Search

Bardet a cuore aperto prima della Parigi-Nizza

28.02.2023
5 min
Salva

Romain Bardet ha iniziato la stagione non muovendosi dalle corse casalinghe. Una sorta di tributo alla sua patria: «Non è che lo scorso anno volessi boicottare la Francia – ha raccontato a Nice Matin prima del suo esordio – ma la squadra ha voluto un programma diverso, facendomi gareggiare a Giro e Vuelta. Certamente però le corse di casa mi sono mancate, come mi sta mancando altro».

E’ un Bardet diverso quello che si presenta in questo 2023. Un po’ malinconico forse. Un Bardet assolutamente competitivo, lo si è ben visto lo scorso anno con la conquista del Tour of the Alps e quel Giro che gli è rimasto sul gozzo con un ritiro quando sembrava pronto per spiccare il volo. Ma che sente su di sé il peso dei suoi 32 anni compiuti.

Il rapporto coi tifosi è sempre stato fortissimo. Ritrovarli a inizio stagione è stato molto importante
Il rapporto coi tifosi è sempre stato fortissimo. Ritrovarli a inizio stagione è stato molto importante

Il più vecchio del team. Quasi…

«Intendiamoci, provo ancora lo stesso piacere di andare in bici e mettermi alla prova – sono le parole riportate da L’Equipe – ma molto è cambiato. E’ un ciclismo diverso, che consuma più in fretta. Nella mia squadra Degenkolb è l’unico più grande di me e questo mi fa pensare, mi ricorda gli ultimi anni all’Ag2R dove ho visto ragazzi lasciare la casa da giovanissimi con una voglia sfrenata di emergere, di entrare nel gruppo».

Bardet si è messo in discussione, quando nel 2021 ha cambiato squadra. Ha lasciato un team dove aveva vissuto tutta la sua carriera, ha lasciato la Francia, ma anche un modo molto più tranquillo di affrontare la sua attività per immergersi in un sistema estremamente selezionato e scientifico, quello del Team DSM.

«Durante i ritiri ogni sera – dice – vengono effettuati lunghi incontri di brainstorming, dove ognuno tira fuori i suoi pensieri e le sue sensazioni. Questo per creare uno spirito di gruppo che è alla base del team. Bisogna adattarsi, chi non lo fa ha vita breve. Prima forse era tutto molto più empirico e mi chiedo: ma se avessi affrontato prima il ciclismo da questo punto di vista, avrei vinto di più?».

Il momento più alto per il francese, il 2° posto al Tour 2016, a 4’05” da Froome
Il momento più alto per il francese, il 2° posto al Tour 2016, a 4’05” da Froome

Il podio al Tour non basta più

Cambiare squadra e nazione ha avuto il suo prezzo. Pian piano il corridore di Brioude si è sentito scollato dalla sua realtà e non fatica ad ammetterlo.

«Forse i miei podi – spiega – avevano un po’ falsato la mia dimensione. In Francia tutti vogliono la vittoria del Tour, il podio non basta più. Così ogni anno mi sentivo dire: è per quest’anno. E questo mi aveva logorato, non nego di aver versato lacrime per le mie sconfitte. Ora non ci penso più, anche se al Giro ci contavo davvero sulla vittoria. Ma Hindley e Carapaz sono battibili, uno come Pogacar al massimo no».

Bardet dice che un podio al Tour è ancora possibile e che gli piacerebbe vincere una tappa al Giro per completare la sua collezione nei tre grandi Giri, ma un problema c’è e torniamo al discorso di prima: l’età che pesa in questo ciclismo che consuma tutto rapidamente. L’annuncio dell’imminente ritiro del suo avversario di mille battaglie, Thibaut Pinot lo ha molto colpito.

«E’ vero che ha avuto una carriera piena e ricca di successi – osserva – ma sapere che molla alla mia età sorprende anche perché non credo sia un caso isolato. In questo ciclismo, continuare a correre dopo i 35 anni sarà sempre più raro e non dipende da un declino fisico, quanto di testa. Essere ai vertici consuma, molto più di prima».

Al Giro 2022 dietro Carapaz. Il ritiro è arrivato quando Bardet stava per puntare alla maglia rosa
Al Giro 2022 dietro Carapaz. Il ritiro è arrivato quando Bardet stava per puntare alla maglia rosa

Il peso dei sacrifici

Questo influisce sulla voglia di sacrificarsi, senza la quale continuare questo mestiere, a qualsiasi livello, è pressoché impossibile: «Stare lontano dalla famiglia è sempre più difficile, ma sai che devi farlo, per questo si dice che il ciclismo è un mestiere che non fa sconti, che ti chiede di essere sul pezzo 7 giorni su 7, per 24 ore al giorno ed è sempre più difficile e logorante. Io non mi faccio programmi in testa, vado avanti anno dopo anno per rendere sempre al meglio, ma il futuro resta una pagina tutta da scrivere, sapendo che gli anni indietro sono comunque molti di più di quelli avanti in sella a una bici».

Al dopo, ci sta già pensando: «I progetti sono tanti che mi frullano nella testa, ma partono tutti da alcuni comuni denominatori, come il viaggiare sempre con la mia famiglia e il pedalare sono ed esclusivamente per divertimento, perché alla bici non rinuncerò mai».

All’AG2R Bardet è rimasto dal 2012 al 2020. Una dimensione familiare, ma con delle controindicazioni
All’AG2R Bardet è rimasto dal 2012 al 2020. Una dimensione familiare, ma con delle controindicazioni

Alla Parigi-Nizza per colpire duro

L’inizio non è stato neanche male: in 5 giorni di gara un podio sfiorato al Tour des Alpes Maritimes e tutte prestazioni nei quartieri alti della classifica. Ora lo attende la Parigi-Nizza.

«Mi è mancata, c’è un’atmosfera speciale – sorride – è quasi una famiglia che va riformandosi anche con organizzatori e volontari. Sono felice di aver iniziato la mia stagione a casa, era una tradizione che mi era mancata molto. La condizione mi dice che posso puntare a qualcosa d’importante, ma alla Parigi-Nizza possono capitare tante cose, ogni tappa può essere quella decisiva, nel bene e nel male…».

Julbo cresce in Italia e rafforza la sua squadra

16.01.2023
4 min
Salva

Con un passo davvero deciso e nello stesso tempo veloce, Julbo prosegue la sua crescita all’interno del mercato sportivo italiano. Stiamo parlando di una realtà di fama mondiale con alle spalle ben 134 anni di esperienza. L’azienda francese è stata infatti fondata nel 1888 nel dipartimento dello Jura, in quella che può essere considerata la patria dell’industria francese dell’occhialeria.

Oggi Julbo è in grado di proporre al mercato prodotti high-tech che spaziano dall’alpinismo allo sci in tutte le sue discipline e sfaccettature. L’azienda francese realizza inoltre occhiali di alto livello anche per vela, running, enduro e naturalmente per ciclismo su strada.

L’Italia cresce

A distanza di quattro anni dal cambio di strategia deciso per il mercato Italia, Julbo conferma il trend positivo delle vendite chiudendo l’anno fiscale con una crescita del 10% rispetto al precedente. Un dato questo che proietta il secondo trimestre dell’anno in corso ai massimi storici.

Thomas Pellegrino, Direttore Commerciale Europa Med, ha voluto commentare con queste parole la situazione positiva del mercato italiano per Julbo.

«Stiamo affrontando grandi sfide e ci poniamo traguardi ambiziosi per l’Italia. Julbo è un prodotto tecnico dedicato alla performance, che vanta oltre 100 anni di tradizione e know-how, ideato e progettato da chi ama lo sport, per atleti e professionisti dell’outdoor e per gli amatori più esigenti. Abbiamo l’obiettivo di crescere insieme ai nostri partner, per questo, abbiamo la necessità di avere un team in solida evoluzione».

Thibaut Pinot è uno dei volti di riferimento della Groupama-FDJ
Thibaut Pinot è uno dei volti di riferimento della Groupama-FDJ

Un nuovo team

Come anticipato dallo stesso Thomas Pellegrino, per il brand francese risulta oggi fondamentale avere un team in grado di presidiare al meglio il mercato italiano. Il coordinamento delle attività di Julbo per il nostro Paese è stato affidato a Stefano Cronst che ricoprirà il ruolo di Country Manager. Nel suo lavoro potrà contare sulla professionalità consolidata di Marta Ripamonti, Account Manager per l’area Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta. Accanto a loro Luca Bergamini, selezionato come figura commerciale di riferimento per Lombardia ed Emilia-Romagna. 

Il nuovo assetto del team rispecchia l’approccio strategico dell’azienda al mercato, volto a garantire una crescita organica e sostenibile, capace di mantenere l’attenzione sul partner offrendo formazione, supporto alle attività di sell-out e un livello di assistenza post vendita adeguato alla qualità e ai valori del brand. 

Trai i giovani passati dalla continental del team francese alla formazione WorldTour c’è anche Lorenzo Germani (foto Facebook Lapierre)
Trai i giovani passati dalla continental del team francese alla formazione WorldTour c’è anche Lorenzo Germani (foto Facebook Lapierre)

Con Pinot e compagni

Ricordiamo che Julbo non è solo occhiali, ma anche caschi. Il brand francese ha inoltre un forte legame con il ciclismo. Da quest’anno la Groupama-FDJ, la formazione diretta da Marc Madiot, utilizzerà caschi firmati Julbo mentre nel 2024 ai caschi si aggiungeranno anche gli occhiali. Diverso il discorso per la formazione continental del team francese che nel 2022 ha dominato la scena internazionale con Lenny Martinez, Romain Gregoire e il nostro Lorenzo Germani. I ragazzi del team continental già da quest’anno utilizzeranno caschi e occhiali Julbo.

Julbo

L’addio di Pinot nato nei lunghi giorni del lockdown

14.01.2023
7 min
Salva

Al momento di annunciare il suo ritiro, sorridendo, Thibaut Pinot ha detto che la prima cosa che farà dopo l’ultima corsa, sarà vendere i rulli. Leggere L’Equipe è fare soprattutto un viaggio fra ricordi comuni e sensazioni che tutti abbiamo provato un paio di anni fa. Qualcuno le ha elaborate lasciando la posizione in cui è cresciuto per dare vita a un nuovo progetto. Altri, come Pinot, hanno immaginato la loro vita fuori dal ciclismo.

«Se torno un po’ indietro – racconta – ho iniziato a pensarci durante il lockdown. Era la prima volta che mi sentivo me stesso. E’ stata, tra virgolette, una vacanza imposta, senza stress, senza pressioni, senza correre dappertutto. Da quel momento mi sono posto molte domande. Sul fatto che vivevo a 1.000 all’ora, che non mi stavo godendo i momenti. C’erano corridori sui rulli, io invece mi sono preso il tempo per dedicarmi alla mia fattoria, alla mia vita».

Così L’Equipe ha salutato l’annuncio del ritiro di uno dei suoi beniamini. Chapeau! La foto di apertura è della Groupama-FDJ
Così L’Equipe ha salutato l’annuncio del ritiro di uno dei suoi beniamini. Chapeau! La foto di apertura è della Groupama-FDJ

«Facciamo ogni giorno 4-5 ore di allenamento, ma ho l’impressione che ne servano 24. Hai sempre dentro una vocina che ti ricorda che sei un ciclista. Durante il lockdown, per la prima volta da quando ero piccolo, non avevo più la pressione di pensare sempre alla bici. Ho avuto un assaggio della vita che mi attende. Ripartire fu difficile perché significava lasciare i tre mesi migliori dopo tanto tempo».

Madiot e i paradossi

Madiot lo sapeva. Il burbero Marc, che a Porrentruy con mezzo busto fuori dall’ammiraglia festeggiò la prima tappa al Tour del 2012, ricorda di quando Pinot (al secondo anno da pro’) prese un treno da Melisey per pranzare con lui a Parigi, pregandolo di schierarlo in quel Tour.

«Il ritiro l’ho sentito arrivare – racconta – non sono sorpreso. Abbiamo avuto una conversazione in autunno e mi ha confermato quello che prevedevo. Il suo arrivo ha segnato l’inizio di una nuova era, la seconda nascita della squadra. Per molti corridori gli anni del ciclismo a due velocità sono stati un trauma, la generazione di Pinot ci ha fatto ritrovare uno slancio sportivo.

Thibaut Pinot, caduta Nizza, Tour de France 2020
Nizza, Tour de France 2020: la caduta che ha spinto Pinot verso una fine anticipata della carriera
Thibaut Pinot, caduta Nizza, Tour de France 2020
Nizza, Tour de France 2020: la caduta che ha spinto Pinot verso una fine anticipata della carriera

«E’ un romantico, un ragazzo con dei paradossi. Vuole stare tranquillo nel suo mondo e allo stesso tempo racconta la sua vita sportiva su Strava. Si allena duramente, ma al contempo non ha mai accettato tutte le possibilità di migliorare che gli sono state offerte. La sua realizzazione assoluta per me è la vittoria sul Tourmalet nel 2019. Un giorno gli chiesi se volesse vincere il Tour e se ci pensasse la mattina mentre si radeva. Lui rispose di no, capii che ci pensavo io al posto suo. Per me Thibaut si è spento con la caduta di Nizza al Tour 2020. La ricostruzione è stata lunga e dolorosa, Nizza è il punto di svolta».

Via dalla pressione

Un altro 90 che lascia il gruppo. Non si può parlare di ritiro prematuro, ma è arrivato prima di quanto si sarebbe immaginato. Più tardi di Dumoulin e Aru, ad esempio, ma con qualcosa che li lega.

«E’ stata una benedizione – dice – che non abbia vinto il Tour. Ovviamente sono poche le persone che possono capirmi. Volevo vincerlo e se non ci sono riuscito, è stato un segno del destino. Sarei diventato un personaggio pubblico, cosa che non volevo. Ogni volta che vincevo una tappa al Tour, non avevo fretta di tornare a casa perché sapevo che avrei avuto persone davanti al cancello. Quindi non riesco nemmeno a immaginare come sarebbe stato se avessi vinto il Tour de France. A casa non ci sarei tornato più…

Presentazione della squadra prima del ritiro di Calpe a dicembre: decisione già presa (foto Groupama-FDJ)
Presentazione della squadra prima del ritiro di Calpe a dicembre: decisione già presa (foto Groupama-FDJ)

«Avevo degli obiettivi, li ho raggiunti quasi tutti. Adesso ho solo la rivincita col Giro, non mi va di lasciarlo con il ricordo di un ospedale, perché il Giro resta la corsa più bella. Il ciclismo ha preso un terzo della mia vita e ora voglio dedicarmi alla mia seconda passione, gli animali, la natura. Se potrò avere il futuro che sogno è anche perché non ho vinto il Tour. La mia vita sarebbe cambiata troppo, per questo non me ne pento».

La vita del campione

Lo incontrammo per la prima volta ai mondiali di Mendrisio 2009, dopo la fresca vittoria al Giro della Valle d’Aosta. Aveva il futuro fra le mani, la Francia era certa che fra lui, Bardet e Barguil sarebbe uscito il prossimo vincitore del Tour.

«Sono già arrivato – ragiona – oltre le mie aspettative. Quando sono diventato professionista, non avrei mai pensato di vincere così tante belle gare. Mi rassicuro così. E poi sono rimasto onesto, nella mia filosofia ciclistica e per tutta la carriera. Ne sono soddisfatto. Avevo il potenziale grezzo per vincere più gare, un grande Giro per esempio, ma nel ciclismo di adesso questo non è abbastanza.

«Il Giro 2018 è stato un clic (fu portato in ospedale disidratato e con complicazioni renali nel giorno dell’impresa di Froome sul Finestre, ndr). Quando ti arrendi e finisci in ospedale in terapia intensiva, ti accorgi che è la vita non è solo ciclismo. Quell’esperienza mi ha aiutato ad accettare il ritiro dal Tour del 2019. Prima non sopportavo il fallimento, mi faceva molto male, ma dopo il 2018 è diventato diverso, mi sono detto che non potevo continuare a rovinarmi la vita. Non ho mai voluto la carriera di un campione, non è mai stato facile per me. Nei giorni del gruppetto al Tour, mi nascondevo nel mezzo perché non volevo che la gente mi riconoscesse. Mi vergognavo…».

Il più in alto possibile

Chissà se averlo annunciato prima toglierà il fuoco di dosso o gli permetterà di correre divertendosi come da under 23. Il programma è ricco, le aspettative ancora alte.

«Sono motivato a vincere il più possibile – dice – farò di tutto per questo. Ho detto in anticipo che il 2023 sarà l’ultima stagione, per liberarmi da questo peso e divertirmi per il tempo che resta. Non faccio una croce sul muro ogni mattina per i giorni che passano. Mi sento molto meno nervoso e più libero. Ho sempre detto che quando non sarei stato più in grado di vincere, avrei smesso.

«Sono sempre stato lucido riguardo alle mie capacità. Andrò al prossimo Tour con l’obiettivo di aiutare Gaudu. Perché il mio ultimo anno sia bello, devo esserci. Fosse solo per tutti quelli che mi hanno supportato. Da me ci si aspettava che lo vincessi, non ci sono riuscito. Il Tour e la Vuelta dell’anno scorso sono stati frustranti. Ma anche questo fa parte del viaggio che porterà alla pensione».

Jungels dà un calcio alla iella, ma sul Tour arriva il grande caldo

10.07.2022
6 min
Salva

Il caldo è arrivato tutto insieme e adesso si rimpiange l’arietta fresca della Danimarca e poi del Belgio. Bastava guardare in faccia Bob Jungels su quest’ultima salita e poi dopo l’arrivo per rendersi conto di quanto la calura si sia sommata alla fatica delle scalate. Ma il lussemburghese aveva così tanti conti da regolare, che non ha avuto paura di andarsene da solo a 62 chilometri dall’arrivo e non ha perso la testa quando sembrava che Thibaut Pinot dovesse farne un sol boccone. Strano modo di correre quello della fuga, che ha preferito cincischiare, finendo poi con il mangiarsi le mani.

«E’ difficile dire come mi senta in questo momento – ha detto Jungels appena tagliato il traguardo – sono sopraffatto. Per questo sono venuto al Tour. So cosa significa questo per la squadra. Da qualche anno soffro di infortuni. Sono molto felice ora. La mia forma sta migliorando sempre di più».

Il grande caldo si è fatto sentire: i corridori all’arrivo erano stremati
Il grande caldo si è fatto sentire: i corridori all’arrivo erano stremati

Maledizione alle spalle

Non doveva neanche partire. Per la stessa regola che oggi ha rispedito a casa Guillaume Martin e per la quale non sono partiti Trentin e Battistella, Jungels è risultato positivo al Covid quando la carovana si stava assemblando a Copenhagen e doveva fermarsi. Ma mentre gli altri prendevano mestamente la via di casa, Bob è rimasto in virtù di una carica virale bassissima. E forse anche in questo si potrebbe leggere un segno del destino.

Sembrava uno di quelli che, lasciata la Quick Step, avessero smesso di andare forte. Per la singolare regola o maledizione che colpisce tutti quelli che scelgono una strada diversa. Da Cavendish a Gilbert, passando per Terpstra e Viviani. Invece sulla strada di Jungels si è frapposta una serie infinita di acciacchi e problemi, culminati con l’operazione all’arteria femorale, la stessa di Aru e poi di Conci.

«A volte – ha raccontato – non riuscivo nemmeno a tenere il passo con il gruppo. Ricordo in Catalogna. Ero devastato, perché mi stavo allenando duramente, facendo tutto quello che potevo. E’ stato molto difficile. Ho anche pensato di smettere. Ho sempre corso per vincere, è stato degradante. Ne ha risentito anche il mio carattere. Normalmente sono una persona aperta, ma qualcosa mi impediva di esserlo».

Come alla Liegi

Per questo non avrebbe mai mollato, a maggior ragione sapendo che alle sue spalle un dolore grande almeno quanto il suo spingeva nei pedali di Pinot, ansioso a sua volta di rivedere la luce.

«Oggi potevo correre solo così – racconta Jungels – sapevo di dover provare da lontano perché sull’ultima salita sarebbe stato impossibile staccare i favoriti. Mi ha ricordato la mia vittoria a Liegi (Jungels ha vinto Doyenne nel 2018, partendo da solo dalla Roche aux Faucons, ndr), quando Vanendert si avvicinava sempre di più. Ma io continuai ad andare al mio ritmo, perché non volevo scoppiare. Gli ultimi due chilometri, sia allora sia oggi, sono stati infiniti. Il Tour ha 21 tappe e volevo vincerne una. Oggi ho preso tutti i rischi ed è successo. Voglio ringraziare tutti i miei compagni di squadra».

Pinot cresce

Pinot la prende con filosofia, acciuffato e poi saltato da Castroviejo e Verona, che di gambe ne avevano ancora tante e non si capisce perché le abbiano nascoste.

«Peccato – dice Thibaut – ma siamo arrivati con due minuti e mezzo a una salita che si addiceva a Bob, mentre avremmo dovuto limitare i danni in pianura. Se fosse stata una salita leggermente più dura, sarebbe stato diverso. Ma non ho rimpianti, ho dato davvero tutto me stesso. Ho capito in cima all’ultima salita che sarebbe stato complicato. Anche se gli avevo preso parecchio tempo, lui ha guidato bene nelle parti più scorrevoli. Ha fatto un numero. Ma questo è il mio primo giorno di buone sensazioni e ne sono felice di questo. Stanno arrivando le due settimane più importanti e questa è la cosa principale».

Pogacar ha corso da padrone con Bennett e Majka. La sensazione è che avrebbe potuto vincere anche oggi
Pogacar ha corso da padrone con Bennett e Majka. La sensazione è che avrebbe potuto vincere

La Porsche dei sogni

Fra i compagni di Jungels alla Ag2R Citroen, Oliver Naesen è stato uno degli ultimi ad arrivare. E mentre si informava se fosse vero che avesse vinto il compagno, come aveva sentito alla radio, ha raccontato un divertente aneddoto accaduto ieri sera ai colleghi fiamminghi di Het Nieuwsblad che lo attendevano al pullman della squadra.

«Ha fatto un numero pazzesco – ha detto – e ha tolto un grosso peso dalle nostre spalle. Da quando O’Connor è uscito di classifica, ci siano ritrovati senza un compito preciso e tutto è diventato più nebuloso. Questa vittoria significa missione compiuta. Ieri a tavola parlavamo delle nostre auto da sogno e per Bob era quella di un film, una Porsche 964. Quella molto chic di Bad Boys 1. Ha detto che se avesse vinto oggi, l’avrebbe comprata. Ho idea che dovrà spendere parecchi euro».

Domani intanto si riposa, ma sarà una giornata da gestire. Martedì si ricomincia con un arrivo in salita a Megeve. E con queste temperature, il minimo passaggio a vuoto si pagherà caro. E anche le energie sprecate in questo giorno di luglio potrebbero non tornare più.

Inoltre in gruppo si respira la tensione per il giro di tamponi predisposti dagli organizzatori. In Francia si lavora come ai vecchi tempi e siano benedetti gli uomini di ASO. Ma andare a casa per una positività al Covid sarebbe una scocciatura infinita.

Due punte, meglio di una. Pinot e Gaudu verso il Tour

24.06.2022
5 min
Salva

Stefano Garzelli è della “vecchia scuola”: per lui meglio il capitano unico. Ma è altrettanto vero che il varesino sa bene riconoscere le nuove dinamiche e i valori in campo. E per lui contro lo strapotere di Pogacar meglio avere due punte. «Quando hai davanti uno come Pogacar è bene portarne due, perché sai che nel testa a testa sono tutti perdenti», ci aveva detto la maglia rosa del 2000.

E due punte le ha non solo la Jumbo-Visma, la principale rivale di Tadej, ma anche la Groupama-Fdj con Thibaut Pinot e David Gaudu (in apertura foto Instagram).

Correre compatti sarà importante e vitale. Il direttore sportivo Philippe Mauduit ci fa capire meglio come cercheranno di fronteggiare i mostri che si contenderanno la Grande Boucle.

Philippe Mauduit (classe 1968) è il diesse della Groupama-Fdj (foto Twitter)
Philippe Mauduit (classe 1968) è il diesse della Groupama-Fdj (foto Twitter)

Leader e amici

Pinot e Gaudu stanno andando molto forte. Pinot lo abbiamo visto anche dal vivo al Tour of the Alps, Gaudu si è ben comportato al Delfinato, tanto da vincere una tappa. Due punte, due leader quindi… purché non si becchino.

«Tra Pinot e Gaudu – dice con la consueta gentilezza Mauduit – le cose avverranno in modo abbastanza naturale. David ha già dimostrato di mettersi al servizio di Thibaut. E Thibaut al Giro di Svizzera ha dichiarato che è pronto a condividere le situazioni che presenterà la strada con David. E che sarebbe contento di tirare per David visto ciò che ha fatto nei suoi confronti in questi anni».

«Quello che dice Garzelli non è sbagliato, si hanno più possibilità. Pogacar ha vinto il primo Tour praticamente senza squadra. Il secondo ne aveva una migliore e lo ha gestito meglio. Quest’anno ha un team molto più forte. In più Tadej è un fenomeno e i fenomeni sono difficili da destabilizzare. Se avremo le gambe, se saremo in grado, cercheremo di attaccarlo come Ineos-Grenadiers, Jumbo-Visma…».

Alleanze sì o no?

Citando altre squadre Mauduit apre una finestra affascinante: quella delle alleanze trasversali. Un conto è che attacchino in modo alternativo due corridori della stessa squadra e un conto è che lo facciano più capitani di team diversi.

«Alleanze in comune non credo siano possibili nel ciclismo moderno – spiega Mauduit – E’ diverso rispetto a trenta anni fa. I team hanno partner con interessi troppo diversi e specifici. Ognuno fa la corsa per conto suo, pensando di portare in alto i propri colori come meglio può. 

«Magari l’interesse comune può esserci in una tappa: per chiudere su una fuga o mettere in difficoltà qualcun altro. Ma sono alleanze che nascono sul terreno e sul momento».

La chiave comunque è tutta nella frase precedente di Mauduit: “gambe permettendo”. Prima di tattiche, del doppio leader e delle alleanze bisognerà essere in grado di attaccare Pogacar o chi per lui. Semmai Pinot e Gaudu possono stimolarsi negli allenamenti, nel condurre una vita da atleta agguerrito. Il galletto che vuol spodestare il re. Il re che vuole mantenere la sua leadership.

«Entrambi – riprende Mauduit – sono due ragazzi competitivi. Thibaut viene da un anno e mezzo in cui ogni due o tre settimane era costretto a fermarsi. Negli ultimi sei mesi non ha più avuto problemi e pian piano sta tornando ai suoi livelli. Ma è normale. Lui vive per la competizione. Adesso è convinto, tirato, fisicamente sano.

«L’altro, David, è cresciuto ed è sempre più sicuro e motivato. Peccato che alla Parigi-Nizza sia sia rotto una vertebra che gli ha fatto perdere tempo e quindi non ha fatto ciò che voleva al 100%, ma anche lui sta tornando al punto giusto, nel momento giusto. Quindi non dico che sono fratelli, ma di certo sono molto amici».

La squadra francese è andata in sopralluogo due volte sul pavé che il Tour affronterà nella 5ª tappa (foto Instagram)
La squadra francese è andata in sopralluogo due volte sul pavé che il Tour affronterà nella 5ª tappa (foto Instagram)

Lavoro di squadra

La compattezza della Groupama-Fdj si vede non solo dai due leader, ma anche dalla squadra che hanno portato e come hanno preparato l’avvicinamento al Tour de France. Lavori corali nei ritiri, cura degli aspetti tecnici, gare…

Anche se sotto quest’ultimo punto di vista è curioso notare come le due punte in questione non abbiano quasi mai corso insieme in questa stagione. L’unica gara in cui la squadra li ha schierati entrambi è stata il Mercan’Tour Classic, corsa di un giorno datata 31 maggio. Corsa, tra l’altro, sfruttata soprattutto per i sopralluoghi nei giorni successivi, visto che si correva nelle zone alpine.

«Abbiamo fatto i sopralluoghi delle tappe iniziali e due volte quella del pavè. Abbiamo inserito in squadra anche dei ragazzi in grado di tirare per questo tipo di tappe e nel vento».

«Anche le scelte tecniche le abbiamo fatte con l’aiuto della parte del team che fa le classiche. Abbiamo lavorato con loro. Abbiamo scelto ruote speciali. La bici per il pavè sarà la Lapierre Xelius (un po’ meno rigida della Aircode, ndr). Di più proprio non potevamo fare».

Madiot 2022

Rotta verso il Tour, Madiot lancia una provocazione

08.06.2022
5 min
Salva

La Groupama FDJ per il Tour de France è un “work in progress”, ma questa volta la pattuglia francese non si accontenterà di volate vincenti come è avvenuto al Giro d’Italia. Marc Madiot è stato chiaro, da qui al 1° luglio, giorno di partenza della Grande Boucle, si costruirà la squadra che dovrà essere pronta a scalare la classifica. Vincere? Madiot non è persona da grandi annunci, ma certamente si va per fare classifica. Per salire più su possibile, senza aver paura di guardare la cima…

Le vittorie di Démare al Giro avevano un po’ addolcito un bilancio che era stato fino allora deficitario. Prima della corsa rosa erano arrivati il successo di David Gaudu in una tappa alla Volta Ao Algarve e quello di Thibaut Pinot nella frazione finale del Tour of the Alps, dopo essere stato secondo il giorno prima. Poi, tanti piazzamenti, alcuni anche prestigiosi come i podi di Madouas al Fiandre e di Kung alla Roubaix, ma le aspirazioni erano ben altre.

In un’intervista a Le Quotidien du Sport, Madiot ha fatto il punto della situazione, non lesinando giudizi pesanti ma facendo anche un’analisi molto specifica sull’andamento di questi primi mesi: «Ci sono stati alti e bassi, difficoltà, infortuni, ma per fortuna c’è ancora tanto da fare e il verdetto si darà solo a fine stagione. Quel che è certo però è che esso deriverà dai risultati: Démare non ci ha rimesso sulla giusta rotta».

Gaudu Delfinato 2022
Gaudu in trionfo sul podio della terza tappa del Delfinato, una liberazione per lui…
Gaudu Delfinato 2022
Gaudu in trionfo sul podio della terza tappa del Delfinato, una liberazione per lui…

Tutta colpa del Covid…

Un giudizio che sembra significare come in casa Groupama ci sia stata maretta: «Un capo di una squadra deve essere pragmatico, il resto conta poco. Non potevo essere contento, nelle classiche siamo andati bene e abbiamo fatto il nostro, Kung è stato efficiente e si è messo in evidenza. Ma è nelle corse a tappe che siamo mancati e per noi quelle sono un marchio di fabbrica. Abbiamo pagato la caduta di Gaudu alla Parigi-Nizza e il successivo ritiro al Giro dei Paesi Baschi. Poi Storer si è ammalato al Giro di Romandia».

Sulle cause di tanti acciacchi, Madiot ha portato la sua personale analisi, destinata a generare discussioni: «Il Covid ha colpito duro. Ha lasciato conseguenze pesanti dimostrando che tutta la vicenda è stata gestita male. I corridori hanno minori difese immunitarie perché utilizzando continuamente le mascherine non ne abbiamo più sviluppate. Nel gruppo non solo il Covid, ma qualsiasi virus si diffonde a macchia d’olio proprio perché i fisici dei corridori sono inermi.

Pinot Alps 2022
Per Pinot una bella vittoria al Tour of the Alps, ma sarà pronto per il suo 9° Tour?
Pinot Alps 2022
Per Pinot una bella vittoria al Tour of the Alps, ma sarà pronto per il suo 9° Tour?

I problemi delle mascherine

«Ne ho parlato con i medici della squadra – ha proseguito nella sua disamina Madiot – a dicembre, nei raduni prestagionali, nessuno si è ammalato, ma lì avevamo le mascherine. Nelle prime gare sono fioccati gli ammalati, ma non solo per colpa del covid, ecco che anche influenze, bronchiti e altro si sono diffusi. Probabilmente non avremmo dovuto utilizzare le mascherine in preparazione, i fisici dei corridori forse da una parte si sarebbero ammalati, ma dall’altra rafforzati e difesi meglio per la stagione delle corse».

Storer 2022
Dopo la splendida Vuelta 2021, il neoacquisto Storer (qui con Sivakov) reclama un ruolo di spicco al Tour
Storer 2022
Il neoacquisto Storer (qui con Sivakov) reclama un ruolo di spicco al Tour

Gerarchie dopo la Svizzera

Tutto questo comunque fa parte del passato. Ora Madiot è proiettato con nuova verve sulla nuova avventura al Tour, ma se gli si chiede con che obiettivi e soprattutto uomini, resta abbottonatissimo: «Questo mese sarà fondamentale, voglio vedere come andranno Gaudu e Storer al Criterium du Dauphine con il primo che mi ha già dato segnali più che positivi e poi Pinot al Giro di Svizzera, alla fine avremo le idee più chiare su quali saranno le gerarchie della squadra e gli uomini da inserire per costruirla». Una scelta anche per favorire un po’ di concorrenza fra i tanti galli nel pollaio.

Su un aspetto Madiot si sente comunque sicuro: i suoi ragazzi sono pronti a collaborare come si è visto anche al recente Mercan Tour Classic Alpes Maritimes, dove Pinot, sapendo di non essere ancora al massimo della forma (andrà in Svizzera proprio con quell’obiettivo) si è messo a disposizione dei compagni tirando in maniera veemente per tutta la prima parte per poi passare il testimone a Reichenbach. Alla fine, nella gara vinta dal danese Fuglsang (Israel Premier Tech), Gaudu è stato 3° e il giovane Martinez 8°. A chi gli chiedeva alla fine come fosse andata, Pinot ha risposto serafico: «Gaudu era più avanti di me, era giusto lavorare per lui, peccato solo che non sia arrivata la vittoria».

Stewart Mayenne 2022
Jake Stewart dopo ottime esperienze fra i big è pronto per il GIro U23
Stewart Mayenne 2022
Jake Stewart dopo ottime esperienze fra i big è pronto per il GIro U23

Giro U23, attenti a Stewart…

Già, quella vittoria che rischia di diventare un’ossessione. Intanto però Madiot, coadiuvato da suo fratello Yvon che cura la formazione Under 23, guarda anche al Giro d’Italia di categoria dove conta di portare un team molto competitivo, con il 20enne Paul Penhoet per le volate e i due inglesi rampanti Lewis Askey e Jake Stewart (quasi omonimo dell’ex campione del mondo di formula 1 e che ha fatto molto bene quando è stato chiamato nella squadra maggiore) per la classifica. Considerando l’armata dei rivali dell’AG2R Citroen, anche qui se non arriva qualche risultato…

Ma quanto è basso Pinot sulla bici? Per Malori troppo…

28.04.2022
4 min
Salva

Ma quanto è basso Pinot sulla bici? La domanda di Adriano Malori è arrivata proprio nel giorno in cui il francese vinceva l’ultima tappa al Tour of the Alps, ma per approfondire meglio il tema, gli abbiamo chiesto di aspettare il rientro dalla Liegi. E così adesso ci siamo.

Della Lapierre Xelius SL3 del francese abbiamo raccontato proprio nei giorni della corsa trentina. Ma adesso il sospetto che i suoi acciacchi e un rendimento mai troppo costante possano dipendere dalla posizione in sella apre la porta su nuovi scenari.

Adriano Malori è stato professionista dal 2009 al 2016. Ora gestisce il suo centro di preparazione 58×11
Adriano Malori è stato professionista dal 2009 al 2016. Ora gestisce il suo centro di preparazione 58×11
E’ davvero così basso Thibaut?

Ci ho fatto caso l’altro giorno mentre inseguiva Lopez. Così basso, che ogni 3 secondi deve alzarsi sulla sella. Ha le anche che si muovono ed è un continuo tirarsi indietro, come sulle bici da crono quando sei troppo basso o troppo corto.

Che cosa si capisce da tanto muoversi?

Vuol dire che è scomodo, oppure ha dovuto scegliere questa posizione per i problemi alla schiena. Ma in ogni caso non funziona. Non è redditizia, perché i 3/4 della muscolatura della gamba non lavorano. Se non è una posizione imposta o che vuole lui a tutti i costi, io mi affretterei a rivederla.

Pinot ricorre all’azione sui pedali non per attaccare, ma anche durante fasi interlocutorie di pedalata
Pinot ricorre all’azione sui pedali non per attaccare, ma anche durante fasi interlocutorie di pedalata
La tendenza ad abbassarsi non dipende anche dalla frequenza di pedalata?

Esatto, quello che stavo per dire. Anche Roglic e Alaphilippe sono bassi di sella, ma loro vanno molto agili. Pinot invece spinge duro. I muscoli più importanti per la pedalata sono il gluteo, il quadricipite femorale e il polpaccio che trasmette direttamente la potenza. Lui spinge quasi solo con il vasto mediale e si alza in continuazione perché le sue gambe chiedono un po’ di estensione. Finché parliamo di salite brevi come in Trentino, te la cavi…

Altrimenti?

Quando vai al Tour e devi affrontare ad esempio il Tourmalet, magari dietro Roglic e Pogacar, non puoi pensare di fare la corsa lavorando con mezza gamba. Aumenta il dispendio energetico e hai meno forza. L’unica soluzione è alzare la sella. Non è uno che pedala come Pantani.

La gamba del francese non lavora mai con una distensione sufficiente
La gamba del francese non lavora mai con una distensione sufficiente
Cosa intendi?

Pantani si alzava per scattare, poi si sedeva e faceva girare a lungo il rapporto. E parliamo di altri motori. Se invece ti alzi di continuo, perdi velocità e ritmo. Guardate le crono: si alza mai nessuno nei rilanci dopo le curve? Piuttosto fai traiettorie super rischiose, che però ti lasciano la velocità per accelerare da seduto. Ti alzi solo se la curva e stretta e riparti da fermo. Sennò, neanche freni.

Se la muscolatura lavora male, c’è anche maggiore rischio di crisi?

Può darsi che a un certo punto la gamba dica basta. Alzandoti spesso in piedi sale anche il battito del cuore e sovraccarichi la schiena. Pinot ha avuto mille malanni, chissà che non dipendano anche da una posizione sbagliata.

Osservando i vari video del Tour of the Alps si nota in effetti che Pinot continua a nuoversi sulla sella
Osservando i vari video del Tour of the Alps si nota in effetti che Pinot continua a nuoversi sulla sella
Hai detto che potrebbe essere lui ad aver scelto quella posizione…

Quando un corridore si mette in testa un’idea, difficile toglierla. Quando ero alla Movistar, Valverde pedalava altissimo di sella. Hanno provato ad abbassarlo, ma non c’è stato verso. E lui intanto vinceva 15 corse all’anno, cosa potevi dirgli? Stessa cosa con Froome: sulla bici era basso e corto, ma ha vinto 4 Tour, un Giro e due Vuelta. Per tuti gli altri, la gamba ha bisogno di estensione. Non avevo notato prima che Pinot fosse messo così. Se dipende dalla schiena, alla Groupama-FDJ potrebbero cambiargli le pedivelle e permettere alla gamba di allungarsi. Ma di sicuro, se pedala così, vedo difficile che possa avere la continuità in una corsa di tre settimane.

Dal Lunigiana al Tour of the Alps, riecco l’amico Martinez

27.04.2022
5 min
Salva

Una squadra di casa per i corridori di casa: sembra l’acqua calda, per noi è champagne. L’anno scorso Lenny Martinez vinceva il Giro della Lunigiana da junior, la settimana scorsa ha chiuso terzo nella classifica dei giovani al Tour of the Alps, dietro Arensman e Buitrago che hanno 4 anni più di lui, e 14° nella generale (in apertura è con Karel Vacek).

La Groupama-FDJ lo seguiva già negli allenamenti e ora che lo ha inserito nella sua continental, in cui corre assieme a Gregoire e al nostro Germani, lo ha portato a fare esperienza tra i grandi, accanto a Thibaut Pinot e Attila Valter. In precedenza, Lenny aveva debuttato a Laigueglia, poi ha corso al GP Lillers, la Dorpenomloop e la Younger Coast Challenge. Quindi ha partecipato al Circuito delle Ardenne (4 tappe) e alla Liegi U23. Prossima gara la Fleche Ardennaise dell’8 maggio.

Sul podio di Ortonovo, con il trofeo di vincitore del Giro della Lunigiana 2021
Sul podio di Ortonovo, Lenny Martinez con il trofeo di vincitore del Giro della Lunigiana 2021

Incuriositi da questa esperienza a soli 18 anni, abbiamo suonato al suo campanello, rintracciando nello schema della squadra francese il sale del discorso. Il professionismo WorldTour come obiettivo finale, l’esperienza di corse minori come base di lavoro, assaggi fra i grandi per capirsi meglio.

Ti aspettavi di fare così bene al Tour of the Alps?

Sì e no. Sapevo di avere delle buone capacità in montagna e questo è stato confermato. Ma di entrare tra i primi 15 della classifica generale no, non ci avrei pensato prima di questa gara, visto il livello. Quelli erano i corridori che adesso andranno al Giro d’Italia e punteranno a vincerlo.

Era nei tuoi piani o sei stato convocato per la tua buona forma?

Era nei piani del Groupama-Fdj per quest’anno, ma io non ero sicuro di andarci. Mi hanno confermato 15 giorni prima e ne sono stato molto contento.

Azione di squadra alla Liegi U23 con Gregoire (poi vincitore) e Paleni (foto Alexis Dancerelle)
Azione di squadra alla Liegi U23 con Gregoire (poi vincitore) e Paleni (foto Alexis Dancerelle)
Cosa ti ha sorpreso di più di te stesso?

Senza dubbio, l’essere riuscito a stare con i migliori scalatori del gruppo. E anche essere arrivato a giocarmi una vittoria di tappa. Peccato per lo sprint (il riferimento è all’arrivo di Lana, chiuso in 14ª posizione, conquistato da Pello Bilbao, ndr).

Com’è stato correre al fianco di Thibaut Pinot?

E’ stato fantastico, Thibaut è un esempio. Sono molto grato di tutta questa esperienza.

Cosa hai imparato guardandolo?

Tanto. Il suo modo di correre, la determinazione anche giù dalla bici. E’ un esempio, ha affrontato tanti problemi in carriera, avendo alti e bassi: mi rendo conto che forse è normale anche per i migliori. Ma dentro di sé bisogna sempre crederci. Vedo spesso commenti negativi su Thibaut, dicono ad esempio che non ha testa e tutto il resto. In realtà vivendolo dall’interno della stessa squadra, penso che sia uno dei corridori del gruppo che ha la determinazione più forte.

Pinot è stato per lui un riferimento durante tutto il Tour of the Alps
Pinot è stato per lui un riferimento durante tutto il Tour of the Alps
Ci sono stati giorni particolarmente duri in gara?

Sì, l’ultimo con la pioggia fredda non è stato molto piacevole. Prima della salita finale, le mie gambe erano troppo fredde per produrre lo sforzo di seguire i migliori. Il primo giorno invece il mio corpo era ancora in fase di recupero dopo la Liegi (che si è corsa due giorni prima, ndr), ma poi si è rimesso in moto e sono stato bene.

Senti la fiducia della squadra?

Sì molto, mi trovo molto bene. Sono tutti fantastici, mi vedo un futuro con loro. Penso che possiamo fare grandi cose.

Cosa pensi di Attila Valter?

Attila è fantastico, ho diviso la camera con lui. Parla molto bene il francese, è molto calmo e tranquillo. Sorride sempre e ce lo trasmette, anche in questa corsa mi ha dato dei buoni consigli.

I tuoi compagni di squadra stanno già pensando al Giro d’Italia: saresti curioso di metterti alla prova in un grande Giro o è davvero troppo presto?

Mi piacerebbe, ma è troppo presto. Vorrei provare, ma non subito. Un “grand tour” è lungo, non credo di esserne ancora capace, ma in futuro sì. Piano piano crescerò, piano piano…

Accanto a Richie Porte, Martinez ha tenuto duro nelle tappe più impegnative (foto Instagram/Getty)
Accanto a Richie Porte, Martinez ha tenuto duro nelle tappe più impegnative (foto Instagram/Getty)
La tua stagione sarà strutturata principalmente sulle corse a tappe?

Non necessariamente, ma capita spesso che le corse per scalatori siano gare a tappe. Io però cerco di assaggiare il più possibile, devo fare esperienza su tutti i terreni per il futuro.

Hai aumentato così tanto il carico di allenamento rispetto allo scorso anno?

Sì, i carichi di allenamento sono aumentati, anche le distanze di gara, ma rimane una coerenza di base. Stiamo rispettando i miei tempi di crescita: non troppo, non troppo poco. Sta andando bene, non mi alleno eccessivamente, ci andiamo piano piano. E ogni anno cresceremo un po’.

Stai usando anche la bici da crono?

La uso, ma meno rispetto all’anno scorso, perché nel mio programma ci sono poche crono. Cerchiamo di essere coerenti con il calendario. Sto lavorando un po’ di più in salita, ma intorno ai 10 minuti, non di più per il momento.

Martinez e Gregoire hanno diviso il podio ai campionati europei di Trento: ora sono entrambi alla Groupama Continental
Martinez e Gregoire hanno diviso il podio agli europei di Trento: ora sono alla Groupama Continental
Mentre tu correvi tra i professionisti, Gregoire ha vinto tra gli under 23: la squadra va fortissimo, una sorpresa oppure un gruppo molto forte?

Sì, la squadra sta andando molto forte, è fantastico. Spinge tutti verso l’alto, spero che ci ritroveremo anche nel WorldTour, ma non ho dubbi al riguardo.

Parteciperai al Giro d’Italia o al Tour de l’Avenir?

Non lo so ancora, ma normalmente sarà uno dei due. Non entrambi, perché potrebbe essere un po’ troppo al primo anno da U23, stiamo facendo le cose con calma.

Stavolta Thibaut non stecca. E con lui fa festa anche Bardet

22.04.2022
6 min
Salva

Incredibile. Neanche il tempo di mettere l’articolo online che Thibaut Pinot era già fuga. E finalmente stavolta ce l’ha fatta. Stavolta ha voltato pagina. Stavolta sull’arrivo ci è un arrivato con la testa alta. E il sorriso. Basta confrontare le due foto di apertura dei due articoli.

Ma anche stavolta ad un certo punto i nuvoloni si sono fatti scuri per Thibaut. Il cielo si è fatto buio in discesa. Due volte. Nella prima, David De La Cruz lo ha staccato, nella seconda lo ha riacciuffato.

Ma quando uno scalatore stacca tutti in salita le sue energie si moltiplicano. Il suo scopo lo ha raggiunto e di colpo i dubbi diventano certezze. Il finale, che sulla carta, era più adatto al corridore spagnolo, Thibaut se lo è mangiato. Ha vinto “per distacco”.

«La seconda piazza di ieri – ha detto Pinot – mi ha dato fiducia».

Super Thibaut e Groupama-Fdj

Gioia dunque in casa Groupama-Fdj. Non solo per Thibaut. Una gioia nata dalle lacrime di ieri e da tanti piazzamenti colti in stagione. Però le cose stanno girando all’interno del gruppo di Marc Madiot. Guardiamo anche come vanno i suoi ragazzi della continental.

«In squadra – racconta Matteo Badilatti gregario doc della Groupama-Fdj – c’è un bel clima. Questa vittoria non è nata ieri sera a tavola dopo la sconfitta di Pinot, ma è frutto della buona atmosfera che si respira in squadra.

«Siamo uniti, lavoriamo sodo e prima o poi le cose vanno nella maniera giusta. Anche ieri sera Thibaut è stato positivo. Lui è un grande campione, una persona incredibile e sa fare bene in ogni occasione. Lui dà il massimo sempre, ci sprona ed è motivo di orgoglio anche per noi.

«Se sapevamo che Thibaut sarebbe andato subito in fuga? Beh – sorride Badilatti – la tappa oggi era difficile e quindi meglio stare davanti no? E poi con il gruppo che ha lasciato fare era perfetto per noi».

Intanto il diesse Thierry Bricaud si complimenta con Badilatti, arrivato quando Michael Storer è giusto sul podio. Gli dice come è andata. E aggiunge: «Non male, no!». Poi lo abbraccia.

Eh sì, perché la Groupama-Fdj è salita sul gradino più alto del podio anche come team.

«Oggi abbiamo ottenuto una bella prestazione di squadra – conclude Badilatti – e c’è soddisfazione. E’ stata una giornata positiva. Finalmente le cose iniziano ad andare bene. C’è motivazione. Adesso possiamo guardare in modo positivo alle prossime gare. Il segreto di questa Groupama? Lavorare!».

Bardet, re del Tour of the Alps

Da un clima di gioia all’altro. La Francia oggi fa festa. Tra i giornalisti dietro l’arrivo c’è chi azzarda una battuta: «Bardet brinda col Pinot!». Ci sta…

Romain, e ve lo avevamo raccontato giusto un paio di giorni fa, stava bene. Quello sguardo da furbetto ce lo aveva anche oggi. Ancora dopo il traguardo. Ha una grinta pazzesca. Una grinta che non gli si vedeva da tempo.

Anche per lui vale il discorso fatto con Pinot: quando lo scalatore sente le sensazioni positive in salita diventa una “macchina da guerra”.

Sullo Stronach, 3,1 chilometri durissimi, ha demolito anche psicologicamente Pello Bilbao. Ha fatto il forcing per tutta la salita. Prima con l’aiuto di Thymen Arensman e poi da solo. A mano a mano tutti si sono staccati. Tutti tranne appunto Storer e il suo giovane compagno.

Alla fine se questa è la squadra che davvero vedremo al Giro, ci sarà da stare attenti anche a loro. Arensman una volta in pianura ha fatto un lavoro eccezionale. E già prima dell’arrivo festeggiava con le braccia al cielo, forte del conoscere i distacchi per radio.

«Pensavo solo alla classifica finale – ha detto Bardet – anche perché Pello ha forato tre volte e tre volte ci siamo fermati ad attenderlo. Per questo la fuga, con Thibaut e David, ha preso così tanto margine. 

«Adesso pensiamo al Giro, ma senza pressione. Anche qui abbiamo ragionato giorno per giorno. E poi man mano è aumentata la sicurezza e stamattina abbiamo detto semplicemente: proviamoci».

Un Bardet così non si vedeva da un po’

«Nessun segreto. Lavoro diversamente: più corse, meno pressioni da parte della squadra, c’è un bell’ambiente e riesco ad esprimermi come voglio».

Anche nel Team Dsm c’è gioia. E’ incredibile vedere come i ragazzi si abbraccino e si cerchino dopo l’arrivo. E con loro i massaggiatori, i diesse. Davvero: il ciclismo è uno sport di squadra.

Bilbao, pressione o lividi?

E si abbracciano anche in casa Bahrain Victorious. Franco Pellizotti si congratula con tutti i suoi ragazzi che tornano al bus alla spicciolata. Loro non gioiscono però. Hanno perso un Tour of the Alps dominato dalla prima alla penultima salita. 

«Sapevamo – spiega Pellizotti – che ci saremmo giocati tutto sull’ultima salita che era davvero dura. Bilbao non lo ha battuto un corridore qualunque. Tra l’altro un corridore che si sta ritrovando e mi sembra anche bene. Ho anche corso con lui, me lo ricordo da giovane ed era un bravo ragazzo in gruppo. Sono contento per lui».

«Cosa ci è mancato? Nulla, come detto c’è chi è andato più forte di noi. Sì, ieri sera Pello lamentava qualche dolore per la caduta. Mi ha detto che oggi aveva tanto freddo, tanto è vero che non si è mai tolto la mantellina. Ma non regge. E non regge neanche il discorso del rischiare il giusto (pensando al Giro, ndr). C’è chi è andato più forte. Punto».

A nostro avviso, il basco ha pagato molto la pressione. E’ vero che non si può giudicare dalle immagini in tv, però prima della salita finale sembrava molto teso. E anche stamattina, prima del via, era un po’ sulle sue. 

«Mah, pressione – conclude Pellizotti – sapete alla fine è la prima volta credo che si giocava una corsa a tappe. E credo che sia una step importante per la sua crescita e per il resto della sua carriera».