Per la Ineos Grenadiers Parigi è qualcosa che evoca grandi successi “gialli” e che ora ha anche un forte sapore olimpico. Sia Pauline Ferrand Prevot che Thomas Pidcock, i due campioni olimpici di mtb, sono in forza al team britannico, ma la loro conquista dell’oro a cinque cerchi, sfalsata di 24 ore, ha un sapore ben diverso dall’uno all’altro. Entrambi però dal 2025 saranno probabilmente destinati ad altri lidi: se per la francese cambierà tutto, lasciando la mtb, per Pidcock c’è la possibilità di trovare un nuovo team pur avendo un contratto fino al 2027. La Ineos non sarebbe contraria, in quanto libererebbe una copiosa fetta del monte ingaggi.
Il ciclomercato ha in parte influito sulle loro prove, anche perché rappresenta il futuro dopo l’aver ottenuto il proprio obiettivo stagionale. In maniera diversa come diverse erano le prospettive e le radici. Partiamo da Pauline, chiamata alla gara della vita, davanti al proprio pubblico. Chiamata soprattutto a sfatare la maledizione olimpica: per tre volte era partita per vincere, a Londra 2012 sognava addirittura la doppietta strada-mtb, a Tokyo 2020 quasi nessuno avrebbe scommesso sulla sconfitta sua e/o della Lecomte e questa era stata una delle maggiori delusioni di tutta la spedizione francese.
Un’Olimpiade diventata ossessione
Da allora l’oro era diventato un’ossessione e la Ferrand Prevot per esso aveva sacrificato tutto: chi le è vicino parla di una ragazza solare e allegra che si era chiusa in se stessa, sembrava quasi triste anche dopo le vittorie in Coppa del Mondo. Al punto che da quasi un anno non risponde al cellulare né ai messaggi, a nessuno se non della sua stretta cerchia.
«Quando ho vinto l’ultimo mondiale, lo scorso anno a Glasgow– raccontava la transalpina dopo l’oro olimpico – ho avuto una successiva notte insonne, piena di pensieri. Per dissiparli ho preso la bici e in piena notte mi sono fatta due ore e mezza di pedalata per schiarirmi le idee. Sentivo forte la pressione per quest’oro, era quello che tutti volevano, ma anch’io lo volevo per ragioni diverse. Dovevo chiudere una pagina della mia vita, a questa ho sacrificato tutto, ho sacrificato soprattutto me stessa, il mio carattere, la mia creatività, diventando un’altra persona».
Un’attesa vissuta da asceta
Chi la conosce parla di una Pauline quasi maniacale nell’allenamento come nell’alimentazione, priva di quel caratteristico sorriso che la contraddistingueva, chiusa in un assoluto ascetismo. Forse un po’ schiacciata dall’essere una delle vincitrici quasi annunciate, un po’ come Marchand nel nuoto o le americane nella ginnastica. Per questo l’oro ha il sapore della liberazione e subito dopo, alla premiazione, sembrava una ragazza diversa, liberata, quasi ebbra di gioia.
Ora può riaprirsi al mondo e anche per questo ha bisogno di cambiare. Già prima della gara olimpica aveva detto che voleva lasciare il mondo che le ha dato tanto per tornare alla strada, con obiettivi precisi: il Tour de France Femmes in primis perché sente di poter dire la sua per la maglia gialla, poi la Roubaix che per una biker è corsa che più di altre si attaglia. Ma in generale tutte le classiche possono essere terreno di caccia per chi, pur in una carriera da stradista a mezzo servizio, ha dalla sua sempre un titolo mondiale e una Freccia Vallone.
Pidcock cambierà aria?
Per Pidcock la situazione è diversa, anzi quasi opposta se aveva dichiarato a fine stagione che con l’oro olimpico avrebbe messo la parola fine alla mtb. Il suo amore per le ruote grasse è troppo forte e chi gli è intorno dice che già pensa al tris, mai raggiunto da nessuno. Per questo però ha bisogno di un supporto che gli garantisca di continuare nella multidisciplina e i suoi legami personali di sponsorizzazione con la Red Bull fanno pendere la bilancia verso il team tedesco, che non ha problemi di budget.
Intanto però la sua vittoria non è stata scevra da polemiche. Quando ha forato, lasciando via libera al padrone di casa Koretzky, il pubblico è esploso sognando il trionfo, ma piano piano Pidcock ha eroso il vantaggio fino a riagganciarsi a due giri dalla fine. Poi è stato lui a provare a staccare il rivale, che però sembrava incollato. Fino a quel passaggio finale…
La giusta traiettoria
Un pezzo tecnico ma neanche troppo, casella di un percorso vario e neanche troppo disprezzabile per essere cittadino. Sul sentiero c’erano due alberi, si poteva passare in mezzo oppure esterni. Pidcock aveva sempre scelto la traiettoria esterna, all’ultimo giro, vedendo il francese fare lo stesso ha scelto l’altro passaggio per superarlo. Nella ricongiunzione inevitabile il contatto: «Mi ha toccato allentandomi la scarpa – lamentava Koretzky, tornato quest’anno alla Mtb dopo aver chiuso la sua esperienza alla B&B Hotels prima e alla Bora dopo senza aver lasciato il segno – ha spinto anche molto, è stata una mossa mediocre per non dire altro…».
La Francia però non ha sporto reclamo, dando di fatto ragione alle parole di Pidcock: «Non ho fatto niente di male, lui era davanti e ha fatto la sua scelta, ho visto un’opportunità e l’ho colta, in un punto che non si attendeva. Ma queste sono le Olimpiadi, baby…».
Ora la sfida della strada
La sua reazione alla vittoria è stata più contenuta, quasi si aspettasse anche lui che le cose andassero così. Attenzione però perché ora lo attende la prova in linea e chi lo conosce dice che nella mente gli frulla qualcosa. In una gara pazza come può essere quella olimpica, priva di squadre in grado di controllarla, chissà che il suo modo di correre garibaldino, da biker non possa regalargli qualche soddisfazione. In fin dei conti, gente come Van der Poel o Van Aert nessuno la conosce meglio di lui…