Gregario vero, ragazzo gentile: “Cece” Benedetti saluta

20.08.2024
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Quando parli con Cesare Benedetti non puoi non fare a meno di notare il suo sguardo dolce e la sua espressione gentile, quasi timida. Trentino di nascita, polacco d’adozione, l’altro ieri a Cracovia “Cece” ha chiuso la sua onorata carriera. 

Un gregario di quelli veri, un professionista esemplare. Silenzioso, ma generoso. Quindici stagioni da professionista. Una la squadra e una la vittoria. Eppure Cesare è sempre stato inserito in gare e formazioni di alto livello. E questo succede quando si è corridori, quando si ha sostanza.

Qualche giorno di riposo e presto Benedetti sarà un direttore sportivo… manco a dirlo della sua Red Bull-Bora.

Massima professionalità fino alla fine. Ultima tappa del Polonia, ultimi chilometri in carriera e Benedetti è in seconda ruota a tirare (foto Sprint Cycling)
Massima professionalità fino alla fine. Ultima tappa del Polonia, ultimi chilometri in carriera e Benedetti è in seconda ruota a tirare (foto Sprint Cycling)
Insomma, Cece: è andata…

È finita! Prima o poi doveva succedere e sono contento che sia finita così: con un piano esatto di quel che stavo facendo e soprattutto del futuro. Prima del Tour de Pologne ho avuto una lunga e bella telefonata con Gaspa (Enrico Gasparotto, ndr) che mi ha evidenziato due fortune: scegliere l’ultima corsa della carriera ed avere già un piano per il prosieguo. Posso davvero ritenermi fortunato da questo punto di vista, perché dopo tanti anni di una certa vita smettere e non avere un progetto non deve essere facile.

Raccontaci le emozioni dell’ultima corsa. Dal bus, al traguardo…

C’e stato un momento in cui cercavo d’immaginarmi come potesse essere questo finale. L’ultima tappa alla fine è stata abbastanza veloce e si è anche lavorato un po’. Poi quando ho visto il cartello dei 10 chilometri all’arrivo ho pensato che sarebbero stati gli ultimi. E ancora di più quando ho visto quello dei meno cinque. Ma è stato così un po’ per tutto il finale del Polonia: l’ultima cena con i compagni, l’ultimo massaggio, l’ultima riunione… L’unica cosa bella è che per fortuna non dovrò più mangiare gel e barrette, che ormai mi vengono fuori occhi! Scherzi a parte, è stata un’emozione forte. Ho avuto vicino la mia famiglia, mio fratello, i miei genitori, il tifo. Insomma, non mi sono commosso ma… sono stato felice.

I ringraziamenti in italiano (sul cartellone) e in polacco (sulla strada): il giusto omaggio per Cece
I ringraziamenti in italiano (sul cartellone) e in polacco (sulla strada): il giusto omaggio per Cece
In gruppo come è andata?

Un po’ tutta la settimana, e nell’ultima tappa in particolare, chi mi incontrava mi dava una pacca sulla spalla, mi faceva i complimenti. Questa cosa mi ha ricordato quando ho vinto la tappa al Giro. Il giorno dopo in tanti erano contenti della mia vittoria e vennero a complimentarsi.

Come nasce questa decisione?

Qualche pensiero me lo ero messo in testa già l’anno scorso. Mi ero dato il limite dei 38 anni. Magari avrei fatto un’altra stagione ma vista l’offerta del team ho scelto di dire basta un po’ prima. Anche perché bisogna rendersi conto, e l’ho fatto, che il livello del WorldTour ormai è altissimo e anche per le ambizioni della squadra e per il mio livello fisico, e a 37 anni il recupero si fa sempre più lento, era giusto così. Non ho nessun rimpianto. Certo, un po’ di tristezza c’è.

Immaginiamo sia normale…

Di fatto termina una storia di 25 anni, da quando ho iniziato a gareggiare. Per ora tutto mi sembra normale. A fine corsa abbiamo preso una birra con la squadra e tutto lo staff, come spesso facciamo dopo le gare. Magari tra qualche giorno inizierò a sentire qualcosa, a cogliere qualche differenza.

Dopo aver fatto lo stagista alla Liquigas, nel 2010 Benedetti approda alla neonata NetApp, gruppo che si è evoluto fino a diventare Red Bull-Bora
Dopo aver fatto lo stagista alla Liquigas, nel 2010 Benedetti approda alla neonata NetApp, gruppo che si è evoluto fino a diventare Red Bull-Bora
E il prossimo anno sarai un direttore sportivo…

Esatto. La Red Bull-Bora farà il team under 23 e io sarò il diesse. Da qui, è nata la proposta del team di finire ad agosto così da poter affiancare i vari direttori nelle ultime corse dell’anno per fare tirocinio. Ora resto un po’ in Polonia, poi verrò in Italia per il Toscana, il Pantani, il Matteotti… Insomma comincio in casa, per di più in Toscana. Quelle strade le conosco bene in quanto feci lo juniores nel GS Aquila, a Ponte a Ema, Firenze. La squadra di Gino Bartali.

Sei sempre stato in questo gruppo, da quando si chiamava NettApp sino al oggi. Tu e il manager Ralph Denk…

Io e lui siamo i reduci di quel gruppo del 2010 e infatti è stato proprio Ralph a farmi la proposta di smettere e fare il diesse. Me lo ha detto prima della Strade Bianche. Con l’entrata di Red Bull ci sono grossi cambiamenti nel team. Non solo economici ma anche tecnici. Penso ai test, agli studi sull’aerodinamica, alla squadra under 23…

Cosa lascia il ciclismo a Cesare Benedetti?

Tante avventure di vita e di sport. I grandi Giri e le corse in Europa: quello è stato il ciclismo, le esperienze sportive. Le trasferte in Cina, Argentina e nel resto del mondo, sono state esperienze di vita. In certe occasioni vedi anche la povertà e quando torni poi non ti lamenti più di tante piccole cose. Del Qinghai Lake (nel centro della Cina, ai confini col Tibet, ndr) potrei scrivere un libro. Un mondo talmente diverso… Ricordo che avevamo una massaggiatrice tedesca abbastanza robusta e un meccanico con la barba lunga alto due metri. La gente del posto veniva a vedere i biondi di altri mondi e non tanto la corsa. Vedevi in loro questa curiosità, questo stupore dello straniero. Oppure mi vengono in mente i bambini correre attorno al nostro bus in Argentina, erano i più felici del mondo. Senza contare che in bici vedi dei posti che un normale turista non vedrebbe mai.

La volta scorsa ci hai detto che il capitano che più ti ha colpito è stato Sagan…

Sicuramente Peter Sagan per il talento che aveva, un talento naturale. Certo, dietro c’era anche del lavoro, ma quando stava bene certi suoi numeri pazzeschi sembravano facili. Mi viene in mente il 2017: quell’anno tra la caduta al Fiandre e l’esclusione al Tour non raccolse molto, ma era fortissimo fisicamente. E poi ho i tanti ricordi dell’inizio di carriera quando arrivato in gruppo mi ritrovavo vicino ai corridori che vedevo in tv da bambino. Sono riuscito anche a fare cinque giorni di corsa con Lance Armstrong! Mi vengono in mente Petacchi, McEwen… Gilbert e Valverde sono stati gli ultimi due che mi facevano ancora emozionare in gruppo. I campioni di oggi sono fortissimi, ma non avendoli vissuti da bambino, dal basso verso alto, non mi danno quelle emozioni.

Il tuo momento? La tappa al Giro immaginiamo…

In realtà a livello emozionale l’anno scorso essere riuscito a passare in testa, in fuga, al mio paese, Ronzo-Chienis è stato qualcosa d’incredibile. Avevo la pelle d’oca. Avrei potuto chiuderla lì! Eravamo alla terza settimana, del Giro. Nella seconda ero stato male, ma avevo tenuto duro per arrivare lì. Per di più avevo anche lottato per entrare in fuga e Ronzo-Chienis è in salita. Insomma ero così emozionato anche perché avevo voluto, e centrato, l’obiettivo. Ma un’emozione forte è stata anche la vittoria del Giro d’Italia di Jai Hindley: per un gregario un successo così è la ciliegina sulla torta.

Sei incredibile, Cece! Cos’è un gregario? E soprattutto ci sono ancora quelli come te?

Qualcuno c’è ancora. Mi viene in mente Patrick Gamper. Lui per esempio mi ha dato una delle soddisfazioni più grosse. Dopo che Jai vinse il Giro e gli feci i complimenti per il suo lavoro, lui mi disse: “Cece ho imparato tanto da te”. Cos’è un gregario: chiaramente da giovane anche io puntavo al risultato. Ma già all’epoca quando tra gli under 23 ero compagno di Daniel Oss e correvo in suo supporto, mi sentivo più forte, rispetto a quando dovevo correre per me. Forse era anche un fattore psicologico, avevo meno pressione. Ma poi ho sempre ammirato questo ruolo. Mi ricordo i treni di Cipollini: quei vagoni, quegli atleti sono sempre stati una fonte d’ispirazione per me.

Tour de Pologne finito: per Cece scatta la festa e l’abbraccio dei compagni
Tour de Pologne finito: per Cece scatta la festa e l’abbraccio dei compagni
Una vita nel ciclismo, 15 stagioni da pro’: quanto è cambiato questo sport?

Tanto. Oggi ci sono mezzi a disposizione per allenarsi, dal misuratore di potenza agli aspetti dell’alimentazione, che mettono a disposizione tantissime informazioni. Informazioni aperte a tutti. Questo fa sì che si brucino i tempi, che poi è quel che succede nel mondo reale, nella società. Oggi gli allievi hanno il procuratore, il preparatore. Una volta il direttore sportivo faceva tutto. Se guardo indietro un errore che non rifarei, per esempio, è stare i primi anni da pro’ senza preparatore.

Cioè?

Dal 2010 al 2012, nella mia testa dicevo: “Ora sono un professionista, quindi so allenarmi da solo”. Magari neanche sbagliavo tutto, ma andavo avanti con il cardio e non con il potenziometro… che avevo. Oggi è impossibile. Il ciclismo è uno sport più specifico, aperto a più nazioni e il livello si alza. C’è una selezione pazzesca. Per ora ho avuto solo qualche contatto col mondo manageriale, ma ho già visto che c’è un’analisi dei dati impressionante. Ai miei tempi si guardavano i risultati e la costanza del ragazzo. Oggi si fanno test su test, analisi, numeri… Probabilmente io oggi neanche sarei passato pro’ se mi avessero fatto un test. Non ho i numeri… rispetto a quel che riesco a mettere in corsa. Alla fine ho fatto qualche podio da pro’. Ma ad un certo punto devi essere realista e capire cosa fare. Vuoi fare “esimo” o trovare la tua dimensione e fare il corridore per più anni?

Simone Velasco ha salutato Cesare “Cece” Benedetti sui social dicendogli che è stato un esempio di professionalità per molti giovani. Possiamo solo aggiungere che i ragazzi del nascituro devo team Red Bull-Bora con ogni probabilità avranno un grande maestro. 

Al Tour de Pologne si brinda sempre con il Prosecco Astoria

14.08.2024
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Astoria Wines si conferma anche quest’anno come un partner di rilievo per il Tour de Pologne, la celebre corsa a tappe inserita nel calendario UCI WorldTour, che si svolge fino a domenica 18 agosto (in apertura Jonas Vingegaard che ha vestito la maglia di leader dopo la crono di ieri). Ancora una volta, l’azienda vitivinicola celebra i momenti più iconici della competizione brindando sul palco con il suo rinomato Prosecco, ormai divenuto un simbolo nel mondo del ciclismo professionistico.

Primo vincitore di tappa 2024 e primo tappo Astoria che salta: Thibau Nys
Primo vincitore di tappa 2024 e primo tappo Astoria che salta: Thibau Nys

Astoria e la Polonia

Il Tour de Pologne, una delle gare ciclistiche più attese del calendario internazionale di cui ci ha parlato giorni fa il vincitore uscente Mohoric, rappresenta per Astoria un’occasione privilegiata per consolidare la propria immagine e rafforzare la propria presenza sul mercato polacco. Filippo Polegato, Amministratore Delegato di Astoria, ha espresso grande soddisfazione per questa partnership, sottolineando l’importanza della collaborazione con l’organizzazione della gara, guidata da Czeslaw e Agata Lang.

«Abbiamo come sempre grande fiducia – ha dichiarato Polegato – nel lavoro di Czeslaw e Agata Lang e del loro team. Siamo felici di vedere anche quest’anno un parterre importante che conferma la crescita del Tour de Pologne in ambito internazionale. Sia in termini di qualità della gara che di visibilità mediatica. Dal nostro punto di vista possiamo certamente affermare che, anche grazie a questa partnership, il Prosecco Astoria è uno dei più conosciuti in Polonia. Puntiamo a rafforzare la nostra presenza nel Paese anche dal punto di vista commerciale».

Il coinvolgimento di Astoria nel Tour de Pologne non si limita alla presenza sul podio. I vini della casa trevigiana sono infatti presenti in tutte le aree hospitality della competizione, contribuendo a rendere speciali i momenti di convivialità e celebrazione durante l’evento. Questo legame tra Astoria e il Tour de Pologne testimonia l’attenzione dell’azienda verso il mondo dello sport. Non solo come veicolo di promozione, ma anche come occasione per condividere con un pubblico internazionale la cultura e la tradizione del Prosecco.

Una storia… di qualità

Astoria Wines, guidata da Paolo e Filippo Polegato, si distingue nel panorama enologico internazionale come uno dei principali rappresentanti dell’arte del Prosecco. Fondata nel 1987 dalla passione di una storica famiglia di viticoltori, l’azienda ha saputo crescere mantenendo intatta la qualità dei suoi prodotti. Oggi, Astoria è il primo vinificatore privato del Conegliano-Valdobbiadene DOCG. Una denominazione che garantisce l’origine e la qualità del Prosecco prodotto in un’area specifica del Veneto. I vini di Astoria sono stati più volte premiati in importanti concorsi enologici, consolidando la reputazione dell’azienda sia a livello nazionale che internazionale.

Il cuore dell’attività di Astoria è la Tenuta Val del Brun, una proprietà che si estende per quaranta ettari tra le colline del Prosecco, paesaggio di rara bellezza riconosciuto come Patrimonio Mondiale dell’Unesco nel 2019. La tutela di questo territorio unico è al centro dell’impegno di Astoria. L’azienda aderisce a pratiche agricole sostenibili come il protocollo Vignes Fleuries, adottato nel 2014, e la certificazione SQNPI (Sistema di Qualità Nazionale Produzione Integrata) ottenuta nel 2018. L’azienda, inoltre, vanta la certificazione ISO 14001, che attesta la sua attenzione alla gestione ambientale.

Lo scorso anno il Tour de Pologne fu vinto da Mohoric: chi sarà il suo successore?
Lo scorso anno il Tour de Pologne fu vinto da Mohoric: chi sarà il suo successore?

Più di una sponsorizzazione

La partecipazione di Astoria al Tour de Pologne rappresenta dunque molto più di una semplice sponsorizzazione: si tratta di un incontro tra eccellenze. Da un lato, una delle competizioni ciclistiche più prestigiose del calendario mondiale. Dall’altro, un marchio che incarna l’essenza del Prosecco e la passione per la viticoltura. Attraverso questa partnership, Astoria non solo celebra i successi sportivi, ma rafforza anche il legame con il pubblico polacco. Promuovendo un vino che è diventato simbolo di qualità e tradizione, non solo in Italia, ma anche all’estero.

Questa strategia di presenza nei grandi eventi sportivi è parte integrante della visione di Astoria. Si coniuga così l’eccellenza enologica con l’attenzione per i valori dello sport, della sostenibilità e della cultura del buon vivere, portando il proprio Prosecco sulle tavole e nei cuori di un pubblico sempre più vasto e internazionale.

Astoria Wines

Conci al bivio: inseguire la vittoria o aiutare un capitano?

13.08.2024
6 min
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Dopo un buon Giro d’Italia fatto di mille fughe in montagna, lo Svizzera e il campionato italiano chiuso al tredicesimo posto, con 46 giorni di corsa nella prima parte dell’anno, Nicola Conci ha sentito il bisogno di staccare. Il trentino, che dal 2022 corre con la maglia della Alpecin-Deceuninck, si è ripresentato a San Sebastian e da ieri è al Tour de Pologne. Nella prima tappa, che aveva l’arrivo in salita a Karapacz, ha cominciato con un decimo posto niente male a 9 secondi da Nys. L’obiettivo in queste corse è la vittoria, che gli manca da un tempo siderale.

Nicola Conci, 1,85 per 68 chili, è professionista dal 2018. Dopo 4 anni alla Trek e pochi mesi alla Gazprom, è arrivato alla Alpecin
Nicola Conci, 1,85 per 68 chili, è professionista dal 2018. Dopo 4 anni alla Trek e pochi mesi alla Gazprom, è arrivato alla Alpecin

Il tempo delle scelte

Nel frattempo nella sua testa sempre molto razionale si fa largo la necessità di scegliere una nuova strada. E’ il bivio di tanti buoni corridori che, in questo ciclismo popolato di grandi campioni, piuttosto che insistere con le ambizioni personali, si rimboccano le maniche per i più grandi, diventando parte integrante delle loro vittorie. Lo spiegava giorni fa Dario Cataldo e forse anche Conci è sulla porta di quella scelta. Nel frattempo ha cambiato i suoi procuratori e da Fondriest-Alberati è passato ai fratelli Carera.

«Insomma – dice – ho fatto un bel periodo di stacco dalle gare. Dal Polonia andrò diretto al Giro di Germania, quindi ho davanti due o tre settimane abbastanza intense. Poi ho in programma di fare il Lussemburgo e il blocco di gare italiane fino al Giro del Veneto. Sono in scadenza di contratto, stiamo lavorando su più fronti, ma ancora non sono certo di cosa farò. Mi sono diviso da Maurizio e Paolo perché dopo anni sentivo il bisogno di cambiare. Ci siamo lasciati in buoni rapporti, non è successo niente di particolare. Qui alla Alpecin sto bene. E’ un’ottima squadra, manca solo la familiarità cui noi italiani siamo abituati e che a volte farebbe piacere. Prima eravamo parecchi, ora ci siamo solo Luca Vergallito ed io. Faccio un esempio. A me piace parlare durante il massaggio, ma farlo in inglese è un po’ limitante. Non posso certo lamentarmi perché non posso parlare italiano durante i massaggi, ma sono le piccole sfumature con cui si convive».

Conci è rientrato alle corse a San Sebastian e da ieri è al Tour de Pologne
Conci è rientrato alle corse a San Sebastian e da ieri è al Tour de Pologne
A primavera ci eravamo detti che il Giro sarebbe stato un momento importante. Sei stato protagonista di tante fughe, come lo valuti?

Sono stato contento perché mi sono ritrovato. Sono soddisfatto delle sensazioni che ho avuto e di qualche tappa in modo particolare. Penso che fare meglio sarebbe stato difficile. Ad esempio quella di Torino, la prima, dove sono arrivato quinto. Sarei anche potuto star lì e provare a seguire, anche se probabilmente nessuno sarebbe riuscito a tenere Pogacar. Invece ho deciso di fare una bella azione: ho provato a vincere e mi è piaciuto. Un altro giorno in cui mi sono divertito tanto è stato quello di Livigno, la tappa più dura del Giro. Sono stato per 177 chilometri all’attacco, c’era tantissimo dislivello e alla fine sono arrivato dodicesimo. Mi hanno preso quelli di classifica a due chilometri all’arrivo, quindi è stata una bella tappa (foto di apertura, ndr). Certo mi rimane un po’ rammarico per alcune fughe come quella di Fano, in cui ha vinto Alaphilippe e io non ho trovato il momento giusto e quella del Brocon.

Dove peraltro correvi in casa, visto che sei originario della Valsugana…

Mi dispiace un po’ il fatto che non abbiano dato spazio alla fuga. Sono stato fuori per quasi 70 chilometri, poi inspiegabilmente la DSM si è messa a tirare, ha chiuso la fuga e poi si sono fermati. E in quel momento è ripartito Steinhauser, che ha vinto. Sinceramente a quel punto non avevo le gambe per seguirlo una seconda volta. Mi è dispiaciuto, sono i miei posti, volevo fare bene.

In fuga anche sul Grappa, Conci ha attaccato in tutti i tapponi del Giro
In fuga anche sul Grappa, Conci ha attaccato in tutti i tapponi del Giro
Che cosa ti lasciano oltre a tanta fatica queste fughe così lunghe?

Nel giorno del Mottolino, sono stato sorpreso di me stesso. Dopo tutto il giorno all’attacco, sono riuscito a spingere bene anche sul Foscagno e a scollinare quarto. Non è scontato rimanere vicino ai primissimi nel ciclismo che stiamo vivendo, in cui c’è un gap enorme tra pochi campioni e il resto del gruppo. Se quel giorno avessi scelto di restare in gruppo, non avrei migliorato il mio risultato. Non avrei tenuto le ruote degli altri di classifica e sarei stato risucchiato indietro. Invece sono riuscito a sorprendere me stesso. Sul Mortirolo ero un po’ infastidito che molti non tirassero, così ho attaccato dalla fuga e sono rientrato davanti. Ho sprecato un po’ di energie, però è stata una bella giornata.

Sei stato uno junior da tante vittorie ogni anno, quale differenza vedi fra il Conci di allora e gli juniores di ora, che vincono il tuo stesso numero di gare e poi sono pronti per passare professionisti?

Parliamo di dieci anni fa, ma il mondo è cambiato totalmente. Da junior non ho mai fatto più di quello che dovevo, anzi mio papà iniziò a seguirmi proprio per tutelarmi. Di certo non sono uno che a quell’età faceva le 6 ore. Semplicemente andavo forte in salita e ho vinto diverse gare perché mi veniva facile fare la differenza. Poi da professionista è un’altra cosa, anche se il problema dell’arteria iliaca mi ha condizionato parecchio. Tornando al periodo da junior, non è che facessi grandi lavori. Si curava la forza, ma ad esempio non ho mai fatto dietro macchina. Cominciai da dilettante e nel dirlo sembra che parliamo degli anni 40 invece era il 2014-2015…

In azione nella crono di Perugia al Giro. Oggi il Polonia propone una prova contro il tempo, ma sarà una cronoscalata
In azione nella crono di Perugia al Giro. Oggi il Polonia propone una prova contro il tempo, ma sarà una cronoscalata
Hai 27 anni e tanti corridori alla tua età hanno già fatto una scelta quasi radicale: non vinco, meglio andare a lavorare per qualcuno che sa farlo. Inizia a balenarti per la testa?

Certamente. Stiamo vivendo un ciclismo molto particolare, ci sono certi atleti che vanno molto più forte degli altri e quindi ci sta che le squadre vengano costruite attorno a loro. Quindi quelli che non vincono, come me – perché dati alla mano non ho ancora vinto – è normale che un giorno o l’altro si mettano a disposizione. In realtà ho sempre lavorato anch’io per i miei compagni, anche se magari al Giro nelle tappe più dure avevo la libertà di andare in fuga.

Ieri sei arrivato decimo nell’arrivo in salita, quanta voglia hai di alzare le braccia?

Ci penso sempre. Ho 27 anni e non so per quanti anni correrò ancora, perché è un ciclismo spietato. Spero ancora tanto, però sarebbe un peccato chiudere senza aver mai vinto da professionista. Non è che vincere sia la cosa più importante, si può anche aiutare e avere grandi soddisfazioni. Oggettivamente mi sono reso conto che per vincere devo cercare di inventarmi qualcosa, non posso aspettare i finali. Anche ieri ho pensato diverse volte negli ultimi 2-3 chilometri di provare ad anticipare, però ero un po’ stanchino.

Ai mondiali del 2022, Conci è entrato nella fuga in cui viaggiava anche Rota
Ai mondiali del 2022, Conci è entrato nella fuga in cui viaggiava anche Rota
Ci sono appena state le Olimpiadi e ora si lavora per i mondiali. Hai corso quelli di Wollongong nel 2022, Zurigo potrebbe essere adatta a te…

Sinceramente ci penso molto, ma non ho ancora sentito Bennati. In verità penso che dipenda da me e dal fatto che riesca a dimostrare di pedalare bene. Wollongong resta un bel ricordo, facemmo una bella corsa e mancò la medaglia con Rota per dei tatticismi. Rimasi in fuga per 60 chilometri insieme a lui. Fu una bella giornata, l’ho supportato per quanto possibile e venne fuori una gran corsa. Sicuramente è stato un bel onore vestire la maglia nazionale, è sempre qualcosa di speciale. Vedremo se riuscirò a conquistarla ancora.

Polonia al via: 7 tappe tiratissime. Parla Mohoric, campione uscente

12.08.2024
5 min
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Scatta oggi il Tour de Pologne. Lo scorso anno fu una della corse più entusiasmanti della stagione con quel traguardo volante a decidere l’esito dell’intero giro polacco. Un duello che vide protagonisti  Matej Mohoric e Joao Almeida e anche le rispettive squadre.

A distanza di un anno torniamo a parlare del Tour de Pologne proprio con Mohoric. L’alfiere della Bahrain-Victorious ci fa un po’ da Cicerone per quel che concerne il percorso. Sarà una gara di altissimo livello. Al via anche Vingegaard, Pello Bilbao (compagno di Mohoric), e poi Gregoire, Majka…

Lo sloveno (classe 1994) ha fatto un bel po’ di fatica al Tour. Ora spera di aver recuperato
Lo sloveno (classe 1994) ha fatto un bel po’ di fatica al Tour. Ora spera di aver recuperato
Matej, come ci si sente a presentarsi ad un corsa come campione uscente?

Bene dai! Ho dei bei ricordi dell’anno scorso. Il Giro di Polonia era più vicino alla fine del Tour dal quale uscii molto bene. Mi ritrovai con una gamba molto buona. Avevo sensazioni super e forse è stato uno dei periodi in cui sono andato più forte in assoluto.

Una gara al limite in effetti. E fu divertente viverla da dentro…

In generale il Tour de Pologne è una gara adatta alle mie caratteristiche. Nel 2019 vinsi una tappa, nel 2021 arrivai secondo nella generale e l’anno scorso l’ho vinta. Propone salite brevi e spesso intense. Ogni volta che torno qui so che posso fare bene. E questo conta molto mi dà fiducia e motivazione.

Hai studiato il percorso? 

Direi che è simile a quello degli anni scorsi, quel che cambia di più è la crono, che quest’anno è parecchio impegnativa: in pratica ripercorre il finale della prima tappa. Prima è pianeggiante, poi ci si immette in una valle e s’inizia a salire. Magari è più adatta a scalatori come Majka, Vingegaard… e meno a corridori come me. A Katowice l’anno scorso era una crono più tecnica, con curve strette, tratti in pavé. Alla fine dipenderà molto dalla condizione. 

In effetti le difficoltà sono concentrate quasi tutte nelle prime tre tappe…

Già dopo le prime due tappe la classifica generale sarà molto chiara, poi restano insidiose la terza e la sesta tappa, ma non saprei dire quale di queste due potrà essere più decisiva. Mi verrebbe da dire la terza, più che altro perché solo due corridori per squadra avranno le radioline. C’è da fare un circuito due volte con una salita abbastanza lunga e l’arrivo è su uno strappo di 1,8 chilometri con 300 metri al 12 per cento. E sono tre tappe difficili consecutive.

A proposito di radioline, tu l’avrai?

Non so, dipenderà anche dalla classifica. La porteranno il leader e il road capitan. Ma sarà interessante anche perché non è complicato solo il finale della terza tappa, ma anche l’avvio.

Quarta e quinta invece dovrebbero essere in volata…

Esatto, mentre la sesta, quella di Bukovina è sì impegnativa, si arriva su uno strappo, ma non sarà poi così difficile. Alla fine immagino sarà il solito Tour de Pologne con distacchi minimi e grande importanza degli abbuoni. Si giocherà sul filo dei secondi.

Prima, Matej, hai accennato alla tua condizione, ebbene come stai?

Non sono proprio convinto della mia condizione. Al Tour non stavo bene, mi sono ammalato, speravo di migliorare nell’ultima settimana, ma ci sono arrivato davvero stanco. Anche nell’ultima settimana ci ho messo un po’ a sentirmi bene. Ed anche alle Olimpiadi non ero super in più ho anche rotto la bici. Insomma brancolo un po’ nel buio: mi è difficile intuire come sto.

Mohoric nella tappa dello sterrato al Tour. Matej è iridato gravel in carica e vuole difendere il titolo in Belgio il prossimo 5 ottobre
Mohoric nella tappa dello sterrato al Tour. Matej è iridato gravel in carica e vuole difendere il titolo in Belgio il prossimo 5 ottobre
Al Tour hai avuto il Covid?

A Firenze e nelle prime tappe stavo ancora bene, poi ho preso un virus, ho avuto anche la febbre una notte, speravo e spero solo di recuperare il prima possibile, perché ho una grande voglia di tornare a sentirmi bene. Correre così non è stato piacevole.

In effetti è stato il Tour che ti ha portato giù, perché prima avevi vinto il titolo nazionale a crono…

Sì stavo bene prima, ma dopo il Tour, come detto, non sono stato bene. Non avevo recuperato. E lo stesso a Parigi. Per esempio quando ho rotto la bici io, anche Pedersen l’aveva rotta, solo che lui è riuscito a rientrare e io no.

E allora come si riprende una situazione simile: ti alleni di più o al contrario cerchi di recuperare il più possibile?

Mi alleno normalmente e prima o poi il fisico si riprenderà. Una cosa è certa: se sto male non insisto troppo. Mentre se sto bene mi allenato forte e mi piace spingere. Dopo Parigi ho iniziato a stare meglio e mi sono allenato di più. Ma come detto prima, non so di preciso a che punto sono.

Quale sarà il tuo programma da qui a fine stagione?

Dopo il Tour de Pologne farò il Renewi Tour e quindi mondiale gravel, prima di questo anche un’altra gara gravel, e il mondiale su strada. Mentre non so se farò la trasferta canadese.

Van Eetvelt senza paura: alla Vuelta per attaccare

14.08.2023
4 min
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Lo avevamo lasciato aggredire con ferocia e determinazione le rampe del Colle della Fauniera al Giro d’Italia U23 dello scorso anno. Questo giovane belga aveva staccato tutti, persino il grande favorito Lenny Martinez. Chi era? Lennert Van Eetvelt, ora pro’ con la squadra che lo aveva lanciato, la Lotto-Dstny.

Marino Amadori ci aveva detto che sarebbe stato uno scalatore tosto per quel Giro e così fu. Quell’impresa valse al classe 2001 il podio finale della corsa rosa alle spalle di Leo Hayter. Oggi Lennert è un pro’ che si sta facendo largo. E anche bene. Ha già messo nel sacco tre corse e ha vinto la classifica dei giovani in gare come il Sibiu Tour che non sono più “corsette”.

Lennert conquista il Fauniera e va a prendersi la piazza d’onore al Giro U23 del 2022 (foto Isola Press)
Lennert conquista il Fauniera e va a prendersi la piazza d’onore al Giro U23 del 2022 (foto Isola Press)

Tra i grandi

Ma la sua stagione non è finita. Anzi, il pezzo forte deve arrivare e come accade per molti giovani, tra cui proprio il suo rivale Martinez, per lui si profila la Vuelta: il primo grande Giro in carriera.

«E’ la mia prima stagione da pro’ – ha detto Lennert – sto andando bene, sono molto felice di questa situazione. Tutto sommato mi sento pronto. Mi sono adattato abbastanza bene, anche se tra le due categorie – gli under 23 e i pro’ – c’è molta differenza. Qui sono tutti molto forti e non solo di gambe, anche in gruppo. La mia difficoltà maggiore è stata quella delle posizioni in gruppo. Tutti scartano, limano… Tra gli under ti basta pedalare forte e via. Qui non è così facile».

E anche sulla gestione dello sforzo le cose sono diverse a quanto pare. In Polonia, per esempio nel finale della seconda frazione, in salita aveva seguito Majka. Lo aveva fatto con una certa spavalderia forte delle buone sensazioni del Sibiu Tour e dei blocchi di lavoro prima di questa corsa.

Lui stesso aveva parlato di sessioni di 5′ ad alta intensità, di un monte ore annuale che va a crescere da qualche anno a questa parte, ma per sua stessa ammissione, in relazione a quella tappa, aveva poi detto di essersi sopravvalutato e che quel chilometro finale era diventato una sorta di calvario. Errori di gioventù.

Seconda tappa del Tour de Pologne Majka e Van Eetvelt sono stati ripresi ai 400 metri
Seconda tappa del Tour de Pologne Majka e Van Eetvelt sono stati ripresi ai 400 metri

In Spagna

Al Tour de Pologne è arrivato 15°. Tra i suoi ex colleghi di categoria è stato battuto da Oscar Onley e proprio Lenny Martinez, ma i tre erano raccolti in appena 22”.

«Ora – prosegue Van Eetvelt – andrò alla Vuelta. E’ il grande obiettivo. Vedremo come andrà. Io sono curioso delle tre settimane. So che sarà molto, molto difficile, non solo fisicamente ma anche mentalmente.

«Sarà un test, un test importante che mi dirà molte cose. Io voglio farlo al meglio delle mie possibilità. Ma non vado lì solo per il futuro. Io voglio fare subito qualcosa di buono». E qui emerge il carattere del campione, che se ne infischia di età ed esperienza.

Questa stagione si era aperta alla grande per Van Eetvelt, con due podi nelle primissime gare, poi però erano arrivate le streghe. Uno spray nasale lo aveva fatto cadere nell’ombra di un presunto caso di doping tra Freccia e Liegi. Era stato persino sospeso dalla sua squadra, salvo poi essere reintegrato un paio di settimane dopo perché il tutto si è risolto con un nulla di fatto.

In questo modo il belga aveva potuto proseguire la sua stagione, ma si può tranquillamente dire la sua carriera. 

Van Eetvelt ha vinto il tappone del Sibiu Tour questa estate (foto Focus Photos Agency)
Van Eetvelt ha vinto il tappone del Sibiu Tour questa estate (foto Focus Photos Agency)

Linea giovane

In questi giorni Van Eetvelt è salito ad Andorra con la squadra e questo cosa lo gasa non poco, visto che non ha fatto spesso l’altura sin qui.

«Sarà fantastico – dice il belga – ricordo l’anno scorso che ci andai prima de l’Avenir. Spero di fare ancora un ottimo lavoro. Poi in generale vedo che ogni anno vado meglio, mi sento più forte». Tra l’altro Lennert seppur venga dal Belgio dove non ci sono né lunghe salite, né tantomeno montagne, ha un ottimo feeling sia con la quota che appunto con le scalate grandi.

Sopra i 2.000 metri rende benone. Ha vinto sul Fauniera, ad oltre 2.500 metri di quota, e si è ripetuto al Sibiu, di nuovo su un arrivo over 2.000. E saliva alzandosi e rilanciando sui pedali in continuazione come fanno (o facevano) i veri scalatori.

Ma un giovane che arriva nel WorldTour, per forte che sia, cerca sempre un appoggio. E più o meno indirettamente anche Van Eetvelt non è sfuggito a questa dinamica. Solo che la sua chioccia è un po’ insolita. Non è un atleta super esperto.

«Vero – sorride Lennert – Andreas Kron è colui che più mi dà consigli. E’ come un mentore per me. Ha solo 24 anni ed è già un corridore forte, bravo in tutto (forse essendo giovane parlano la “stessa lingua”, ndr). E’ fantastico averlo in squadra. Ma devo dire che in tanti mi danno dei consigli».

Carpazi: una vera sorpresa dalla Polonia

14.08.2023
5 min
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Se avete minimamente presente le alture delle Ardenne in Belgio, allora potete immaginare facilmente anche i Carpazi Occidentali, vale a dire la parte polacca di quella che è la seconda catena montuosa più lunga d’Europa, dopo quella scandinava. Chi mastica ciclismo, grazie alla Freccia Vallone e alla Liegi-Bastogne-Liegi soprattutto di certo ha un’idea ben precisa delle Ardenne: colline a perdita d’occhio, boschi verdissimi e case col tetto a punta.

Ecco, i Carpazi che ci hanno stregato al Tour de Pologne ricordano moltissimo il paesaggio belga, solo che queste sono montagne e non colline. Sono più a punta e sono più grandi. Si arriva ben al di sopra dei 1.500 metri e ci sono persino gli impianti di risalita. 

Verde potente

In particolare abbiamo avuto modo di scoprire i Carpazi nel corso della seconda frazione, che poi si è rivelata decisiva con la vittoria di Mohoric. Dalla pianura del Nord man mano iniziano delle dolcissime e basse colline. Poi le strade tendono a stringersi un po’. E a regalare curve ampie in successione.

In estate il giallo degli immensi campi di grano lascia spazio a zone verdissime. Quasi sempre c’è un corso d’acqua che scorre parallelo alle strade stesse. Sono come dei rami che dal monte scendono verso valle. Noi però le abbiamo risalite.

Le strade sono perfette e super pulite. Si fa difficoltà persino a trovare delle cicche di sigaretta. L’asfalto è un biliardo nel 99 per cento dei casi in Polonia, quindi non si dovrebbe avere questo genere di problemi. Gli alberi molto spesso creano un arco la cui volta copre l’intera carreggiata, almeno nelle parti più basse. Poi diventano abetaie. Sembra una fiaba.

Le salite tendenzialmente sono dolci, ma non mancano dei piccoli muri, come il finale della tappa di Karpacz
Le salite tendenzialmente sono dolci, ma non mancano dei piccoli muri, come il finale della tappa di Karpacz

Salite dolci e strappi

Ripercorrendo la parte finale della seconda frazione del Tour de Pologne si arriva a Karpacz, che da quanto abbiamo capito è un po’ una Cortina d’Ampezzo di questa Nazione. Qui il turismo è forte, anche d’inverno. Ci sono resort a cinque stelle, villaggi, hotel e piste da discesa e per lo sci di fondo.

La salita inganna non poco. Nel senso che dalla pianura si prende quota quasi in modo impercettibile. Ed è così per molti chilometri. Uno, due, tre per cento… a volte anche meno. Poi all’improvviso ecco delle rampe. Scalini di un chilometro che salgono decisi.

E’ su queste strade che si è anche tenuta la granfondo collaterale al Tour de Pologne. In 2.500 hanno aggredito questo muro, che qualche ora dopo ha visto come protagonisti i pro’. E incontrando la coda di questo evento amatoriale non è mancato chi saliva facendo zig zag! Però non sono strappi impossibili. Al massimo si tocca il 15 per cento. Con dei buoni rapporti e una buona dose di “senza fretta” che non fa andare le gambe in acido lattico si superano benone.

Da Swierzawa, ripercorrendo gli ultimi 75 chilometri di questa seconda frazione, in pratica si fa un anello nel cuore dei Carpazi polacchi, “guardiani” della Bassa Slesia. E che separano la Polonia dalla Repubblica Ceca. Si toccano le località di Przelec e Sosnowka, altre due perle di questa zona.

I Carpazi polacchi in autunno, una vera esplosione di colori. Ma bisogna ben coprirsi
I Carpazi polacchi in autunno, una vera esplosione di colori. Ma bisogna ben coprirsi

Verso il confine

Una volta arrivati in cima a Karpacz, siamo a 792 metri di quota, si può scendere verso il “Lake Hill” a Nord, un lago artificiale ormai divenuto attrazione turistica, o continuare a salire in direzione Sud-Est verso il confine con la Repubblica Ceca. Qui si hanno più alternative, specie se si dispone di una gravel bike o, meglio ancora di una Mtb, che da queste parti è diffusissima. Ci sono molti sentieri e vengono organizzate anche diverse gare.

Con la bici da strada si può proseguire verso il passo che sovrasta Kowary. Siamo sul filo fra Polonia e Repubblica Ceca appunto. In mtb bastano meno di dieci chilometri, con la bici da strada invece i chilometri sono una ventina. Ci si deve immettere dapprima sulla DW 366, poi 367 e infine 368, la strada che appunto porta al confine e ai 1.100 metri del valico che separa le due Nazioni.

E’ qui che siamo all’ombra dello Skalny Stol (1.281 metri), mentre la vetta maggiore della zona è il Monte Sniezka (1.602 metri). Tutte vette, e zone, che fanno parte del Parco Nazionale Karkonosze.

E una volta tornati a valle ecco che ci attende un piatto di Pierogi, una sorta di ravioli, acqua e farina, riempiti solitamente con carne, ma si trovano anche con spinaci o formaggio.

Stando nell’Est Europa vanno assaggiate anche le zuppe. Non solo, in Polonia sono buone le salse, su tutte la senape o quella al mirtillo. Se si ha la fortuna di non imbattersi in locali troppo commerciali, queste salse hanno un sapore molto più dolce e inteso al tempo stesso. Ottime sulle carne ovviamente!

Bilancio e futuro del Tour de Pologne: ecco Lang e Lelangue

12.08.2023
5 min
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«Quale bilancio? Direi formidabile. Avevamo tre tappe per velocisti, una crono, tre di montagna e non è mai successo che arrivassero alla vigilia dell’ultima tappa con due corridori staccati tra loro da meno di un secondo!». Czeslaw Lang è euforico della “sua creatura”, il Tour de Pologne. E ne ha ben ragione. In effetti è stato uno spettacolo assistere a questa corsa e lo è stato per più motivi, primo dei quali quello tecnico.

Rafal Majka sempre applauditissimo dal pubblico polacco
Rafal Majka sempre applauditissimo dal pubblico polacco

Con Lang

Con appunto il patron Lang e il suo braccio destro, nonché direttore di corsa John Lelangue, che quest’anno si è unito al gruppo del grande ex pro’ polacco, ripercorriamo i punti salienti di una corsa che cresce sempre più e che ormai è un caposaldo del WorldTour nonostante venga immediatamente dopo il Tour e quest’anno, immediatamente prima dei mondiali.

Signor Lang, si cresce…

Guardando al totale dico che è una bellissima gara, con grandi corridori e tantissima gente lungo le strade. 

E questo è un elemento che abbiamo notato e che le avremmo chiesto: la gente.

In Polonia amano il ciclismo. Due anni fa su sette tappe abbiamo contato 4,5 milioni di spettatori e credo che quest’anno siamo stati su quei livelli (nonostante si siano riaperte le frontiere e la gente vada in vacanza dopo il Covid e la vicina guerra ucraina, ndr). E poi tanti fanno il tifo, partecipano, tutte quelle bandiere polacche… c’era felicità. Portiamo energia positiva.

La Polonia è molto grande, ma le tappe sono solo sette. Avete delle richieste dalle vostre città?

Ogni anno cambiamo zona e diamo un po’ la possibilità a tutti, perché una gara ciclistica non è solo sport, ma è anche promozione del territorio. E in questo abbiamo ripreso molto dagli italiani, dai francesi. Dalle località c’è richiesta. Anche perché abbiamo cambiato modo di fare vedere la gara, nelle immagini, nelle ore di diretta televisiva… e ora tutti si vogliono far vedere.

Sempre belle le location del Tour de Pologne. Quest’anno si è toccato molto più il sud della nazione
Sempre belle le location del Tour de Pologne. Quest’anno si è toccato molto più il sud della nazione
Avete investito molto sulla sicurezza. Abbiamo visto le transenne Boplan nei 500 metri prima dell’arrivo e i 50 metri successivi.

Questo aspetto lo abbiamo sempre curato. Sempre. Ma siamo anche stati sfortunati. Abbiamo Boplan, abbiamo tanto personale. Lungo la crono, per esempio, su 16,6 chilometri c’erano dislocate oltre 400 persone.

Ultima domanda Signor Lang, una domanda di colore: Kwiato ha vinto il mondiale, recentemente anche la tappa al Tour, eppure quando arriva Majka il tifo aumenta. Come mai?

Eh – ride Lang – perché Rafal è più aperto. Lui ride, scherza, si concede di più alla gente. Michal invece è più concentrato sulla gara, ma posso garantirvi che anche a lui vogliono tanto bene.

Sicurezza in pole position con Boplan al Polonia dopo l’incidente di Jakobsen
Sicurezza in pole position con Boplan al Polonia dopo l’incidente di Jakobsen

Con Lelangue

Da Lang a Lelangue… e non è uno scioglilingua. John è stato team manager della Lotto fino allo scorso anno. Poi ha ripreso il suo ruolo di organizzatore. Agisce con passione e sembra far parte del Tour de Pologne da anni.

John sei stato un team manager e ora fai parte della macchina organizzativa: cosa significa “incastrare” questa gara tra due eventi così importanti?

Penso che il calendario è complicato. Ma meglio così, che anticipare al lunedì dopo il Tour. Io credo siano delle buone date. E’ di certo un anno particolare, tanto più con il mondiale multidisciplinare. E’ complicato per l’UCI e anche per i team WorldTour. Ma nonostante tutto abbiamo avuto un ottimo livello e un’ottima starting list.

La Polonia è grande e come ci ha detto anche Lang c’è tanta richiesta da parte delle città per ospitare il Tour de Pologne: si può pensare di aumentare il numero delle tappe in futuro?

No, o comunque è molto, molto difficile. Con il calendario del WorldTour una settimana per una corsa a tappe, grandi Giro esclusi, va bene. Altrimenti tutto si comprimerebbe troppo. Sarebbe troppo complesso. Un giro di 10-12 giorni non avrebbe senso nel calendario attuale. Credo che mantenere questo numero di frazioni sia giusto. In questo modo hai una bella lista di partenti, i corridori possono preparare bene i loro impegni successivi e anche gli staff non sono enormi. In questo modo qualcuno può sfruttare l’onda lunga del Tour. Con più tappe non sarebbe possibile. Idem guardando alla Vuelta. Vero, la Polonia è grande ma una volta andiamo più a Nord un’altra più a Sud, una volta ad Est…

Verso Bielsko-Biala tanto dislivello e ritmi alti ma nessun attacco. Ha inciso anche il fatto che l’ultimo strappo duro fosse a 41 chilometri dall’arrivo?
Verso Bielsko-Biala tanto dislivello e ritmi alti ma nessun attacco
Tornando all’edizione di quest’anno, forse è mancata una grande salita o una delle salite più dure più vicine all’arrivo. Cosa ne pensi?

C’era un tappone con 3.100 metri di dislivello ma se il gruppo non ha attaccato noi cosa possiamo fare? Non fa differenza. Noi facciamo il percorso. Quella tappa era pensata per far esplodere la classifica. Ci sono stati scalatori che non hanno fatto niente, se non impostare un grande ritmo. Ma alla fine sono arrivati 80-100 corridori. Oggi spesso la selezione si fa nella salita finale e alla fine in questo Tour de Pologne ha fatto più selezione l’arrivo sullo strappo dei Carpazi che non il tappone.

Bene invece i circuiti finali. Portano gente. E’ una strategia che manterrete?

Portano gente anche le location di partenza ben ponderate. Se il circuito finale si può fare, lo facciamo altrimenti no. Non deve essere pericoloso, deve essere scenico, ci deve essere una valenza tecnica e sportiva. Ad Opole per esempio non aveva senso, a Cracovia sì. 

Mosca: la fuga e quella (quasi) maglia a pois…

07.08.2023
5 min
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KRAKOW – “Una vita da mediano, lavorando come Oriali. Anni di fatica e botte e vinci casomai i mondiali”, così cantava Ligabue parafrasando il calcio. Il mediano del ciclismo è il gregario e la lista sarebbe molto più lunga rispetto all’Oriali della situazione. Al Tour de Pologne c’era forse il gregario perfetto, Salvatore Puccio, ma c’era anche Jacopo Mosca.

Il corridore della Lidl-Trek stavolta non vestiva i soliti panni. Aveva un altro ruolo. Stava conquistando la maglia dei Gpm con voglia, gambe, intelligenza. Era sempre entrato nella fuga buona. Poi nel giorno del tappone, la quinta frazione, che metteva in palio più punti dell’intero Polonia, succede che la fuga la prende, ma non è quella buona. E i sogni svaniscono.

Jacopo Mosca (classe 1993) in maglia a pois blu al Tour de Pologne
Jacopo Mosca (classe 1993) in maglia a pois blu al Tour de Pologne

Sogno sfumato

Tornando a Ligabue, lotti e le botte magari le dai anche, ma se il destino dice che tu non devi vincere, non vinci. Lottatori e “dannati”: alla fine sono questi i corridori che più piacciono. A Mosca restano tre giorni sul podio e una maglia da guardare con orgoglio e piacere una volta a casa. Cosa che ci aveva detto lui stesso.

Il secondo giorno, aveva concluso la frazione con cinque punti, come Lucas Hamilton. Erano leader entrambi.

«Magari mi danno la maglia a pois per simpatia», ci aveva detto Jacopo dopo il traguardo.

Il giorno successivo prima del via ci fa: «Ohi, forse non gli sono stato simpatico! Non me l’hanno data!». Ma mentre scherzava era già in prima linea. Voleva tornare in fuga. Aveva riassaporato dopo parecchio tempo quelle sensazioni di libertà. Aveva un progetto chiaro in testa.

E il progetto stava andando bene. L’unica consolazione è che quella maglia è rimasta in casa Lidl-Trek. Markus Hoelgaard in teoria doveva difenderla dagli attacchi, ma una volta fiutato il pericolo di perderla giustamente ha affondato il colpo. Meglio lui, della Lidl, che un altro.

Il piemontese è stato spesso in fuga, poi quando i sogni sono sfumati nell’ultima tappa ha aiutato il velocista della squadra
Il piemontese è stato spesso in fuga, poi quando i sogni sono sfumati nell’ultima tappa ha aiutato il velocista della squadra

Quasi come Ciccone

Mosca era un po’ il Ciccone del Polonia. E come Cicco a gestito le energie. Attaccava quando era il momento, si staccava per risparmiare negli altri frangenti.

«Sì – commenta Mosca con ironia – ma Cicco era al Tour! La differenza era che i puntini qui erano blu e in Francia sono rossi. La sua era più bella. Un po’ come Instagram versus realtà! Sul social è bellissima, nella realtà decisamente meno… Lui aveva quella grossa, io quella più piccola! A parte tutto ci abbiamo provato. Spesso il gruppo non ci ha lasciato troppo spazio, ma va bene così». 

«Quella maglia a pois la porterò a casa e me la guarderò», ha scherzato Mosca qui poco prima di indossarla per la prima volta
«Quella maglia a pois la porterò a casa e me la guarderò», ha scherzato Mosca qui poco prima di indossarla per la prima volta

Capitano per un giorno

Sentirsi leader. Una sensazione insolita per Mosca. Lui è uno dei gregari più apprezzati. Sa fare bene il suo lavoro. Poi è arrivata questa opportunità.

«Eravamo venuti al Polonia per aiutare Edward Theuns nelle volate – ha detto Mosca – io ed Otto Vergaerde dovevamo supportarlo nel finale. Poi c’è stato un po’ di spazio e questo, per noi che lavoriamo sempre, è bello. Ti dà la carica.

«Mi ero “inventato” questo obiettivo della maglia dei Gpm, ma sapevo che la tappa numero cinque sarebbe stata decisiva». E così è stato…

Mosca entra poi anche nel dettaglio tecnico. Andare in fuga, lottare quando mancano tanti chilometri all’arrivo, comporta anche un approccio differente.

«Nei primi anni da pro’ – va avanti Mosca – facevo solo quello: ero sempre in fuga. A me piace attaccare, chiaramente oggi con il gruppo che va sempre più forte è anche difficile andarci e una volta che ci riesci sicuramente spendi di più. 

«E il discorso è semplice: per stare fuori da solo, o in pochi, prendi più aria e per fare velocità fai più watt. Quindi spendi di più e di più devi mangiare. Ma devo dire che tra App, riunioni e soprattutto esperienza ti gestisci alla grande».

Alla fine Jacopo è stato in testa alla classifica dei Gpm per tre giorni
Jacopo ha indossato la maglia a pois per tre giorni

Studiando Elisa…

Mosca è ottimista, propositivo. Più o meno scherzando gli chiediamo se in questo Polonia, in cui è stato più libero, ha chiesto qualche consiglio alla sua compagna, Elisa Longo Borghini.

«Ah – ride Mosca – semmai dovrei essere io a darle dei consigli su come andare in fuga. Lei ci va di gambe. Io me la devo guadagnare. I suoi attacchi non contano come fughe! Sono sono le azioni di quelli forti!

«Scherzi a parte, andare in fuga è bello. Ma è interessante vedere i suoi approcci alle corse, agli attacchi. In questo modo anche io vedo come affronta la gara un leader. Lo vedo da un’altra angolazione. E quando ho a che fare con i miei compagni che puntano a qualcosa penso ai sacrifici che devono fare, alle pressioni che hanno addosso…

«Non è detto che essendo nati più forti, tutto gli venga facile, così come per noi che “andiamo più piano”. Alla fine loro hanno gambe migliori, sono stati più fortunati, ma su certi aspetti siamo uguali. Tutti e tutte facciamo i ciclisti al 100 per cento, altrimenti coi tempi di oggi non vedremmo neanche la coda del gruppo».

Kwiatkowski, una volata da casa alla Scozia

05.08.2023
4 min
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KATOWICE – Era il 2014 e un ventiquattrenne ben poco conosciuto, Michael Kwiatkowski, vinse il campionato del mondo. Quell’edizione si svolgeva a Ponferrada, in Spagna. La formazione degli spagnoli era ancora quella formidabile di Valverde, Purito, Luis Leon Sanchez… Basta pensare che lasciarono a casa, non senza qualche polemica, un certo Contador. Si diceva che il percorso non fosse abbastanza duro per lui.

In quegli anni, quando il Belgio non era così forte e l’Olanda non aveva Van der Poel, c’era ancora il giochino del “fiammiero” fra Italia e la Spagna appunto: Tirate voi! No, tocca a voi! E in questo giochino delle parti quel ragazzo semisconosciuto realizzò un’azione senza pari.

Kwiatkowski scattò a sei chilometri dall’arrivo. Apparentemente neanche troppo forte, ma spingeva un rapporto lunghissimo. Sembrava, all’epoca, un corridore attuale. Risultato: lo rividero all’arrivo.

Ebbene il mondiale che partirà fra qualche ora ricorda molto quell’edizione iridata, almeno nell’approccio per “Kwiato”. Anche se quel tracciato era più duro.

Ponferrada, il giovane Kwiatkowski si laurea campione del mondo davanti a Gerrans e Valverde
Ponferrada, il giovane Kwiatkowski si laurea campione del mondo davanti a Gerrans e Valverde

Tenere duro

Kwiatkowski è arrivato al Tour de Pologne con la gamba formidabile del Tour de France. Fino a metà gara il motore era era ancora settato “sui giri” della Grande Boucle.

Poi c’è stata una lenta, ma inesorabile inversione di rotta: la fase down, come l’hanno definita nel suo staff. La condizione non è infinita e Michael ha iniziato un po’ a calare. E lo si è visto nella quinta tappa, quella vinta da Van den Berg. E’ vero che l’olandese è un velocista, ma è stato nettamente più brillante.

Però questo non vuole e non può tarpare le ali a chi è abituato a lottare. A guadagnarsi con estrema fatica ogni risultato. E’ stato così in quel mondiale 2014, è stato così all’ultimo Tour de France quando ha vinto sul Grand Colombier… E tutto sommato anche nella crono di Katowice non è andato male.

«Per me contava molto questo Giro di Polonia – ha detto più volte il polacco – ho dato il massimo. Dopo il Tour non ho corso, chiaramente, visto quello che mi aspettava. Ho dedicato attenzione al riposo e alla dieta. Soprattutto ho cercato di dormire molto».

Czeslaw Lang con Kwiatkowski, volo raggiunto in tempo anche grazie al patron del Polonia
Czeslaw Lang con Kwiatkowski, volo raggiunto in tempo anche grazie al patron del Polonia

Sotto scorta

Il mondiale è un obiettivo. Ma questa volta il corridore della Ineos Grenadiers correrà da solo. La Polonia è scesa nel ranking per Nazioni, è trentunesima, e quindi può schierare un solo atleta.

«Kwiato – ci spiega Cioni – è motivato per il mondiale. Certo che ci pensa. Alla fine dopo il Tour e dopo questa corsa gli viene abbastanza naturale tirare dritto sin lì. Va in Scozia per fare bene. Non è facile certamente».

«Io sono “easy”, tranquillo – ci ha detto Kwiato la mattina prima della crono di Katowice – e lo sono sia per la crono che per il mondiale. Certo, sarà un po’ dura andarci. I tempi sono stretti. Il Polonia tra una cosa e l’altra finirà alle 19,30 e alle 21 ho l’aereo per andare in Scozia». 

Pensate che Kwiato, dopo aver parlato con Lang, il patron del Tour de Pologne, ha ottenuto una scorta della polizia per raggiungere in tempo l’aeroporto.

«Io credo di avere tutto sotto controllo. Sinceramente non vedo grossi problemi con questo brevissimo intervallo di tempo tra il Polonia e il mondiale. E’ una questione di atteggiamento mentale e fisico, basta solo pianificare tutto».

Al Polonia, al centro in maglia bianca. Kwiato si è arrabbiato nel giorno in cui ha vinto Majka, reo a suo dire di uno sprint non regolare
Al Polonia, in maglia bianca. Kwiato si è arrabbiato nel giorno in cui ha vinto Majka, reo a suo dire di uno sprint non regolare

A Glasgow da solo

Kwiatkowski è molto bravo a correre sulle ruote. In gara sa destreggiarsi bene. A proposito, la caduta nella tappa finale non sembra aver lasciato strascichi. Il suo staff, ma anche altri corridori, ci dicono che Michal è un senatore del gruppo. Stare da solo in squadra per lui non sembra un problema dunque.

«Non penso troppo, non mi stresso. Mi concentro solo su ciò che so fare meglio. Quindi dormo, penso al recupero, alla dieta… Vivrò questo sabato un po’ come il giorno di riposo di un grande Giro».

«Non ci saranno grandi tattiche. Vero, correrò da solo, ma magari questo mi permetterà di concentrarmi meglio su me stesso. Farò il massimo… come sempre. Credo che con un po’ di fortuna e la capacità di trovarsi nel posto giusto al momento giusto, si possa fare una bella gara».