto l’Olanda ad annunciare che non porterà le squadre juniores. E anche il Belgio e fra gli altri Paesi la stessa Italia sarebbero alle prese con identiche valutazioni. Un mondiale privo di squadre di un certo peso sminuirebbe il senso di grandezza dell’evento e l’UCI non lo vuole. 

«Poiché sappiamo che viaggiare in Africa centrale è più costoso – ha perciò detto Lappartient – stiamo anche lavorando con il governo ruandese per operare più voli RwandAir e persino organizzare alcuni charter. Per poter portare con sé più atleti e ridurre i costi finali per le nazionali».

Villa al Tour du Rwanda, qualcosa di davvero inaspettato

03.03.2024
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Nove ore di viaggio. Non verso l’altra parte dell’Atlantico, ma scendendo sempre più il Pianeta in senso longitudinale, giù giù fino al Rwanda. Per Giacomo Villa la partecipazione al Tour locale è stata un’autentica esperienza: la prima fuori dall’Europa, ma anche la prima gara a tappe nel nuovo team, la Bingoal WB, che ne ha subito fatto uno dei suoi alfieri.

La corsa africana aveva alla partenza 4 team professional, 6 nazionali e diverse continental (foto Tour du Rwanda)
La corsa africana aveva alla partenza 4 team professional, 6 nazionali e diverse continental (foto Tour du Rwanda)

Una trasferta difficile, in un Paese che si sta sempre più abituando alle due ruote agonistiche e che il prossimo anno arriverà addirittura ad ospitare i campionati mondiali. Il racconto di Villa parte proprio da questa constatazione, il confronto tra quel che sarà e la realtà attuale: «Non è facile organizzarsi, non è una gara come quelle a cui siamo abituati. La trasferta intanto è lunga e non si assorbe facilmente. Poi bisogna partire dal presupposto che si gareggia in un luogo molto diverso dai soliti, dove bisogna abituarsi allo stile di vita del posto, dove i ritmi sono più compassati, dove bisogna anche sapersi adattare. Se dovessi dire a mente fredda, è una bellissima esperienza, ma anche difficile».

Che cosa ti ha colpito di più?

Il grande calore del pubblico. Me ne sono accorto sin dalla prima tappa: a un certo punto ai bordi della strada trovavamo tanta gente festante e continuava così per 2 chilometri fino al passaggio nel paese e così ancora per altri 2 chilometri. Non capita così spesso da noi, se non per le grandi tappe di Giro e Tour. Ma il bello era che la gente si arrampicava sui pali o sui muri per assistere al nostro passaggio. Poi le scuole: 200-300 bambini che urlavano entusiasti. E’ qualcosa che mi è rimasto nel cuore.

Villa con i compagni di team, i belgi Meens, Teugels e Van Poppel e il danese Salby
Villa con i compagni di team, i belgi Meens, Teugels e Van Poppel e il danese Salby
I percorsi come ti sono sembrati?

Già quando si è nella Capitale, si sta a 1.500 metri di altezza e tutti i percorsi sono contraddistinti dall’altura, si toccano anche i 2.500 metri. Nella terza tappa ad esempio non si è mai scesi sotto i 1.800 metri. Di pianura ce n’è davvero poca, sono tutti saliscendi per lo più con pendenze molto morbide, 4-5 per cento.

Di gente in bici ne avete vista?

Tantissimi, nel senso che la bici è vista come il principale mezzo di spostamento, utilizzata addirittura come taxi o anche per trasportare tante materie prime. Tanto che ci chiedevamo come facessero a portare quei carichi… Dal punto di vista sportivo ho l’impressione che il ciclismo sia ancora considerato uno sport di nicchia: c’era la nazionale e un team locale, ma non c’è ancora quello sviluppo che ci si attenderebbe. Ogni tanto però si vedeva qualche ragazzino con la bici e una maglia di qualche vecchia squadra.

Tantissima gente ai bordi delle strade, il Paese si sta sempre più sensibilizzando verso il ciclismo (foto Tour du Rwanda)
Tantissima gente ai bordi delle strade, il Paese si sta sempre più sensibilizzando verso il ciclismo (foto Tour du Rwanda)
Veniamo all’aspetto agonistico: per te era la prima esperienza con la squadra belga?

Avevo già gareggiato a La Marseillaise, ma questa era la prima corsa a tappe con loro. Mi sono trovato bene, con i compagni stiamo legando molto superando anche il problema della comunicazione, con un misto di inglese e francese ci intendiamo bene tutti quanti. E’ un team professional che quindi deve fare i conti con il ranking Uci, c’è una caccia ai punti che contraddistingue tutta la nostra attività e credo di aver dato il mio contributo con qualche buon piazzamento.

L’inizio non è stato semplice, con l’11° posto nella cronosquadre.

Lì si vede la differenza di mezzi a disposizione. Ci siamo trovati ad affrontare formazioni che avevano potuto portare con sé anche le bici da crono, noi invece avevamo solamente quelle da strada e quindi eravamo svantaggiati. Per fortuna la cronosquadre contava solamente per la classifica dei team, il Tour vero e proprio è iniziato il giorno dopo.

La volata della quarta tappa vinta da Lecerf, Villa (in giallo) è quarto (foto Tour du Rwanda)
La volata della quarta tappa vinta da Lecerf, Villa (in giallo) è quarto (foto Tour du Rwanda)
Per buona parte della corsa sei stato anche in predicato di dare l’assalto alla Top 10…

Fino alla quarta tappa sono sempre stato nei primi 10, poi è arrivata la cronometro di 13 chilometri, ma tutta fra i 1.800 e i 2.300 metri di altitudine: bella tosta proprio per questo aspetto. Era come gareggiare a Livigno, se non sei abituato paghi. Io comunque ho chiuso 27°, ma il giorno dopo ho avuto problemi di stomaco e arrivato sull’ultima salita sentivo le gambe vuote. A quel punto la classifica è andata.

Dopo questa lunga trasferta che cosa ti attende?

Domenica (oggi, ndr) sarò al GP Jean Pierre Monseré in Belgio, poi dovrei seguire la stagione italiana con Milano-Torino, la Settimana Coppi e Bartali, il neonato Giro dell’Abruzzo. La mia speranza è di ricavarmi un posto per una delle Classiche, se vado forte potrei entrare nel roster per Freccia Vallone e Liegi-Bastogne-Liegi e per me sarebbe un grande successo. Infatti sto puntando la Coppi e Bartali dove voglio fare risultato.

Il britannico della Israel Premier Tech Joseph Blackmore, vincitore della corsa africana (foto Tour du Rwanda)
Il britannico della Israel Premier Tech Joseph Blackmore, vincitore della corsa africana (foto Tour du Rwanda)
Come ti stai trovando avendo dovuto cambiare tutto?

Sì, è un cambiamento profondo e me ne sto accorgendo sempre di più. Prima alla Biesse Carrera avevo tutto a portata di mano, ad esempio il diesse Nicoletti abita proprio vicino a me ed era un costante punto di riferimento. Ora mi muovo sempre da solo, gli spostamenti sono con l’aereo. Inoltre bisogna ragionare molto come squadra, inquadrando gli obiettivi del team che sono incentrati sull’ottenimento di più punti possibile. Per la Bingoal poi il target, anche per i rapporti con gli sponsor, sono le classiche e bisogna lavorare per quelle. Per questo per me esserci significherebbe tantissimo in questo primo anno.

Immagini dal Rwanda: vince Henok, con l’aiuto di Tolio

02.03.2023
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E’ appena tornato a casa, Alex Tolio, dopo quella che più che una gara è stata un’avventura che per certi versi ha cambiato la sua percezione del mestiere. Il Tour du Rwanda gli resterà nel cuore, per le sensazioni vissute, le immagini viste, per tutto quel che ha rappresentato. Era la sua prima avventura fuori dall’Europa e ora, pochi giorni di riposo e poi un viaggio ancor più lungo, verso Taiwan, perché ormai il corridore di Bassano del Grappa è un ciclista a tutti gli effetti.

Tolio è stato fondamentale nella vittoria finale di Henok Mulubrhan, suo compagno alla Green Project Bardiani CSF Faizané al termine di una corsa a tappe come nella storia se ne sono viste davvero poche se si pensa che l’eritreo ha trionfato a parità di tempo con Walter Calzoni (Q36.5) e con un solo secondo sul belga William Lecerf (Soudal-QuickStep). Ma la vittoria di Mulubrhan non è una sorpresa.

Il podio del Tour du Rwanda a Kigali, da sinistra Calzoni, Mulubrhan e Lecerf, racchiusi in un secondo (foto Sonoko Tanaka)
Il podio di Kigali, da sinistra Calzoni, Mulubrhan e Lecerf, racchiusi in un secondo (foto Sonoko Tanaka)

«Henok va davvero forte, ve lo posso assicurare – afferma Tolio – veniva dalla conquista del suo secondo titolo africano e non era una vittoria da poco. Quando lo abbiamo saputo, in squadra abbiamo festeggiato perché avere un campione continentale fa sempre un certo effetto. Lui ci teneva particolarmente e quando siamo partiti, conoscendo la sua grande condizione, sapevamo che dovevamo correre per lui».

Avevi già corso con Henok?

Lo conoscevo, ci eravamo già affrontati da under 23. Ricordo in particolare al Giro U23 del 2021, io ero alla Zalf, lui correva con Bike Aid, un team tedesco e mi era rimasto impresso perché quando arrivavano le salite lui era sempre lì, non solo tra i primi ma pronto a dare battaglia. Chi l’avrebbe mai detto che ci saremmo trovati a correre insieme…

Henok e Tolio: il veneto è stato decisivo per l’eritreo, soprattutto nel finale
Henok e Tolio: il veneto è stato decisivo per l’eritreo, soprattutto nel finale
Tornando a casa che cosa ti è rimasto di questa esperienza?

Tantissimo, ho ancora tutte le immagini davanti agli occhi. Non ho mai incontrato un calore popolare così forte e sì che vengo dal Veneto, dove viviamo di pane e ciclismo… Ma quello che vedevamo ogni giorno era un entusiasmo incredibile, non c’erano 10 metri di strada senza gente ai bordi, a incitare e non dico solo quando passavamo nelle città, ma anche nei piccoli villaggi. Abbiamo vissuto in un clima di vera festa e non nascondo che mi ha fatto molto pensare.

Perché?

Perché a quell’entusiasmo faceva da contraltare un modo di vita che noi non conosciamo più. Vedi sempre gente indaffarata, che lavora con le mani. Ad esempio nei campi: noi siamo abituati alle macchine, lì vedi gente che per ore e ore si adopera perché la terra dia frutti, com’è sempre stato. Noi col nostro passaggio portavamo qualcosa di nuovo, diverso e questo dava alla gente un sorriso. Mi sono sentito orgoglioso per questo.

Sempre tantissima gente ai bordi delle strade. Il Rwanda è ormai dedito al ciclismo
Sempre tantissima gente ai bordi delle strade. Il Rwanda è ormai dedito al ciclismo
In Rwanda si correranno i mondiali fra due anni. Che strade hai trovato?

Bellissime davvero, con un asfalto pressoché perfetto. Dico la verità: di strade così non ce ne sono tantissime, le città sono molto diverse dai villaggi e anche dalle strade di collegamento fra questi, dove sono ancora di terra battuta, ma noi siamo sempre passati su strade ampie e asfaltate. Solo nelle due tappe finali a Kigali abbiamo trovati alcuni tratti in pavé, sembrava di essere “precipitati al Nord”…

Veniamo alla corsa, avevi mai vissuto una settimana intera sul filo del rasoio?

No, anche questo ha reso il Giro del Rwanda un’esperienza elettrizzante. Eravamo in 5 tutti votati alla causa di Henok. Le prime due tappe erano quelle più pianeggianti e infatti si sono concluse in volata, noi puntavamo su Fiorelli, ma l’eritreo era in una forma così avanzata che ha fatto comunque terzo e secondo. Il terzo giorno ha vinto e si è preso la maglia. Da lì è stata quasi una corsa a eliminazione, con salite ogni giorno dove si faticava tanto.

Il successo di Mulubrhan nella terza tappa. Per lui già 4 vittorie in questa stagione
Il successo di Mulubrhan nella terza tappa. Per lui già 4 vittorie in questa stagione
Il giorno dopo però l’ha persa…

Abbiamo sbagliato qualcosa nel finale, si è creato un buco del quale la Soudal-QuickStep ha approfittato, ma loro puntavano forte a questa corsa. Paradossalmente però quell’errore ci ha un po’ favorito, perché nelle tappe successive abbiamo lasciato fare alle altre squadre. Non dovevamo più controllare la corsa e potevamo risparmiare energie preziose.

La classifica è andata costruendosi in quella maniera stranissima già alla penultima tappa. Tu a quel punto sei diventato fondamentale per le ambizioni della Green Project-Bardiani.

Io ero deputato a essere il luogotenente di Henok, dovevo stargli vicino in ogni frangente e questo mi ha permesso di affinare la condizione, andavo sempre meglio, tanto è vero che mi sono ritrovato nella Top 10 prima del finale. Non dovevo però guardare alle mie ambizioni, correvo per lui, era fondamentale che nell’ultima tappa finisse davanti a Calzoni. Quando siamo arrivati al traguardo la mia gioia è stata vedere il diesse Amoriello avvicinarsi a me e abbracciarmi, ringraziandomi per il lavoro svolto, dicendo che era merito mio se avevamo vinto. Non nascondo che quelle parole hanno un grande valore per me in questo momento della carriera.

Foto di gruppo in casa Green Project Bardiani, da sinistra Tarozzi (vincitore di tappa), Gabburo e Mulubrhan
Foto di gruppo in casa Green Project Bardiani, da sinistra Tarozzi (vincitore di tappa), Gabburo e Mulubrhan
Calzoni vi aveva spaventato?

Diciamo che andava talmente forte che aveva un po’ messo in dubbio le nostre sicurezze. Con Badilatti nella terzultima tappa avevano fatto davvero un grande lavoro. Walter è come Henok, va forte in salita ma è anche veloce e molto. Poi dava sempre battaglia. E’ stata dura…

E ora?

Ora si riparte verso Taiwan. Io non avevo mai girato così tanto. Vedremo che cosa ci troveremo di fronte, anche che impostazione daremo alla squadra. Io comunque sono in forma e con tanta voglia di fare, se sarà una corsa dura mi farò trovare pronto.

Simone Ravanelli e diventare pro’ nell’era del covid

22.12.2021
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Diventare professionisti è sempre un grande salto nel buio, ci si ritrova catapultati in un mondo nuovo. Modo di correre differente, compagni forti e gli avversari lo sono anche di più. Cambia il metodo di approccio alle gare ed agli allenamenti, aumentano le pressioni e le aspettative. Se a tutto questo si aggiunge una pandemia, ecco che il cammino si complica ancora di più.

E’ quello che è successo a Simone Ravanelli, corridore dell’Androni Sidermec che abbiamo incontrato a Benidorm, in ritiro la scorsa settimana. Parlando con Ellena è venuto fuori come stia crescendo bene e di come la squadra riponga molta fiducia sulle sue qualità per la prossima stagione.

Simone Ravanelli è di Almenno San Salvatore, in provincia di Bergamo, una delle province più colpite dalla pandemia
Simone Ravanelli è di Almenno San Salvatore, in provincia di Bergamo

Un ostacolo inaspettato

«All’inizio del 2020 ero partito bene – dice Ravanelli – con delle buone prestazioni alla Vuelta a San Juan, al Laigueglia e al Tour of Rwanda (dove aveva concluso quarto in classifica generale, ndr). Poi c’è stato lo stop improvviso per il Covid e la stagione è stata completamente da ricostruire. Facevo delle sessioni di allenamento sui rulli, ma non sapevamo neanche se e quando saremmo tornati a correre. Io sono di Almenno San Salvatore, in provincia di Bergamo, nel pieno della pandemia».

Quanto hai risentito mentalmente di quella situazione?

Abitando nella provincia italiana più colpita, direi che è stato davvero complicato. Nonostante nessuno dei miei parenti o conoscenti sia stato direttamente colpito dal virus, era difficile mantenere la concentrazione sulla bici. Il rimbombare delle sirene delle ambulanze era costante e ci accompagnava per tutto il giorno.

Hai detto che facevi sessioni di allenamento sui rulli, in che modo ti allenavi?

Non sapendo se e quando saremmo tornati a correre non ho fatto grandi lavori o allenamenti. Vedevo, tramite i vari social, che altri corridori facevano anche sessioni da 4 ore, ma non ne trovavo il senso. Pedalavo per un’ora al mattino ed una al pomeriggio, ma ho anche approfittato per staccare un po’.

Simone Ravanelli
Simone Ravanelli alla Settimana Internazionale Coppi e Bartali del 2020, dove si è messo in luce con dei buoni piazzamenti
Simone Ravanelli
Simone Ravanelli alla Settimana Internazionale Coppi e Bartali del 2020
Una volta risaliti in sella?

C’è stata tanta incertezza fino all’ultimo. A inizio maggio abbiamo ripreso gli allenamenti e ad agosto le corse. Ho disputato tante gare, quelle in Italia le ho fatte tutte, alla fine correvo ogni due giorni.

Essendo il tuo primo anno da pro’ quali sono state le tue difficoltà maggiori?

Sono state principalmente due. La prima che anche nelle gare minori avevamo una startlist di primo livello e questo ha contribuito ad alzare il livello delle corse. Basta guardare i partenti della Coppi e Bartali nel 2019 e nel 2020 e capisci subito… L’anno prima avevamo due o tre squadre WorldTour, quello dopo dieci.

Questo che conseguenze ha avuto?

Le medie orarie si sono impennate e di conseguenza anche il nervosismo in gruppo. Gare di minor rilievo si sono riempite di campioni ed è diventato più difficile mettersi in mostra. Questo è valso anche per il 2021.

La seconda difficoltà che dicevi?

Il calendario compresso. Ripartire e prendere il ritmo delle gare è stato complicato per tutti, pensate ad un neoprofessionista. Il Giro d’Italia è stato l’emblema di quel che sto dicendo. Non avevo mai fatto una corsa a tappe di tre settimane e farlo senza aver messo una base di preparazione adeguata non mi ha permesso di esprimermi al meglio.

Ai campionati italiani a cronometro del 2020 Simone Ravanelli ha conquistato l’ottava posizione
Ai campionati italiani a cronometro del 2020 ha conquistato l’ottava posizione
Il 2021 può essere considerato il tuo primo vero anno da pro’?

In un certo senso sì. Anche se abbiamo avuto dei problemi di organizzazione della stagione legati al fatto di essere stati inizialmente esclusi dal Giro d’Italia. Abbiamo iniziato a correre tardi, a marzo e la prima parte di stagione è andata un po’ così e così, senza trovare il colpo di pedale giusto.

La seconda parte?

Decisamente meglio! E voglio, anzi vogliamo, ripartire da lì. Mi sono messo in mostra in Francia al Tour Poitou, dove ho ottenuto un secondo posto nell’ultima tappa. Anche il Giro di Sicilia è andato molto bene, anche lì ho raccolto un secondo posto nella tappa conclusiva e la decima posizione nella classifica generale.

Sei passato professionista a 24 anni, una rarità ora come ora…

Ho fatto il mio percorso, senza fretta. Negli under 23 hai la possibilità di sbagliare, sono concessi degli errori, nei professionisti no. Se non fai bene per una o due stagioni rischi di finire la carriera alla mia età se non prima.

Simone Ravanelli in maglia Biesse Carrera sul podio del Giro dell’Appennino 2019 accanto a Masnada e Cattaneo, al tempo in Androni
Simone Ravanelli in maglia Biesse Carrera sul podio del Giro dell’Appennino 2019
E per la nuova stagione che programmi hai?

Domani (oggi per chi legge, ndr) torniamo a casa dal ritiro, continueremo a lavorare individualmente fino al 16 gennaio quando qualcuno di noi partirà per le prime corse. Mi fermerò solamente a Natale, Santo Stefano lo passo sui pedali…

Il tuo esordio quando sarà?

Il 26 gennaio e Maiorca. Ci saranno 5 gare tra il 26 e il 30, non prenderò parte a tutte, probabilmente a due o tre. Forse andremo giù qualche giorno prima per sfruttare il caldo e fare qualche allenamento tutti insieme.

Un desiderio per il prossimo anno?

Voglio continuare come ho concluso il 2021. Mi piacerebbe avere la certezza di correre il Giro d’Italia così da prepararlo bene insieme alla squadra (ma questo lo si scoprirà a gennaio quando verranno svelate le wild card, ndr).

Tesfatsion, una bella storia sulla strada del Giro

28.04.2021
6 min
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«Chiamatemi Natalino», sorride Tesfatsion. Come a dire che non sarà questo a cambiargli la vita. E’ stato Stefano Di Zio, massaggiatore della Androni Giocattoli-Sidermec, a coniare il diminutivo, perché Natnael non riuscivano a dirlo.

Natnael Tesfatsion ride e con orgoglio ci guida nella sua storia, iniziata in Eritrea 21 anni fa. I capelli ricci legati sopra e l’inglese per farsi capire. In Europa non ha ancora ottenuto grandi risultati, per cui di fronte alla richiesta di un’intervista deve aver pensato che fosse motivata soltanto dalle sue origini. In realtà, l’idea di approfondire il discorso è scattata dopo aver parlato con Daniele Nieri. Il direttore sportivo del Team Qhubeka continental a un certo punto dell’articolo iniziò a raccontarci di quanto siano forti gli eritrei che negli ultimi tempi sono transitati per la sua squadra e aveva puntato il dito su due in particolare. Tesfatsion della Androni e Ghebreigzabhier della Trek. Per questo siamo qui.

Re del Rwanda

Natalino è arrivato alla Androni proprio quest’anno, dopo due stagioni nella continental sudafricana. Nel suo palmares spiccano soprattutto la classifica generale del Tour of Rwanda del 2020 e il secondo posto dell’anno prima ai campionati nazionali, battuto dall’amico Natnael Berhane della Cofidis. Un metro e 75 per 58 chili, la scheda parla di uno scalatore. Il Giro d’Italia sarà un bel banco di prova, ma sarebbe prematuro pretendere la luna: si tratta pur sempre di un neoprofessionista di 21 anni

Al Tour of Rwanda 2020, per Tesfatsion tappa e maglia a Rubavu
Al Tour of Rwanda 2020, per Tesfatsion tappa e maglia a Rubavu
Quando sei salito per la prima volta su una bicicletta?

Avevo 13 anni, ad Asmara. La mia città, la capitale dell’Eritrea. Un amico aveva cominciato a correre e quando vidi che c’erano dei grandi campioni eritrei, come Daniel Teklehaimanot, Merhawi Kudus e Natnael Behrane, è venuta la voglia anche a me. In più mio padre era molto appassionato di ciclismo e mi portava a vedere le gare. Insomma, prima giocavo a calcio ed ero anche bravo. Poi è arrivata la bicicletta. Nella prima corsa arrivai sesto.

Ricordi la prima bici?

Era bianca e nera, una mountain bike. In Eritrea cominciamo tutti sulla mountain bike, la bici da strada è arrivata a 16 anni. Adesso uso la mountain bike per andare a fare la spesa.

Com’è il mondo intorno Asmara?

Ci sono tante salite, c’è anche pianura, a una quota è di quasi 2.400 metri. Per me non è difficile correre e allenarmi a quella altitudine, perché ci sono nato. Di solito tornavo a casa ogni tre mesi, ma questa volta a causa della pandemia non vado da novembre. Ho due fratelli e due sorelle, da noi le famiglie sono più numerose che in Europa. Anche mio fratello più piccolo ha cominciato a correre. Quando sono giù ho amici corridori con cui allenarmi. I miei tre migliori amici sono tutti corridori.

Presentazione delle squadre, ultima tappa al Tour of the Alps: ora il Giro
Presentazione delle squadre, ultima tappa al Tour of the Alps: ora il Giro
E’ vero che in Eritrea si parla ancora l’italiano?

Diciamo che dopo il tigrino e l’arabo c’è l’italiano. Ho scoperto venendo in Italia che i termini tecnici della bicicletta si dicono allo stesso modo. La ruota, il telaio, la sella…

Come ci si allena in Eritrea?

Meglio che in Europa, secondo me, grazie alla alta quota. E se non fosse per qualche problema con il visto, sarebbe ottimo anche andare a farci dei training camp. Ma se non hai la possibilità di venir fuori, meglio sfruttare l’occasione e partire.

Sul fatto di allenarsi a in Eritrea, il diesse Ellena racconta che il grosso problema di quanto Tesfatsion si trova ad Asmara è l’assenza di connessione internet. Se devono parlargli, il ragazzo va presso un hotel e ne sfrutta la connessione, ma quando hanno provato a fare videochiamate per spiegargli il sistema Adams, la linea non faceva che cadere.

Ci sono tanti giovani corridori ad Asmara?

Tanti e anche forti. Con Daniele Nieri abbiamo anche parlato per provare a portarli da juniores, perché il ciclismo in Eritrea è diverso da qui e per gli juniores non ci sono tante chance di venir fuori. Cresciamo guardando tutte le grandi corse in televisione. Io sono arrivato per la prima volta nel 2019 con la Dimension Data e ricordo che le prime volte rimasi colpito dal numero dei corridori, dalle discese, dalle curve, dalla velocità. E capii che per fare il corridore bisogna anche essere molto svelti. I due anni nella continental sono stati un bel modo di imparare come stare in corsa, la tecnica, il rispetto per i rivali.

Hai vinto il Tour of Rwanda.

E’ diverso, le salite però sono dure. Le strade sono grandi e ben fatte. Magari non ci sono tanti corridori forti, ma per vincere devi andare forte lo stesso.

La crono è un terreno su cui Tesfatsion dovrà lavorare molto
La crono è un terreno su cui lavorare molto
Hai lasciato casa con un sogno?

Il mio sogno è vincere il Tour de France… Anche il Giro d’Italia, sono tutte grandi corse. Se è possibile riuscirci? E’ possibile, se lavori duramente e se Dio mi darà una mano. Con il duro lavoro e con l’aiuto di Dio, niente è impossibile.

Hai tanti tifosi in Eritrea?

Tutti i tifosi di ciclismo tifano per tutti i corridori eritrei. E noi siamo amici, sentiamo molto questa appartenenza. Per cui magari nelle corse in Africa si fanno preferenze, ma quando siamo in Europa tutti tifano per tutti.

Vivi a Lucca come quando eri nella continental?

Esatto, vivo assieme a Ghebreigzabhier della Trek e Berhane della Cofidis, mentre altri due corridori della Qhubeka, anche loro eritrei, vivono a due chilometri. Mi piace vivere in Italia, il cibo è buono. Quando non mi alleno, magari vado a fare un giro, ma il più delle volte restiamo a casa.

Alla Tirreno, il primo assaggio di WorldTour accanto ai veri big del gruppo
Alla Tirreno, il primo assaggio di WorldTour accanto ai veri big del gruppo
Sei musulmano o cristiano?

Sono cristiano ortodosso, credo molto.

E’ vero che per questo alcuni cibi non puoi mangiarli?

Non poi così tanti. Non mangio prosciutto (Ellena ha aggiunto che evita anche la carne di ovini, per quello che le zampe ungulate rappresentano nella Bibbia, ndr). Quando sono a casa preparo anche un po’ di cucina eritrea, soprattutto quando posso portare qualcosa da casa. Il mio preferito si chiama injera, un piatto unico. A Lucca non ci sono ristoranti eritrei, ma a Milano o Bolgna sì. Il nostro cibo è simile a quello dell’Etiopia.

Come è andata al Tour of the Alps?

Ho portato a casa un bel mal di gambe, ma per me è stata una grande corsa, ottima per accrescere la mia condizione e le mie performance, giorno dopo giorno. Mi sono sentito meglio sulle salite e nei piccoli sprint di gruppo. A Innsbruck mi sono piazzato nono alle spalle di Moscon. Ma non chiedetemi cosa mi aspetto dal Giro. Per il momento potrei soltanto parlarvi delle mie emozioni…

E’ cresciuto ad Asmara, però manca da novembre. La città sorge a quasi 2.400 metri
E’ cresciuto ad Asmara, però manca da novembre. La città sorge a quasi 2.400 metri

Quanto vale Natalino?

L’ultima parola la chiediamo al suo tecnico Giovanni Ellena, perché è raro imbattersi in un neopro’ che ti racconti di voler vincere il Tour.

«Lui vale molto – conferma il piemontese – lo sa, però a volte se lo dimentica. Ha dei momenti in cui cerca di capire da che parte stare. Ha molte piccole problematiche che si stanno risolvendo una ad una. Aspetti fisici, tecnici e altri legati alle abitudini e alla cultura del ciclismo. Perché in Eritrea per fortuna o per sfortuna è diversa dalla nostra, anche se i termini tecnici riguardo alla bici sono uguali ai nostri. Però ha un potenziale enorme, impressionante. Ed è una persona eccezionale. Deve crescere, ma ha tutti i mezzi per farlo. Non so quanto sia pronto per una corsa a tappe di tre settimane, però è giusto che anche lui faccia parte della partita».