Conoscete Madouas? Proviamo a scoprirlo insieme

03.02.2024
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Valentin Madouas si rifugia spesso nella mente. Il campione di Francia, 27 anni, che ha sempre corso con la Groupama-Fdj e ha il contratto fino al 2026, è un tipo interessante da ascoltare, forse perché esce dagli schemi più convenzionali. E anche se nel 2023 ha vinto “solo” due corse, non sfuggono negli anni scorsi il terzo posto al Fiandre del 2022 e il quinto nell’ultima Liegi.

«Un anno fa – ha raccontato di recente – ho iniziato l’ipnosi. Non ho bisogno di qualcuno con cui parlare, di uno psicologo. Voglio lavorare sull’inconscio, cercare nella mente cose che mi aiutino ad essere ancora più forte. Sappiamo davvero poco del cervello. Ho anche iniziato a fare l’agopuntura per recuperare. E’ un momento in cui mi prendo una pausa, in cui mi riposo per un’ora. Sto esplorando tante piccole cose che potrebbero portarmi a nuovi traguardi».

Valentin Madouas è nato a Brest il 12 luglio 1996. Pro’ dal 2018, è alto 1,79 per 71 chili
Valentin Madouas è nato a Brest il 12 luglio 1996. Pro’ dal 2018, è alto 1,79 per 71 chili

Approccio scientifico

Madouas è un ingegnere e come un ingegnere ragiona. L’istinto appartiene alla corsa, ma anche durante la gara traspare dal ragionamento la voglia di controllare il mondo intorno a sé. Questo potrebbe essere un limite, ma è anche il solo modo che per ora conosce di essere pronto a tutto, in un ciclismo di attaccanti feroci e imprevedibili. Quante variabili puoi controllare?

«Visualizzo le situazioni – spiega – lavoro molto sulla preparazione mentale. Quando vado a una corsa, immagino 10-15 scenari: come andrà, i corridori che affronterò. Cerco di farlo per quante più gare possibile, ma è molto difficile e soprattutto ci sono cose che non possiamo controllare. Questo è il modo in cui lavoro. Nel 2023 ha dato i suoi frutti, ma sono venuti anche perché nel frattempo è arrivata la maturità fisica e mentale. Ora che sono riuscito a dimostrare a me stesso certe cose, posso lavorare per farle di nuovo e più spesso ».

Podio al Fiandre: nel 2022 Madouas si piazza terzo dietro Van der Poel e Van Baarle
Podio al Fiandre: nel 2022 Madouas si piazza terzo dietro Van der POel e Van Baarle

Tricolore e Plouay

I risultati cui si riferisce sono la vittoria di Plouay, prima gara WorldTour (in apertura commosso dopo l’arrivo), e il campionato nazionale. Aveva conquistato il tricolore anche da U23 e continuava a dire che lo avrebbe colto anche da professionista, pur non sapendo quando e come.

«Sono stato costante per tutta la stagione – racconta – dalle Strade Bianche a Montreal (rispettivamente 2° e 4°, ndr). Inoltre, con il campionato francese e la Bretagne Classic, ho raggiunto due importanti obiettivi professionali. Avrei potuto vincere di più, ma le circostanze lo hanno impedito. Sapere di essere competitivo nelle classiche WorldTour mi permetterà di lottare a un livello più alto. Non vengo dal nulla, sono sempre stato presente. Sfidare certe corazzate nelle gare Monumento non sarà facile, ma il quinto posto di Kung alla Roubaix fa pensare che sia possibile. La squadra è forte, sta a me e Stefan darle la spinta, perché diventi più omogenea e abbia il coraggio di provare azioni per vincere».

E’ il 25 giugno, quando a Cassel Madouas conquista il campionato francese (foto Florent Debruyne)
E’ il 25 giugno, quando a Cassel Madouas conquista il campionato francese (foto Florent Debruyne)

La ricerca del limite

La solidità arriva con il lavoro e da quest’anno la sensazione è che tutti gli atleti della squadra francese abbiano aumentato qualità e quantità. Lo diceva Germani nel ritiro di dicembre e lo ribadisce Madouas.

«Penso di avere ancora molto da esplorare – dice – e su cui lavorare. Per me il ciclismo è uno sport in cui ti reinventi costantemente. Si fa il punto su cosa ha funzionato e poi si prova a sviluppare cose nuove per fare un passo avanti e uscire dalla routine. Non c’è niente di peggio che rinchiudersi in schemi sempre identici. Non conosco i miei limiti e ho raggiunto un’età in cui voglio conoscerli, siano essi mentali o fisici. Ho bisogno di lavorare molto, ma non avevo mai fatto un volume del genere in questo periodo dell’anno. Abbiamo aumentato tutto in modo omogeneo. Invece di tre sessioni di intensità, adesso ne faccio quattro di due minuti anziché di un minuto e mezzo. Sto lavorando di più dietro scooter e alla fine dell’anno avrò complessivamente 32-34.000 chilometri, anziché i 28 -29.000 dello scorso anno».

La vittoria di Plouay ha confermato a Madouas di avere il livello per vincere nel WorldTour
La vittoria di Plouay ha confermato a Madouas di avere il livello per vincere nel WorldTour

Vincere il Fiandre

Resta da inquadrare il suo ruolo di leader, nella squadra che ha perso Pinot e Demare ed è agitata dall’esuberanza di ragazzini come Gregoire e Martinez. E intanto, sapendo che si diventa capitani anche per i risultati, ribadisce che i sogni della sua primavera sono due: la Strade Bianche e il Fiandre, per il quale ha già pronta la tattica.

«Devo vincere – dice – ma anche unire i compagni e lo staff intorno a me e questa è la sfida più grande. Ringraziare, essere rispettosi, onesti e spontanei sono le qualità basilari. Thibaut era in grado di dire quando il lavoro era stato fatto bene oppure no e spiegava il perché. Ora che stanno arrivando i risultati penso di avere la credibilità per farlo anche io. Se poi vincessi il Fiandre…

«Ho immaginato due scenari. Il primo – ha detto a L’Equipe – è un attacco prima del Vecchio Qwaremont all’ultimo giro: lo prendo davanti, gli altri fanno il forcing, si avvicinano e poi si spengono. Io davanti gestisco il mio ritmo e mantengo 20-30 secondi al traguardo. Il secondo è che non riescono a staccarmi in salita e attacco negli ultimi 2 chilometri, quando sento che cominciano a guardarsi per lo sprint. Nessuno mi segue e vinco così. In entrambi i casi immagino Kung lì con me e ci daremo reciproca copertura. Saremo insieme nel finale e vinceremo insieme. Lui per aiutare me, io per aiutare lui».

Martinez, il messaggio di Pinot e la lezione della Vuelta

01.02.2024
5 min
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Nella Groupama-FDJ che nell’ultima stagione ha perso con Demare e Pinot le colonne di una vita, forse pochi si aspettavano che Lenny Martinez potesse sbocciare così presto e così bene. Lo scalatore francese, che nel 2021 si era presentato al pubblico italiano vincendo il Giro della Lunigiana, negli stessi giorni della corsa ligure ha sfiorato una tappa alla Vuelta Espana conquistando la maglia di leader, a capo di una stagione davvero positiva, consacrata con la vittoria nella CIC Mont Ventoux (foto di apertura).

Martinez faceva parte della stessa infornata U23 di Gregoire e Germani, Watson e il Pithie che ha appena vinto la Cadel Evans Great Ocean Road Race. La sua stagione inizierà il 16 febbraio nella Classic Var e poi proseguirà con il Tour des Alpes Maritimes, prima del Gran Camino e il Catalunya. Approfittando del secondo ritiro spagnolo della squadra, abbiamo cercato di capire che cosa gli passi per la testa alla vigilia del secondo anno nel WorldTour.

Lenny Martinez è nato a Cannes l’11 luglio del 2003 . Suo padre è Miguel Martinez, olimpionico di MTB
Lenny Martinez è nato a Cannes l’11 luglio del 2003 . Suo padre è Miguel Martinez, olimpionico di MTB
Ma prima facciamo un passo indietro: ti aspettavi una stagione così buona per il primo anno?

No, non mi aspettavo necessariamente una stagione così bella (sorride, ndr). Mi ero detto che per essere bella, mi sarebbe bastata una stagione regolare, ma non mi aspettavo molto perché nel primo anno non si sa mai. Il livello è piuttosto alto, ma col passare dei chilometri, correndo nel mio solito modo, ho visto che le cose funzionavano.

Sei rimasto più impressionato dalla vittoria al Ventoux o dalla prima settimana alla Vuelta?

Col senno di poi, direi la prima settimana della Vuelta. Tuttavia a livello emotivo mi è piaciuta di più la vittoria, perché era una vittoria. E’ arrivata forse inaspettata, eppure quei pochi secondi sul Ventoux sono stati un momento molto forte che resta nella memoria.

Che cosa ha rappresentato per te la partecipazione al primo grande Giro?

Molta esperienza, la possibilità di crescere. E’ stato davvero bello vedere come abbiamo lavorato per preparare la Vuelta e ora non vedo l’ora di rifarlo e provare semplicemente a fare meglio. Perché adesso so cosa aspettarmi da quelle tre settimane.

Martinez è professionista dal 2023. E’ stato leader della Vuelta per due tappe. E’ alto 1,68 e pesa 52 chili
Martinez è professionista dal 2023. E’ stato leader della Vuelta per due tappe. E’ alto 1,68 e pesa 52 chili
Alla partenza della Vuelta sei arrivato con dubbi o certezze?

Non necessariamente dubbi e neppure certezze, mi dicevo che sarebbe stato bello anche solo finirla. Avevo in testa che sarebbe stato bello arrivare a Madrid e se poi fosse venuto qualche risultato, sarebbe stato fantastico. Alla fine è andata proprio così, ma non sarebbe sato un problema portarla a termine senza risultati, perché in ogni caso avrei imparato qualcosa.

Che cosa ricordi del giorno dell’Osservatorio Astrofisico de Javalambre, in cui sei arrivato secondo prendendo la maglia di leader?

Ricordo che è stata una giornata molto dura, soprattutto questo. Ho avuto il supporto dei miei compagni sin dalla partenza, senza di loro non avrei potuto prendere la maglia rossa. L’ultima salita è stata molto dura, si andava un po’ troppo forte per me. Ma alla fine non sono arrivato troppo lontano da Kuss (il distacco al traguardo è stato di 26”, ndr) e la sera ero contento.

Puoi descriverci in che modo si manifestava la stanchezza con il passare dei giorni?

C’è stanchezza mentale. Preferisci restare a letto e dopo un po’ preferisci riposarti piuttosto che andare a correre. C’è anche l’affaticamento muscolare. Te ne accorgi quando la tappa parte molto forte e tu non sei pronto, senti le gambe gonfie e un po’ rotte. Di solito inizia a migliorare dopo la prima ora e mezza e in certi giorni per arrivare alla fine della tappa devi essere davvero bravo. Ma anche le partenze sono faticose…

Nel 2022 Martinez ha vinto due tappe alla Ronde de l’Isard, dopo il Val d’Aosta (foto Richard Corentin)
Nel 2022 Martinez ha vinto due tappe alla Ronde de l’Isard, dopo il Val d’Aosta (foto Richard Corentin)
Tutto questo ti ha permesso di conoscere meglio te stesso e le tue capacità di recuperare?

Ho imparato qualcosa su tutto questo. Ho imparato anche a non mollare. All’inizio stavo bene, poi sono caduto, mi sono ammalato e alla fine sono riuscito a ritrovare le forze e delle buone sensazioni. Ho imparato che in un grande Giro un giorno puoi stare malissimo e il giorno dopo invece vincere. Quindi devi sempre credere in te stesso, devi imparare a gestire questi giorni. Devi imparare a gestire tutte le giornate.

Ti aspettavi che il gruppo Continental andasse così bene nel suo primo anno di WorldTour?

No, non necessariamente. Pensavo che avremmo fatto bene, con l’obiettivo di imparare e alla fine oltre a questo, sono arrivati i risultati. Diciamo che è andata bene.

A fine carriera, Pinot ha detto ai suoi compagni di prendersi cura della squadra. Cosa pensi che volesse dire?

Thibaut ha fatto crescere molto la squadra. Noi siamo i suoi successori e dobbiamo prenderci cura della squadra e continuare a farla crescere come ha fatto lui. Ma non è una cosa semplice, può voler dire tutto e niente. Tirare su la squadra significa assicurarsi che stia progredendo, vincere le gare, fare in modo che la squadra sia la migliore che può essere.

Lombardia 2023, l’ultima corsa di Pinot, che ha lasciato un’importante eredità (foto nicolas_le_goat / lequipe)
Lombardia 2023, l’ultima corsa di Pinot, che ha lasciato un’importante eredità (foto nicolas_le_goat / lequipe)
Che differenza vedi tra la preparazione dello scorso inverno e quella di quest’inverno?

Nessuna differenza perché quest’inverno mi sono allenato esattamente come l’inverno scorso, in termini di ore e tutto il resto. Quindi ho semplicemente aggiunto un po’ di corsa a piedi, un po’ di lavoro in palestra sollevando pesi. Ma a parte quello, in bici non avevo ancora aumentato i volumi. Questo ritiro sta dando ottimi frutti, stiamo vivendo delle settimane fantastiche e proprio qui ho iniziato ad aumentare i carichi di allenamento.

Stai lavorando su un punto particolare?

Soprattutto sullo sprint. Gli scatti. I lavori brevi. Lavoro un po’ su tutto per diventare un corridore completo. Dopo il primo anno WorldTour ho capito che non potrò mai vincere uno sprint di gruppo, ma so che posso fare bene su salite da 10 minuti e anche da un’ora. Per questo penso di essere uno scalatore. Le salite mi stanno bene tutte. Quelle lunghe e anche quelle più corte.

Secondo anno in vista, Germani cambia ritmo e ambizioni

28.12.2023
6 min
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CALPE (Spagna) – Quando nel corso della scorribanda spagnola siamo entrati nell’hotel in cui alloggia anche la Groupama-FDJ in coabitazione con il Movistar Team e la Total Energies, l’incontro con Lorenzo Germani era in cima alla lista degli appuntamenti. Il ciociaro è l’ultimo italiano rimasto nella squadra di Madiot ed è uno di quelli da cui ci si aspetta un segnale.

Con 22 anni a marzo, Germani si accinge a vivere il secondo anno nel WorldTour e nello scriverne ci rendiamo conto di essere vittime della nevrosi per cui si vorrebbe tutto e subito. Probabilmente accade perché i suoi amici della continental, da Martinez a Gregoire, sono passati ugualmente lo scorso anno e si sono già fatti vedere in modo importante. La realtà è che la squadra francese è nel pieno di una metamrofosi. Pinot ha smesso e Demare è passato alla Arkea-Samsic e così in pochi mesi il gruppo ha cambiato faccia.

Al via del Romandia, Germani ai primi passi nel WorldTour, Pinot ormai sulla porta del ritiro
Al via del Romandia, Germani ai primi passi nel WorldTour, Pinot ormai sulla porta del ritiro

Il discorso di Madiot

Germani lo troviamo in un divano nella hall da cui si vede la spiaggia di Calpe in pieno sole. Il ritiro è agli sgoccioli, la testa è già alle Feste e poi all’inizio della stagione. La squadra ha da poco fatto le foto ufficiali con le nuove bici Wilier Triestina, che però non si possono ancora mostrare. Germani dice che sono molto veloci, sia quella da strada sia quella da crono. Per il montaggio hanno mantenuto Shimano, come prima con le Lapierre. Il ritiro di Pinot ha lasciato un bel vuoto di carisma, come si riparte?

«Marc Madiot – attacca Germani – ci ha fatto uno dei suoi discorsi di inizio, prendendo l’ultima frase detta da Pinot alla squadra prima di andarsene: “Prendetevi cura della squadra”. Quindi ha detto che per tutti noi, che nel 2023 eravamo la nouvelle vague, il 2024 sarà un nuovo inizio. C’è stato un bel cambiamento anche all’interno dello staff, alcuni sono andati in pensione e sono arrivati dei nuovi. Marc resta comunque molto ambizioso, sono arrivate nuove figure nel campo della performance perché possiamo avere sempre qualcosa di più. Quindi ha concluso che non dobbiamo sentirci spaesati perché certi personaggi se ne sono andati. Mancheranno, ma abbiamo l’organizzazione per non farli rimpiangere».

Al posto di Yvon Madiot andato in pensione, Mauduit (qui con Gaudu) è capo della Direzione Corsa (foto Groupama-FDJ)
Al posto di Yvon Madiot andato in pensione, Mauduit (qui con Gaudu) è capo della Direzione Corsa (foto Groupama-FDJ)
E sarà davvero così?

Di sicuro sarà difficile non sentirne la mancanza. Penso sul piano dei punti, visto che Thibaut e Demare ne facevano tantissimi. Quest’anno toccherà a noi, a Gregoire e Martinez, che hanno la mia età. Insomma, il tempo dell’apprendistato sta per terminare e bisogna cominciare a portare dei frutti. Ora la squadra è nelle mani di Kung, Gaudu, Madouas e di certo Gregoire e Lenny Martinez, che ha fatto una stagione incredibile. Poi immagino una seconda linea con Rudy Molard e Geniets e Pacher.

E Germani?

Germani farà un calendario molto più WorldTour di quello che ha già fatto e che è stato ugualmente importante. La squadra ha fiducia in me, vedono che lavoro bene e faccio quel che devo. Prima del 10 gennaio non possiamo dare i dettagli, ma farò un calendario molto italiano, quindi è abbastanza prevedibile che sarò a Laigueglia, poi Strade Bianche, Tirreno, Sanremo e Giro d’Italia. In avvio si sta ragionando sul Provence e Drome Ardeche.

A che punto sei della tua crescita?

Dopo la Vuelta, mi sento più forte fisicamente e con più esperienza. Per conferma, aspetto di vedere le prime gare e come reagisce il fisico. La preparazione è cambiata perché non farò l’Australia. Quindi dato che inizio a metà febbraio, ho affrontato una ripresa più light. Per il resto sarà tutto uguale, a partire da quando si inizieranno a fare l’intensità e i vari lavori. Posso dire che ho chiesto di lavorare di più. Va bene crescere per gradi e il fatto che siamo giovani, però voglio anche spingere il limite un po’ più avanti. Perciò ho chiesto di aumentare l’intensità, le ripetizioni e le ore.

Da quando ha chiesto di allenarsi di più, Germani torna spesso a casa spossato… (foto Instagram)
Da quando ha chiesto di allenarsi di più, Germani torna spesso a casa spossato… (foto Instagram)
Vedere Martinez e Gregoire già a un livello così alto è un pungolo?

Dal momento che la squadra va bene, lo stimolo a lavorare meglio viene da sé. Il fatto di essere cresciuti ciclisticamente insieme, mi spinge a cercare di restare con loro, diciamo così.

Sembri sempre molto posato ed educato, anche se chi ti conosce meglio dice che in corsa sei una iena. Chi ha ragione?

Sono calmo, ma in realtà non sono calmo (sorride, ndr). Sapeste tutto quello che mi gira per la testa… A volte non parlo e mi tengo tutto dentro, ma in corsa è diverso. Metto i paraocchi come i cavalli da corsa, guardo solo la linea che c’è davanti e faccio il massimo. I timori reverenziali li ho avuto in parte il primo anno, poi ho concluso che sono un corridore come gli altri. Ho un contratto come pure Van der Poel. Lui prende milioni e io prendo migliaia, ma questo è un altro discorso. I timori reverenziali non te li puoi permettere, perché alla fine siamo tutti sulla stessa strada e su una bicicletta. Non è scritto da nessuna parte che uno ha dei privilegi, in corsa siamo tutti corridori.

Quindi riparti più cattivo?

Già prima della Vuelta avevamo parlato del non avere paura e di non porci limiti. Così ho fatto e la Vuelta è andata bene. Soprattutto noi giovani abbiamo corso con lo stesso piglio che avevamo messo in luce nella continental. Senza paura. Forse è vero che un grande Giro ti cambia il motore, perché sento di avere più forza e più resistenza. Magari a livello di picco non sarò cresciuto in egual misura, ma mi sento più solido.

La Vuelta è stata il primo Giro di Germani e l’ha corsa in modo sbarazzino. Qui in fuga verso l’Angliru
La Vuelta è stata il primo Giro di Germani e l’ha corsa in modo sbarazzino. Qui in fuga verso l’Angliru
Quando hai chiesto di lavorare di più, la squadra come l’ha presa?

Ne ho parlato con l’allenatore. Lui sa che non sono mai rientrato a casa da un allenamento davvero morto, quindi è stato d’accordo purché si aumenti nel modo giusto. Il desiderio sarebbe quello di ricominciare ad alzare le braccia al cielo, ma visto il calendario che faccio, sarà difficile. Io voglio continuare a progredire e crescere, poi per vincere c’è tempo. Però a fine 2024 mi scade il contratto, per cui non mi dispiacerebbe dare un segnale.

In nazionale eri sempre assieme a Milesi e Garofoli. Uno ha vinto il mondiale crono, l’altro ha avuto sfortuna, ma ha detto che accetterebbe la convocazione per mondiale U23 e per Tour de l’Avenir. Tu cosa ne pensi?

Assolutamente no. Dal momento in cui ho fatto la Vuelta, ho deciso che non avrei accettato più la chiamata di Amadori, per rispetto dei veri under 23. Se mi avessero chiesto di scegliere tra Vuelta e Avenir, ovvio che avrei scelto la Vuelta. In generale penso che bisognerebbe fare quello che ci fa crescere, non quello che ci fa vincere soltanto perché siamo andati correre con ragazzi di livello inferiore.

Pensi che vinceresti facilmente il mondiale U23?

Non ho detto questo, solo che non mi apporterebbe nulla a livello di crescita. E’ vero che non preparo una corsa per vincerla da due anni, ma credo che i veri U23 abbiano diritto a giocarsi la sola loro corsa che ha la televisione per tutto il giorno. Quelle che faccio io hanno sempre la diretta. Io almeno la penso così. Però (ghigna, ndr) ero certo che Gianmarco avrebbe risposto così.

Il giorno in cui Pinot ha detto addio al Tour

29.07.2023
6 min
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Chi lo conosce meglio è certo che l’abbia fatto apposta. Thibaut Pinot in fuga nella tappa di Le Markstein vuole vincere, ma soprattutto passare in testa davanti al punto del Petit Ballon in cui si sono raccolti i suoi tifosi. Le “Virage Pinot”, la curva Pinot. Un’atmosfera da stadio, nel palcoscenico della montagna. Tremila persone lungo 500 metri di una strada larga due metri e mezzo. Solo per lui. Il suo nome scritto in tutte le salse, interpretato, storpiato, reso simpatico.

L’amico Vichot

Fra loro c’è anche Arthur Vichot, professionista fino al 2020, due volte campione nazionale e per nove stagioni compagno di squadra di Thibaut.

«Quando sei corridore e lo vivi dall’interno – dice – non ti rendi conto dell’emozione che questo ragazzo riesce a trasmettere alle persone. Ma dall’esterno basta guardarsi intorno per capire quanto sia fantastico. Sono passati due anni e mezzo da quando ho smesso, ma già quando non correvo più con lui (Vichot ha corso le ultime due stagioni alla B&B Hotels, ndr) mi sono reso davvero conto di quanto significhi per le persone. Thibaut è un’icona generazionale nel ciclismo e lo sta dimostrando come mai prima d’ora».

In fuga solitaria sul Petit Ballon, la salita di casa. Pinot ha salutato così i suoi tifosi di una vita
In fuga solitaria sul Petit Ballon, la salita di casa. Pinot ha salutato così i suoi tifosi di una vita

Il giorno più bello

Thibaut sa che sono tutti lì e sotto quella scorza dura e irsuta ha già deciso da un pezzo che non può andarsene dal Tour de France senza averli salutati. Anche la gente del Giro gli ha voluto bene, in qualche misura è uno di noi. Ma oggi è un giorno ben più speciale. I corridori lo sanno e lo sentono. E anche se a volte sembrano vivere in un mondo tutto loro, hanno bisogno dell’abbraccio di folla per poggiarci sopra i loro sogni. Per questo attacca. Forse in cuor suo sa che non andrà al traguardo, ha capito che Pogacar vuole vincere quell’ultima tappa e non farà alcuno sconto.

La corsa è tutta lì, in quell’attesa. I cellulari diffondono le immagini: sanno che sta arrivando. La giornata è perfetta per correre e per aspettarli e a un certo punto il tam tam fra tifosi dalle curve più in basso anticipa il suo arrivo. E lui passa, un po’ ingobbito e un po’ saltellando sui pedali, come cento volte nelle sue giornate di allenamento nel silenzio di una montagna che ora invece brulica di suoni, voci, occhi e sentimenti.

Nel suo essere a volte burbero, Pinot ripenserà a questo giorno come a uno dei più belli della sua carriera, anche più delle vittorie, che non sono state poche né banali.

Settimo all’arrivo a 33″ da Pogacar: «Non ho vinto, ma forse queste emozioni valgono di più» (foto Groupama-FDJ)
Settimo all’arrivo a 33″ da Pogacar: «Non ho vinto, ma forse queste emozioni valgono di più» (foto Groupama-FDJ)

Come Bugno

Quando passa, il mare si apre. Thibaut si guarda intorno, ma resta concentrato. Passa da campione, non da ex corridore, anche se alle sue spalle Vingegaard, Pogacar e Gall si fanno ora minacciosi. Sanno tutti che sarà ripreso per l’ennesima volta, ma in fondo non importa per un corridore che per loro è sempre stato un simbolo di autenticità ed emozioni vere. E’ in piccolo la storia di quel genio malinconico di Gianni Bugno, amato più per le sconfitte che per le grandi vittorie. E anche questa volta Pinot ha fatto la sua parte: il risultato non conta. Il risultato dirà che Pogacar ha vinto l’ultima tappa di montagna del Tour, il campione della Groupama-FDJ arriva settimo a soli 33 secondi. Non come un ex corridore, ma da vero combattente.

«Ho vissuto emozioni incredibili – racconta – con i brividi per tutta la tappa. Le emozioni di un successo rimangono speciali, ma qui siamo andati oltre lo sport. Significa che lascio una traccia nel cuore delle persone ed è quasi più bello di una vittoria. Il mio pubblico, la mia regione, il mio palcoscenico era questo. Questa è stata la mia giornata e queste saranno le mie ultime immagini del Tour».

Le sue parole dopo l’arrivo erano piene di emozione (foto Groupama-FDJ)
Le sue parole dopo l’arrivo erano piene di emozione (foto Groupama-FDJ)

Cose da film

Gli raccontano che tra il pubblico c’era anche Vichot e lui si volta e sorride, in questo giorno che sa di addio e a suo modo di nuova rinascita.

«Non ho visto Arthur – dice e ride – ma deve avermi mandato una trentina di video! Ho superato quella curva da solo ed è stato pazzesco. Sono riuscito a scambiare qualche occhiata con la mia famiglia, ma c’erano così tante persone che faccio fatica a rendermi conto che tutto questo era per me. Non credevo che sarei passato da quelle parti da solo, così quando me ne sono reso conto, mi sono chiesto se fosse vero o no. Sarebbe stato bello chiudere la giornata con una vittoria, ma certe cose succedono solo nei film. Ovviamente ci credevo, ma ho faticato a trovare il giusto ritmo ai piedi del Platzerwasel. Con un po’ più di freschezza, avrei potuto farcela».

All’arrivo di Le Markstein, dove ha ottenuto il 7° posto, per Pinot anche il premio per la combattività
All’arrivo di Le Markstein, dove ha ottenuto il 7° posto, per Pinot anche il premio per la combattività

Emozione Madiot

Sul traguardo di Le Markstein, con gli occhi gonfi e quella faccia da schiaffi che non vuole darti mai soddisfazione, Marc Madiot questa volta fa fatica a dissimulare l’emozione (nella foto Groupama-FDJ di apertura, la sua commozione è palpabile). Quando ci abbiamo parlato durante il secondo riposo, scherzando ha detto che il suo giorno critico sarà l’addio dopo il Lombardia – l’ultima corsa di Pinot – ma questa volta pensiamo che abbia decisamente sbagliato la previsione.

«Gli elenchi delle vittorie – dice il francese – sono righe su un pezzo di carta. Thibaut ci lascia qualcos’altro. La sua è una storia lunga. Mi sbagliavo a pensare che avrei accusato questo colpo al Lombardia, è stato molto peggio qui. Faceva davvero caldo, proprio non riuscivo a stare fermo su quel sedile».

Giro-Tour, accoppiata per pochi. Parla Julien Pinot

18.06.2023
6 min
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Tra Giro d’Italia e Tour de France: il tema non si esaurisce mai. Cambiano tempi ed interpreti, ma questo mese o poco più tra le due grandi corse resta affascinante. Come si scarica, come ci si allena, cosa si fa. Ne parliamo con Julien Pinot, fratello di Thibaut e coach dello stesso atleta alla Groupama-Fdj, tra l’altro maglia blu all’ultimo Giro.

Ormai questa accoppiata è sempre più per pochi eletti. Ad oggi, sono circa una dozzina i corridori che faranno i due grandi Giri e di questi solo cinque hanno concluso la corsa rosa: Cavendish, Barguil, Kuss, Leknessund e appunto Thibaut Pinot. Eccoci dunque ad analizzare questo aspetto sempre più delicato con coach, Julien.

Julien e Thibaut Pinot (al centro della foto) sono stati autori di un buon Giro rispettivamente da coach e atleta
Julien e Thibaut Pinot (al centro della foto) sono stati autori di un buon Giro rispettivamente da coach e atleta
Julien, sono sempre meno i corridori che fanno entrambi i due grandi Giri e tra questi non ci sono praticamente più uomini di classifica. Come mai?

Sono sempre meno, vero. Gli ultimi che ci hanno provato veramente sono stati Froome e Dumoulin a mia memoria, che sono arrivati 2° e 3° al Tour dopo il Giro 2018. E’ molto difficile e con il livello che è salito, la complessità di questa sfida è ulteriormente aumentata. E’ già molto complicato dover fare solo la classifica generale in un grande Giro, che in due, e in un periodo così ravvicinato, la percentuale di fallimento diventa elevatissima. E i grandi leader non vogliono correre il rischio.

Il gioco non vale la candela?

E’ più facile fare la sequenza la con Vuelta, anche se è raro che i leader di un Giro riescano ancora a salire sul podio della Vuelta. In passato, lo abbiamo visto fare a Roglic, il quale però l’anno scorso, ha fatto solo metà del Tour. Giro-Tour rimane qualcosa che è davvero molto difficile da gestire. Due picchi di forma con così tante incertezze… Per questo i team e i leader vogliono correre questo rischio molto raramente

Quanto tempo ci serve per recuperare dopo un grande Giro?

Questa è una domanda complicata, soprattutto dopo il Giro che è sempre duro, perché non c’è una sola risposta. E’ del tutto individuale e molto dipende da come finisci il grande Giro. Quest’anno abbiamo visto corridori che sono crollati. Sappiamo che è sempre la terza settimana dove si fanno tutte le differenze: in base a questa si valuta la durata del recupero.

E’ chiaro…

Una fase di “decompressione” c’è sempre ed è anche psicologica. Perché oltre alle tre settimane e mezzo del grande Giro (ormai si parte 4-5 giorni prima, ndr) , prima ci sono 2-3 mesi di concentrazione totale su allenamento, alimentazione, recupero… tutte cose che richiedono molta energia. E quando il grande Giro all’improvviso termina, c’è bisogno di una “decompressione psicologica”. Quindi quanto tempo ci vuole: una settimana, due, tre? E’ davvero una questione multifattoriale.

E’ giusto andare in altura tra i due Giri?

Sì, serve, ma tutto dipende dal tipo di preparazione fatta per il primo grande Giro. Io credo proprio che chi farà i due Giri, nel mezzo farà un richiamo di altura. Anche perché raramente si aggiungono competizioni quando c’è una sequenza come Giro e Tour. Generalmente si compensa con un ciclo di lavoro in ipossia (quindi in altura, ndr).

Dopo quanto tempo si riprende ad allenarsi per bene? E cosa si fa?

Dipende dal recupero. Prima devi assicurarti che il recupero fisico e mentale sia avvenuto e solo da quel momento tornano in ballo i carichi di allenamento. Se tutto va bene servono due settimane post Giro affinché l’atleta si riprenda completamente su entrambi i fronti. Io insisto molto sulla parte psicologica e mentale perché è davvero fondamentale per riuscire nella sequenza dei due Giri. Restano quindi due settimane di lavoro. Ma generalmente con il lavoro che viene svolto per il primo Giro, non c’è bisogno di aggiungere tanti carichi. Neanche per l’intensità. Semmai si cerca di aggiungere un ciclo di lavoro in quota, come detto, per “ricreare passivamente” adattamenti e stimoli fisiologici senza un grande costo fisico.

Per Julien si può anche correre, ma in gare minori. Cavendish per esempio ha preso parte allo ZLM Tour (non duro altimetricamente)
Per Julien si può anche correre, ma in gare minori. Cavendish per esempio ha preso parte allo ZLM Tour (non duro altimetricamente)
E’ utile fare una gara o due prima del Tour? E perché?

Come ho già detto prima, no. C’è il campionato nazionale in questo periodo. E va bene, ma non andrei a mettere anche un Delfinato o uno Svizzera, che sono eventi molto difficili con un livello molto alto. Semmai meglio un Giro di Slovenia o una Route d’Occitaine per ritrovare una certa freschezza.

Riguardo alla nutrizione c’è qualcosa da osservare in particolare in questo mese? Immaginiamo che dopo il Giro qualche corridore abbia ripreso del peso…

Si va sempre nella stessa direzione: nelle due settimane dopo il Giro i corridori dovranno inevitabilmente allentare un po’ la pressione ed è importante non seguire una dieta drastica. Ma in generale non bisogna aumentare molto di peso: un chilo va già bene. E’ importante invece rimettersi in riga nelle due settimane che precedono il Tour.

Thibaut (classe 1990) si è concesso una pizza una volta sceso dal Lussari. Ma in generale pochi sgarri in questo mese
Thibaut (classe 1990) si è concesso una pizza una volta sceso dal Lussari. Ma in generale pochi sgarri in questo mese
E questo mese tra i due Giri per Thibaut?

L’ufficialità che Thibaut vada al Tour ancora non c’è del tutto (ma si sa che Pinot ci sarà, ndr). L’unica cosa certa in squadra è fare la classifica generale con David Gaudu. Thibaut è oggettivamente fuori stagione. Ha dato davvero tutto al Giro d’Italia. Ovviamente, vuole andare al Tour de France: è il suo ultimo anno, vuole divertirsi e aiutare David. Quindi ci siamo comportati come se dovesse andarci.

Dunque come state lavorando?

Completato il recupero post Giro, ora siamo alla terza settimana e qui c’è bisogno di rielaborare un po’ la situazione, di fare alcuni richiami. Allora è importante fare qualche lavoro in montagna. Bisogna pensare che quest’anno sarà particolarmente attesa la seconda metà del Tour de France. Anche se sarà difficile sin dall’inizio con le tappe nei Paesi Baschi e nei Pirenei. Thibaut non ci arriverà al top. Questo lo aiuterà anche a anche a togliere la pressione, dal momento che lui stesso sarà particolarmente atteso nella seconda metà sulle Alpi e sui Vosgi. Quindi il nostro approccio è per essere competitivi per quelle frazioni. E le due settimane che stanno arrivando sono cruciali.

Pinot a Roma, un lungo viaggio iniziato 5 anni fa

30.05.2023
5 min
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ROMA – L’ultimo ricordo era il ritiro del 2018. Froome aveva spiccato il volo sul Colle delle Finestre per scrivere la storia del Giro d’Italia, Pinot arrivò terzo. L’indomani nella tappa di Cervinia sprofondò invece in una terribile disidratazione. Lo caricarono sull’ambulanza e lo ricoverarono all’ospedale di Aosta, con la febbre a 40 e conati di vomito. Il giorno dopo li attendeva l’ultima tappa a Roma, ma il francese rimase in Val d’Aosta. Quell’anno gli riuscì poi di vincere due tappe alla Vuelta, la Milano-Torino e poi anche il Lombardia, ma la ferita del Giro è rimasta aperta. Per questo è tornato nel suo ultimo anno di carriera: voleva chiudere il cerchio.

Finalmente sorridente. Pinot ha concluso il Giro e preso la maglia dei GPM. E’ mancata solo la vittoria di tappa
Finalmente sorridente. Pinot ha concluso il Giro e preso la maglia dei GPM. E’ mancata solo la vittoria di tappa

Ritorno al Giro

Ce lo aveva detto la sera della partenza da Pescara, elencando i quattro obiettivi per cui era tornato in Italia: una tappa, la maglia dei gran premi della montagna, stare bene e finalmente l’arrivo a Roma.

«E’ stato un Giro con tante emozioni – ha raccontato invece domenica ai piedi del podio finale – in cui volevo fare bene. L’ultima immagine che la gente aveva di me al Giro era il mio abbandono il giorno prima di Roma. Questa volta, ho fatto davvero quello che dovevo fare. Sono venuto qui per concludere bene la mia storia con il Giro e l’ho fatto come meglio potevo. Mi è mancata solo una vittoria di tappa, che avrebbe reso perfetto questo Giro, ma sono davvero contento. Volevo solo godermi quello che stavo facendo e penso di esserci riuscito. Mi resta ancora qualche mese per chiudere la mia carriera in bellezza, ma il Giro era uno dei miei obiettivi. E penso di averlo centrato».

Giro 2018, 20ª tappa: Pinot scortato dai compagni arriva a Cervinia disidratato: Finirà all’ospedale
Giro 2018, 20ª tappa: Pinot scortato dai compagni arriva a Cervinia disidratato: Finirà all’ospedale

E’ stato un Giro di grandi gambe per lo scalatore di Melisey, la cittadina di 1.700 abitanti di cui suo padre è ancora sindaco, ma anche di grandi beffe. Il secondo posto dietro Zana a Val di Zoldo, ma soprattutto quello dietro Einer Rubio a Crans Montana hanno un sapore ancora piuttosto forte: soprattutto quest’ultimo, con la stizza nei confronti della condotta di Cepeda che gli ha fatto perdere la ragione e la tappa.

Cosa ricordi di Crans Montana?

Non dovevo andare in fuga quel giorno, ma quando hanno ridotto la tappa a così pochi chilometri, mi sono detto che non potevo stare ad aspettare. Non avevo voglia di restare nel gruppo e avrei provato di tutto.

Che cosa ti dicevi con Cepeda?

Non abbiamo fatto grandi discorsi. Gli ho solo detto che se non avessi vinto io, non avrebbe vinto neanche lui. La sua scusa era quella di difendere la classifica di Hugh Carthy, che per me era del tutto assurdo. E così non ha dato un solo cambio, ma mi ha fregato. Se non ci fossi stato io ad animare la fuga, neppure lui avrebbe potuto giocarsi la tappa. Non riesco ancora a capire come si possa pensare in questo modo.

Crans Montana, Pinot con Cepeda e Rubio. Vincerà il colombiano della Movistar
Crans Montana, Pinot con Cepeda e Rubio. Vincerà il colombiano della Movistar
Purtroppo però hai perso lucidità…

Ho perso le staffe, ero furibondo ed è stato un errore. Davvero facevo fatica a mantenere la calma davanti a quel comportamento. Ho fatto sette scatti, che sono serviti anche a non farci riprendere. Non avevo tempo da perdere, perché ero in classifica e sapevo che la Ineos non mi avrebbe dato molto spazio. Se non ci fossi stato io, la fuga avrebbe preso 10 minuti, quindi toccava a me tenerla viva. Su questo non ci sono stati problemi, ho fatto il mio lavoro.

Quella rabbia almeno è diventata motivazione?

Io voglio correre, non perdere tempo in certe discussioni. Però è vero che è scattato qualcosa che ho portato con me sino alla fine del Giro. Non volevo altri rimpianti.

Volata di Zoldo Alto, Pinot contro Zana. Il francese parte troppo lungo e il tricolore lo infilza
Volata di Zoldo Alto, Pinot contro Zana. Il francese parte troppo lungo e il tricolore lo infilza
Hai dovuto lottare anche con la salute?

Ero sicuro che avrei avuto altre possibilità per provare una tappa, ma nel secondo riposo sono stato male. La pioggia si è fatta sentire, sapevo che mi sarei ammalato e tutto sommato che questo sia accaduto quel giorno mi ha permesso di salvare il Giro. Martedì verso il Bondone ho passato l’inferno, mercoledì mi sentivo meglio e giovedì per Val di Zoldo ero a posto

A posto sì, ma è arrivato un altro secondo posto. Che cosa hai pensato?

Ho messo nei pedali tutto quello che avevo. Ho perso allo sprint, perché l’ho lanciato da troppo lontano. Ha vinto il più forte, io ho avuto una buona giornata, ma non avrei mai creduto di poter essere lì a giocarmi una tappa così dura. Sapevo che il finale era piuttosto piatto. Ho avuto pensieri negativi, ricordando Crans Montana. Se avessi creduto di più in me stesso, forse non avrei sbagliato.

Nono alle Tre Cime di Lavaredo: Pinot arriva appena dietro al gruppetto di Caruso e Almeida
Nono alle Tre Cime di Lavaredo: Pinot arriva appena dietro al gruppetto di Caruso e Almeida
Un altro duro colpo?

Ero deluso. Le opportunità di vincere sono rare e io ne ho perse due, anche se rispetto a Crans Montana mi sono divertito di più e ho meno rimpianti. Se fossi stato davvero il più forte sarei arrivato da solo, Zana ha meritato di vincere.

Per contro, quel giorno è arrivata la maglia dei GPM.

Grazie alla quale sono riuscito a salire sul podio finale del Giro. Non sarà quello della classifica generale, ma è stata comunque una bella immagine che porterò con me. Ho vissuto questo Giro con molto meno stress di qualche anno fa. Me lo sono goduto più di altri grandi Giri, dove avevo la grande pressione per i risultati che alla fine si è sempre ritorta contro. Manca solo la vittoria di tappa, ma questa maglia è il premio per un Giro da attaccante. Quello che volevo. Quello che ancora mi mancava.

La furbizia dei sudamericani. Ugrumov ne sa qualcosa…

27.05.2023
4 min
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Certe volte è meglio perdere per far perdere, che provare a vincere. E’ quello che ha pensato un imbufalito Pinot a Crans Montana, indispettito dall’atteggiamento di Cepeda e alla fine Rubio ha messo tutti d’accordo. Chi ha buona memoria ha assistito a un copione già visto: Val Thorens, Tour de France 1994. Piotr Ugrumov è in fuga con Nelson “Cacaito” Rodriguez, pupillo di Gianni Savio alla ZG Mobili. Il colombiano non tira un metro, Ugrumov s’indispettisce e s’innervosisce, prova a levarselo di dosso, ma il rivale gli resta attaccato e non dà un cambio. Poi, alla fine, uno scattino e la tappa è sua.

Sono passati tanti anni e il lettone, ormai da tempo romagnolo d’adozione, quel fatto lo rivive con distacco, anche se gli è chiaro nella testa ogni metro della scalata. Oggi Ugrumov continua a lavorare con la nazionale messicana, è a San Marino con 8 ragazzi che vivono e si allenano sotto le sue direttive, per poi partire in giro per l’Europa per continuare a imparare: «Ma ora con noi c’è anche un ragazzo locale. Crescono e imparano, pian piano».

Ugrumov con Rodriguez, che lo befferà al traguardo. Ma il lettone si rifarà con due vittorie successive (foto archive le DL)
Ugrumov con Rodriguez, che lo befferà al traguardo. Ma il lettone si rifarà con due vittorie successive (foto archive le DL)
Hai visto quel che è successo a Crans Montana?

A dir la verità no, non ho avuto tempo per vedere questo Giro d’Italia, nel pomeriggio sono sempre impegnato, ma so bene quanto è successo e immaginavo che a qualcuno potesse tornare in mente quella tappa.

I corridori sudamericani sono tutti così?

No, non creiamo stereotipi. E’ che molti cercano di sfruttare la situazione e devi metterlo in conto. Ricordo che Domenico Cavallo, il diesse che era nell’ammiraglia di Rodriguez e oggi purtroppo è scomparso, non faceva che urlargli: «Stai a ruota che ti porta al traguardo…». Io cercavo di mollarlo, ma rimaneva sempre attaccato.

Cepeda al Tour of the Alps: la sua tattica al Giro non ha pagato, ma in salita il talento c’è
Cepeda al Tour of the Alps: la sua tattica al Giro non ha pagato, ma in salita il talento c’è
Te la sei presa?

Lì per lì sì, ma non sono tipo da mettermi a fare discussioni. Ho reagito come dovevo reagire, infatti il giorno dopo me ne sono andato da solo e ho vinto. D’altro canto non ero per nulla veloce, se volevo vincere dovevo arrivare da solo. Ma tornando a quanto detto prima, non tutti i colombiani sono così. Ricordo ad esempio Lucho Herrera, un grande che ho affrontato sia da dilettante che da pro’. Lui non stava a ruota, attaccava e vinceva, uno scalatore con i fiocchi.

Perché però molti seguono quella strada?

Io dico che fa parte della vita, è quello che essa ti insegna. Sanno bene che la montagna non ti regala niente, ci vivono. Imparano ad andare in bici lì. Faticano. Sanno che la stanchezza ti colpisce all’improvviso e quindi devi cercare in tutti i modi di risparmiare energie. E’ un discorso complesso: non tutti riescono ad andare per 5-6 minuti fuori soglia.

Lucho Herrera, primo grande colombiano della storia ciclistica. Vincitore della Vuelta 1987
Lucho Herrera, primo grande colombiano della storia ciclistica. Vincitore della Vuelta 1987
Tu lavori con i messicani: sono diversi?

E’ una cultura diversa che deriva dalla situazione geografica: in Messico c’è sì l’altitudine, ma ci sono molte meno montagne e quindi è difficile trovare grandi scalatori, io ricordo solo Alcala. Sono forti sul passo, hanno un’evoluzione ciclistica più lineare, anche se poi quando arrivano in Europa si trovano in un mondo diverso dal loro. C’è un aspetto dei colombiani che ripensandoci mi colpisce…

Quale?

Tempo fa sono stato al Giro di Colombia e la cosa che mi ha lasciato stupefatto è che gareggiavano anche ragazzini di 16 anni, insieme ai pro’. Lì non ci sono grandi numeri, ma non fanno distinzione fra categorie e sin da giovanissimi si trovano a competere con i più grandi. Poi non hanno i limiti di rapporto che c’erano in Italia fino allo scorso anno. Perdevano magari in agilità, ma ne guadagnavano in forza.

Per Pinot tante polemiche dopo Crans Montana. La sua scelta ha lasciato interdetti
Per Pinot tante polemiche dopo Crans Montana. La sua scelta ha lasciato interdetti
Tornando a quanto successo all’ultimo Giro d’Italia, che ne pensi del comportamento di Pinot?

Mi spiace, ma ha sbagliato. Non è un corridore qualsiasi, è un campione con un grande curriculum, correre così non gli fa onore. Poteva cambiare tattica, poteva giocare di furbizia proprio come fanno i colombiani. Era superiore e lo dice la storia stessa degli ultimi anni. Io non avrei fatto così, Pinot poteva agire diversamente.

Zana infilza Pinot e si regala il giorno più bello della vita

25.05.2023
5 min
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VAL DI ZOLDO – «Oggi dovevo cercare di prendere la fuga – racconta Zana – ma non è che sia così scontato. Ci sono riuscito e le squadre di classifica ci hanno dato spazio, perché non facevamo paura. Così ho cercato di giocarmi le mie carte ed è andata benissimo. E’ un sogno che si realizza e penso anche che sia un punto di partenza. E’ il primo anno che preparo bene il Giro e devo ringraziare la squadra e Marco Pinotti, che mi hanno dato l’opportunità di essere qui e di arrivarci al 100 per cento».

Una vittoria così se la sognava da bambino e forse per questo appena inizia a parlarne, gli si increspa la voce. Adesso di colpo si mettono in fila i ricordi. Quando Amadori lo schierò come leader al Tour de l’Avenir del 2021 e gli mise accanto Marco Frigo, che lo aiutò a conquistare il terzo posto finale. Anche la vittoria 2022 nella Adriatica Ionica Race si trasforma in un piccolo gradino necessario per crescere. Poi il tricolore vinto in volata su Rota e Battistella, con lo stesso gesto delle braccia e i mondiali da riserva. Nulla è mai per caso.

La volata a due con Pinot è stata ben studiata: Zana è partito ai 160 metri e ha rimontato il francese
La volata a due con Pinot è stata ben studiata: Zana è partito ai 160 metri e ha rimontato il francese

Un nuovo Zana

Il Monte Pelmo domina e in qualche modo schiaccia l’arrivo, dando alla scena la maestosità che merita. Lo Zana timido dei primi tempi nella nuova squadra ha ceduto il posto a un atleta sicuro. Lo avevamo già notato stamattina alla partenza da Oderzo. Prima parlandone con Brent Copeland, poi quando gli abbiamo chiesto di fare due chiacchiere e abbiamo notato la cura in ogni cosa. Il body tricolore, la bici tirata a lucido e la gamba piena e tonica in contrasto con il busto magro. Ma soprattutto la sicurezza nella voce, dopo giorni di lavoro duro e concreto.

E’ la sottile differenza tra avere uno scopo (in questo caso quello di tirare per un leader) e doverselo cercare ogni giorno. Alla Jayco-AlUla ha trovato una direzione. E’ cresciuto, progettando un nuovo se stesso dall’ottima base costruita alla Bardiani. E se oggi è riuscito a vincere lo deve al suo talento, certamente, ma anche ai tanti miglioramenti di questi primi mesi.

Oderzo ha accolto il Giro con gerani rosa alle finestre, prosecco e una folla che metteva allegria
Oderzo ha accolto il Giro con gerani rosa alle finestre, prosecco e una folla che metteva allegria
Dopo l’arrivo hai urlato mille volte «Yes», una volta anche alla radio: che cosa è esploso in quel momento?

E’ stato il mio ringraziamento a tutta la squadra che ha fatto tanto per me, dal programma mirato alla preparazione. Mai avrei pensato di arrivare al primo anno nel WorldTour con questi risultati. Abbiamo fatto tanti sacrifici, ma vederli realizzati è un’altra cosa.

Pinot le ha provate tutte per staccarti…

E io gli sono andato dietro ogni volta. Stavo bene, sto bene. Ho pensato che se ne avesse avuta di più, mi avrebbe lasciato lì. Sono rimasto a ruota, ho dato qualche cambio e sono andato verso la volata.

Sapevi di essere più veloce?

La verità? Credevo fosse più veloce, ma ho pensato che forse era stanco e che avesse fatto fatica anche lui. Non so con quale rapporto ho fatto lo sprint, non ricordo nemmeno se ho calato qualche dente. Ho dato tutto. Mi sono girato. Ho visto che avevo vinto. Ed è scoppiato tutto…

Quanto è diverso fare un Giro d’Italia avendo un obiettivo chiaro, piuttosto che cercare ogni giorno la fuga per se stessi?

Fino a ieri stavamo già facendo un buon Giro, il morale alto per tutti, quindi c’è tanta motivazione. Adesso sarà anche meglio. Mi piace molto avere un leader, mi piace veramente aiutarlo. Penso che facendo così, le cose arrivano anche più facilmente e oggi ne abbiamo avuto la prova.

Pinot ha fatto il forcing sulla salita. Zana ha dato qualche cambio, ma ha giocato bene la sua carta
Pinot ha fatto il forcing sulla salita. Zana ha dato qualche cambio, ma ha giocato bene la sua carta
In effetti non avevi mai lavorato prima per un capitano…

Infatti è tutto nuovo per me, però mi trovo veramente bene, mi stanno facendo crescere molto e sono veramente contento.

Vincere così a fine della terza settimana può far sperare che il progresso continui?

Bè, lo spero davvero.

L’altro giorno sul Bondone, Dunbar ti ha chiesto di andare un po’ meno…

Ne abbiamo parlato. Io ero andato in fuga e poi ho tirato per 2-3 chilometri, lui doveva arrivare fino in cima, quindi è diverso. Adesso abbiamo un buon quarto posto da difendere, magari anche da migliorare e quindi sicuramente domattina andremo in corsa con il coltello tra i denti e vedremo cosa saremo capaci di fare.

Che effetto fa portare questa maglia tricolore sulle strade e oggi che effetto fa averci vinto?

E’ emozionante. E’ bellissimo avere un sacco di tifosi sulle strade, è un segno che ti contraddistingue. Sento proprio l’affetto della gente.

Alla partenza, Zana con un tifoso: «Speriamo che quella tricolore – gli ha detto il signore – presto diventi rosa come questa!»
Alla partenza, Zana con un tifoso: «Speriamo che quella tricolore – gli ha detto il signore – presto diventi rosa come questa!»
Hai raccontato spesso della tua passione per il cavallo, fare legna e stare in campagna.

Ho questa passione per l’agricoltura (sorride, ndr). Dieci anni fa con un po’ di premi guadagnati nelle gare da giovane, ho comprato il mio cavallo e quando sono a casa è la mia passione. Insomma, un po’ di svago per avere anche qualcos’altro fuori dalla bici che mi faccia staccare un po’ di testa. E’ una passione che magari un giorno potrebbe diventare un lavoro. Vedremo. Intanto però cerchiamo di far durare la carriera da ciclista il più a lungo possibile. Penso che questa sia una delle giornate più belle della mia vita.

Stamattina dovevi prendere la fuga e l’hai presa. Il fatto di correre sulle strade di casa ti ha motivato?

Nella riunione sul pullman ci spiegano i punti in cui bisogna stare un po’ attenti. Ci diciamo quello che dovremmo fare, ognuno dice la sua. Poi comunque durante la tappa succede sempre che le cose cambino, però il fatto di conoscere il percorso è stato un valore aggiunto. Il vantaggio di correre su strade che ho percorso tante volte, unito al fatto di avere le gambe buone…

Gruppo (per ora) rassegnato, non solo vento: parla Pinot

13.05.2023
4 min
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CAMPO IMPERATORE – Dopo l’arrivo sul Gran Sasso, persa per mano di Bais la maglia blu della montagna, Thibaut Pinot si è infagottato nel giubbino più pesante ed è disceso dalla montagna in bicicletta. Un’immagine nostalgica e romantica, per l’uomo che sta correndo l’ultimo Giro nella sua ultima stagione, anche se di ritiro Pinot non vuole sentir parlare. Un ritorno al bus di quasi 30 chilometri, a capo di una tappa di 218. Lassù il francese era già arrivato secondo nel 2018, battuto dall’imbattibile Simon Yates. Questa volta è arrivato sesto, terzo nella volata del gruppo, dietro Evenepoel e Roglic. Due scenari completamente differenti. Allora lottarono i migliori, questa volta la tappa se la sono giocata tre uomini coraggiosi mentre dietro si limava.

«E’ andata totalmente all’opposto di quello che è successo cinque anni fa – ha raccontato Pinot a L’Equipe una volta raggiunto il parcheggio di Fonte Cerreto – soprattutto a causa del vento. Ce l’avevamo in faccia e nessuno tra i leader oggi voleva bruciare la sua squadra. Più in generale, nessuno oserà prendere in mano la situazione, a parte la Soudal-Quick Step e la Jumbo di Roglic. A parte loro, nessuno avrà il coraggio di attaccare se alla fine sarà comunque battuto dai due. Del resto c’è Remco che controlla da solo la corsa. E se decide di non correre per la tappa, le fughe vanno fino in fondo».

Il passivo della crono

E mentre Leknessund oggi è ripartito con la maglia rosa, sapendo che molto probabilmente si tratterà dell’ultimo viaggio di questo Giro con le insegne del primato, Pinot guarda più lontano, cercando di capire che piega prenderà per lui la corsa.

«Per fare un primo punto – ha detto ieri Thibaut – bisognerà aspettare la cronometro. Domani (oggi) la tappa è dura, potrebbe essere favorevole per un velocista che riesce a superare le salite, ma domenica di sicuro perderò molto tempo. Nella prima crono, Remco mi ha rifilato 1’43” in meno di 20 chilometri, non mi faccio troppe illusioni su quello che potrò fare domenica. Il Giro è ancora molto lungo, bisognerà aspettare anche la prima tappa di alta montagna a Crans Montana. Fino ad allora, nulla sarà molto preciso nella classifica generale, soprattutto perché nella seconda settimana è prevista molta pioggia».

La pressione non fa crescere

Al di là di quello che potrà fare, del piazzamento finale o dell’eventuale vittoria di tappa, sorprende vedere Pinot che corre in modo rilassato, rincorrendo i gran premi della montagna e mostrandosi molto disteso alle partenze.

«Conosco il Giro d’Italia – ha detto – ad ora la mia preoccupazione principale è salvarmi dal freddo e dalle cadute. Non penso mai che sia l’ultimo anno, sono in corsa e voglio arrivare a Roma senza rimpianti. Faccio davvero fatica quando sono in bici a realizzare che questa è l’ultima volta che corro qui, anche se ho ancora molta meno pressione rispetto al 2018. E questo forse è il più grande rimpianto della mia carriera. Mi rendo conto che non è la pressione che accelera i progressi, invece ho sempre voluto fare troppo bene, essere all’altezza delle aspettative e alla fine ho corso più per gli altri che per me stesso».