Idee che si hanno in testa, sogni. Alla fine il corridore immagina le sue vittorie. Ma un conto è sognarle e un conto è “vederle” e realizzarle. L’ultimo della serie è Sonny Colbrelli, ma poco prima era toccato a Filippo Baroncini. Il giovane azzurro, a detta sua e di chi gli era vicino, ha vinto esattamente come intendeva fare partendo nel punto in cui aveva deciso. Fortuna? Chiaroveggenza? No, di certo c’è un qualcosa di più. Un qualcosa che non è solo gambe. E’ concentrazione, convinzione e forse anche una “tecnica mentale”, ammesso si possa dire così.
Tecnica della visualizzazione
Focalizzare un obiettivo e raggiungerlo nel modo in cui si è pensato: ne parliamo con Elisabetta Borgia, mental coach della Trek-Segafredo.
«Non conosco ancora Baroncini – spiega la dottoressa – ma lo farò il prossimo anno! Come si fa? Si lavora per obiettivi. L’evoluzione dello sport ci ha portato a parlare di “goal setting”, il problema però è che oggi ancora si continua ad individuarlo come un appuntamento sul calendario. Mentre andrebbe individuato come prestazione. Cioè quel giorno devo essere al massimo, devo essere al top in tutto: fisico, testa, tecnica…
«Oggi – riprende la Borgia – si parla molto di visualizzazione, imagery in inglese. Ci sei tu al centro e ti immagini in varie situazioni. Quando poi ti immagini vincitore inneschi anche il livello emotivo. Attivi delle responsabilità su di te e non ti curi dell’esterno. I grandi atleti hanno un grande controllo su se stessi e sulla loro disciplina. Pensano al percorso e non a questo o a quell’avversario, al fatto che potrebbero forare… Pensano alla propria strategia. “Sono sul pezzo”.
«Ma questo succede quando hanno avuto un avvicinamento graduale e sono riusciti ad arrivare al massimo nel giorno X. A quel punto pensano alla salita, al rapporto da usare, ai tempi del loro attacco. Il problema semmai è opposto, vale a dire che spesso oggi gli atleti sono in balia degli eventi. E pensano meno a loro stessi.
«Un atleta forte anche mentalmente si visualizza in prima persona. Cioè non vede se stesso mentre fa l’azione, ma gli avversari, la strada, il pubblico… Un po’ come quando ai videogiochi di auto si vedono le ruote e la strada».
Piccoli obiettivi in corsa
In effetti questa disamina ricalca al meglio quel che è successo a Baroncini. Certo il corridore romagnolo ha dovuto attendere un bel po’, visto che su 160 chilometri di gara ha dato la stoccata quando ne mancavano solo 6. E questo succede spesso nel ciclismo moderno. Come si fa ad aspettare tanto e a restare calmi? Pensiamo alla Sanremo: si fanno 300 chilometri, ma per i primi 290 praticamente non succede “nulla”.
«Ma se io ho fatto tutto quello che dovevo fare sono tranquillo – continua la Borgia – Oggi si usa spesso una strategia di suddivisione del percorso in fasce e per ognuna ci si dà dei piccoli obiettivi. Anche perché non puoi fare la tua strategia e restare impassibile: ci sono anche gli altri e se qualcuno ti prende in contropiede e parte a 30 chilometri dall’arrivo? Devi “stare” in gara.
«Per questo è importante suddividere la gara in piccoli obiettivi. Per esempio: all’attacco di quello strappo devo essere tra i primi dieci. In quel tratto devo stare coperto, qui devo mangiare… Serve anche a non perdere la concentrazione. Che poi è restare concentrati su quello che si deve fare. Se invece siamo in un grande Giro gli obiettivi più piccoli sono le tappe: frazione piatta, oggi non devo prendere buchi, non devo cadere…».
Effetto Carpenter
Di fronte a queste teorie viene da chiedersi se ci sia stato un momento in cui un atleta si chiude in una stanza a meditare e ad immaginarsi la scena.
«Oggi in molti hanno il preparatore mentale che li aiuta nella visualizzazione, ma tanti altri lo hanno sempre fatto senza saperlo. Penso a Nibali che non ha un mental coach ma riesce comunque a concentrarsi e a motivarsi. E col tempo ognuno affina le sue tecniche, che poi sono dettate dallo spirito di sopravvivenza: questo è buono lo tengo, questo non va bene lo scarto. Poi c’è anche il rovescio della medaglia. C’è chi invece meno ci pensa e meglio è. E il problema di oggi è che i corridori pensano troppo».
Infine una curiosità: visualizzare un obiettivo o un’azione apporta più energie fisiche? Un minimo sembra di sì. E non solo per la consapevolezza che si assume.
«Si chiama effetto Carpenter – conclude la Borgia – Se tu immagini un obiettivo il corpo si attiva, in una piccola percentuale… ma si attiva. Faccio un esempio: penso che devo fare gli addominali, ebbene una piccolissima contrazione addominale avviene veramente».